Ida Merello – Università di Genova

Una «revenante» della storia letteraria: Marie-Claire Blanchard

Rimasta a lungo emarginata dalla storia letteraria, Marie Claire Blanchard sarebbe restata probabilmente esclusa per sempre dal panorama di fine Ottocento se non fosse per il ritrovamento di alcuni componimenti poetici e di una serie di racconti brevi, pubblicati sull’«Iris rouge», una delle tante rivista esoteriche che, meno fortunate dell’«Initiation», hanno avuto vita più effimera, contentandosi di alcune uscite irregolari e di un esaurimento più rapido. L’«Iris rouge» appare infatti come rivista trimestrale a partire dal giugno 1887 e risulta attiva fino al 1889. Già dal titolo si colloca in una zona ricettiva dei temi alla moda senza legarsi peraltro a un ambiente particolare L’Iris, ricordiamolo, era il fiore della dea Astarté1, figura centrale della rappresentazione simbolista e decadente. Tuttavia non è da escludersi un rapporto con l’Isis, la branca francese della Società teosofica, costituitasi nello stesso mese (anche se mancano legami espliciti), in corrispondenza con un’analoga pubblicazione inglese, «Lucifer», espressione della loggia Blavatsky di Londra.

Nel secondo numero (settembre 1887) la Blanchard pubblica un racconto breve, dedicato a Jean Rameau, e intitolato Serait-il un rêve?. Jean Rameau aveva appena pubblicato, per Ollendorff, un volume dal titolo Fantasmagories. Histoires rapides, composto da una serie di racconti bizzarri concepiti quasi per un uso teatrale, come una serie di monologhi. L’uso del monologo stava del resto affermandosi sempre più in quegli anni: gli stessi in cui Charcot, con le sue lezioni e l’esibizione delle pazienti isteriche, suggeriva agli scrittori di porre l’accento sulla visione interiore del folle. Maupassant aveva già dato alle stampe i due Horla, costruiti appunto come i monologhi o i diari di un pazzo; mentre di lì a poco, nel 1888, un anonimo recensore del «Mercure de France» avrebbe coniato il termine di littérature pathologique individuando la nascita su queste premesse di un nuovo genere letterario, illustrato poco dopo da Léo Trezenik (pseudonimo di D’Epinette).

Jean Rameau e la Blanchard appaiono tuttavia ben lontani da un approccio naturalistico, e neppure utilizzano, come farà ancora qualche anno dopo sul «Mercure de France» Gaston Danville (pseudonimo di Armand Blocq), un tipo di scrittura simbolista da poème en prose per registrare gli effetti di patologie mentali rappresentate in base a conoscenze mediche2. La collocazione esoterica dei racconti della Blanchard suggerisce del resto già l’adesione dell’autrice a una visione spiritualista.

Serait-il un rêve? è un racconto, costruito in prima persona, e fondato sull’accostamento brusco tra una prima parte, in cui la narratrice interroga le proprie sensazioni e il proprio stato d’animo, e una seconda, in cui supera francamente la soglia della visionarietà. Il tono accorato del testo lascia supporre una coincidenza di stato d’animo tra l’autrice e la narratrice, facendo intravedere una possibilità autobiografica. Vediamo dunque l’incipit più da vicino:

Je suis en train de vivre une vie si spéculaire à l’au-delà que je ne sais même plus si je suis vivante ou si je suis morte, ici, maintenant. Chacun de mes gestes est une allusion à un temps de mon existence qui a disparu, mais qui revient en moi, puisque toutes mes actions reprennent des habitudes, sans même qu’autour de moi un brin d’herbe ne soit changé depuis lors. Et tout rappelle mon amour, l’incite à revenir dans cette maison qui est comme celle du comte d’Athol. Combien de fois ai-je déjà éprouvé cette sensation de non-appartenance à la vie, quand je me détache si complètement du présent, pour me réfugier dans une suite de gestes sans époque, comme des crochets projetés dans le passé, vers mon chéri, qui pourrait bien reconnaître mes actions usuelles! Mon passé devient alors mon avenir, et dans ces arbres et dans ces fruits j’aperçois mon tombeau, quand moi-même je ne serai plus et que la nature, elle, sera la même3.

È evidente qui un’allusione a uno stato di vedovanza, rinforzato dal richiamo al personaggio del comte d’Athol, che è il protagonista di Véra di Villiers de l’Isle-Adam, uscito nel 1874. Poco dopo, però, il racconto cambia. La narratrice sembra riprendersi e costringersi a una di quelle «azioni abituali» che le servono per lenire il dolore della scomparsa dell’amato. Si tratta di un’azione del tutto anodina, una breve passeggiata nei prossimità della casa. I luoghi non sono precisati, troviamo solo l’indicazione «rue du Moulin» che fa pensare comunque a un luogo di campagna.

Rue du Moulin me paraît plus longue que d’habitude, peut-être à cause de la chaleur du midi. Le soleil m’aveugle dans la poussière blanche. Je monte doucement, car je sens tout le poids de mon corps qui force mon cœur fatigué. Tout à coup, derrière moi, j’entends la voix d’un homme qui me donne le bonjour. Je suis bien étonnée, car depuis longtemps, à cause peut-être de mes horaires, je ne rencontre plus personne, si ce n’est des silhouettes dans le lointain, et toujours bien plus pressées que moi. Je me tourne donc vers la voix et je reconnais M.Pintard : «Bonjour madame !» Il ôte son chapeau, et me dépasse très vite : je reconnais son allure habituelle. Je réponds mécaniquement sans rien comprendre4.

Quest’indicazione « sans rien comprendre » a proposito di un semplice saluto, definisce il momento dello scatto del testo in direzione fantastica. Infatti, poco dopo troviamo la delucidazione della situazione :

Après lui, j’aperçois une autre personne, habillée en noir, qui s’appuie sur sa canne et me sourit de loin. C’est M. Bersault. Il sera mort au moins depuis trois ans, pensé-je, tandis que les obsèques de M.Pintard ne remontent qu’à vendredi. Que se passe-t-il 5?

Il racconto prosegue su di un tono sempre più allucinato : la protagonista comincia a scorgere intorno a sé un’autentica folla di persone morte da poco o tanto tempo, di cui ricorda esattamente l’occasione del decesso, e viene presa dal panico. Inizia a interrogare quelli vicini a lei

d’un ton assuré pour ne pas montrer ma panique : -Je dois en déduire que moi aussi je suis morte?

-Mais bien sûr ! vous ne vous êtes pas même aperçue ! Oh la chance que vous avez eue ! Vous gravissiez juste rue du Moulin. Un coup de soleil, la chaleur peut-être…6

Sopraffatta dall’angoscia dell’improvvisa presa di coscienza della propria morte, la narratrice moltiplica le domande, che corrispondono sostanzialmente al «chi sono? da dove vengo? dove vado?» del celebre quadro di Gauguin:

 -Qu’est-ce que je ferai, quand j’aurai terminé cette rue?

-Ce que vous voudrez.

-Je ne comprends pas.

-Cette rue n’est que votre image mentale. Elle s’arrête quand vous voulez, change quand vous voulez…

-Et vous?

-Moi aussi, comme tous les autres, d’ailleurs, nous ne sommes que des images: vous nous avez appelés. Vous étiez peut-être fatiguée de votre solitude.

-Et mon mari ?

-Il n’est pas parmi nous….7

Il colpo di scena risulta improvviso: in questo momento ci rendiamo conto del rovesciamento di prospettiva: a essere morta è la protagonista, dunque, non il marito.

La riflessione sulle immagini mentali dimostra una buona attenzione alla filosofia del momento, in quanto, dopo la volgarizzazione del pensiero di Schopenhauer ad opera di Théodule Ribot nel 1874 e ancor più dopo la traduzione integrale dell’opera avvenuta nel 1884, anche filosofi francesi si erano avventurati sulle sue tracce, radicalizzandone l’idealismo, e fornendo spunti suggestivi a uno sfruttamento spiritualista e letterario della questione. Il seguito del racconto ha invece forse meno interesse narrativo, in quanto appare totalmente dominato dall’angoscia di un’instabilità spazio-temporale post mortem:

Je crois devenir folle. Pourquoi devrais-je continuer à marcher dans cette chaleur étouffante? Pourtant, où serais-je sans l’image de cette rue dans le soleil? Je devrais peut-être m’arrêter dans cette rue, qui quand même me rassure, par sa réalité et par sa familiarité. Que trouverai-je, au fond, dès que je l’aurai terminée ? Cette rue est bien un fragment de réalité, que j’ai recomposée pour mon plaisir. Voilà de la chaleur, des couleurs, tout ce qui me réconforte. Et ensuite ?

Je tourne mon regard en arrière : je ne vois plus rien. Je regarde en avant, et la rue n’existe plus. Il n’y a rien, pas même cette chaleur qui, en m’étouffant, me donnait l’impression d’exister. Je suis morte8.

L’ossessione della condizione del «neo-defunto» era comune a tutto l’ambiente esoterico. Saint-Yves d’Alveydre, ripreso da Péladan, nella sua Introduction aux sciences occultes, descrive l’anima del disincarnato in preda ai più atroci tormenti, perché, dopo la perdita degli organi sensoriali, risulta nell’impossibilità di percepire alcunché se non «le vertige de la terreur9»

La Blanchard prosegue tuttavia con una certa originalità, nel momento in cui mostra la protagonista nel tentativo di organizzare delle strategie di difesa contro l’orrore del vuoto che la circonda. In un primo tempo la cosa più ragionevole appare il rifiuto di qualsiasi tipo di immagine mentale, per una lucida accettazione della propria non esistenza : ma la coscienza continua ad arrovellarsi e a porsi una serie di interrogativi senza risposta :

L’important serait donc de refuser les images. Ne pas se créer un espace imaginaire, pour voir les choses telles qu’elles sont. Mais est-ce qu’il existe encore des choses pour moi ? Mieux : est-ce que j’ai les moyens pour les saisir ? Ne serais-je peut-être enfermée dans l’instant de la mort, c’est-à-dire que ce rêve ne serait peut-être que le fruit des derniers instants de vie de mon esprit ?10

A questo punto la narratrice sceglie con decisione la seconda via, quella della volontaria costruzione di un sogno, in grado di organizzare uno spazio consolatorio. Comincia col ridefinire il proprio corpo, lentamente, suscitandosi tutta una serie di sensazioni (peso delle braccia, fatica delle gambe, calore, respirazione). Poi dilata l’immagine ad altro da sé, creandosi uno spazio paradisiaco : una spiaggia oceanica ombreggiata da palme, fatta di luce, calore, profumo. Si rappresenta persino l’immagine di un uomo, col quale vive sulla spiaggia e fa l’amore, con scene di singolare audacia.

Ma il racconto non termina con questa conclusione, per quanto beffardamente consolatoria. Anzi, il finale è forse uno dei più cupi che siano presenti nella tradizione fantastica ottocentesca :

Soudain, pourtant le vide me submerge parfois, et alors c’est la rage, la folie, le désespoir. Je m’anéantis dans des océans de formes, je fuis dans des tunnels de lumière, je déchire mon âme en criant et en courant dans des espaces qui n’existent pas… sans repos. Et alors je pense que j’étais peut-être condamnée à l’Enfer...11

Se il volo finale ricorda qualche lettura di Nodier, da Stella ou les proscrits a Smarra, in cui i personaggi affrontano analoghi voli cosmici in uno spazio tuttavia fisico, e abbandonandosi comunque a un piacere visionario, qui a dominare è l’angoscia del vuoto, in una spiritualità senza Dio abbastanza singolare.

Anche il secondo racconto della scrittrice, pubblicato nell’ottobre 1888, risulta concentrato sulla medesima costante tematica. Il titolo, La revenante, non lascia del resto dubbi sull’argomento, anzi, forse ha per questo un effetto negativo, in quanto contrasta la possibile suspense iniziale, suggerendo al lettore la chiave di decifrazione del personaggio.

La vicenda è ambientata nella campagna dei dintorni di Parigi, in una villa signorile. È sera, e la servitù, due bambini e un marito attendono con impazienza l’arrivo della signora, che si è recata in città da sola ma che già da un pezzo sarebbe dovuta tornare. Finalmente la donna arriva, e risponde con un sorriso alle domande inquiete del marito:

-Excusez-moi, mon ami, j’ai eu un contretemps.

-Lequel ? dit-il. Il avait pleine confiance en sa femme, mais il ne comprenait ni son insouciance de ce soir, ni son manque d’explications pour un retard de plus de trois heures.

-En fait, voyez, ça a été à cause du train.

-Il a eu une panne ?

-Non.- Elle parlait très lentement , comme avec effort : -Je crois que quelqu’un s’était mis de travers sur les rails.

-Mon Dieu ! Une affaire de sang, donc ! Est-ce qu’il est mort , celui-là? Sa femme le regarda surprise, d’un air bizarre, comme si elle n’arrivait pas à comprendre la question : -Mort ?

-Mais oui, donc ! Tu n’as pas été inquiète pour lui ?

Elle replia la tête sur son menton, comme en train de réfléchir, puis répondit : -Non. Il n’y a eu que du retard12.

Il resoconto di questo suicidio, o tentato suicidio, introduce nel racconto un principio di autentico disagio: da un lato insinua l’ombra lunga della morte nella pace della riunione familiare; dall’altro fa risaltare in maniera decisiva un’inadeguatezza nel comportamento della donna, che mantiene un atteggiamento troppo noncurante, mostrando un’incredibile mancanza di attenzione per un evento che invece aveva inciso pesantemente sulla sua giornata e che avrebbe dovuto coinvolgerla emotivamente. La famiglia comunque si mette finalmente a tavola, ma l’autrice continua a disseminare indizi inquietanti, sottolineando particolari che acquisiscono così la funzione di segnali. La donna infatti sparisce continuamente e si giustifica «vous savez, je dois bien contrôler le cuisson des viandes : Jeanne est tellement écervelée !». Il marito si accorge così alla fine della cena che la moglie sembra non aver mangiato quasi nulla :

-Mais tu n’as rien mangé, finalement !

-En fait, mon chéri, je n’ai pas faim.

-Qu’est-ce que tu as, donc ?

Elle demeura silencieuse un instant, puis répondit : -c’est que...tu sais…cet après-midi… j’en suis encore toute bouleversée…13

La reazione naturale –l’emozione di fronte a un evento drammatico, pur conclusosi forse felicemente- si trasforma così in una scusa evidente per mascherare un comportamento anomalo : le frequenti assenze dalla tavola.

Finalmente la sera volge al termine e i coniugi si apprestano ad andare a letto. Il marito spia la moglie, per verificare se sia veramente addormentata : tale comportamento disorienta il lettore, che non ne capisce le ragioni : che cosa ha visto nella donna che il lettore non ha scorto ? Perché tale preoccupazione ?

Il feignait de dormir, mais au contraire il était aux aguets : il épiait le moment où la respiration serait plus lente, plus profonde. Raide sous les draps, il sentait croître en lui la tension : sa femme continuait de rester silencieuse, immobile, mais on n’entendait pas le bruit du sommeil14.

A questo punto forse si capisce perché l’autrice abbia scelto il titolo La revenante, che fornisce subito al lettore indicazioni inequivocabili per la comprensione della natura della protagonista : in questo momento della narrazione, il lettore ne sa di più del marito : ascrive quindi le intermittenze della presenza della moglie al suo essere fantasmatico, immagina che sia questa la ragione per cui non consuma il pasto e si convince che il marito di lei stia subodorando qualcosa. Il fatto poi che lei non emetta i « rumori del sonno » sembra un indizio così evidente della sua mancanza di vita da far sembrare invitabile che il marito giunga alla stessa convinzione e sia teso per questo. Invece la conclusione è ben diversa :

Finalement, comme elle ne bougeait pas, il se convainquit qu’elle dormait. Il voulut se convaincre, d’ailleurs, car surtout il ne pouvait plus, désormais, contrôler son désir. Il se leva, silencieux, et glissa hors du lit15.

L’uomo esce nel corridoio e percorre i pochi metri che lo separano dalla camera della più giovane delle domestiche : lei lo sta aspettando, gli apre la porta e lo abbraccia :

Son désir était si impérieux qu’il ne pouvait plus accepter aucun délai. Il avait déjà trop attendu. Presque rageusement il l’emmena sur le lit, découvrit ses seins, souleva sa chemise, la pénétra. La chemise était remontée sur le visage d’Anne-Marie, qui remuait sous les coups précipités de l’homme. Il ne la regardait même pas, tant qu’il eut fini. Ce ne fut qu’après qu’il eut envie de la voir. Il rit, prit de la main droite le bord de la chemise pour découvrit son visage. Ce qu’il vit le rendit muet d’horreur16.

Al posto del volto della domestica, quello che spuntava dalla camicia era il viso della moglie : ma non intatto, come l’aveva visto fino a pochi minuti prima, bensì devastato, con la testa fracassata, come di qualcuno che avesse avuto un incidente mortale. Il racconto si conclude su questa agnizione, lasciando al lettore di trarre le sue conclusioni :

Et, de ce visage couvert de sang, horriblement mort, le regard le poursuivait de deux yeux verts, brillants, vivants, qui l’accusaient, impitoyablement, à jamais17.

Oltre a questi due racconti fantastici, «L’Iris» ospita anche un pugno di poesie della Blanchard : sicuramente non varrebbe la pena di ricordarla in sede critica per i suoi versi, che sembrano il prodotto di uno scolastico esercizio di versificazione, se non fosse per i soggetti che non risultano banali. L’uso della prima persona è costante, ma con riferimenti che tendono sempre a esulare dal dato biografico. Del marzo 1889 18 è la poesia L’Ange du midi, in cui l’autrice riprende la tematica dell’angelo meridiano

J’étais là-haut sur la colline

Je regardais le soleil noir

J’étais tout près de l’heure divine

Où tout devient un ostensoir

Tout est immobile dans la chaleur

Tandis que l’air vibre dans l’éclat

Et le malheur est le bonheur

Dans cet instant brillant et mat

Su questa serie di ottonari fortemente ritmati (dove l’e muta non conta nella scansione sillabica: unica concessione alla libertà metrica), con alternanza di rime maschili e femminili e forte cesura a metà del verso, la Blanchard introduce un soggetto ben lontano da espansioni sentimentali o autobiografiche. Mentre la prima strofa insiste sulla prima persona singolare (J’étais, je regardais, j’étais), la seconda mette al centro della rappresentazione Tout, e proprio questo passaggio dall’io al tutto segnala la condizione di straniamento e di fusione olistica, non solo a livello naturale, ma anche metafisico («et le bonheur est le malheur») che è suggerita dalle immagini. La figura del demone meridiano costituisce infatti « “il cuore immobile della verità ben rotonda” di Parmenide , rappresenta, fin dall’epoca medievale, il simbolo dell’acedia, il taedium vitae che insorge, attraverso un particolare torpore, nell’ora del mezzogiorno, quando la calura solleva una nebbiolina dalla terra riarsa e il tempo sembra quasi fermarsi nel sole a picco»19. Il tema era già stato caro a Baudelaire, che ne aveva dato una sua personale interpretazione, e Van Gogh, proprio in quegli anni, nel cosiddetto periodo di Saint-Rémy, rappresentava il vortice meridiano come forma di annullamento cosmico dell’uomo nella natura. Più tardi, nel 1914, Paul Bourget ne farà il titolo di una sua opera.

La poesia è in questa sede interessante perché si può mettere in relazione col primo dei suoi racconti, Serait-il un rêve?, dove la protagonista rappresenta la condizione di post mortem appunto come un’impressione meridiana: « Le soleil m’aveugle dans la poussière blanche20». E’ raro che un corpus di opere così ristretto permetta di intravedere delle costanti tematiche così forti: è auspicabile che possano ritrovarsi altri testi, magari su altre riviste, che permettano di far meglio luce su di un’autrice che mostra anche attenzione all’immaginario dell’epoca, rivelandosi ben partecipe del dibattito culturale e letterario del momento. Bisogna augurarsi che almeno il nome non costituisca uno pseudonimo, oppure, in questo caso, che l’autrice lo conservi per tutte le sue pubblicazioni; altrimenti, nonostante l’impegno della ricerca, il suo ritratto continuerà a rimanere evanescente.


Pour citer cet article :

Ida Merello, « Una «revenante» della storia letteraria: Marie-Claire Blanchard», in Femmes de paroles, paroles de femmes. Hommage à Giorgio De Piaggi, Publif@rum, 3, 2006 , URL : http://www.publifarum.farum.it/n/03/merello.php

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1 Astarte appartiene alla mitologia dell’antico popolo degli hurriti, poi dei fenici (Astarot). Presso gli Assiro-babilonesi si chiama Ishtar. Inizialmente il suo sesso è ambiguo ed è contemporaneamente dea della guerra e dell’amore. A lei è dedicato un rituale ierogamico che vuole che essa uccida lo sposo Tammuz subito dopo le nozze, se vuole assicurare la propria vita.
2 I Contes d’au-delà di Gaston Danville escono sul “Mercure de France” tra il 1891 e il 1893.
3 «Iris rouge», sept. 1887, pp.37-51, p.42.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Ivi, p.43.
7 Ibidem.
8 Ivi, p.45.
9 Péladan, Introduction aux sciences occultes, chap.I: La doctrine occulte.
10 «Iris rouge», sept. 1887, pp.37-51, p. 46.
11 Ibidem, p.51.
12 «Iris rouge», oct.1888, pp.24-41, p.27.
13 Ivi, p.30.
14 Ivi, p.39.
15 Ibidem.
16 Ivi, p.40.
17 Ivi, p.41.
18 «Iris rouge», mars 1889, pp.21-22.
19 Cfr.G.Agamben, Il demone meridiano, in Stanze, Torino, Einaudi, 1977, pp..5-14.
20 Serait-il un rêve?, cit., p. 42.