Publifarum n° 6 - Bouquets pour Hélène

Il monaco e il cammello - Immagini dell’umorismo in alcuni proverbi turchi

Rosa Galli Pellegrini


“Se l’abito non fa il monaco, neanche il cammello diventa un venerabile pellegrino soltanto per essere andato fino alla Mecca”: così dice il proverbio popolare che è riportato in uno dei più recenti dizionari dei proverbi turchi1 al quale facciamo riferimento.
Questa prima citazione vuole dare un’idea del senso del nostro contributo che è lungi dal pretendersi un lavoro linguistico esaustivo, anche se cercherà di essere scientifico entro certo limiti. Infatti, lo scopo non è di portare avanti una ricerca, ma piuttosto di mettere in evidenza, in tono colloquiale, uno dei procedimenti stilistici che il proverbio turco mette in atto: l’umorismo. Si tratterà quindi di sorridere un po’ in due lingue molto distanti tra loro, mentre si scoprono le affinità di una saggezza popolare in due culture diverse.

Notoriamente usato in gran parte della cultura popolare, l’umorismo, nel versante turco, si colora di una imagerie molto concreta, spesso tratta dal campo semantico della realtà che circonda una cultura ancora oggi contadina, o comunque inurbata di recente: gli animali e le piante, gli oggetti d’uso quotidiano, le particolarità della fisionomia o dei difetti fisici umani. Alla ricerca di questo aspetto stilistico, ci serviremo di esempi, cercando di costituire un campionario per queste categorie. Il dizionario che abbiamo consultato porta più di un migliaio di proverbi, come affermano gli stessi autori2; tuttavia è ben lontano dall’aver accolto l’intero patrimonio dei detti popolari. Gli esempi citati nell’opera sono in qualche caso tratti dai versi di poeti del tempo passato che ne hanno usato talvolta la versione in lingua ottomana; tuttavia i proverbi messi “en vedette” sono in turco e tali li abbiamo accolti, poiché così sono in uso ancora oggi. Infine dobbiamo ancora precisare che, se qui abbiamo privilegiato l’umorismo e la ricchezza di immagine, non per questo il proverbio turco, popolare o colto che sia, si restringe in questo procedimento stilistico: la concettualizzazione e l’astrazione sono frequenti, specialmente nei proverbi che riguardano le sfere del sociale e dell’etica. Ma sono meno divertenti!

Cominciamo dagli animali, che popolano numerosi il nostro dizionario, e poiché abbiamo citato il cammello in apertura, tanto vale continuare con questo utilissimo mezzo di trasporto di uomini e cose, che ha svolto il suo prezioso lavoro per secoli e che ancora oggi fa la sua brava parte nelle zone impervie dell’Anatolia del sud, anche se è ormai minacciato di pensionamento per lasciare il posto a fuoristrada sempre più sofisticati. Animale che procede ambiando con maestosità, il cammello, a conoscenza di tutti, non ama superare ostacoli: eppure, - dice il proverbio - "è più facile convincere il cammello a saltare un fosso che far intendere ragione ad un ignorante"3. Abituato ad arrampicarsi con dispendio di forze in salita o a scendere con cautela in discesa, il cammello è anche stato interpellato per sapere da lui “se preferiva la strada in salita o la discesa”. Nella sua annosa esperienza e grande saggezza, il cammello, che non conosceva il detto latino “in medio stat virus”, così ha risposto: “Vi risulta forse che la strada in pianura sia scomparsa nei cieli?”4. Non tutti gli animali hanno, tuttavia, la saggezza del gibboso quadrupede e molti, anche se domestici, possono dimostrare demenza o violenza: tra questi il cane, a noi occidentali noto come il migliore amico dell’uomo.
In turco, due lemmi corrispondono al nostro unico termine: l’uno, “köpek” ha un’accezione generica, mentre l’altro, “it”, ha un’accezione negativa e risponde al concetto dispregiativo dell’animale immondo o comunque disprezzabile perché impuro o violento. Infatti il nostro dizionario lo cita una sola volta nella prima accezione mentre nella seconda forma appare in vari proverbi, molti dei quali abbastanza crudeli. Uno solo ci pare velato di un certo umorismo quando, per indicare l’operazione impossibile di mettere gli stravaganti nel giusto senno, il proverbio dice che “è inutile tentare di raddrizzare la coda al cane stringendola in uno stampo”5, umorismo più denso di immagine del nostro “raddrizzare le gambe ai cani”, dato che ci viene anche suggerito l’eventuale procedimento correttivo! Altro animale che, come il cane, non ispira l’umorismo ma entra nei proverbi sentenziosamente etici è il cavallo, animale nobile e compagno di genti guerriere come dimostra il proverbio in cui si dice che “il cavallo spetta a chi lo sa montare e la spada a chi la sa cingere”6, corrispettivo del nostro “a ciascuno il suo”. E anzi il contrasto tra la nobiltà del cavallo e l’indegnità del cane è riscontrabile nel detto che mette in evidenza l’ascesa della gente di misera estrazione al momento della caduta del potente: “muore il cavallo ed è festa per i cani”7. L’opposizione tra il cavallo e il cane è estranea alla cultura occidentale: è più comprensibile in un contesto sociale che fino alla prima guerra mondiale ha chiesto al cavallo una prestazione nobile, come quella di essere la montatura del guerriero. E non si dimentichi il ruolo del cavallo nelle conquiste ottomane. Il cane, invece, è ancora oggi un animale semi domestico, che vive spesso libero, in branchi, nelle campagne o nei villaggi, tollerato dagli abitanti, avvezzo a cibarsi come capita, di resti o anche di carogne. Da qui l’idea del suo essere un animale immondo.

Ma torniamo al sorriso. Gli animali da cortile sono una grande fonte di umorismo, nell’immagine che viene loro affibbiata di animali stupidi: la gallina, il gallo, l’oca, a cui si unisce l’asino, sono quasi gli emblemi della sciocchezza e del comportamento insensato. Altri animali, anche feroci, sono usati per rappresentare l’opportunismo, la furbizia, la prepotenza o, comunque, il barcamenarsi quotidiano. Questi ultimi danno poche opportunità all’umorismo, a meno che siano invecchiati o malconci, come il leone che, da vecchio, “fa l’agguato alla tana del topolino”8. L’aia, invece, popolata di volatili starnazzanti e rumorosi, è luogo di osservazione eccellente per riflettere sulle analogie con il comportamento della società o dell’individuo o sulla misera condizione umana.
Se il detto francese “qui se ressemble s’assemble” ci trova consenzienti ma non ispira ilarità, anche per l’assenza di immagini essendo il detto piuttosto concettuale, non è così una delle versioni turche che appaia il “cigno col cigno, l’oca con l’oca e la gallina calva con il gallo zoppo”9. E sempre il pollaio offre l’opportunità di vedere il gallo scriteriato e chiacchierone, che canta fuori orario e a cui, di conseguenza, “viene tagliato il collo”10, o i troppo numerosi galli che “fan tardare lo spuntar del sole”11 (come in molti altri paesi, del resto); quanto alla gallina del vicino, è facile che “al vicino appaia grande come un’oca”, così come anche la moglie della casa accanto gli apparirà “giovane come una fanciulla”12. L’aia è anche la sede di turbe comportamentali, se è vero, come ci viene detto che l’anatra presa dal panico …, “perde la testa e s’immerge dal sedere”13!
Il mite asino, altro animale emblema di scarsa intelligenza in quasi tutte le culture, sopporta, anche nei nostri esempi, la sua condizione di quadrupede inferiore: non ha la saggezza del cammello, tanto meno la nobiltà del cavallo; infatti rimarrà sempre un asino anche se “gli si fa una sella dorata”14 e “non basterà tagliargli le orecchie perché diventi un purosangue”15. Poco intenditore di bellezza o di raffinatezza, se il somaro viene messo davanti a una tazza prelibata di composta16, “ne berrà l’acqua e ne lascerà la frutta”17, non sarà cioè in grado di capire dove è il meglio. Compagno paziente, segue il contadino al mercato, ma sarà bene che il padrone non gli tagli la coda in pubblico, perché “vi saranno quelli che la troveranno troppo lunga e altri che la troveranno troppo corta”18. E alla fine, preso di mira nelle beffe, costretto a fare una vita di fatica, a sopportare padroni poco amorevoli, al povero asino resta la sola consolazione di sapere che almeno, una volta morto, “ non dovrà più aver paura del lupo”19! Conigli presuntuosi, capre supponenti … la psicologia comportamentale “zoomorfica” si sbizzarrisce: presuntuoso come la mosca del cocchio di La Fontaine, “il coniglio si adira contro la montagna, ma questa non se ne accorge nemmeno”20, e “il pesciolino diventa saggio soltanto quando è caduto nella rete”21.

Gli animali domestici hanno buona frequenza nel conteggio dei proverbi tinti di umorismo; tuttavia anche due, fra gli animali selvatici, danno adito al sorriso. L’uno, la volpe, rappresenta, come dappertutto, l’immagine della furbizia e del latrocinio astuto: infatti è detto che “se non ci fosse il delatore, la volpe passeggerebbe per il mercato22. Discutibile è la scelta tra il termine di “delatore” o di “maldicente” per tradurre il turco “gammaz”23 : tuttavia, tenendo conto del senso del proverbio che vuole indicare come il potenziale malfattore andrebbe in giro impunito se non temesse la legge, abbiamo optato per il primo significato del sostantivo. Comunque, per quanto astuta e impunita vada operando la povera volpe, è anche vero che tutti i nodi vengono al pettine e che, per quanto abbia girato, la sua ultima dimora, poveretta, è “il negozio del pellicciaio”24. L’altra fiera che non incute troppa paura è l’orso. Ma sino ad un certo punto: infatti se mentre attraversi un ponte incontri l’orso, finché non sei passato sull’altra riva è meglio che tu lo chiami “zio”25. Comunque, per lo più l’orso è bonaccione, anzi è spesso opportunista, come quando “mangia le pere migliori”26 ( nel senso che il meglio va a chi non se lo merita). Infine, il serpente: animale pericoloso e anzi simbolo del male nella tradizione occidentale, tale non è sempre nella cultura popolare turca. Anzi può anche essere un incontro gradito in particolari situazioni di pericolo: infatti, chi cade in acqua (e si suppone non sappia nuotare), “abbraccia finanche il serpente”27 se ha la fortuna di trovarsene uno a portata di mano! Che poi, basta lasciarlo in pace, il serpente, e non darà fastidio a nessuno, e se sta dormendo sarà buona norma “non pestargli la coda”28.

Si può vedere che il bestiario proverbiale citato non differisce molto da quello dell’occidente, con la differenza che quello turco si serve di preferenza della realtà quotidiana. Rara, infatti, è la presenza di fiere come il leone o la tigre, quasi impossibili da incontrare in territorio anatolico come anche in quello europeo. Eppure il proverbio occidentale usa molto spesso questi animali come emblemi della regalità, o della violenza, del potere o della ferocia. E’ probabile – questa è solo una nostra ipotesi – che, in turco, non siano entrati nell’immaginario del proverbio popolare, perché concepiti come personificazione di concetti astratti legati piuttosto alle rappresentazioni dell’araldica o, comunque, dell’arte aulica. Stranamente assenti anche gli uccelli da preda, evidentemente poco suscettibili di rappresentare le miserie popolari. Il solo uccello selvatico – simpatico animale che si può vedere ancora oggi nidificare sui comignoli o sugli alberi alti – è la cicogna. E viene accolta nel bestiario come rappresentazione della chiacchiera e del parlare a vanvera.

Le piante in genere, e in particolare gli alberi, come anche i prodotti della terra e le granaglie, entrano come immagine privilegiata in vari proverbi che hanno a che fare con il senso della famiglia, il senso etico (gli alberi: il tronco e i rami, la protezione della famiglia, il padre ecc.), con l’abbondanza, la parsimonia, il lavoro dell’uomo (le granaglie). Agli ortaggi è attribuito un ruolo meno nobile: le fave bacate, ad esempio, “trovano alla fin fine l’acquirente cieco”29, e “due cocomeri non stanno sotto la stessa ascella”30, per indicare situazioni difficili che, alla fine trovano tutte una soluzione o, in opposizione, situazioni impossibili in ogni modo; due proverbi i cui corrispettivi italiani, come si riscontra nelle note relative, ricorrono all’immagine ripetuta del piede e della scarpa.

Gli oggetti casalinghi, come quelli folcloristici, sono anch’essi materiale ricco di spunti per rappresentare il comportamento caratteriale o le relazioni interpersonali come, ad esempio, la difficoltà della comunicazione fra gli esseri umani. Il collerico nuoce a se stesso, sicuramente così come “l’aceto troppo forte danneggia il suo recipiente”31 e, viceversa, l’uomo assennato non si adira per un nonnulla, così come la pentola pesante “tarda a bollire”32. Uno strumento musicale che, fino a non molto tempo fa, era spesso usato in varie occasioni sociali, è il tamburo. Suono che ritma le parate militari, molto apprezzate dalla popolazione, segnale serale della fine del digiuno nei giorni del ramazan, il tamburo è anche parte integrante della musica popolare turca. Questa è vista, nei proverbi, in opposizione alla cultura musicale del “saz”, genere musicale aulico e colto che usa strumenti a corda; mentre il tamburo così come una sorta di tromba stridula, il “zurna”, sono propri della musica folcloristica. Questa precisazione serve a rilevare la componente umoristica del detto che spiega perché “a colui che vuole capire, il ronzio della zanzara sembra musica saz, mentre per chi non vuol capire non bastano né tamburo né tromba”33. Ed è proprio per il fracasso che provoca, che soltanto “da lontano, il suono del tamburo sembra gradevole”34!
Per inciso, come in molti detti popolari, anche l’elemento fonetico contribuisce a creare l’umorismo: le rime interne (saz/az; ayı/dayı) le assonanze, sono rafforzativi atti ad aumentare l’aspetto comico della situazione.

Come è caratteristica diffusa anche in occidente, dalle tradizioni del carnevale alle feste rituali, il difetto fisico provoca il riso, se si tratta di difetti lievi che non ispirano la pietà ma soltanto un sorriso di commiserazione. Molti e variati sono i proverbi che giocano sulla condizione dei diseredati o sui difetti fisici: la categoria è tanto vasta che crea imbarazzo nella scelta degli esempi. Anche alcune situazioni che rasentano il drammatico possono tuttavia essere esorcizzate dall’umorismo ed entrare nei paradigmi della cultura popolare. La fame, per scegliere una fra le numerose afflizioni, è un termine che ricorre di frequente, ed è probabilmente un riferimento tristemente reale, almeno in certe epoche e in certe aree geografiche. Ciononostante il sorriso popolare la tratta con ironia, se non proprio con umorismo, quando ammonisce che, se si vuol proteggere qualcosa, non è il caso di “nascondere la focaccia in petto all’affamato”35. Quanto a colui che pensa soltanto a far figura, all’apparenza delle cose non dirà mai che sta “morendo di fame, ma chiederà una bara di legno d’olibano”36, essenza rara e pregiata da cui si estrae l’incenso.
Il calvo, il cieco, l’uomo senza barba ( segno evidente di una carenza, fisiologica o indotta) fanno le spese del riso nei proverbi. Per illustrare come il l’uomo poco raccomandabile o indegno, venga riabilitato dopo la morte, il proverbio dice che, una volta morto, “il calvo ha capelli dorati, il cieco ha gli occhi a mandorla”37. E se da noi, chi va con lo zoppo impara a zoppicare, in Turchia “chi si corica col cieco, si risveglia strabico”38. Quanto al glabro, l’infelice viene riabilitato nel proverbio che, nel corrispondente italiano, allude alla pagliuzza nell’occhio: “colui che si fa beffe del glabro - dice il detto- è bene che abbia una folta barba”39. Se si parla dell’autorità e del potere connesso, più volte viene citato il nome di Solimano, intendendo Solimano il Grande, o il Legislatore. Il ché fa capire come il personaggio continui ad avere quella grande risonanza popolare che dura ancora ai giorni nostri: “colui che detiene il timbro diventa Solimano”40, si dice, per indicare la pessima usanza dell’abuso di potere a tutti i livelli. Fortuna che, per una legge del contrappunto, anche ai potenti non riescono a fare sempre quello che vogliono, poiché, per quanto potente e autorevole, anche “il prete non mangia pilav tutti i giorni”41.
E per finire con un’allusione a coloro che insistono, come la sottoscritta, dimenticando che errare è umano, ma perseguitare (nella ricerca universitaria!) è diabolico, sembra che calzi a pennello il detto turco corrispondente, - più colorito e meno metafisico -, che così ammonisce: “poiché sai quale ne è … l’effetto, perché insisti nel mangiare la carne di capretto?”42



Note

↑ 1“Deve Kâbe’ye gitmekle hacı olmaz” (L’abito non fa il monaco ) in M. E. SARAÇBAŞI – I. MINNETOĞLU, Türk atasözleri sözlüğü, Istanbul, Bilge Kültür Sanat yay., 2002, p. 141. I proverbi citati sono tratti da quest’opera, che offre una ricca bibliografia delle fonti. Le traduzioni letterali, o quasi letterali, inserite nel testo sono nostre, mentre vengono forniti in nota, dove possibile, gli eventuali proverbi corrispondenti in italiano, in francese o in latino.

↑ 2inci baskının önsözü in Op. cit. p.11

↑ 3Cahile söz anlatmak, deveye hendek atlatmaktan güçtür, p. 118

↑ 4“Deveye “inişi mi seversin, yokuşu mu” demişler – Düz yolu göke mi çektiler?” demiş?”, p.142 (In medio stat virtus)

↑ 5“ Itin kuyruğu kalıba koymakla doğrulmaz”, p. 221 (Non si possono raddrizzare le gambe ai cani)

↑ 6“At binenin kılıç kuşananın”, p. 74 (A ciascuno il suo)

↑ 7“At ölür, itlere bayram olur”, p. 75.

↑ 8“Arslan kocayınca, sıçan deliği gözetir”, p. 70

↑ 9“Baz bazla, kaz kazla, kel tavuk topal horozla”, p. 98 (Qui se ressemble s’assemble)

↑ 10“Vakıtsız öten horozun başını keserler”, p. 299

↑ 11“Horozu çok olan köyde sabah geç olur”, p. 208

↑ 12“Komşunun tavuğu, komşuya kaz görünür, karısı kız görünür”, 238 (L’erba del vicino è sempre più verde)

↑ 13“Şaşkın ördek başını brakır kıçından dalar”, p.286

↑ 14“Eşeğe altın semer vursalar, yine eşektir”, p169

↑ 15“Eşeğin kulağını kesmekle küheylan olmaz”, p.169

↑ 16Il “hoşaf”: è una prelibata composta di frutta, spesso arricchita con uvetta, in uno sciroppo molto leggero.

↑ 17“Eşek hoşaftan ne anlar, suyunu içer danesini brakır”, p.171 (Margarita ante porcos)

↑ 18Eşeğin kuyruğunu kalabalıkta kesme, kimi uzun der, kimi kısa”, p. 170 (Non si può accontentare tutti; on ne peut pas contenter tout le monde et son père)

↑ 19“Ölmuş esek kurttan korkmaz”, 262

↑ 20“Tavsan dağa küsmüşte, dağın haberi olmamış”, 290

↑ 21“Balık ağa girdikten sonra, aklı başına gelir”, p.93 ( Del senno di poi sono piene le fosse)

↑ 22“Gammaz olmasa, tilki pazarda gezer”, p179

↑ 23Il Pars TUĞLACI, Büyük türkçe-fransızca sözlük, Istanbul, Sermet, 1968, traduce "gammaz" con 1. Dénonciateur, délateur; 2: Diffamateur; 3, Médisant.

↑ 24“Tilkinin dönüp dolaşıp geleceği yer, kürkçü dükkanıdır”, p. 292. (Tutti i nodi vengono al pettine)

↑ 25“Köprüyü geçinceye kadar, ayıya dayı derler”, p.240 (Fare di necessità virtù)

↑ 26“Armudun iyisini ayılar yer”, p. 68

↑ 27“Denize düşen, yılana sarılır”, p.140 (Fare di necessità virtù)

↑ 28“Uyuyan yılanın kuyruğuna basma”, 296 (Non svegliare il can che dorme)

↑ 29“Bitli baklanın kör alıcısı olur”, p. 110 (Ognuno trova scarpa per il suo piede)

↑ 30“Iki karpuz bir koltuğa sığmaz”, p.213 (Avere un piede in due scarpe)

↑ 31“Keskin sirke kabına zarar”, p.233

↑ 32“Ağır kazan geç kaynar”, p. 40

↑ 33“Anlayana sivrisinek saz, anlamıyana davul zurna az”, p. 66

↑ 34“Davulun sesi uzaktan hoş gelir”, p. 137

↑ 35“Açın koynuna çörek saklanmaz”, p. 33

↑ 36“Açlıktan öldüm demez, öd ağacından tabut ister”, p. 33

↑ 37“Kel ölür, sırma saçlı olur, kör ölür, badem gözlü olur“, 231

↑ 38“Körle yatan, şaşı kalkar“, 241 (Chi va con lo zoppo impara a zoppicare)

↑ 39"Köseyle alay edenin top sakalı kara gerek“, 241

↑ 40“Mühür kimde ise, Süleyman odur”, 253

↑ 41Papaz her gün pilav yemez“, p.265 (Non tutte le ciambelle riescono col buco)

↑ 42“ Bilirsin götünün derdini, ne yersin keçinin etini”. Vi sono due varianti di questo detto, che abbiamo riportato in italiano in una versione attenuata, senza precisare l’effetto notoriamente emolliente della carne di capretto. L’altra variante è “Bilirsin karnının huyunu, ne içersin turşunun suyunu”, p. 101, dove al capretto è sostituito il ranno dei sottaceti, altro prodotto deleterio a chi è delicato di pancia!

 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN 1824-7482