Quando il poeta è nasutus. Espedienti iperbolici negli epigrammi dell’Anthologia Palatina.
Marziale, XII:37,vs.11
1.1.“Dinanzi all’ingresso si era fermata una carrozza; lo sportello si aprì: ne saltò fuori, incurvato, un signore in divisa, che corse su per le scale. Quale fu l’orrore e insieme lo sbigottimento di Kovalëv quando egli riconobbe che si trattava del suo proprio naso!”
Il brano tratto dal noto racconto di Nikolaj V. Gogol’2 introduce al tema del presente contributo che, seppur incentrato su testi molto lontani dal nostro introduttivo per latitudine geografica e temporale, intende offrire qualche spunto di riflessione a proposito delle finalità/modalità ironiche che l’espediente dell’iperbole - risorsa non semplicemente retorica, ma profondamente linguistica - mette in atto. Tra i «i segni storici dell’immaginazione comica dell’umanità» (FERRONI 1974:146), nella prospettiva di un comico di ‘lunga durata’3, l’iperbole nella sua veste eversiva e provocatoria si propone come modello formale costante nelle epoche, trasversale nei generi letterarî4.
L’iperbole si realizza quando all’oggetto focalizzato si attribuisce una proprietà ad un grado manifestamente superiore a quanto la verosimiglianza può suggerire; d’altra parte la variazione che si mette in atto non può essere tale da travalicare i limiti che assicurano all’oggetto quella particolare identità – e non un’altra. Nell’alternanza ben pianificata tra attese e frustrazioni di attese, il lettore accoglie la sfida del testo iperbolico la cui interpretazione figurale diventa l’unica via per riparare all’apparente infrazione di senso.
L’iperbole si realizza quando all’oggetto focalizzato si attribuisce una proprietà ad un grado manifestamente superiore a quanto la verosimiglianza può suggerire; d’altra parte la variazione che si mette in atto non può essere tale da travalicare i limiti che assicurano all’oggetto quella particolare identità – e non un’altra. Nell’alternanza ben pianificata tra attese e frustrazioni di attese, il lettore accoglie la sfida del testo iperbolico la cui interpretazione figurale diventa l’unica via per riparare all’apparente infrazione di senso.
1.2. Regola aurea alla base dell’uso legittimo ed opportuno dell’iperbole è quella che, secondo la tradizione retorica classica, lega l’espediente retorico al testo di contenuto grave e solenne. La ricaduta perlocutoria di un testo sapientemente costruito con inserzioni iperboliche corrisponde, secondo Longino, ad un’intima commozione del lettore che è chiamato ad aderire alla carica patemica dell’evento narrato nel testo; a proposito dello scontro tra Ateniesi e Peloponnesiaci presso il fiume Assinaro narrato da Tucidide5, Longino6 spiega chiaramente che gli eventi iperbolici descritti, trascendenti di per sé il credibile, sono accettati perché in accordo con la gravità del contesto e con i sentimenti suscitati: “l’intensità della passione e le circostanze rendono credibile che fosse oggetto di contesa bere sangue mischiato a fango”. Se però si abbandonano gli scenari epici del campo di battaglia o anche le fitte trame psicologiche e le dimensioni sociali della tragedia, l’istanza iperbolica si inquadra in tutt’altro sistema regolativo. L’iperbole infatti si inserisce al meglio nella dinamica dell’incongruità7 che caratterizza l’espressione umoristica lato sensu ed in particolare quella ironica. La relazione tra situazione rappresentata e situazione attesa viene avvertita tanto più incongrua quanto più lo scarto indebolisce il presupposto stesso di credibilità che l’impostazione classica designava come costitutivo dell’iperbole. Se la deformazione non è eccessiva e se l’eccesso non deforma l’oggetto ai limiti del riconoscibile (ma non oltre), non c’è neppure il «piacere comico» che, come dice Freud “è indipendente dalla verità della situazione comica” (FREUD 1975 [1905]:222). Per il fruitore di un messaggio iperbolico realizzato entro un contesto faceto la rappresentazione iperbolica non può mantenere un saldo legame in termini di veridicità con la situazione reale, perché, se così fosse, l’effetto del (sor)riso (e dell’alleviamento/sollievo ad esso collegato) sarebbe neutralizzato a vantaggio di uno più pervasivamente patetico e drammatico. È evidente dunque che l’iperbole mostra un carisma divergente tra testi seri e testi faceti, così che, mentre in quel caso si accorda perfettamente con i sentimenti che l’autore vuole provocare attraverso il pathos dell’evento rappresentato, in questo invece si applica ad un oggetto la cui viltà è intrinsecamente connaturata alla natura del difetto, tale da diventare piuttosto strumento di scardinamento dei normali rapporti di valore. Suscettibili di un trattamento iperbolico in contesti non serî sono spesso parti dell’anatomia umana, il cui valore normale è dato comunemente condiviso e quindi non arbitrario8. Un elemento del volto in particolare che sembra vantare un primato nella sua rappresentazione deformante ed iperbolica è il naso. Tratto caratteristico della fisionomia si rivela, anche a livello di langue, notevole catalizzatore di valori socio-culturali. Significativi i dati lessicali.
1.3. Per il verbo denominativo myktērízō9 “sanguinare dal naso”, ma più spesso “beffarsi di” (Lys. fr. 323, LXX) l’immagine è probabilmente quella di ‘storcere il naso’ e ‘soffiare’10; così i derivati myktērismós “beffa” (Men., LXX, etc.), myktērísmata “dileggio” pl. (Hsch. s.v. aposkómmata “id.”), myktēristḗs “motteggiatore, derisore”, e il composto eschileo (A. Sept. 464) myktērókompos “che risuona dalle narici” condividono la medesima associazione tra suoni prodotti dal naso e atteggiamento beffardo. «Un’idea di impertinenza è associata in particolar modo al ridere quando i lineamenti del volto sono contratti e il naso si arriccia, come nell’espressione simà gelân ‘ridere apertamente’ ([I:I]AP[/I:I] V:176:4, cfr. Theoc. XX:10) che designa l’atteggiamento impudente e malizioso di Eros, il cui riso può essere, più sinistramente, un ghigno ([I:I]AP [/I:I]V:178:3: simà sesērṓs), talvolta perfido ([I:I]AP[/I:I] V:179:2: pikrà gelâ )» 11.
Così pure si incontrano usi idiomatici come per le espressioni tra loro equivalenti myktḗr politikṓtatos (Longin. 34.2) e myktḗr attikós (Luc. Prom. es 1) “sarcasmo da liberi cittadini”; o per il verbo koryzáō “avere il naso che cola” che vale “essere stolto” e origina immagini simbolicamente suggestive come quella della diatriba Sulla provvidenza di Epitteto in cui l’uomo stolto incapace di reagire alle avversità è ritratto come uno che, pur avendo le mani, non è in grado di pulirsi il naso.
La centralità fisiognomica del naso produce nella riflessione degli antichi considerazioni sulla psicologia degli individui, come per il naso camuso che, secondo Aristotele, «indica l’inclinazione alla lascivia (Phgn. 811b: hoi dé simḕn ékhontes lágnoi: anaphéretai epì tùs eláphus; “quelli che hanno (il naso) camuso sono lussuriosi: si vedano i cervi”). L’opposizione grypós/ simós assume una connotazione morale […]: Curuae nares, quas Graeci grypàs uocant, magnanimis attributae sunt, humiliores, quas Graeci simàs dicunt, libidinosis; “Il naso adunco – che i Greci chiamano grypós, è proprio degli uomini magnanimi, quello camuso, che i Greci chiamano simós, è proprio dei libidinosi” (Anon. De Phys.: 51)» (id.).
2. Il naso grypós, è quello che ispira maggiormente gli epigrammatisti dell’Anthologia Palatina 12. Presentiamo qui di seguito tre testi, due dei quali incentrati sulla grypótēs che ben esemplificano la partitura dell’iperbole intorno al motivo del ‘naso smisurato’:
La sequenza dei testi qui proposta segue una relativa scala ascendente nella sproporzione fra dato reale e rappresentazione iperbolica. Nel primo i rapporti dimensionali sono circoscritti al corpo umano con il confronto tra mano e naso, laddove la forza dell’iperbole travolge la naturale relazione di subordinazione fra i due organi: l’organo ‘intelligente’, adibito all’iniziativa dell’uomo (sia essa creatrice o semplicemente funzionale), si trova ad essere impotente di fronte all’eccezionale imponenza dell’organo idealmente ‘inerme’. Nel secondo la definizione iperbolica del naso si fonda su un’invadenza nell’ambiente naturale resa più esplicita dalla quantificazione di determinate misure (le tre ore, i duecento cubiti..). Il terzo è quello dalla struttura più complessa, in cui «è la scena stessa ad edificare la grandezza del naso. L’estensione ridotta del testo dell’epigramma si satura completamente dell’immagine iperbolica, come accade, seppure con modalità differenti, anche per la caricatura visiva nel limite dell’estensione spaziale del disegno»14. L’uomo sparisce dietro al naso, unico elemento notevole in un paesaggio sommariamente disegnato: i cinque stadi di distanza, il colle. Il testo giunge così ad operare una ridefinizione della realtà in cui ciò che è essenziale (l’uomo) viene respinto sullo sfondo, mentre ciò che è secondario (il naso) conquista di prepotenza il primo piano. Il lettore accoglie questa rappresentazione deformata come uno stimolo a godere di una visione alternativa del mondo che produce piacere proprio in quanto temporanea e sospesa al fragile equilibrio del componimento breve. Laddove l’iperbole conquisti uno spazio narrativo di più ampio respiro come nel racconto di Gogol’ citato in apertura, si crea una tensione ironica che sfocia nell’inquietudine e talora persino nell’incubo grottesco, come quello dell’ambizioso assessore di collegio Kovalëv cui non resta altro che accettare la perfetta autonomia conquistata dal suo naso: : “«Vi state sbagliando, egregio signore. Io sono per conto mio ». Detto ciò, il naso si volse e continuò le sue preghiere”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
AUBRETON 1972= R.A., Anthologie Grecque. Anthologie Palatine, livre XI, Paris.
FERRONI 1974= G.F., Il comico nelle teorie contemporanee, Roma.
FREUD 1975[1905]= S.F., Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, Torino.
PERRIN 1996= L.P., L’ironie mise en trope, Paris.
PITTORE 2004= M.P., L’ironia negli epigrammi dell’Anthologia Palatina tra manipolazione linguistica e allusività, Alessandria.
RAPALLO 2004= U.R., L’umorismo. Verbale e non- verbale, “nostro” e “altro”, antico e moderno, Firenze.
RASKIN 1985= V.R., Semantic Mechanisms of Humor, Dordrecht/ Boston/ Lancaster.
Note
↑ 1“Ti preme troppo mostrare che hai naso”. Nasutus è felice termine che indica sia un profilo importante sia uno spirito arguto.
↑ 2Il naso per il quale si segue la seguente edizione: N. V. Gogol’, Opere, vol. I, I edizione I meridiani, Milano,1994.
↑ 3 L’espressione longue durée è dello storico F. Braudel.
↑ 4E, da ultimo, modello storico mobile tra i codici verbali e non verbali. Cfr. anche RAPALLO 2004.
↑ 5“I Peloponnesiaci, scesi nel fiume, massacrarono quelli che vi si trovavano dentro, e l’acqua si sporcò subito, ma nondimeno era bevuta pur se limacciosa e insanguinata e per molti era motivo di contesa”.
↑ 6Con Longino si intende l’autore del trattato Perí hýpsus di cui si è seguita l’ed. Les Belles Lettres, curata da H. Lebègue, Paris 1939.
↑ 7Sono tre le principali teorie dell’umorismo: la teoria dell’incongruità (incentrata sulla struttura), la teoria dell’ostilità (incentrata sul fine) e la teoria del sollievo (incentrata sulla causa). La prima in particolare ha avuto una feconda applicazione negli studi di script analysis dei jokes (cfr. RASKIN 1985).
↑ 8“Une représentation exprimée, soutenue par l’ensemble des effets contextuels de l’énoncé, entre alors en conflit avec une représentation préalable et partagée du même objet, constituée d’une ou de plusieurs informations contextuelles entretenues avec suffisamment de force pour démentir ce qui est exprimé” (PERRIN 1996:59).
↑ 9Da myktḗr “narice, beffa, ghigno”, deriv. da mýssomai “soffiarsi il naso, sbuffare” attraverso il suffisso di nome d’agente e di strumento -tḗr.
↑ 10Cfr. Poll. 2:78 (Men. Fr. 745), apo- (Hsch. s.v. aposkamunthízein).
↑ 11Cfr. PITTORE 2004:27.
↑ 12Nell’Anthologia Palatina sono confluite diverse raccolte di epigrammi cominciate già in età ellenistica e comprendenti uno sterminato repertorio di testi di epoche e di autori disparati. Per un breve profilo delle vicende filologiche del ‘macro-testo’ dell’Anthologia Palatina si veda PITTORE 2004:10S.
↑ 13Per le citazioni degli epigrammi dell’Anthologia Palatina (=AP), si segue l’edizione Les Belles Lettres, AUBRETON 1972. Le traduzioni proposte vogliono essere, nell’intenzione di chi scrive, un supporto alla teoria descritta senza avere alcuna pretesa poetica.
↑ 14PITTORE 2004:29S.