Ridere in L2: alcune considerazioni glottodidattiche
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Ridere in L2: cosa significa? Con il presente contributo intendiamo riflettere sul ruolo (glotto)didattico dell’umorismo e dell’ironia nel processo di insegnamento/ apprendimento di una lingua “altra”, sia essa seconda o straniera2. Per fare questo adottiamo il punto di vista del “didacticien des langues”, cioè di colui che, nella didassi quotidiana, ricerca alcune costanti generalizzabili e interpretabili alla luce delle teorie glottodidattiche di riferimento, al fine di fornire una sintesi utile all’insegnante per rileggere, anche scientificamente, la propria quotidianità didattica. Sintesi che di seguito proponiamo consapevoli che la simpatica anti-definizione di Frath citata in apertura implica una certa verità, soprattutto laddove si chiami in causa ciò che Porcher definisce “l’inexistant essentiel de la didactique des langues”, e cioè «l’apprenant en général, comme il y aurait l’homme en général et le discours en général»3. Il nostro discorso, dunque, non può che essere parziale e le nostre considerazioni generali subordinate alla “legge del quotidiano”:
Si le pédagogue n’a jamais intérêt à ignorer les données théoriques qui conditionnent l’évolution de sa pratique, il est fondé à utiliser les techniques dont il a vérifié les qualités opératoires même si elles lui paraissent à certains moments moins légitimées par les ténors du champ : c’est qu’en son domaine la nécessité du quotidien fait la loi4.
Chiarito tale presupposto di ordine generale, soffermiamoci brevemente su alcuni presupposti terminologici, essenziali per poter intraprendere le considerazioni glottodidattiche oggetto di questo contributo.
Nel dizionario della lingua italiana la voce “ridere” presenta tre livelli definitori: ridere come verbo intransitivo, come verbo transitivo e come sostantivo maschile. Spogliando la definizione degli esempi e delle accezioni meno comuni, leggiamo quanto segue:
rì•de•re
v.intr. e tr., s.m. […]
I. v.intr. (avere)
I 1a. esprimere sentimenti quali gioia, allegria, ilarità, euforia e sim. […]
I 1b. esprimere sentimenti quali scherno, sprezzo, ironia e sim. […]
II. v.tr.
II 1. […] accogliere con risate […]
II 2. […] schernire, irridere […]
III. s.m. […] solo sing., l'azione, l'atto del ridere 5
Ridere esprime dunque gioia e ilarità, ma anche scherno e sprezzo e per questa duplice natura costituisce il risultato di due processi molto noti e altrettanto discussi: l’umorismo e l’ironia. Il primo «est rattaché au ‘même’, à l’attirance [et] contient une connivence avec le raillé, un implicite partagé»; il secondo, l’ironia, «est symbolisée par l’‘autre’, la distance [et est] marquée par une partialité»6. L’umorismo si oppone all’ironia per il fatto che “il ne blesse pas. […] l’humour est un art de vivre […]. L’ironie est plus complexe”7: «Ironia è lo scherzo dissimulato nel serio e l’umorismo il serio nello scherzo»8.
Umorismo e ironia, secondo l’interessante immagine proposta da Martin9, costituiscono gli estremi di un continuum che, tralasciando le origini epistemologiche connesse rispettivamente all’idea di umore e di interrogazione socratica (eirōneía), può essere rappresentato come una linea orizzontale, la quale congiunge (e contemporaneamente separa) il sé dall’altro, l’attrazione dal distacco. Ridere diventa, allora, in un certo senso, il filo rosso, l’elemento unificatore degli estremi, ovvero ciò che unisce i due processi ponendosi al di sopra di essi. È da questo punto di vista, certamente più generale, che ci collochiamo per condurre le nostre osservazioni sul ruolo del ridere nel processo di insegnamento/apprendimento di una L2, ridere che può dunque essere scatenato o indotto da processi e situazioni ora ironiche, ora umoristiche, ora collocabili in una posizione intermedia.
Veniamo quindi alle considerazioni glottodidattiche annunciate. Per capire cosa significa ridere in L2 dal punto di vista del “didacticien des langues”, osserviamo il fenomeno alla luce dei fattori costitutivi dell’atto didattico: il soggetto (l’apprendente), l’oggetto (la L2), l’agente (l’insegnante, ovvero chi oppure ciò che favorisce l’appropriazione dell’oggetto da parte del soggetto) e infine il contesto in cui avviene il processo di insegnamento/apprendimento, che in questo contributo limitiamo al contesto scolastico10. Tali fattori, analizzati di seguito singolarmente per meglio cogliere la natura poliedrica eppure trasversale dell’oggetto della nostra riflessione, presuppongono naturalmente un’interazione costante, derivata dalla complessità delle dinamiche che li caratterizzano11; interazione che lasciamo per ora sottintesa e che riprenderemo nelle conclusioni.
Cosa significa dunque “ridere in L2” nella prospettiva dei fattori dell’atto didattico? Per quanto riguarda il fattore soggetto, il valore glottodidattico del riso chiama in causa aspetti diversi, di natura linguistica ma anche psico- e sociolinguistica. L’apprendente ride se si diverte, se scopre con piacere che un certo corso risponde ai propri bisogni comunicativi e mantiene alta la motivazione, non lo annoia né lo demotiva alla prosecuzione del percorso intrapreso. Anche la sintonia con il gruppo-classe contribuisce a mantenere viva la motivazione e può essere a sua volta la causa di situazioni divertenti e di conseguenza di un riso strettamente connesso al sé, al benessere personale, un riso quasi terapeutico12.
Diverso è invece il riso determinato dalla comprensione o dalla produzione di testi in L2. Certamente è sempre il soggetto ad essere coinvolto, poiché è l’apprendente che ride sulla base di ciò che comprende o che produce linguisticamente. Tuttavia, il fattore maggiormente implicato, dal punto di vista della nostra rilettura glottodidattica, è il fattore oggetto, poiché è la lingua, seconda o straniera, a suscitare ilarità, o meglio è la competenza comunicativa dell’apprendente a favorire o a impedire la risata. Su questo punto molte sarebbero le argomentazioni possibili e di diversa natura. Una, però, è a nostro avviso imprescindibile dal punto di vista del “didacticien des langues”, poiché chiama in causa l’essenza stessa della competenza comunicativa, che comprende diverse sottocompetenze, fra cui quelle linguistica, paralinguistica, extralinguistica e sociopragmatica, a loro volta comprensive di sottocompetenze complementari13. La competenza linguistica, infatti, comprende le sottocompetenze fonologica, grafemica, morfosintattica, lessicale e testuale, mentre il ritmo, l’intonazione, le pause e i suoni non verbali fanno parte della competenza paralinguistica, come le sottocompetenze cinesica o prossemica di quella extralinguistica. La competenza sociopragmatica comprende invece le sottocompetenze strategica, sociolinguistica e culturale e rimanda a ciò che in altri termini può definirsi “saper fare con la lingua”, la capacità cioè di utilizzare la lingua come strumento di azione sociale14.
Ridere in L2 in termini di competenza comunicativa significa, quindi, saper cogliere i meccanismi scatenanti il riso, umoristici e ironici, a tutti i livelli, da quello fonetico (la pronuncia di un personaggio o di un gruppo), a quello lessicale (i giochi di parole, gli omonimi), a quelli che implicano una profonda conoscenza degli usi e dei costumi, dei modi di dire e dell’attualità del paese di cui si studia la lingua (dall’umorismo a sfondo sociale alle barzellette sui politici)15. Si tratta dunque di un fenomeno particolarmente complesso che attesta, quando si verifica, il raggiungimento della competenza comunicativa nella sua globalità, nell’insieme delle sue sottocompetenze:
Percevoir l’humour de quelqu’un qui n’appartient pas à votre communauté (en particulier culturelle et linguistique) incarne l’accomplissement même de la maîtrise d’une langue non première16.
Naturalmente non si tratta solo di comprensione, ma anche di produzione, quindi di saper far ridere in L2, abilità estremamente complessa, difficilmente raggiungibile e raramente proponibile come obiettivo didattico da parte dell’insegnante in un normale contesto scolastico.
Considerare la competenza comunicativa nei termini appena esposti significa chiamare in causa, secondo la logica della nostra particolare ricognizione delle componenti dell’atto didattico, il fattore milieu, il contesto di appropriazione della L2. Contesto che si riferisce non solo al luogo fisico, in generale, in cui si realizza il processo di insegnamento/apprendimento, cioè alla scuola, o meglio alla classe del generico soggetto in questione, ma soprattutto al luogo socio-culturale della comunicazione, reale (quella particolare classe con quegli alunni e quell’insegnante) e fittizio (legato cioè al contesto linguistico e situazionale cui l’oggetto, ovvero il contenuto di lingua/cultura in esame si riferisce). In termini glottodidattici, allora, ridere in L2 nella prospettiva del contesto significa saper cogliere (e insegnare a cogliere) i riferimenti, gli impliciti e i rinvii reciproci fra i numerosi elementi che costituiscono un evento comunicativo concreto, comunemente sintetizzati nel modello S.P.E.A.K.I.N.G.17. La principale difficoltà dal punto di vista didattico consiste, per il fattore contesto, nella distanza, in termini culturali ed esperienziali, fra ciò che scatena il riso negli apprendenti e nei parlanti nativi:
«Comprendre l’humour dans une langue étrangère nécessite une compétence linguistique […], mais aussi une compétence culturelle, la connaissance d’une lexiculture»18.
Compito dell’insegnante, di conseguenza, è fornire al discente le chiavi di lettura per interpretare il contesto, o meglio i diversi contesti in cui si realizza o si esemplifica il rapporto fra soggetto e oggetto, pur nella consapevolezza che solo l’esperienza, la conoscenza e l’apertura all’altro (come persona, come lingua/cultura e come luogo) favoriscono e potenziano l’efficacia di tali chiavi di lettura.
Resta infine da considerare il fattore agente, che limitiamo, avendo focalizzato la nostra attenzione sul mondo della scuola, alla figura dell’insegnante. Cosa significa ridere in L2 dal suo punto di vista?
L’insegnante preparato possiede innanzitutto una competenza comunicativa “a 360 gradi” nella lingua oggetto del suo insegnamento, ovvero una competenza completa, globale, comprensiva delle sottocompetenze che la compongono. È dunque in grado di cogliere le cosiddette “sfumature di senso” a tutti i livelli, linguistico, extralinguistico e sociopragmatico, e quindi di ridere e di far ridere in L2 nelle prospettive che sopra abbiamo attribuito all’oggetto e al contesto. Naturalmente il grado di competenza dell’insegnante può variare in funzione dell’età, dei bisogni e perciò del tipo di apprendenti a cui si rivolge; è certo, tuttavia, che maggiore e più completa è la competenza comunicativa dell’insegnante, più facile e agevole diventa la gestione dell’input linguistico (verbale e non) fornito all’apprendente19.
Ridere in L2 nell’ottica del fattore agente significa anche, da parte di quest’ultimo, apertura, conoscenza e disponibilità all’esplorazione dei molteplici contesti che caratterizzano sia la varietà degli input linguistico-culturali rivolti al soggetto, sia i numerosi contesti scolastici e di conseguenza le dinamiche in gioco in classi diverse, eterogenee per livelli di competenza, per lingue materne e paesi di provenienza, per bisogni comunicativi da colmare20.
L’attenzione ai bisogni comunicativi chiama in causa un altro aspetto essenziale per il nostro discorso: la centralità del soggetto apprendente, che necessita comprensione, rispetto e conoscenza da parte dell’agente, il quale ha il compito di insegnare la L2 rispondendo a motivazioni ed esigenze specifiche in un clima favorevole all’apprendimento.
Centralità della motivazione, risposta ai bisogni comunicativi, rispetto dei tempi e dei ritmi di acquisizione di ognuno, valorizzazione delle conoscenze e delle competenze pregresse costituiscono i principi fondamentali che animano l’agire dell’insegnante di oggi e chiamano in causa temi particolarmente cari alla glottodidattica degli ultimi trent’anni, soprattutto all’approccio comunicativo e a quello umanistico-affettivo. Ridere in L2 dal punto di vista del fattore agente implica allora una serie di considerazioni metodologiche che possono essere sintetizzate, soprattutto nell’ambito della didattica linguistica in contesto scolastico, facendo ricorso alla cosiddetta glottodidattica ludica:
La glottodidattica ludica […] traduce in modelli operativi i principi dell’approccio umanistico-affettivo e di quello comunicativo.
[…] non va confusa e identificata con il gioco in senso stretto, [ma] crea un contesto ludico caratterizzato da una didattica che stimola curiosità, piacere e desiderio di scoperta, partecipazione dell’allievo, possibilità di risolvere problemi in gruppo […], favorisce quindi l’interazione sociale, attraverso cui si costruisce conoscenza con il gruppo dei pari21.
Le considerazioni finora effettuate hanno evidenziato la molteplicità degli aspetti e dei valori assunti dal “ridere in L2” da un punto di vista glottodidattico. L’analisi dei singoli fattori costitutivi dell’atto didattico ha messo a fuoco quanto insegnare e apprendere a ridere in una lingua non materna sia importante ma soprattutto complesso, poiché non coinvolge solo il livello linguistico, con i giochi di suoni o di parole, ma anche la cultura veicolata dalla lingua oggetto di studio (gli impliciti, i doppi sensi, le parole “à charge culturelle partagée”)22, il luogo e il modo in cui la lingua viene veicolata (dalla scuola alla classe, dall’approccio alle tecniche agli strumenti didattici), senza tralasciare, naturalmente, il livello personale ovvero la percezione, la partecipazione e l’esperienza del singolo soggetto:
Les étudiants partent du constat qu’il n’y a pas un rire mais toutes sortes de rires, que nous pouvons rire ensemble mais pas forcément de la même chose. Au bout du chemin, ils découvrent des concepts sociologiques de base23.
Le diverse ma complementari letture, che ogni fattore analizzato ha permesso di fornire sul significato glottodidattico del ridere, testimoniano la necessità di concludere la nostra riflessione ricongiungendo le varie prospettive in un solo sguardo globale, poliedrico, come del resto poliedrica e interdisciplinare è la stessa scienza a cui abbiamo attinto per redigere il presente contributo24. Insegnare a ridere in L2 significa contemporaneamente possedere (da parte dell’agente) e far crescere (nel soggetto), nel rispetto dei bisogni e dei tempi del singolo, una competenza comunicativa completa nella lingua oggetto di studio, adeguata ai diversi contesti, di apprendimento in classe e di uso in ambito sociale.
Nella complessità delle dinamiche che caratterizzano il processo di insegnamento/apprendimento, ridere può dunque costituire una sorta di “lubrificante didattico”25, è contemporaneamente un segno di comprensione dell’oggetto e di integrazione del soggetto, sia a livello linguistico che a livello socioculturale26, e favorisce il passaggio delle informazioni tra agente, soggetto e contesto (o contesti): è «une respiration, une sorte de brise […] un chemin particulièrement ensoleillé, agréable, le long duquel il est encore permis de se promener et qui, finalement, conduit vers l’objectif puisque la promenade fait partie du point d’arrivée»27. Ma soprattutto, come afferma Robert Galisson, ridere in L2, secondo i diversi punti di vista considerati, rappresenta un “eccipiente didattologico”:
Au bout du compte, ce que je crois avoir appris du rire m’amène à le concevoir dans un rôle d’excipient didactologique. En effet, comme cet additif, souvent sucré, qui facilite l’absorption des principes actifs thérapeutiques, il peut devenir un précieux facilitateur d’accès aux valeurs que l’école tarde à prescrire, faute d’habileté à rendre leurs principes éducatifs moins amers28.
Per concludere, con un sorriso, chiamiamo in causa ancora una volta il “didacticien des langues” citato in apertura e, con il suo aiuto, parafrasiamo la simpatica definizione che Pierre Frath fornisce del Quadro comune europeo di riferimento nel suo piccolo anti-glossario di pedagogia linguistica, divertente anche se per certi aspetti dissacrante: se l’approccio ludico, dal punto di vista glottodidattico, costituisce una sorta di “référentiel pour les langues”29, allora ridere in L2, in ultima analisi, dovrebbe stare all’insegnamento linguistico come il latte pastorizzato sta alla produzione del camembert, ovvero, per il lettore italico, del parmigiano reggiano!
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Note
↑ 1 Cf. P. FRATH, «Petit anti-glossaire de pédagogie des langues», Les langues modernes, 4, 2003, p. 56.
↑ 2 Con il termine L2 intendiamo «tutte le lingue che sono apprese dopo la L1, quale che sia la loro successione[,] l’estensione della relativa competenza» e la modalità del contatto con questa lingua: cf. M. VEDOVELLI, L’italiano degli stranieri. Storia, attualità e prospettive, Roma, Carocci, 2002, p. 19.
↑ 3 Cf. L. PORCHER, «L’humour comme le tango: une pensée triste qui se danse…», Le français dans le monde. Recherches et applications, Juillet 2002, p. 52.
↑ 4 Cf. J.-P. CUQ, Une introduction à la didactique de la grammaire en français langue étrangère, Paris, Dider, 1996, p. 52.
↑ 5 Cf. T. DE MAURO (a cura di), Dizionario della lingua italiana. Cd Rom, Milano, Paravia, 2000, s.v. Ridere, il grassetto è nel testo.
↑ 6 Cf. G.-V. MARTIN, «L’humour français: malice au pays des merveilles», Le français dans le monde. Recherches et applications, Juillet 2002, pp. 23, 24
↑ 7 Cf. J.-M. ROBERT, «Compréhensible mais pas risible», Le français dans le monde. Recherches et applications, Juillet 2002, p. 114.
↑ 8 Cf. D. VOLPI, Didattica dell’umorismo, Brescia, La Scuola, 1983, p. 42.
↑ 9 G.-V. MARTIN, Op. cit. Cf. anche D. THOMIERES, «Bibliographie sur l’humour», Les langues modernes, 4, 2003, pp. 58-60.
↑ 10 Ci riferiamo al noto modello S.O.M.A. di Légendre, per cui rinviamo a: C. GERMAIN, «Un cadre conceptuel pour la didactique des langues», Etudes de Linguistique Appliquée, 75, 1989, pp. 61-77 ; G. PORCELLI, Principi di glottodidattica, Brescia, La Scuola, 1994.
↑ 11 C. BOSISIO, Dagli approcci tradizionali al Quadro comune europeo di riferimento. Riflessioni glottodidattiche e applicazioni per l’insegnante di italiano L2, Milano, Pubblicazioni ISU-Università Cattolica, 2005.
↑ 12 M. CANTOROVITCH, «Vous riez, oui, mais pourquoi?», Le français dans le monde. Recherches et applications, Juillet 2002, pp. 42-47.
↑ 13 P. DIADORI, Bisogni, mete e obiettivi, in Manuale di glottodidattica. Insegnare una lingua straniera, A. De Marco (a cura di), Roma, Carocci, 2000, pp. 87-115.
↑ 14 P.E. BALBONI, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, Utet Libreria, 2002. Cf. anche CONSIGLIO D’EUROPA, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, Firenze, La Nuova Italia-Oxford, 2002.
↑ 15 Per approfondimenti sulle tecniche di natura linguistica per la costruzione di testi umoristici e ironici si vedano: M. MARGARITO (a cura di), Parole ai margini. Ludismo linguistico, musica e scrittura, “récit de vie”, Torino, Tirrenia Stampatori, 1991; J.-M. CARE, F. DEBYSER, Jeu, langage et créativité. Les jeux dans la classe de français, Coll. F, Paris, Hachette, 1991 ; R. GALISSON, De la langue à la culture par les mots, Paris, CLE-International, 1991; P. GUIRAUD, Les jeux de mots, Paris, Presses Universitaires de France, 1979; I. TORZI, Appunti di pragmalinguistica, Milano, Pubblicazioni ISU-Università Cattolica, 2003; M.B. VITTOZ-CANUTO, De la tête aux pieds: stratégie d’accès au sens de locutions verbales idiomatiques, Torino, Tirrenia stampatori, 1989; D. VOLPI, Op. cit.
↑ 16 L. PORCHER, Op. cit., p. 48.
↑ 17 L’acronimo S.P.E.A.K.I.N.G. definisce globalmente i fattori in gioco in un evento comunicativo: Setting o Scene, Participants, Ends, Acts, Key, Instruments, Norms, Genre. Per approfondimenti si veda: D. HYMES, Foundations of Sociolinguistics: An Ethnographic Approach, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1974. Per una lettura glottodidattica dell’acronimo si vedano: P.E. BALBONI, Le sfide di Babele…cit.; J.-P. CUQ (sous la direction de), Dictionnaire de didactique du français langue étrangère et seconde, Paris, Clé International, 2003, s.v. Compétence.
↑ 18 Cf. J.-M. ROBERT, Op. cit., 113. Per una definizione di lessicultura si veda : R. GALISSON, Op. cit. Si vedano anche : P.E. BALBONI, Dizionario di glottodidattica, Perugia, Guerra-Soleil, 1999; C. BOSISIO, «Per una “lessicultura” dell’italiano», Rassegna Italiana di Linguistica Applicata, 1-2, 2003, pp. 251-279.
↑ 19 Per una riflessione diversa sulla competenza comunicativa dell’insegnante di L2 nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria si vedano i lavori di Traute Taeschner, in particolare: T. TAESCHNER, L’insegnante magica. La lingua straniera nella scuola dell’infanzia: risultati del progetto, Roma, Borla, 2002.
↑ 20 Ci riferiamo in proposito alle cosiddette “classi plurilingui” delle nostre scuole, in cui accanto ad allievi autoctoni sono presenti numerosi allievi aventi lingue e provenienze differenti. L’insegnante di oggi deve essere preparato ad affrontare tale nuova realtà e soprattutto l’insegnante di lingue (materna, seconda e straniera) deve essere consapevole della delicatezza e della difficoltà del proprio ruolo ed essere in grado di sfruttare al meglio tale nuova posizione. Per una riflessione più approfondita sul tema rimandiamo a: C. BOSISIO, Le(s) rôle(s) du français (langue étrangère, seconde et “autre”) dans l’école italienne, in Les français en émergence, E. GALAZZI, C. MOLINARI (a cura di), Berne, Peter Lang, in corso di stampa.
↑ 21 F. CAON, S. RUTKA, La lingua in gioco. Attività ludiche per l’insegnamento dell’italiano L2, Perugia, Guerra, 2004, pp.11, 15.
↑ 22 R. GALISSON, Op. cit.
↑ 23 Cf. M. CANTOROVITCH, Op. cit.
↑ 24 P.E. BALBONI, Dizionario …cit., s.v. Glottodidattica.
↑ 25 Y. GENTILHOMME, «Les lubrifiants didactiques», in Humoresques. L’humour d’expression française, tome 2, Nice, Z’éditions, 1990, pp. 84-92. Cf. anche: G.-V. MARTIN, «Historique des recherches sur l’humour en français langue étrangère», Le français dans le monde. Recherches et applications, Juillet 2002, pp. 10-22.
↑ 26 «Le maniement de l’humeur par l’étudiant étranger est un signe d’intégration. Au niveau linguistique, c’est le signe qu’il commence à maîtriser la langue étrangère, au niveau socioculturel qu’il possède les usages sociaux»: cf.: J.-M. ROBERT, Op. cit., p. 116.
↑ 27 Cf. L. PORCHER, Op. cit., pp. 51, 52.
↑ 28 Cf. R. GALISSON, «L’humour au service des valeurs: défi salutaire, ou risque inutile?», Le français dans le monde. Recherches et applications, Juillet 2002, p. 132.
↑ 29 Cf. P. FRATH, Op. cit., p 55.