Ligne claire e inchiostri neri: il fumetto dell'africa francofona
Introduzione in tre immagini
Bourgeon, Hergé, Loustal, Stassen ... I fumettisti francesi e belgi sono stati frequentemente attratti dal calore del sole africano, sotto il quale le loro matite hanno immaginato un continente di misteri, magie e avventure. Reciprocamente, anche i disegnatori africani sono attratti dal linguaggio del fumetto franco-belga, e lo hanno ripreso in tutte le declinazioni della ligne clairee del realismo minuzioso.
L’autore congolese Alain Mata Mamengi (Al’Mata) racconta :
Come tutti i giovani congolesi, i miei sogni sono stati popolati da Tintin, Asterix, Boule et Bill. Li leggevo nella rivista Jeune pour Jeunes, nel 1976, assieme ad altri personaggi africani come Sinatra, Kasaduma, Mata Mata e Pili-Pili che sono rimasti nella mia memoria (comunicazione personale).
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Il mio interesse per il fumetto dell’Africa è iniziato molto semplicemente il giorno che ho letto Goorgoorlou di T.T. Fons. Stavo lavorando in Senegal come antropologo culturale, e l’effetto di straniazione procuratomi dalla mia condizione di xonq nop(le orecchie rosse che caratterizzano gli Europei recentemente esposti al sole del Senegal) mi rivelava l’onnipresenza del xaaliss (denaro, in wolof) in tutti i discorsi di una quotidianità aspra, caratterizzata da strategie personali antagonistiche. Il mondo di carta di Goorgoorlou, che percorre ogni giorno le strade di Dakar alla ricerca del denaro per la sua DQ (la dépense quotidienne), mi appariva del tutto coerente con le pratiche di chi viveva in città. Rendendomi conto dell’interesse dell’ancoraggio del fumetto al livello microsociale, ho deciso di ampliare in una prospettiva situazionale lo studio del fenomeno, e ho intrapreso una serie di interviste con i fumettisti di tutti i paesi africani, al fine di analizzare le condizioni sociali della produzione e del consumo dei fumetti in Africa.
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In un continente caratterizzato da processi di urbanizzazione inquietanti perchè sproporzionati alle risorse disponibili, i fumettisti partecipano al mercato di lavoro come ogni altro operaio e cittadino africano. Essi costituiscono rapporti complessi fra mercato del lavoro, identità culturale, reti sociali di appoggio e pratiche imprenditoriali (Repetti, 2007).
La prima cosa che si nota nell’atelier di un qualsiasi fumettista africano è che questi artisti hanno ben poco da spartire con tutti gli archetipi che ci portiamo dentro quando varchiamo la soglia. Certo, c’è più un’atmosfera di straordinaria anarchia che l’inferno implacable dell’alienazione della forza-lavoro, e questo c’era da aspettarselo; ma anche quando un autore è nel pieno del suo successo, il suo regime di lavoro è quello che caratterizza il precariato: produzione irregolare, problemi di pubblicazione e di contante, bassi ritorni dei capitali investiti e profitti incerti. Il mercato di lavoro di questi artisti è instabile, soggetto a eventi che diremmo sismici ed è caratterizzato dall’irrompere di nuovo talento che scoppia improvvisamente e che altrettanto rapidamente abbandona la scena. È questa la ragione per cui il modello occidentale di successo professionale fallisce nel comprendere la realtà di lavoro e della situazione umana di questi artisti?
E’ questo il mondo che presenterò brevemente, con riguardo al caso del fumetto dell’Africa francofona. Sarà anche l’occasione di esplorare la storia del fumetto dell’Africa francofona, alcune delle esperienze più significative del rapporto tra lingua locale e lingua francese, e come i fumettisti si appropriano delle idee culturali globali a partire dal loro ambiente sociale.
Eroi di carta sotto "il sole delle indipendenze"
L’Africa francofona ha conosciuto il fumetto in tempi relativamente recenti. Il primo fumetto disegnato da un autore africano è stato Douala Manga Bell disegnato da Joz nel 1970 per la rivista camerunense Croissance des Jeunes Nations. Era un fumetto a soggetto storico e anticolonialista (ambientato nel Camerun del 1914, ma attento alle problematiche del nation building); al pari del senegalese L’homme du réfus - dove A. G. Ngom e S. D. Diop narrano la vicenda di Fary Ndella Dior, eroe della resistenza contro la Francia coloniale, pubblicato da Les Nouvelles Editions Africaines di Dakar nel 1978 - e di Nous ne voulons rien des blancs... nous avons le nécessaire(1982) di Ratsimbazafy, racconto di una ribellione allo schiavismo in Madagascar.
Vi era poi, in area francofona, una produzione di fumetto politico-agiografico che, con enfasi, celebrava la vita dei leader di paesi affrancati dalla dominazione coloniale: Histoire du Togo: il était une fois Eyadema di S. SaintMichel e D. Fages, Le Sénégal et Léopold Sédar Senghor.
Vediamo attraverso questi esempi come il fumetto, figlio del proprio tempo, rispecchiasse ai suoi inizi una realtà politica che, per spirito e orientamenti, sosteneva un processo di “africanizzazione”, l’identità emergente del continente.
Nei decenni successivi alle “indipendenze”, quotidiani e periodici francofoni crearono ovunque un ponte tra la società ed il fumetto, presentando i primi eroi di carta, personaggi (spesso comici) che si muovono in contesti ben riconoscibili dai lettori: dapprima, a Kinshasa, Sinatra del congolese Sima Lukombo e Apolosa di Boyau, poi in Gabon Bibeng, l’homme de la rue di Achka, e Tita Abessolo di Richard Amvame; in Costa d’Avorio Folbay (di Salia), Dago (del francese Migas e dell’ivoriano Apolos); e Monsieur Zézé di Lacombe in Burkina Faso; Zoba Moke di Lokok su La Semaine africaine a Brazzaville; Tekoué (di Tatara) nella Repubblica Centrafricana.
Negli anni ‘80, l’ormai riuscita osmosi tra fiction di tradizione euro-americana e contesto africano permette un primo successo personale di autori africani francofoni. Il senegalese Samba Fall realizza due album (Sangomar e L’ombre de Boy Melakh) ispirati all’atmosfera del romanzo “polar” francese, in Burkina Faso Raya Sawadogo abbandona i giornali per pubblicare il suo Yirmoaga in album (Yirmoaga au petit coin, L’homme trompair, Le salaire vital, Cado ou pas cado) nel francese popolare (“français moussa”) parlato nelle strade.
Il pubblico africano chiedeva al fumetto di presentare la sua vita di tutti i giorni in un modo comprensibile, e gli autori svilupparono anche un lavoro sulla lingua. Nel 1986, anche l’ivoriano Salia, insieme ai francesi Bréal e Carul, utilizza la lingua "vernacolare" nell’albo poliziesco Quand les flamboyants fléurissent, les Blanc déperissent.
E’ un francese "deteriorato" dagli errori grammaticali, dagli errori di ortografia e di sintassi. Per esempio: "Woilà encore ! J’ai oublié de mettre de l’huile de vidanze dans son zoreilles”. O anche : “Président, il gagne raison de se mettre en colère. Hier soir… Il dit que halte à la corruption” .
Questo lavoro sulla lingua rappresenta oggi una delle specificità del fumetto dell’Africa francofona.
Ancora recentemente, Ngalle Edimo ed Eric Salla (Cameroon/RDC) hanno usato il francese "arricchito" allo scopo di descrivere con realismo il confronto tra l’Europa ed i suoi migranti africani. Edimo riproduce l’incertezza linguistica degli africani in Europa: difetti fonetici ("Bonzur", "Ze", anziché "Bonjour", "Je"), errori di grammatica (“Ze sais que toi a ventre vide” ) e del lessico ("Fatiguante" anziché "fatigante").
Più radicalmente ed in modo ancor più innovativo, oggi TT Fons (Alphonse Mendy) descrive “dal basso” i cambiamenti della società senegalese e adotta una ricca gamma linguistica che va dal francese alla "lingua urbana", ossia una lingua con tantissime parole prese in prestito dal wolof (la lingua principale nel Senegal) e, sempre più, dall’inglese. Autore essenzialmente comico, la sua lingua è insaporita da errori e da neologismi. Ad esempio, il suo eroe Goorgoorlou si definisce vittima del Piano voluto dalla Banca Mondiale in Senegal usando due neologismi: "déflaté" e "conjoncturé". Entrambi vengono dalla lingua economica, riferendosi alla svalutazione del 50% della valuta imposta nel 1994 ed alla crisi economica ("la congiuntura").
Nel seguente esempio, Fons usa il francese, il wolof e l’inglese per presentare due eventi sociologicamente interessanti: l’accesso dei giovani, "la generazione bul faale", allo spazio politico (probabilmente l’evento principale nel Senegal contemporaneo) e l’importanza della musica rap a Dakar, probabilmente la capitale africana dell’hip-hop.
Nell’immagine, il gruppo di Modou canta la difficoltà di vivere nel Senegal attuale: le parole sono in francese ma la parola più importante, "lavoro", è in wolof. “Nous voulons liguey, président”.
Fons mette in scena "l’americanizzazione" della gioventù urbana di Dakar, producendone le seguenti ibridazioni linguistiche :
- Hey! Brother in rap! Nice?
- Cool Max Dji! Sister Saf, nomou deme (Come va?, in Wolof)
- Nice
- Waow! Vous êtes en retard… on commence.
Ombreggiature
Queste aperture dimostrano la vitalità della modernità mass-mediatica del fumetto francofono, ma vi è anche una fragilità dell’editoria dovuta al difficile equilibrio tra costi, utenza e censura governativa. Perchè in molti paesi, governo e disegnatori satirici convivono con difficoltà. Soggetti alle pressioni del loro contesto, i disegnatori non trovano sbocchi editoriali per le loro creazioni più “difficili”, come è il caso di Timpous (pseudonimo di Timpousga Kaboré) del Burkina Faso, che ha da anni nel cassetto i disegni per un albo dedicato alla vicenda del giornalista Norbert Zongo, ucciso in circostanze misteriose; oppure esercitano una forma di auto-censura che, come rileva l’esperto di fumetti John Lent, diviene “la regola generale ovunque, a causa dei molti tabù governativi e sociali, a causa del terrorismo di gruppi di vigilanza, e delle strette relazioni economiche che i giornali hanno sviluppato col mondo degli affari e col governo” (Lent 1997, p. 4).
Il clima di rinnovamento procurato negli anni ‘90 dall’introduzione del multipartitismo politico, dalla moltiplicazione delle testate giornalistiche e dalla liberazione di voci della società civile, ha fatto emergere una generazione di disegnatori capaci di riassumere vividamente la società e la politica africana, e ha creato le condizioni per lo sviluppo del fumetto francofono africano, nella forma di settimanali consacrati interamente alla satira, che sottendono la necessità di disporre di un budget e di una discreta capacità manageriale.
Un esempio positivo è il settimanale Gbich! in Costa d’Avorio, che in tre anni ha raggiunto la tiratura di 40.000 copie, laddove un quotidiano vende 10.000 copie.
Oltre a, naturalmente, una fortunata galleria di personaggi colti dalla quotidianità africana come Cauphy Gombo, uomo d’affari cinico e maldestro (“no pitié in bizness”) di Zed’l, Tommy Lapoasse di Illary, il poliziotto corrotto Sergent Deux Togos di Bob Kanza, il seduttore Joe Bleck di Karlos Guedégou, il picchiatore Gnamankoudji ZeKinan di Gnakan, le ragioni del successo sono l’apertura alla pubblicità, l’adozione del linguaggio quotidiano della strada, il prezzo contenuto (300 FCFA - circa 0,45 Euro) dovuto anche alla realizzazione in proprio del processo editoriale (dall’ideazione all'impaginazione). Infatti anche in Africa, la digitalizzazione trasforma le fasi del ciclo di produzione. Le tecniche di coloring digitale sostituiscono i metodi tipografici tradizionali ed i risultati sono effetti artistici spettacolari, efficienza e di risparmio di costi. Per Gbich! il 90% del processo orizzontale (creatività - produzione - stampa) è effettuato nei locali di Marcory.
Accanto a questo indiscutibile successo, esistono molti fallimenti, che includono Le Marabout (Burkina), Afro BD (Zaire), Goor-Mag (Senegal), e molti altri ancora.
Il fumetto è un’industria che opera nel mercato con distribuzione a grande scala. Certo, i costi sono un aspetto determinante del successo, soprattutto in Africa dove neppure l’élite stipendiata può permettersi di acquistare i fumetti con regolarità. Ma i fattori economici sono solamente un aspetto del problema.
Una parte delle difficoltà è dovuta sicuramente al fatto che questa produzione satirica troppo spesso si è appiattita sulla derisione della corruzione e della vanagloria dei Presidenti e delle élitesdirigenti, spesso affidate alla semplice evocazione dei difetti fisici (Mbembe, 1997; Nyamnjoh, 1999).
Quest’approccio viscerale si spiega attraverso la tradizione di dissidenza popolare che è ben definita dall’epitome Radio Trottoir: una comunicazione informale e popolare che veicola il dissenso e discute il potere adottando il ridicolo come arma. Nelle sue note sul postcolonialismo, Mbembe sostiene che la derisione dell’autocrate è un tentativo della gente comune di rappresentare il potente come un comune mortale, con gli stessi appetiti di ogni altra persona. L’autocrate spogliato della sua aura diventa una figura familiare, un amico che si può prendere in giro (Mbembe, 1992:8-9).
Oggi la derisione politica nata con Radio Trottoir rifiorisce arricchita del segno grafico e amplificata dalla diffusione su quotidiani sempre più diffusi. Come dice il disegnatore Barly Baruti, “in Africa, i lettori si aspettano che l’autore denunci tutte le verità che gli vengono tenute nascoste”(Baruti, corrispondenza con l’autore). Ma chi lo fa viene minacciato dalla polizia, come il disegnatore congolese Al’Mata che, dopo esser sfuggito all’arresto per una caricatura pubblicata dal quotidiano Le Palmarès (Alain Mata Mamengi, corrispondenza con l’autore), ha ottenuto l’asilo politico in Francia, come pure l’ivoriano Titi Faustin, il congolese Eric Salla, il rwandese Jean-Claude Ngumire, il camerunense Richard Tokko, e altri ancora.
Cartoline dall’Africa (e dall’Europa...)
Osservata nel dettaglio, emerge un’immagine complessa che riflette sia la cultura locale che la cultura dei mass-media.
Questo fumetto è una forma culturale cosmopolita, parte del flusso globale di debiti e crediti culturali contratti in un mondo di rapidi cambiamenti.
Molti autori adottano la “ligne claire”, lo stile narrativo franco-belga. E’ una scelta artistica che non è necessariamente un segno del loro desiderio di inserirsi nel mainstream culturale europeo. La rapidità con cui le forme culturali globali sono “indigenizzate” da autori africani ci impedisce di adottare il semplice modello centro/periferia per questa forma artistica.
Il processo di “vernacolarizzazione” dei ritmi, delle tensioni e delle convenzioni narrative ha integrato l’umorismo dei funnies nel commento della società locale, la satira nella saga.
Al pari di altre forme espressive “venute con l’aereo” (la pittura su tela, il teatro in sala, il romanzo, il cinema) l’odierno fumetto africano testimonia di una appropriazione riuscita, più che una forma di espressione artistica di meticciato o il frutto di un mimetismo culturale.
Dalla ricerca di identità di un continente espressa dalla trasposizione dei racconti tradizionali e dall’adozione della senghoriana Négritude di fiabe ed evocazioni storiche, questo fumetto ha assimilato i modi dello svago euro-americano attraverso il cinema e la televisione, e più recentemente la ricezione satellitare. La televisione interagisce in modo inatteso col fumetto africano: il Goorgoorlou di T.T. Fons è approdato alla televisione senegalese, come pure Cauphy Gombo dell’ivoriano Zed’l.
I modelli narrativi dell’audiovisivo esercitano grande influenza, collocando in un universo riconoscibile dal lettore le vicende viste alla TV e al cinema: non mancano i feuilletton a puntate come Le choix du coeur di Désiré Atsain, incentrato su una famiglia africana di ceto medio, pubblicato su Gbich! ; né le saghe familiari di Farid Boujellal: L’oude Petit Polio. Altri realizzano intrecci nella contemporaneità, adattando notizie di cronaca, comeRwanda 1994: Descente en enferdi Pat Masioni e Cécile Grenier (2005) ed Une éternité à Tanger di Faustin Titi (2005); o recuperando elementi della spiritualità africana: Magie noire di Gilbert Groud (2003).
E il racconto storico mostra oggi una nuova attenzione per la dimensione psicologica, come La grippe coloniale di Serge Huo-Chao-Si e Appollo.
Questo fumetto non nasce dalla memoria locale conservata collettivamente, ma s’inserisce nel flusso globale di idee e immagini di un mondo di rapidi mutamenti, dove nascono nuovi oggetti di consumo e si contraggono nuovi debiti e crediti culturali, dove le relazioni sono volatili e le voci si sovrappongono. Così, il congolese Barly Baruti disegna in Europa la serie Mandrill (1998-2004) ambientata nella Francia negli anni ‘50, mentre un europeo come Jean Philippe Stassen disegna il Rwanda del genocidio (Deogratias, 2000); il “veterano” francese Ptiluc edita un albo collettivo con Al’Mata e con Pat Mombili, mentre Eric Salla, senza mai abbandonare Kinshasa, ha ambientato una sua storia in Francia, disegnata con realismo minuzioso a partire da ritagli di riviste pervenute per posta. Pat Masioni ha pubblicato in fiammingo un album sugli indiani delle praterie.
Per molti degli africani della diaspora, l’Europa è divenuta un territorio nel quale avventurarsi, un luogo dove incontrare i maestri europei e misurarsi con loro.
Gli scambi transcontinentali che ne scaturiscono ispirano percorsi artistici comuni, collaborazioni tra disegnatori africani e sceneggiatori francesi: Baruti con Franck Giroud; Pat Masioni con Cécile Grenier, Hallain Paluku con Benoît Rivière, Li-An con Jean-David Morvan; e tra sceneggiatori africani e disegnatori europei : Ngalle Edimo con Sandrine Martin; Marguerite Abouet con Clément Oubrerie; Yvan Algabé con Olivier Bramanti.
Le loro storie vincono premi in prestigiosi festival internazionali. Come l’ivoriana Marguerite Abouet, la prima autrice africana a vincere un premio nel più importante Festival europeo, il Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême, o comeLa Grippe Coloniale (2003) di Serge Huo-Chao-Si e Appollo che ha vinto il Prix de la Critique by the Association des Critiques et Journalistes de Bande Dessinée.
E la saga La ballade au bout du monde : Les pierres levées ( 2003) di Man Keong Laval NG (delle Mauritius), è stato uno dei meglio venduti in Francia nel 2003.
Il fumetto appare qui come privo di confini, strutture e regolarità, secondo il modello individuato da Appadurai (1996) per le forme della cultura di massa “globalizzata”, dove nascono sempre nuovi oggetti di consumo.
Dunque il fumetto africano contemporaneo è una forma culturale cosmopolita, deterritorializzata, che non risulta da un legame culturale con il territorio di appartenenza, e perciò mal si presta a contrapposizioni tra aree culturali. Non può ricondursi al rapporto Nord/Sud, né accompagnarsi all’illusione di una interpretazione in chiave di inculturazione e di meticciato.
I suoi autori si muovono consapevoli nell’atmosfera della fluidità transnazionale di persone e di immagini, e compiono scelte formali e stilistiche da una panoplia di suggestioni né localizzate né confinate, composta da frammenti di B-grade movies, fumetti e fotoromanzi, telenovelas brasiliane e manga giapponesi, film indiani, riviste patinate, riproduzioni di opere d’arte, umori (la Radio Trottoir), oralità.
Le proprietà cosmopolite di questo fumetto devono essere messe in relazione con la modernità e la globalizzazione dell’immaginario.
Scott Lash e John Urry (1994: 4, 12) suggeriscono come le società di fine millennio siano caratterizzate da flussi di denaro, di lavoro, di prodotti, d’informazioni. E anche di fumetti, potremmo dire. Questi fumetti celebrano l’ibrido, l’impurità, la fioritura inaspettata di nuove combinazioni tra esseri umani, culture, idee. Riprendendo un ben noto passaggio di Salman Rushdie: "mélange, hotchpotch, un po’ di questo ed un po’ di quello, ed è così che il nuovo entra nel mondo".
Riferimenti citati:
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F. BOUJELLAL, Petit Polio, , Paris, Soleil Productions, 1996.
F. BOUJELLAL, L’oud., Paris, Soleil Productions, 1998.
Ch. N. EDIMO, E. SALLA, Les immigrés sont parmi nous, (non pubblicato).
M.K. LAVAlNG, P. MAKYO, La ballade au bout du monde: Les pierres levées, Paris, Glénat, 2003.
J.-D. LI-ANE MORVAN, Le cycle de Tshaï, Paris, Delcourt, 2000.
P. MASIONI, C. GRENIER, Rwanda 1994: Descente en enfer, Paris, Albin Michel, 2005.
C. OUBRERIE, M. ABOUET, Aya de Yopougon, Paris, Gallimard, 2005.
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B. SALIA, Quand les flamboyants fléurissent, les Blanc déperissent, Paris, L’Harmattan, 1986.
J.-Ph. STASSEN, Deogratias, Marcinelle, Dupuis, 2000.
F. TITI, Une éternité à Tanger, Bologna, Lai Momo, 2005.
T.T. FONS, Les années Hip, les années Hop, Dakar, Atelier Fons, 2003.