Franca Bruera - Università di Torino

L’epifania eroica della parola al femminile ne La Guerre de Troie n’aura pas lieu di Jean Giraudoux

Il valore dell’eroismo è fondamentale per lo sviluppo della storia ? All’interrogativo formulato da Marcel Raymond1 a proposito del teatro di Giraudoux, sembrano fornire un tentativo di risposta le figure femminili de La Guerre de Troie n’aura pas lieu 2, protagoniste di un universo drammatico intertestuale e metatestuale inteso a riflettere sul nuovo statuto dell’eroe all’interno di un contesto mitico rinnovato. La loro presenza, numericamente massiccia e significativamente orientata a costruirsi quale nucleo costitutivo di una dimensione dialogica essenzialmente agonistica, si pone quale chiave interpretativa rilevante in funzione della disamina del processo di ridimensionamento della centralità del personaggio mitico nell’ambito delle riscritture dei miti antichi durante gli anni tra le due guerre.

La pièce, come è noto, è rivelatrice dell’azione straniante di un universo dialogico al femminile che avvia il meccanismo ipertestuale tra un primo schema narrativo, quello implicito alla tradizione e una situazione drammatica nuova, che prevede la possibilità di un epilogo inedito: la scommessa tra Andromaca e Cassandra – che la guerra abbia luogo oppure no – si configura quale sfida al nucleo costitutivo del mito, notoriamente fondato sull’inevitabilità del conflitto.

La situazione d’enunciazione con cui si apre l’opera appare paradossale rispetto allo svolgimento della materia mitica, favorendo l’ipotesi di una rivisitazione del palinsesto in chiave di enigma posto allo spettatore da quel «Je te tiens un pari» 3 pronunciato da Cassandra nel suo primo dialogo con Andromaca. Analogamente, la situazione spazio-temporale presenta evidenti caratteristiche di scarto nei confronti di una tradizione di riscrittura che attribuisce la parola ai personaggi all’indomani della guerra di Troia. Così è in Eschilo, così è in Racine, ad esempio; diversamente avviene nella pièce di Giraudoux, in cui l’azione si svolge in una temporalità antecedente il conflitto, esplicitamente orientata a valutare ogni eventuale possibilità di evitare la tragedia e implicitamente volta a verificare la centralità di ruoli e personaggi in un contesto noncurante della storia. Che la guerra si faccia o no, non sembra basilare nell’economia dell’azione, pur nell’imprescindibilità del materiale mitico che conferma le proprie caratteristiche di perennità, derivazione e usura4 attraverso le potenzialità di una parola drammatica capace di realizzare il connubio perfetto di riscrittura e tradizione.

Come si comporterebbero i personaggi se il conflitto non scoppiasse? E quali potrebbero essere le premesse per una pacifica risoluzione delle tensioni tra greci e troiani? E’ alle donne che Giraudoux sembra affidare la risoluzione dell’enigma; allo spettatore, “ voyeur inquiet” 5, resta l’arduo compito di districarsi all’interno di una dinamica che sostituisce l’asse della tematica della guerra di Troia con quello di un conflitto dialogico e ideologico estraneo alle specificità del mito. Sempre a lui, la possibilità di credere ancora nelle funeste potenzialità profetiche di Cassandra, anello di congiunzione con i presupposti sottintesi o espliciti del mito, o nella voce trasgressiva di Andromaca, fattore di alterazione di equilibri supposti ed elemento diegetico di rivendicazione delle capacità di porosità del mito.

Nove presenze femminili6 e quattordici voci maschili7 animano il dibattito de La guerre de Troie n’aura pas lieu attorno alla necessità o all’evitabilità del conflitto, all’interno di una situazione di enunciazione che non prevede, se non nella sfera dell’implicito mitico, premesse imprescindibili. L’azione si svolge in una temporalità individuale e affettiva fatta di equilibri instabili, in cui tradizioni e archetipi si riconoscono nelle coordinate spaziali e nella presenza di personaggi gloriosamente noti alla letteratura e al mito ma non per questo destinati a condizionare minimamente lo svolgimento dell’azione. Sulla base di tali presupposti e nell’ottica della nostra lettura critica, non è tanto dirimente osservare le rinnovate premesse alla guerra di Troia secondo la chiave di lettura pacifista offertaci esplicitamente da Giraudoux; interessante risulta invece focalizzare l’attenzione sul dialogo intertestuale che il drammaturgo ha avviato tra un evento mitico già ampiamente narrativizzato e teatralizzato e la nuova realtà drammatica vissuta dai personaggi. Da tale osservazione, sembra possibile affermare che la storia, elemento fondante della tradizione antica, risulta svolgere ne La Guerre de Troie n’aura pas lieu il ruolo della “ grande esclusa” , poiché estranea ai parametri narrativi giralduciani e lasciata in balia di una sorte banalmente rivisitata nell’ottica di un gioco-scommessa condotto, principalmente, dai personaggi femminili.

Due posizioni diametralmente opposte dominano la pièce e ne conducono implicitamente l’azione: quella di Andromaca, che non crede nelle nefaste previsioni di Cassandra, e la parola della stessa Cassandra, che giustifica le proprie affermazioni in base alla presa di coscienza della vanità dell’uomo e del suo desiderio incondizionato di supremazia8. I limiti invalicabili della perennità del mito sembrano decisamente superati: l’inevitabilità dell’evento bellico è messa in discussione attraverso le armi dello scontro dialettico, parallelamente all’impoverimento delle capacità di divinazione di Cassandra, che paradossalmente sembra brillare più per doti di raziocinio che di vaticinio9. In tale contesto il ratto di Elena si configura quale presupposto diegetico imprescindibile a partire dal quale sottoporre il mito a metamorfosi strutturali e tematiche.  La sua rivisitazione, come il titolo della pièce suggerisce, si fa portavoce di un articolato sistema di rovesciamento di situazioni, valori e ruoli che, seppur a discapito della continuità del materiale mitico, ne conferma l’essenza prima di strumento di conoscenza e di interpretazione.

Decisamente ininfluente nel nuovo contesto, la guerra di Troia diventa allora l’elemento chiave di una rilettura empirica del mito: privo della condizione di necessità che la tradizione mitica gli ha attribuito, il motivo della guerra favorisce un’indagine attorno allo statuto dei personaggi intesi quali strumento di conoscenza indipendentemente dal loro patrimonio ancestrale. L’assenza di forti ingerenze mitiche, il fievole influsso di modelli comportamentali acquisiti o di strutture parentali e sociali codificate dal mito, favoriscono una feconda dinamica di scambi che oggettivizza il motivo della guerra ponendolo in una posizione funzionale rispetto all’azione e alle tensioni emotive dei personaggi.

In questo nuovo complesso di elementi, l’azione svolta dalle figure femminili risulta assolutamente efficace giacché foriera di un sovvertimento dei presupposti mitici di notevole portata innovativa. A partire dalle figure di Andromaca e Cassandra intente a scoraggiare ogni possibile tentativo, da parte dello spettatore, di ricondurre temi e personaggi ad una rassicurante matrice mitica ancestrale, le donne si annunciano detentrici di un potenziale valore eroico, che si individua essenzialmente nell’atto di ribellione contro i modelli imposti dall’universo mitico. Questa «expansion vitale»10 si riconosce  innanzi tutto nell’autorevolezza della loro voce che conferisce loro nobiltà di carattere e d’animo e che le autorizza ad assumere posizioni decisamente anticonformiste. Esse hanno uno spazio di parola quantitativamente analogo a quello maschile11 e assumono il ruolo dinamico di voci da ascoltare, seppur i loro interventi non siano equamente distribuiti nell’economia di una pièce che prevede un ampio spazio di parola al femminile nel primo atto e una minore presenza della loro voce nel secondo. Ad esse Giraudoux attribuisce una funzione di rottura e di violazione dei parametri mitici, collocandole all’interno di una dimensione dialogica intesa a riflettere sul perdurare o sull’alterarsi dei valori eroici in una situazione drammatica che non pone condizioni fattuali o ideologiche legate al mito.

La funzione primaria della presenza femminile sembra essere legata ad esigenze di verità: le donne «peuvent dire la vérité», come Ecuba sostiene12, dicono quello che pensano13, si impongono quale elemento di trasgressione di convenzioni e consuetudini. Giraudoux crea i presupposti per volgere gli equilibri dell’ordine mitico in un possibile modello di universo drammatico dove la guerra di Troia e i suoi protagonisti vengono messi a distanza attraverso la loro oggettivazione astratta: non è lo specifico evento bellico tra troiani e greci ad essere al centro del dibattito, bensì la guerra e la fatalità della stessa indipendentemente dal contesto. Analogamente, non sarà la figura dell’eroe epico sconfitto dalle leggi della necessità, bensì quella dell’uomo dinanzi a se stesso ad emergere dagli scambi dialettici tra i personaggi. Tale meccanismo sembra innescato dalla forza persuasiva di un universo al femminile che conserva lo statuto di «personnage de personnage»  secondo la definizione di Robert Abirached : «authentifiés par la croyance collective, ils [les personnages] ont une biographie, configuration psychologique, esquisse de particularité physiques, ce qui les soumet étroitement à un système de vraisemblance interne»14. Il riconoscimento da parte del pubblico di quella verosimiglianza intrinseca cui fa riferimento Abirached autorizza e tutela l’iniziativa di una riscrittura che, modificando linguaggi e comportamenti, attribuisce alle donne un ruolo eminentemente provocatorio; ne deriva una sorta di mimesi produttiva15 destinata a scuotere l’attitudine contemplativa dello spettatore dinanzi al mito in favore di uno studio dinamico della natura intrinseca dei personaggi.

Benché alquanto diverse tra loro, le donne della Guerre de Troie n’aura pas lieu condividono alcuni tratti comuni; primo fra tutti, il marcato atteggiamento di ostilità nei confronti della guerra, ad eccezione di Elena che non sembra prendere posizioni al riguardo per evidenti ragioni di centralità che la pongono per lo più in una sorta di spazio d’azione neutrale16. Andromaca, che anche nella versione di Giraudoux è l’archetipo della fedeltà incondizionata ad Ettore, innesca il primo movimento di rottura attraverso la nota presa di posizione riassunta nel titolo della pièce: l’affermazione «La guerre de Troie n’aura pas lieu», ripresa da Ettore e poi immediatamente smentita nell’ultima scena del secondo ed ultimo atto, costituisce l’anello di congiunzione di un meccanismo di scrittura che coinvolge tutte le presenze femminili attorno alla ricerca delle specificità di un sistema di valori basato sull’orgoglio e sulla vanità a detrimento della gloriosa nobiltà dell’eroismo. Ecuba sembra svolgere in quest’ottica un ruolo di notevole importanza: nella celebre scena sesta del primo atto, in cui cinque donne e cinque uomini si affrontano in un duello verbale incentrato sulle differenze che separano la sensibilità maschile da quella femminile, è proprio la moglie di Priamo ad aprire le ostilità attraverso la sua disincantata visione dell’eroismo maschile: se per Ecuba «faire la guerre pour une femme, c’est la façon d’aimer des impuissants»17, non diversamente afferma Andromaca, secondo la quale vile è colui che conquista il favore di una donna attraverso la guerra18.  La rivolta - giacché tale è definito da Priamo l’atteggiamento di ribellione assunto delle figure femminili19 -, include nei propri ingranaggi l’irriverenza della domestica, le fantasie della piccola e irrequieta Polissene20 e Cassandra stessa che, pur pronosticando la guerra, non la condivide né risparmia i propri strali contro i suoi sostenitori 21.

In quest’ottica, non diversamente dai parametri dello schema eroico, la presenza femminile sembra rappresentare una minaccia per la realizzazione dell’eroismo maschile. Non saranno tuttavia le tradizionali virtù seduttive dell’universo femminile a porsi quale ostacolo all’eroismo, bensì l’invulnerabilità di cui le donne si fanno testimoni attraverso l’epifania eroica della loro parola. Tale epifania si riscontra innanzi tutto nella capacità e nella scioltezza della loro dialettica, che è all’origine una dimensione dialogica basata sulla problematica dello scambio, sia esso verbale, sia esso di ruoli.

Foriero di feconde discussioni e accese controversie tra i personaggi, lo scambio verbale intreccia temi di carattere personale e sociale. L’intera opera si regge infatti su una sorta di dialogo polifonico attorno al motivo della guerra, registrando discrepanze e contrasti che per lo più scindono i personaggi in due opposte fazioni: l’universo maschile, inteso a perpetuare e perpetrare la tradizione di un eroismo basato sui valori del coraggio, della fisicità e della realizzazione di sé attraverso l’azione bellica, e quello femminile che rivendica autonomia e indipendenza, drammaticamente sdoppiato tra il ruolo che la tradizione gli impone e l’esigenza di uno slancio quasi romantico di impegno energico nel trattare grandi problemi e nel cercare di plasmare una realtà che si rivelerà ai loro occhi ipertrofica giacché la guerra, a dispetto di tutto e di tutti, «aura lieu».

La diversità delle due dimensioni esistenziali, quella maschile e quella femminile, trova un riscontro diretto nel registro linguistico utilizzato. Le discrepanze a livello di significanti del discorso consentono di intravedere nel vocabolario e nella sintassi dell’universo maschile un esempio di retorica intertestuale per lo più basata sulla ripresa di enunciati pregressi, evidentemente legati alla tradizione mitica quale garanzia di sopravvivenza dei valori dell’eroismo. «Mais savez-vous pourquoi vous êtes là, toutes si belles et si vaillantes? C’est parce que vos maris et vos pères et vos aïeux furent des guerriers »22, ribadisce Priamo dinanzi alla figlia Andromaca che invoca la pace. Sul valore dell’onore sembra basarsi il lungo dialogo tra i personaggi in consiglio di guerra e in attesa dello sbarco dei Greci: alla parola di Ettore, sostenitore della necessità di «effleurer la paix une minute, fut-ce de l’orteil» 23 si oppone la voce di un Demokos che, seppur estraneo al mito antico24, ribadisce «Notre honneur est en jeu»25. Ettore stesso, seppur favorevole alla pace, non cela il piacere tutto virile di spiegare ad Andromaca la sensazione di invulnerabilità provata dell’uomo in guerra: «Une tendresse vous envahit, vous submerge, la variété de la tendresse des batailles: on est tendre parce qu’on est impitoyables»26. Anche il celebre discours au morts pronunciato da Ettore contro la guerra, quale «recette la plus sordide et la plus hypocrite pour égaliser les humains»27, non esclude iperboli e massime generalizzanti, esempi di una retorica strettamente correlata ai valori fondamentali dell’eroismo e solidamente ancorata ad un altrettanto classico modello dello schema eroico, quello della supremazia dell’universo maschile su quello femminile. Seppur in chiave umoristica e fortemente ironica, Giraudoux non risparmia ai suoi personaggi battute intese a rimarcare la convenzionalità dei ruoli nel rituale della seduzione, come mostra l’esempio del dialogo tra Paride ed Ettore intento a convincere il fratello a restituire Elena ai Greci:

Hector : Comment l’as-tu enlevée? Consentement ou contrainte ?

Paris: Voyons, Hector ! Tu connais les femmes aussi bien que moi. Elles ne consentent qu’à la contrainte. Mais alors avec enthousiasme.

Hector : À cheval ? Et laissant sous ses fenêtres cet amas de crottin qui est la trace des séducteurs?28

Diversamente avviene nella sfera del discorso femminile, in cui il linguaggio, in generale più povero rispetto a quello dell’universo maschile, articolato sulla base di una sintassi essenziale, si fa eco di una retorica dell’immaginario molto ricca e soprattutto estranea alle convenzioni di una dimensione eroica decisamente anacronistica rispetto alla situazione di enunciazione in cui i personaggi si trovano ad agire. Riallacciandoci al motivo della seduzione cui sopra abbiamo accennato, alle donne spetta il compito di sottolinearne l’aspetto di desiderio istintivo ed animalesco a detrimento di quella forza virile fatta di fascino e prestigio al di là del bene e del male che Antonin Artaud ha felicemente identificato nell’ «amoralité essentielle» e «fabuleuse»29 degli antichi eroi. Così, la complicità degli occhi vogliosi dell’universo maschile si rivela quale filo rosso delle battute riferite alla bellezza di Elena: dinanzi a lei, Ettore non vede altro che «deux fesses charmantes»30; «Il voit ce que vous tous voyez»31, commenta Ecuba, sintetizzando una sensibilità largamente diffusa e condivisa da Priamo, Paride, dagli anziani di Troia che nell’urlare «Vive Vénus», «Vive la Beauté», «[…] ne crient que des phrases sans r, a cause de leur manque de dents…»32.

Ricche di fantasia immaginativa, le presenze femminili si distinguono tanto per la delicatezza del linguaggio fortemente evocativo, quanto per la ruvidezza delle ingiurie lapidarie che dispensano senza parsimonia alle figure maschili. Siano ad esempio i garbati scambi dialogici delle scene intimistiche dell’atto secondo, in particolare il dialogo tra Elena e Polissene e il confronto diretto di Elena e Andromaca circa l’ancora possibile trionfo della pace sulla guerra33; o ancora le delicate e quasi ingenue parole di Andromaca intenta ad evocare un bestiario composito quale espressione figurata di quello che per lei è l’unico e giustificato avversario dell’uomo: «Aussi longtemps qu’il y aura des loups, des éléphants, des onces, l’homme aura mieux que l’homme comme émule et comme adversaire»34.

Non scevro di un certo infantilismo e di una genuinità che fa da controcanto alle specificità di un universo maschile che trova consistenza in un eroismo più genetico che congenito, il linguaggio femminile appare tuttavia anche fortemente aggressivo. Dinanzi all’impossibilità di distogliere l’uomo dalla sua caparbia ostinazione nel voler perpetuare la memoria eroica attraverso l’azione bellica, la parola femminile non sembra trovare altra risorsa che l’impiego di un registro corrosivo e offensivo: idiota35, vile36, impotente37 è l’uomo che uccide per conquistare il favore di una donna; ipocrita, vanitoso e ottuso 38 è ancora l’uomo che raggiunge la vecchiaia e si compiace del suo giovanile vigore. La provocatorietà della parola si configura allora quale efficace strumento di demistificazione di valori eroici estranei a una situazione di enunciazione che non fa della guerra il fulcro centrale dell’azione. E’ quanto Ecuba suggerisce allorché, dinanzi a Priamo, pervicace sostenitore dell’impossibile separazione dell’uomo dal valore dell’eroismo, sottolinea che «L’homme en temps de guerre s’appelle le héros»39, rimarcando l’innegabilità di condizioni fattuali che escludono la necessità del ricorso a valori eroici che peraltro non sono consustanziali ai personaggi, per poi, di lì a poco, esprimere con vigore il proprio spregio per l’evento bellico, la cui somiglianza a «un cul de singe [...] rouge, tout squameux et glacé»40 non lascia dubbi né sulle sue convinzioni in merito, né sulla sua determinatezza.

Ne deriva un universo femminile che pare espressamente concepito per smascherare la dialettica realtà/illusione, vita/forma che anima l’esistenza delle presenze maschili, rivisitazione banalizzata e demistificata di illustri modelli eroici del passato. La ricerca di un’identità e di un’esistenza al di fuori delle convenzioni, basilare nello scambio dialettico, è altresì all’origine di un rovesciamento di ruoli che attribuisce alle donne vitalità, coraggio e caparbietà tradizionalmente attribuite alla sfera d’azione maschile.

In un contesto noncurante della storia, in cui la guerra di Troia può dunque essere sottratta all’egida del mito, vengono necessariamente a cessare i valori eroici ad essa correlati: la solidità del nucleo femminile si traduce in espressione concreta di appartenenza a un gruppo socialmente e ideologicamente definito per la forza interiore e la capacità di aggregazione che dimostra, sostituendosi alla tradizionale figura dell’eroe identificato come tale per coraggio, forza e vigore largamente riconosciuti; l’attitudine speculativa delle figure femminili, riconoscibile nella capacità di interrogare, riflettere, far riflettere e suscitare discussioni, sembra sopperire alla carenza di virtù pedagogiche intrinseche all’esemplarità del gesto eroico.

Le riflessioni sopra esposte ci inducono ad individuare nella rivisitazione della guerra di Troia di Giraudoux una tipologia antitetica di personaggi che intrattengono un rapporto di incontro-scontro con le modalità del modello eroico: agli uomini che sembrano non voler uscire dallo schema delle loro incarnazioni si contrappone il soggettivismo di donne dalla personalità poliedrica e per nulla conforme alla tradizione mitica. Giraudoux delinea attraverso le figure femminili una sorta di campione di esemplarità, fatto di responsabilità individuale e al contempo collettiva. In esse regna un’idea di giustizia che si fonda sulle relazioni sociali e sui modi di essere dell’individuo, contrariamente a quel conformismo di costumi e di principi che si cela dietro all’apparente intransigenza di coloro che si dichiarano favorevoli alla guerra. L’immagine virile, solida e audace dell’individuo energico e dominatore si sfuma in una proiezione di valori e meriti condivisa dai personaggi maschili, confermando quella specificità del mito che Marcel Detienne ha definito come «tradition aurale» :

[...] les récits connus de tous sont fondés sur l’écoute partagée; ils ne retiennent, ils ne peuvent retenir que des pensées essentielles, ironiques ou graves, mais toujours façonnées par l’attention prolongée d’un groupe humain, rendu homogène et comme présent à soi-même par la mémoire de générations confondues41

L’azione eminentemente provocatoria della parola al femminile sembra la più adeguata per sottolineare la capacità del mito di configurarsi come intertesto. Lo smascheramento di quella dialettica realtà/illusione, vita/forma cui poco sopra abbiamo accennato sembra infatti mettere in rilievo la caratteristiche di un universo maschile inaridito e sterile nel nuovo contesto novecentesco, pur tuttavia imbevuto di valori e convinzioni appartenenti ad un immaginario ancestrale, ad una memoria culturale che riduce l’identità del mito ad un sintagma minimale: non è la guerra di Troia il fulcro d’interesse dell’opera, bensì la riflessione sui valori dell’eroismo all’interno di una nuova realtà drammatica.

Pur tuttavia, nell’universo de La Guerre de Troie n’aura pas lieu, così marcatamente orientato a sottolineare le differenze, così sapientemente bilanciato sull’equilibrio tra la veridicità degli enunciati e la fondamentale menzogna della situazione d’enunciazione, l’ironia tragica sembra prevalere quale fine principale del sottile gioco di conflitti e scommesse che sorreggono l’intera azione. Un comune denominatore riporta infatti il mito alla sua connaturata stabilità: la constatazione dell’irreversibilità delle convenzioni, siano esse sociali, siano esse legate alla tradizione mitica. Benché l’opera si faccia portavoce di un messaggio pacifista declinato secondo le modalità della parola al femminile, sarà l’atto sconsiderato delle presenze maschili a condurre irrimediabilmente allo scoppio del conflitto. Nel tentativo di portare alla luce la verità celata dietro l’apparenza di personaggi eroici soltanto per lignaggio e per la retorica intertestuale della loro parola, le donne pongono il mito sotto l’egida dell’enigma, della dissonanza, della retorica di uno scambio verbale paralizzato in se stesso. Giraudoux, non senza ironia, sembra così attribuire la vittoria della scommessa alla storia, a quella «grande esclusa»  sin dal principio dell’opera che ritorna confermando le sue caratteristiche di perennità. Né la soggettività e il vissuto rappresentati dalle figure femminili, né la convenzionalità e la dimensione di illusione in cui si dibattono i personaggi maschili possono arrestare il decorso degli eventi. La Nemesis prevale sugli avvenimenti, lasciando lo spettatore in balia di una fatalità rivisitata che decreta la natura illusoria dell’agire umano. La pace, afferma Giraudoux nell’Amphitryon 3842, «[…] est un intervalle entre deux guerres»; e tale si configura anche ne La Guerre de Troie n’aura pas  lieu, raffigurata quale pallida e invisibile interruzione tra due atti...


Franca Bruera, «L’epifania eroica della parola al femminile ne La Guerre de Troie n’aura pas lieu di Jean Giraudoux», in Femmes de paroles, paroles de femmes. Hommage à Giorgio De Piaggi, Publif@rum, 3, 2006 , URL : http://www.publifarum.farum.it/n/03/bruera.php

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1 M. Raymond, Sur trois pièces de Jean Giraudoux, Parigi, Nizet, 1982. 
2 L’opera, rappresentata da Louis Jouvet al théâtre de l’Athénée il 22 novembre 1935, fu pubblicata a Parigi nel dicembre 1936 su “La Petite Illustration”, “La Revue de Paris” e, in volume, presso l’editore Grasset.  Per il presente lavoro rinviamo all’edizione J. Giraudoux, La Guerre de Troie n’aura pas lieu, in Théâtre complet, Parigi, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, 1982, pp. 481-551. La pièce sarà d’ora innanzi indicata con la sigla GT seguita dal riferimento all’atto, alla scena e al numero di pagina.
3 GT, atto I, scena 1, p. 483.
4 G. Durand, Problèmes du mythe et de son interprétation, Parigi, Les Belles Lettres, 1978; ripreso in Champs de l’imaginaire, textes réunis par D. Chauvin, Grenoble, ELLUG, 1996.
5 A. Ubersfeld, Lire le Théatre III. Le dialogue de théatre, Parigi, Belin, 1996, p. 61.
6 Oltre ad Andromaca, Cassandra, Elena, Ecuba, e Polinice, tra le presenze femminili contempliamo la Pace, Iris, le domestiche e le donne troiane.
7 Nell’universo maschile si riscontrano le figure di Ettore, Ulisse, Demokos, Priamo, Paride, Oiace, il Gabbiere, il Geometra, Busiris, Abnéos, Troilo, Olpidès, gli anziani e i messaggeri.
8 «[…] le monde et la direction du monde appartiennent aux hommes en général, et aux Troyens ou Troyennes en particulier… », afferma Cassandra nel corso del suo primo dialogo con Andromaca. GT, atto I, scena 1, p. 484.
9 Conformemente alla tradizione mitica, nessuno tra i personaggi della pièce crede alle sue parole. La forte componente umoristica delle parole di Cassandra è all’origine di un rovesciamento delle specificità della sua figura che, pur conservando le capacità profetiche, si arricchisce di valori suppletivi quali il cinismo e la concretezza che trasformano spesso le mitiche capacità divinatorie in banale perspicacia “femminile”. Così la sua lungimiranza si risolve in interventi dal tono mordace e canzonatorio, siano d’esempio le parole indirizzate agli anziani della città affascinati dalla bellezza di Elena nella scena quarta dell’atto primo, o ancora le sue nefaste previsioni sulla guerra esplicitate nella scena sesta dell’atto primo nella battuta «Pauvres portes [de Troie]!. Il faut plus d’huile pour les fermer que pour les ouvrir». GT, atto I, scena 6, p. 503.
10 V. Morin, Héros et Idoles, Encyclopaedia Universalis, Parigi, Encyclopaedia Universalis, 1984, tomo 9, pp. 372-376.
11 Sempre presenti attivamente nel corso del primo atto, sono presenti nel ruolo di ascoltatrici nell’ottava, nona e tredicesima scena del secondo atto.
12 GT, atto I,  scena 6, p. 499.
13 Ci riferiamo alla voce della domestica, che commenta, verifica e conferma nella sua funzione fatica la continuità del contatto tra gli interlocutori con i suoi ripetuti mugugni. Siano ad esempio lo scambio dialogico tra Demokos et la domestica: La Servante: «Oh! là! là!» – Demokos: «Que racontes-tu, toi?» – La Servante «Je dis: Oh! là! là! Je dis ce que je pense». GT, atto I, scena 6, p. 500.
14 R. Abirached,  La crise du personnage dans le théâtre moderne, Parigi, Gallimard, 1994, p. 43.
15 Ibid., p. 280.
16 Insieme ad Elena, incapace di prendere posizioni giacché, nella versione giralduciana, bella e sciocca, al di sopra delle parti va altresì riconosciuta la figura di Iris, messaggera degli dei e portatrice della loro parola (cfr. GT, atto II, scena 12, pp. 542-543.  
17 GT, atto I, scena 6, p. 498.
18 « Où est la pire lâcheté ? Paraître lâche vis-à-vis des autres et assurer la paix ? Ou être lâche vis-à-vis de soi-même et provoquer la guerre » GT, atto I, scena 6, p.502.
19 « Chères filles, votre révolte même prouve que nous avons raison. Est-il une plus grande générosité que celle qui vous pousse à vous battre en ce moment pour la paix, la paix qui vous donnera des maris veules, inoccupés, fuyants, quand la guerre vous fera d’eux des hommes ! … », GT, atto I, scena 6, p. 501.
20 Polissene è la voce dell’innocenza che rimarca la funzione prevalentemente provocatoria delle figure femminili. L’illogicità apparente dei suoi interventi dal tono talvolta macabro e quasi surreale («Elle casse ses jouets. Elle leur plonge la tête dans l’eau bouillante»GT, atto I, scena 6, p. 500) sottolinea efficacemente il ruolo determinante delle presenze femminili che con le armi del contrasto verbale creano una frattura tra l’universo maschile e quello femminile.
21 La posizione di Cassandra è chiaramente esplicitata nelle prime battute del dialogo con Andromaca : «Andromaque : Cela ne te fatigue pas de ne voir et de ne prévoir que l’effroyable ? – Cassandre : Je ne vois rien, Andromaque. Je ne prévois rien. Je tiens seulement compte de deux betises, celle des hommes et celle des éléments » GT, atto I, scena 1, pp. 483-484.
22 GT, atto I, scena 6, p. 501.
23 GT, atto II, scena 5, p. 520.
24 Demokos, personaggio secondario creato da Giraudoux, è la caricatura del poeta nazionalista.
25 GT, atto II, scena 5, p. 521.
26 GT, atto I, scena 3, p. 487.
27 GT, atto II, scena 5, p. 525.
28 GT, atto I, scena 4, p. 491.
29 A. Artaud, Oeuvres complètes, Parigi, Gallimard, 1964, tomo V, pp. 48-49.
30 GT, atto I, scena 6, p. 496.
31 Ibid.
32 GT, atto I, scena 5, p. 494.
33 Cfr. GT, atto II,  scene 6 e 8.
34 GT, atto I, scena 6, p. 501.
35 GT, atto I, scena 6, p. 497.
36 GT, atto I, scena 6, p. 498.
37 Ibid.
38 GT, atto I, scena 6, p. 500.
39 GT, atto I, scena 6, p. 501.
40 GT, atto II, scena 5, p. 527.
41 M. Detienne, L’Invention de la mythologie, Parigi, Gallimard, 1998, p. 84.
42 J. Giraudoux, Amphitryon 38, in Théâtre complet, cit., atto I, scena 2, p. 120.