Franco Asole – Università di Cagliari

Alexandra David-Neel

La «femme aux semelles de vent » e la scrittura

Scomparsa nel 1969, Alexandra David-Neel continua ad attirare l’attenzione di un pubblico eterogeneo, che trova in questa straordinaria figura di donna suggestioni di varia natura. Famosa, soprattutto, per i suoi avventurosi viaggi in Oriente, specialmente in Tibet, è divenuta un esempio e un riferimento essenziale per gli amanti dell’avventura, dell’esotico, per quanti sono attirati dal fascino delle culture orientali e dei loro “segreti”. Divenne celebre dopo che, nel 1924, riuscì a raggiungere Lassa, mitica capitale di un paese chiuso, allora, agli stranieri, dopo un viaggio di otto mesi, percorrendo, a piedi, travestita da pellegrina mendicante, il Tibet, dal confine con la Cina, attraversando regioni in cui nessun occidentale era mai giunto prima. Quella impresa non fu la sola compiuta durante il suo secondo soggiorno in Asia, iniziato nel 1911 e durato quattordici anni, durante i quali visse esperienze straordinarie, che le permisero di far conoscere aspetti fondamentali delle culture di paesi ancora poco noti, come il Tibet. Esercita anche un forte richiamo su chi è interessato allo spirito religioso orientale, oggetto principale delle sue ricerche, dedicate, soprattutto, all’Induismo e, ancora di più, al Buddismo, che contribuì a divulgare in Occidente, specialmente nella sua forma tibetana1, che praticò per tutta la vita, a un livello tale da guadagnarsi il rispetto e l’ammirazione degli stessi religiosi lamaisti2. Fra i suoi estimatori non mancano i cultori, generalmente semplici curiosi, di discipline esoteriche e dottrine “iniziatiche”, in cerca di “segreti” e “misteri”da cui ricavare facili ricette per una “conoscenza superiore”.

È arduo sintetizzare qualità, attitudini, interessi e realizzazioni di Alexandra David-Neel, che vanno ben al di là di quanto appare al grande pubblico. Senza dubbio, a darle fama internazionale furono i suoi viaggi nel continente asiatico e le “esplorazioni” di aspetti poco conosciuti o completamente ignorati delle sue culture, a cominciare dalle credenze religiose3, che portò a conoscenza dell’Occidente in celebri opere, ma la sua avventura umana è molto più ricca e il suo percorso intellettuale ben più complesso di quello che traspare dai famosi récits de voyage. Prima della sua lunga avventura in Asia che, tra il 1911 e il 1946, percorse in tutte le direzioni, privilegiando l’India, la Cina e, soprattutto, il Tibet, Alexandra aveva già vissuto esperienze poco usuali per le donne di quel periodo.

Nata a Parigi nel 1868, Louise Eugénie Alexandrine Marie David, figlia unica4 di una agiata famiglia borghese, mostrò precocemente le sue inclinazioni poco conformiste. Della sua infanzia ricorda di non essersi sentita amata dalla madre, belga, cattolica, unitasi al padre in un matrimonio senza amore5. I David appartenevano a una famiglia di antica tradizione calvinista, che poteva annoverare un esponente illustre, quel Jacques-Louis David, noto prima come acceso conventionnel, amico di Robespierre, divenuto, poi, celebre pittore, prediletto da Napoleone. Il padre, Louis-Pierre David era un insegnante, fervente repubblicano, socialista idealista, massone. Partecipò attivamente alla rivoluzione del ’48, abbandonò l’insegnamento per dedicarsi al giornalismo militante e nella lotta politica strinse amicizia con Victor Hugo, col quale condivise l’esilio dopo il colpo di stato di Luigi Napoleone. Al padre deve uno dei ricordi più vivi dei suoi primi anni, la visione dei corpi dei Fédérés fucilati, ammucchiati nelle fosse comuni6. Dai pochi particolari che conosciamo della sua infanzia e dell’adolescenza sembra che abbia manifestato precocemente alcune delle qualità e delle inclinazioni che la caratterizzeranno da adulta, come la passione per la scoperta di luoghi e ambienti differenti da quelli familiari. A quindici anni effettuò la prima “esplorazione”: durante una vacanza con i genitori sulle coste del mare del Nord, fuggì e dopo aver percorso a piedi la costa belga, raggiunse l’Olanda e da lì si imbarcò per l’Inghilterra, da dove rientrò dopo aver esaurito il denaro che aveva con sé. Due anni dopo, provvista di maggiori risorse finanziarie, fuggì di nuovo; raggiunse in treno la Svizzera e da lì, a piedi, attraversò il San Gottardo ed entrò in Italia, avendo in tasca una edizione dell’Enchiridion di Epitteto. Singolare lettura per una ragazza di diciassette anni, che ai romanzi alla moda preferiva il Manuale del filosofo, che non era una distrazione originale per il viaggio, ma uno dei suoi testi preferiti, assieme alle opere di Seneca e degli altri Stoici. In quegli anni Alexandra forgiava la sua visione della vita alimentandola con i precetti dei maestri che insegnavano il distacco dal mondo. Una massima di Pierre Valdo «Le monde est une charogne et ceux qui s’y attachent sont des chiens» era appesa al muro della sua camera7. Le sue letture comprendevano anche vite di santi, mistici e asceti, dove cercava suggestioni per la realizzazione di un ideale di vita in cui lo spirito primeggiasse sulla materia, che le aveva fatto balenare l’idea della vocazione monastica8 e che, rigorosa fin dalla fanciullezza, cercava di mettere in pratica:

J’étais, jusqu’à un point extrême qui scandalisait et irritait ma famille, dénuée de coquetterie quant aux vêtements et aux parures et je méprisais le confort. Bien avant d’avoir atteint ma quinzième année, je m‘étais, aussi, exercée, secrètement, à un bon nombre d’austérités extravagantes: jeûnes et tortures corporelles dont j’avais puisé les recettes dans certaines biographies de saints ascètes trouvées dans la bibliothèque d’une de mes parentes. Il me paressait désirable et quelque peu glorieux, de savoir dominer les réactions de sa sensibilité, de «s’endurcir». L’esprit, pensais-je, devait mater le corps et s’en faire un instrument robuste et docile propre à servir ses desseins, sans faillir. De ces excentricités enfantines j’ai gardé diverses habitudes étranges, entre autres, celle empruntée aux Stoïciens – les Maîtres révérés de ma jeunesse – de coucher sur un lit de planches. 9

Questo culto degli uomini eccezionali, santi e filosofi, che si sono eretti al di sopra della comune folla dei mortali e delle loro passioni, per Alexandra è stato più che un fervore adolescenziale; al di là delle ingenuità e dell’enfasi dovute all’età, rivela aspetti di una personalità di cui l’orgoglio e la fermezza costituiscono due tratti essenziali. L’attenzione dedicata all’aspetto spirituale dell’esistenza era completato con l’interesse per la religione, o meglio, le religioni. Cresciuta tra una madre cattolica e un padre calvinista, aveva constatato, fin da piccola, l’esistenza delle differenze religiose e la conoscenza delle varie religioni le era apparsa una esigenza fondamentale:

Quoi qu’il en soit, de même que je suis née exploratrice et que, dès mon enfance, je me suis toujours continuellement échappée, anxieuse de découvrir ce qui existait au-delà des limites imposées à ma vue: la porte du jardin, le tournant de la route ou le mur formé par l’horizon, de même j’ai eu, tout enfant, la curiosité des croyances religieuses. Je ne doutais pas qu’elles ne fussent d’une importance primordiale. Il me fallait les inventorier, en trouver le sens, en discuter en moi-même le bien-fondé10.

Per la sua formazione furono essenziali le idee del padre, col quale sentiva una maggiore affinità e una intesa più profonda che con la madre, che alimentavano le inclinazioni del suo carattere indipendente, anticonformista, con un acuto senso della giustizia. A orientare le sue tendenze libertarie verso posizioni decisamente anarchiche fu un amico del padre, compagno di lotta e poi di esilio, Elisée Reclus, l’illustre geografo, repubblicano intransigente e fervente socialista, che trovò nella giovanissima Alexandra un’allieva entusiasta e decisa, che non tarderà a rivolgere la sua critica sociale verso i problemi della condizione femminile11. L’influenza di Reclus su Alexandra, evidentemente, andò oltre l’ambito delle idee politiche; difficile precisare la sua portata, ma la frequentazione di una tale personalità è stata fondamentale per la sua formazione. Alexandra apprese moltissimo dalle conoscenze di un uomo che non era solo uno scienziato innovatore, in un campo, come quello della geografia, che deve aver affascinato la futura esploratrice con le descrizioni degli ambienti naturali e delle culture umane conosciute durante i viaggi in diversi continenti, ma anche un pensatore, amico di Tolstoï12, un anticipatore di un rapporto nuovo fra l’uomo e la natura, un precursore della moderna ecologia. La passione per i viaggi, per la conoscenza di paesi e civiltà lontane, che Alexandra dice innata in lei, certo è stata fortemente alimentata dalle conversazioni con Elisée Reclus, che abitava poco lontano dai David, a Ixelles, sobborgo di Bruxelles, dove si erano trasferiti nel 1874. Nell’illustre scienziato, di cui Alexandra ammirava gli alti ideali e le coerenti scelte di vita, trovò anche una guida, un maestro, col quale si trovava in perfetta sintonia e al quale rimarrà sempre profondamente legata. Intanto, dotata di una bella voce da soprano, coltivava la sua inclinazione per la musica, frequentando con profitto il Conservatorio di Bruxelles e continuerà gli studi musicali a Parigi, distinguendosi in composizione, tanto da poter partecipare al Prix de Rome.

Nel 1888 si recò a Londra e vi soggiornò per un anno, ospitata nella sede di una associazione esoterica, “La Gnose suprême” presso la quale era stata introdotta da una conoscente. Lucida e razionale, Alexandra non si fece coinvolgere dai vari gruppi esoterici con i quali entrò in contatto durante la sua permanenza e, più tardi, ne farà una garbata satira13. Aderì, invece, alla Società Teosofica, per l’interesse preminente che riponeva nelle religioni e nelle culture orientali, con le quali le permise di familiarizzarsi, anche se più tardi ne prenderà le distanze; soprattutto, vi strinse amicizie e instaurò relazioni che le saranno utilissime durante i viaggi in Asia14. Quella esperienza le permise di prendere coscienza del suo profondo interesse per l’Oriente e decise di rientrare a Parigi, dove frequentò corsi dei più insigni orientalisti del tempo, alla Sorbonne, all’ École des hautes études, al Collège de France e, soprattutto, frequentò assiduamente la biblioteca del museo Guimet, che ricorderà, più tardi, come un “tempio” della conoscenza in cui nacque la sua vocazione di orientalista15.

Nel 1891, grazie a una piccola eredità, Alexandra partì per l’India; tenuto conto dei tempi, bisogna riconoscerle una notevole fermezza, poiché compiere un tale viaggio, da sola, a ventitré anni, richiedeva un certo coraggio. Durante i diciotto mesi di permanenza poté osservare e studiare il variegato universo della religiosità indiana, acquisendo conoscenze e facendo esperienze importanti riguardo alle dottrine e alle pratiche tradizionali. Al suo rientro, cercò di sostenersi economicamente e farsi un nome nell’ambiente giornalistico - letterario scrivendo articoli per varie riviste e un libro, Pour la vie, poi, decisa a conquistare l’indipendenza economica, riuscì a sfruttare la sua voce da soprano e le sue competenze musicali, divenendo, dopo un esordio in provincia, una stella del melodramma in Indocina. Dal 1895 al 1901 proseguì la sua carriera di cantante, ottenendo la stima di Massenet16, con frequenti tournées all’estero, da ultimo in Grecia e in Tunisia. Nel 1902 fu nominata direttore artistico del casinò di Tunisi, dove, dal 1900 conviveva con Philippe Neel, che sposerà nel 1904.

Intanto aveva ripreso a collaborare con giornali e riviste, anche stranieri, cominciando ad affermarsi, scrivendo per giornali importanti come «L’aurore», dove conobbe Georges Clemenceau, pubblicando brevi saggi e tenendo conferenze quando si trovava a Parigi. Approfittava di ogni possibilità per effettuare viaggi di studio, di diversa natura, in vari paesi, dalla Spagna al Sahara, coltivava antiche amicizie e stringeva nuove relazioni in rapporto ai suoi molteplici interessi, intrattenendo una fitta corrispondenza. Frequentava i gruppi anarchici, gli ambienti del socialismo radicale, istituzioni e associazioni per gli studi filosofici, religiosi, antropologici e geografici, aderì ai Rosa-Croce e, appena furono create le prime Logge miste, alla Massoneria, mentre continuava il suo rapporto con la Società Teosofica.

Negli anni successivi al matrimonio Alexandra aumentò il ritmo della sua già frenetica attività e cominciò a raccoglierne i frutti. I suoi numerosi scritti l’avevano imposta all’attenzione di determinati ambienti e la sua competenza come orientalista veniva apprezzata sempre di più. Infaticabile, scriveva, partecipava a convegni, teneva conferenze, anche alla Sorbonne; nel 1910 insegnò all’Università di Bruxelles e i suoi saggi, specialmente sugli aspetti moderni del Buddismo, ottenevano il consenso di insigni studiosi, tra i quali il suo professore di Sanscrito all’École des hautes études, Sylvain Lévi, col quale mantenne sempre uno stretto rapporto. Alexandra David-Neel aveva trovato la sua strada, quella degli studi orientali, ma, contemporaneamente, il suo matrimonio entrava in crisi e la soluzione che intravide fu quella di partire per l’ Asia dove avrebbe potuto studiare aspetti poco noti delle sue religioni. Ottenuto il consenso del marito, nell’agosto del 1911 partì per l’India; a quarantatre anni iniziava la sua grande avventura: partita col proposito di un soggiorno di alcuni mesi, rientrò, invece, dopo quattordici anni, durante i quali percorse il continente asiatico, vivendo esperienze straordinarie e acquisendo conoscenze uniche, per i tempi, che espose in opere ormai notissime. Al suo rientro divenne una celebrità internazionale, ricevendo riconoscimenti e onorificenze, tra cui anche la Légion d’honneur, riconosciuta come un’autorità nel campo degli studi orientali. In Oriente ritornò nel 193717, a sessantanove anni, arrivando in Cina in piena guerra civile, rientrò nel 1946, dopo un soggiorno reso problematico dalle vicende belliche. Trascorse gli ultimi decenni della sua lunga esistenza scrivendo e divulgando le sue conoscenze, infaticabile fino agli ultimi giorni.

Ci siamo soffermati su alcuni elementi biografici di Alexandra David-Neel perché del suo straordinario percorso umano, generalmente, si ricorda la grande esploratrice, la divulgatrice del Buddismo tibetano, mentre restano in ombra altri aspetti della sua figura e della sua opera. Il nostro intento è quello di attirare l’attenzione su un elemento non trascurabile della sua poliedrica personalità, dal quale deriva una parte essenziale della sua attività: il suo rapporto con la scrittura. Alexandra David-Neel ha scritto un imponente numero di opere, quasi tutte derivanti dalle sue esperienze in Oriente, molte sono celebri da tempo, ma non ci si è ancora interrogati sui caratteri della sua scrittura. Tralasciando i lavori decisamente scientifici, resta una rilevante quantità di testi, che pongono il problema di una Alexandra David-Neel scrittrice.

Per mettere a fuoco la questione, bisogna ricordare che il suo rapporto con la scrittura è iniziato molto tempo prima che scrivesse delle sue esperienze in Oriente. Fin da giovane la scrittura, se non vogliamo dire l’attività letteraria, le era apparsa come la via di una possibile realizzazione. Sia perché sentiva una naturale inclinazione per lo scrivere, sia perché era una delle poche strade aperte alle donne per una emancipazione, anche economica, che Alexandra, spirito indipendente e femminista fin dall’adolescenza, sentiva come una esigenza imprescindibile. Scrisse la sua prima opera, Pour la vie, intorno ai vent’ anni18 e la pubblicò dieci anni dopo, con una prefazione di Élisée Reclus19. Si tratta di un saggio in cui espone la sua visione della vita e le sue idee sulla società, una sorta di «confessione intellettuale», per usare la sua definizione20. Chiare ambizioni letterarie la indussero a scrivere un romanzo, che terminò nel 1902, Le Grand Art, che ha come sottotitolo Mœrs de théâtre – Journal d’une actrice. Sostanzialmente autobiografico, si ispira alle vicende della sua vita nel periodo in cui era una artista del melodramma, che traspone in forma romanzata. Dopo averlo inviato agli editori, rinunciò alla sua pubblicazione a causa di certi passaggi che ritenne troppo autobiografici, come ella stessa annotò nei suoi carnets21. La ragione che le suggerì tale decisione fu, evidentemente, il matrimonio con Philippe Neel, col quale sarebbe entrata a far parte della buona società di Tunisi. Intanto, già da anni, col nom de plume di Alexandra Myrial, collaborava con giornali e riviste e questa sua attività, sicuramente, non è stata senza conseguenze per la futura scrittrice, costituendo un proficuo esercizio. Senza voler enfatizzarne l’importanza, riteniamo che certi caratteri della sua scrittura, la chiarezza, la precisione, la concisione, il ritmo spedito, oltre che alle sue doti, debba qualcosa anche alla sua attività pubblicistica. Fino al 1911 pubblicò altre tre opere, due sulla filosofia cinese e una sul Buddismo22. Al suo rientro dall’Asia, col celebre Voyage d’une Parisienne à Lhassa23, iniziò la fortunata stagione di scrittrice, «reporter-orientaliste» come talvolta si definiva.

Un altro elemento da tenere presente, utile per avviare un discorso sulla scrittura di Alexandra David-Neel, è che, oltre alle citate prove giovanili, scrisse due romanzi24, le cui continue ristampe e traduzioni testimoniano di un lungo successo: Le Lama aux cinq sagesses25 e Magie d’amour et magie noire26, entrambi ambientati in Tibet. Il primo espone la vicenda di un giovane, di cui si narrano le peripezie dalla fanciullezza all’età adulta, sul finire dell’Ottocento. Può essere considerato una sorta di romanzo di formazione, in cui l’amore ha una funzione rilevante nel determinare il destino del protagonista e dell’amata, trasformandosi da amore terreno in amore mistico. La vicenda presenta anche i caratteri del percorso iniziatico, poiché le varie peripezie sono altrettante prove che il protagonista supera evolvendo verso una coscienza spirituale sempre più alta, fino alla illuminazione, durante la quale gli si rivela la sua vera natura: egli è l’ultima incarnazione di un mistico vissuto ottocento anni prima, noto come il “Lama dalle cinque saggezze”. L’idea ispiratrice della storia è, quindi, una credenza fondamentale nella religiosità tibetana, la reincarnazione. Il romanzo costituisce un grande affresco del Tibet, presentato con la suggestione dei suoi straordinari paesaggi e della sua antica cultura, attraverso una storia ricca di vicende, di personaggi, di ambienti. Era questo, in realtà, l’intento della scrittrice, far conoscere il Tibet, in tutti i suoi aspetti. Grazie a una sapiente struttura narrativa, conduce il lettore, impercettibilmente, alla scoperta di una paese, allora, ancora sconosciuto, che presentava, intatto, il fascino di un Oriente ancora misterioso. La scrittrice ha evitato di cadere in un esotismo di maniera e ha inteso, anzi, differenziarsi nettamente dal carattere superficiale e fantasioso della maggior parte delle opere che alimentavano il filone del romanzo esotico27. Inoltre, la perfetta conoscenza di quel paese e le tante esperienze, anche particolari, che vi aveva vissuto, le permettevano, mantenendosi aderente alla realtà, di affascinare ugualmente il lettore. La religiosità, profondamente radicata nella cultura tibetana, della quale costituisce un fattore essenziale, ha un largo spazio nel romanzo, che ne mostra tutte le implicazioni. Con rigore quasi documentario la scrittrice fa conoscere la complessiva cultura del Tibet, dalle abitudini alimentari all’abbigliamento, dai ruoli familiari ai rapporti di parentela, dall’organizzazione sociale alle attività umane; in breve, dalle istituzioni più importanti fino ai dettagli della vita quotidiana, è la vita reale del popolo tibetano che scorre dinanzi al lettore28. Questi elementi sono perfettamente inseriti nel contesto narrativo e la vicenda non ne viene minimamente appesantita; un esito che ha richiesto alla scrittrice una particolare attenzione, per elaborare situazioni dell’intreccio idonee a veicolare le informazioni che desiderava trasmettere e per ottenere lo stile adeguato. La sua prosa ha un carattere sobrio e misurato che, più che a effetti di ricercatezza artistica, mira alla comunicazione immediata e precisa. Ottiene, così, l’effetto di un equilibrato realismo, che, senza intralciare il ritmo avvincente della narrazione, con informazioni concise e descrizioni rapide, permette al lettore di cogliere tutti gli aspetti delle situazioni descritte, anche se attinenti a realtà che, spesso, gli sono totalmente estranee. È uno stile ugualmente capace di informare il lettore con accuratezza e di creare atmosfere suggestive quando deve esprimere le sfumature dei sentimenti, il mondo del sogno, la dimensione del mistero. La scrittrice ha mantenuto una calibrata distanza dalla materia narrata, tanto più ammirevole perché sappiamo quanto fosse profondamente coinvolta nella realtà di quel paese che la affascinava come nessun altro. Senza slanci entusiastici e senza pregiudizi o ripulse, perché, per quanto affascinante, quella realtà conteneva elementi che urtavano la sua sensibilità di occidentale e di donna, non porta nessun giudizio e racconta con lo sguardo di un testimone imparziale. È un atteggiamento in cui è riconoscibile l’attitudine della studiosa, che, per carattere e per formazione, osserva la realtà con un misto di curiosità partecipe e obiettivo distacco.

Il secondo romanzo, Magie d’amour et magie noire, è stato scritto con le stesse finalità del primo, anche se con delle differenze. Reca come sottotitolo Le Tibet inconnu, infatti intende far conoscere aspetti nascosti dell’universo tibetano e prende in considerazione una realtà più circoscritta, rispetto al precedente, ma molto suggestiva. Una sua particolarità è che si ispira a una vicenda reale, raccontata alla scrittrice dallo stesso protagonista. L’opera narra una tragica storia di amore e morte, ambientata nelle regioni più remote e selvagge del Tibet, facendo conoscere al lettore i rudi costumi di quelle popolazioni, le loro credenze, intrise di superstizione, dove la religione si confonde con la magia. La scrittrice trova, anche qui, la giusta misura per narrare l’intensa passione che unisce i due protagonisti, fatti terribili, eventi misteriosi, calati in una realtà che descrive con le modalità che abbiamo indicato per l’opera precedente.

Senza voler affrontare il problema della qualità letteraria dei due romanzi, riteniamo si possa riconoscere che costituiscono due riuscite prove nell’esercizio della scrittura da parte di Alexandra David-Neel, in un genere diverso di quello, a lei più familiare, dei récits de voyage. Questi ultimi costituiscono la parte più nota della sua produzione e l’hanno resa celebre. Il loro successo è chiaramente dovuto all’argomento, ma riteniamo che anche le qualità della narrazione vi contribuiscano, in qualche misura, specialmente oggi, dopo che l’eccezionalità di quelle imprese e il fascino di un mondo sconosciuto, col tempo, si sono attutiti. L’intrepida esploratrice possedeva una decisa inclinazione e una buona attitudine per lo scrivere, come abbiamo ricordato. A suo dire, partita per l’Asia per studiarne le religioni, si proponeva di rendere conto delle sue ricerche a un pubblico di specialisti, solo al rientro, rendendosi conto dell’interesse suscitato dalle sue esplorazioni, decise di raccontare le sue esperienze29. Le finalità di quegli scritti, quindi, erano essenzialmente pratiche, di divulgazione, a cui bisogna aggiungere che rappresentavano una delle poche fonti di reddito. Questi fattori, in certe occasioni, possono aver condizionato le sue evidenti qualità di scrittrice, che, cedendo all’urgenza della pubblicazione, ha rinunciato a un più accurato lavoro di finitura, che le avrebbe permesso di ottenere una qualità letteraria più elevata, ma è doveroso chiedersi se la qualità artistica rientrasse nelle sue intenzioni. I libri in cui racconta i suoi viaggi in Oriente costituiscono, tuttavia, degli ottimi esempi di quel genere di letteratura. Ancora oggi, al di là dell’interesse per il loro contenuto, rappresentano una lettura piacevole, poiché il suo stile non ha perso niente della sua freschezza. L’architettura semplice, la struttura lineare, il ritmo agile della narrazione, il periodare conciso, l’assenza di ricercatezze stilistiche, rendono la sua scrittura estremamente attuale, dando l’impressione di una prosa da moderno reportage. Sarebbe necessaria un’analisi accurata per metterne in risalto i caratteri e i non trascurabili pregi, sui quali, costretti dai limiti del nostro discorso, non possiamo soffermarci, limitandoci a segnalare gli aspetti più evidenti; tra questi, il realismo, avvincente ma misurato, che non cerca di ottenere facili risultati suscitando impressioni d’effetto, anche quando la situazione lo consentirebbe, il che si verifica di frequente. Con scrupolosa obbiettività, Alexandra rende conto delle realtà che ha osservato, senza omettere fatti crudi o eventi violenti, quando lo ritiene necessario, ma non indulge al pittoresco o al sensazionale, condensando l’avvenimento in poche righe.

Un altro elemento caratteristico, che si combina col suo equilibrato punto di vista, è la garbata ironia, che esercita spesso, nelle più diverse situazioni, anche nei propri confronti. Il che contribuisce a conferire alle sue pagine un loro inconfondibile tono, risultato della sua attenta curiosità, della sua lucida analisi e del suo umorismo, per cui, al di là delle differenze culturali, gli uomini si rivelano fondamentalmente uguali, nei loro pregi e nei loro difetti, così che la varia umanità descritta in tante pagine anima una sorta di commedia umana. Questa impressione, chiaramente percepibile dinanzi al numero e alla varietà di tipi umani, è rafforzata dal frequente ricorso al dialogo, mediante il quale dà vita a numerose scene, ora drammatiche, ora comiche, che colpiscono per la loro immediatezza e vivacità.

Ai fini del nostro discorso, riteniamo utile spostare l’attenzione dai suoi titoli più noti a opere meno conosciute, i cui caratteri possono fornire indicazioni interessanti. Tra queste, un racconto scritto nel 1908, Devant la face d’Allah30. È una sorta di breve feuilleton che racconta l’infelice storia d’amore di due giovani diseredati, Jacques e Louise, ambientata, presumibilmente, ai primi del Novecento. Quando si incontrano, sui marciapiedi dei faubourgs di Parigi, sono due bambini senza famiglia; si legano con l’amicizia intensa dei disperati e riescono a sopravvivere in quei miserabili quartieri, mentre, col tempo, il loro affetto diviene amore. Le loro peripezie li conducono in Algeria, dove si svolge la maggior parte della storia, che si conclude tragicamente con la morte di entrambi. Il racconto mostra già elementi che caratterizzeranno le opere della scrittrice. Non possiede eccezionali qualità letterarie e risponde a certo gusto del tempo, con la differenza che invece di raccontare travolgenti amori fra giovani ufficiali di marina ed esotiche bellezze, narra «l’humble et tragique idylle de deux petits gueux, fils du pavé de Paris»31 e che anziché indulgere all’esotismo, cosa per lei facile poiché conosceva perfettamente i paesi del Maghreb, dove viveva da anni, mette in primo piano altri elementi. Le disavventure parigine dei due protagonisti le permettono di esprimere la sua visione dell’ingiustizia sociale e la condanna per l’egoismo di una società borghese che schiaccia i deboli e li relega ai margini, pronta a colpirli con la violenza repressiva delle sue leggi32. Senza toni enfatici, con la concisione che caratterizza già la sua scrittura, sintetizza in poche righe i drammi di tante vite. Le avventure dei due innamorati in Algeria occupano la maggior parte del racconto e la scrittrice, più che attirare il lettore col colore locale, praticamente assente, espone i temi che le stanno a cuore, in modo speciale la condizione di inferiorità in cui era tenuta la donna. Considerazioni riferite alla società europea, alla quale appartengono quasi tutti i personaggi della vicenda, in un contesto coloniale. Unico personaggio del mondo locale, un venerando marabut, tramite il quale introduce un argomento  a lei sempre caro, quello della ricerca religiosa, che porta i due protagonisti a convertirsi all’Islam. Fra gli elementi interessanti del racconto indichiamo l’organizzazione della struttura narrativa, che racchiude la vicenda dei due giovani all’interno della cornice delle esperienze della narratrice, procedimento impiegato, più tardi, in Magie d’amour et magie noire. Per concludere, ci limitiamo a segnalare la già evidente capacità di delineare, con pochi tratti, situazioni e personaggi. Tra questi, alcuni sono disegnati così felicemente da assumere una dignità particolare e imporsi all’attenzione del lettore con indubbio fascino.

Un altro testo interessante, dal nostro punto di vista, è Le sortilège du mystère, un volume in cui Alexandra David-Neel ha condensato ricordi di persone e ambienti, legati dal filo conduttore del tema indicato dal titolo. In nove capitoli, scorrono i ricordi, ordinati sul filo della memoria, dagli anni giovanili fino al 195033, presentando al lettore una straordinaria galleria di insoliti personaggi e situazioni inconsuete, spesso comiche, altre volte drammatiche. Persone anonime e personalità note animano le pagine di questo libro, che le doti della scrittrice rendono una lettura suggestiva, ricca di informazioni e piacevole per la varietà dei toni. Spesso il racconto si trasforma in scena teatrale, con dialoghi serrati e battute felici, che il suo spirito di osservazione e il suo umorismo rendono indimenticabili. Molti episodi sono autentici tableaux che, con immediatezza e vivacità, ritraggono una varia umanità, come quella che popola gli episodi londinesi e parigini, nel periodo in cui la giovane Alexandra muoveva i primi passi nella esplorazione che porterà avanti per tutta la vita, quella dei “paesaggi umani”. Con serena comprensione ricorda uomini e donne ai quali l’adesione a presunte “verità segrete”, riservate a pochi, donava l’illusione di elevarsi al di sopra dei comuni mortali, offrendo al lettore la possibilità di conoscere esperienze che si prestano a significative riflessioni, ancora oggi di attualità:

Le rayonnement du leurre des «Iles fortunées» est toujours aussi puissant. L’extension de nos connaissances géographiques a éliminé le mythe de terres paradisiaques et nul n’en cherche plus les contours matériels à travers les océans, mais le désir d’atteindre le domaine mystérieux inaccessible au vulgaire, la poursuite anxieuse de révélations ésotériques n’ont point cessé de hanter le cerveau de nos contemporains.

De même qu’autrefois des pèlerins extasiés s’embarquaient sur de frêles esquifs et, absorbés dans leur rêve, voguaient vers l’horizon où la terre et le ciel se joignent, comme pour dérober aux regards le secret d’immensités infiniment lointaines, sans voir se lever la tempête menaçante, ainsi, de nos jours, des troupes d’hallucinés cheminent à la suite de grotesques charlatans ou pseudo-mages, pontifiant en oripeaux de carnaval, abusés par la promesse d’aborder, grâce à ces mystificateurs, aux rives d’«Iles fortunées» spirituelles.

Aussi pathétiques que leurs naïfs devanciers, la plupart de ces modernes amoureux de chimères sont promis eux aussi au naufrage.34

Di molti di loro la storia non ha conservato memoria, altri sono ricordati, come Joséphin Péladan, al quale è dedicato un intero capitolo. Il sâr Mérodak e la sua corte sono mostrati con l’imparziale obiettività di un testimone attento, ma anche con bonaria ironia, nella magniloquenza dei loro propositi e nella prosaica realtà della vita quotidiana. Come nell’episodio dell’attrice che suscita le ire di Peladan perché non vuole recitare nuda in una sua pièce, o quello in cui Alexandra, grazie alla storditaggine della madre del sâr, sua conoscente, può visitare la sua abitazione, rigorosamente nascosta a tutti, che ispira alla disincantata esploratrice umoristiche riflessioni.

Non mancano le vicende drammatiche, anche se non sono la maggioranza. Esemplare, tra queste, una storia in cui si mischiano passione, religione, occultismo. L’episodio occupa quasi tutto il terzo capitolo e la scrittrice conobbe personalmente la protagonista, una bellissima cortigiana, divenuta viscontessa sposando un giovane nobile, che per amor suo abbandonò il saio di religioso, per poi punirsi della colpa rinunciando all’amata e al mondo, chiudendosi, sotto falso nome, in un monastero sconosciuto, dove morì pochi anni dopo. Claire de Langy, divenuta viscontessa di Trévaux, profondamente innamorata del marito, non si era mai rassegnata alla sua scomparsa e neanche alla sua morte, questo l’aveva portata verso lo spiritismo, tramite il quale sperava di ottenere una qualche manifestazione del defunto. Quando seppe del rientro dall’Oriente di Alexandra, si rivolse a lei con la certezza che potesse aiutarla grazie alle conoscenze occulte che riteneva avesse acquisito. La poveretta era ormai l’ombra della bella e intelligente donna di un tempo. L’episodio, interessante per la sua drammatica realtà, è ancora più avvincente per le modalità con le quali è narrato. La scrittrice, raccontando una vicenda in cui, probabilmente, si era sentita maggiormente coinvolta o alla quale, per altri motivi, intendeva prestare una attenzione particolare, usa sapientemente il suo talento narrativo, trasformando un fait divers della Parigi degli anni Venti in una autentica novella dalle indubbie qualità letterarie. La struttura narrativa è quella collaudata in Magie d’amour et magie noire; dopo un preambolo in cui Alexandra espone le circostanze in cui è venuta a conoscenza della vicenda, tace come io narrante e cede la parola a un narratore che inizia nel più classico dei modi:« Cette anné-là, Claire de Langy, après une retraite fructueuse de plusiers mois auprès d’un généreux industriel américain, se remettait en route»35. Diversamente da quanto accade nei suoi romanzi, nessun intervento del narratore interrompe il ritmo serrato del racconto, che conferisce alla vicenda una suggestiva atmosfera di ineluttabile fatalità, di dramma originato dalla forza delle passioni. Nel breve spazio della narrazione la scrittrice ha impiegato una pluralità di toni, con i quali ha saputo esprimere sfumature di sentimenti ed emozioni nello stile sobrio e conciso che le è proprio. Le poche righe con le quali viene concluso l’episodio sono sufficienti a mostrare il suo intento di dare una veste letteraria alla rievocazione di quella vicenda:

Mme de Trévaux détournait la tête et son regard fixait, dans le vide, une image qui n’était certainement pas celle d’un enfant, mais celle du jeune moine qui lui était apparu, autrefois, sur le pont d’un paquebot, dans l’atmosphère brûlante des tropiques. Celui dont le froc de bure avait meurtri sa chair, une nuit où la flûte du grand Pan, ironique et propice, chantait au-dessus de la mer scintillante l’épithalame des éternelles noces païennes. 36

Un discorso, per quanto sommario, sulla scrittura di Alexandra David-Neel, non può non menzionare il suo ricco epistolario, solo in parte pubblicato. Attualmente, l’edizione più organica è il Journal de voyage, che raccoglie le lettere inviate al marito dal 1904 al 194037, curata da Marie-Madeleine Peyronnet, sua segretaria e dama di compagnia negli ultimi dieci anni di vita. Il titolo indica il criterio seguito dalla curatrice, che le ha scelte in modo da ricostituire fedelmente il racconto dei suoi viaggi. Anche nella comunicazione epistolare sono evidenti le sue qualità di scrittrice, che proprio il carattere familiare della corrispondenza rivela nel loro aspetto più spontaneo. Il lettore dei suoi romanzi e dei suoi récits de voyage, vi coglie i tratti caratteristici del suo stile, che le hanno consentito di affascinare un vastissimo pubblico con le sue innegabili doti di narratrice. Nell’immediatezza con la quale racconta al marito le sue esperienze si ritrova la freschezza e la vivacità delle pagine delle sue celebri opere.

Personalità eccezionale e donna straordinaria, Alexandra David-Neel è stata una figura complessa, della quale è difficile sintetizzare gli aspetti. La sua avventura umana e il suo percorso intellettuale testimoniano di una incessante ricerca di alti valori e di un interesse profondo per le risposte che gli uomini hanno dato ai grandi interrogativi della vita, specialmente per quelle elaborate nelle religioni e nelle culture dei popoli orientali. Ha vissuto esperienze insolite e ha accumulato un vasto patrimonio di conoscenze, che oggi si rivelano un insostituibile strumento per la comprensione di tradizioni e ambienti umani scomparsi o profondamente trasformati, riuscendo a trasmetterle a un vasto pubblico anche grazie alle sue qualità di scrittrice, che le hanno consentito di scrivere opere, alle quali ha dedicato una parte non trascurabile della sua prodigiosa attività, che, conservando un ineccepibile carattere scientifico, posseggono non disprezzabili qualità letterarie.


Pour citer cet article :

Franco Asole, " Alexandra David-Neel. La «femme aux semelles de vent » e la scrittura", Publif@rum, 2, 2005

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1 Alexandra David-Neel fu la prima a far conoscere in Occidente le specificità del Buddismo tibetano. Dopo di lei, un altro europeo, il tedesco Ernst Lothar Hoffmann (1898-1985) venti anni dopo, divenne, prima, monaco buddista, poi, sotto la guida di un anacoreta tibetano, abbracciò il Lamaismo, divenendo noto come lama Anagarika Govinda. Egli, dal 1932 al 1949, visse in molti dei luoghi in cui era stata Alexandra David-Neel, incontrò vari religiosi che l’avevano conosciuta, tra questi, nel 1937, l’abate del monastero di Lachen, nel Sikkim, l’asceta sotto la cui guida aveva appreso le segrete pratiche della mistica tibetana, vivendo per due anni in solitudine, in un eremo alle pendici dell’Hymalaya, che gli parlò della sua straordinaria allieva. L’episodio è riferito dal lama Anagarika Govinda in una sua opera, che citiamo nella traduzione francese, Le chemin des nuages blancs, Paris, Albin Michel, 1969, pp.147-150. Questo testo, in cui l’autore riassume la sua esperienza, era stato preceduto da un altro suo scritto, ben presto tradotto in Francia, Les Fondements de la mystique tibétaine, Paris, Albin Michel, 1960. Le sue opere contribuirono a far conoscere la religiosità e la cultura del Tibet. Sono state tradotte, anche se tardivamente, in Italia: I Fondamenti del misticismo tibetano, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1972 e La via delle nuvole bianche, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1981.
2 Nel 1982, durante un suo viaggio in Francia, l’attuale Dalaï-Lama si recò a Digne e visitò il luogo in cui Alexandra David-Neel visse l’ultima parte della sua vita, rendendo omaggio alla sua memoria ed esprimendo la gratitudine del suo popolo per l’opera da lei svolta facendo conoscere la religione e la complessiva cultura del Tibet. Il suo discorso chiude una raccolta di scritti della grande esploratrice. Cfr. DAVID-NEEL, A., Voyages et aventures de l’esprit, Paris, Albin Michel, 1994.
3 Alexandra David-Neel studiava la religiosità orientale in tutti i suoi aspetti, sia quelli canonici, consacrati nei testi, come quelli della tradizione popolare e anche le interpretazioni più recenti. Così conobbe personalmente i più noti maestri dell’Induismo moderno, Gandhi, Sri Aurobindo, Vivekanânda.
4 Cinque anni dopo la sua nascita nacque un fratellino, morto sei mesi dopo. Cfr. BROSSE, J., Alexandra David-Neel, Paris, Albin Michel, 1991, p. 19.
5 Talvolta, nella corrispondenza col marito, rievoca la sua infelice vita familiare:«Toute la vie sentimentale m’était si parfaitement indifférente autrefois. Je ne songeais guère à m’affliger de l’indifférence que me temoignait ma mère, je ne cherchais pas d’autre affection. [...] Toi tu as eu une vie d’enfant, tu as joué, tu as été heureux selon ton âge, tu as eu une jeunesse, tu .l’as dirigée, à ton gré, vers les plaisirs de ton choix...Moi, je n’ai rien eu, rien qu’un orgueil qui était mon refuge, qui me tenait lieu de tout». DAVID-NEEL, A., Journal de voyage, Paris, Presses Pocket, 1996, t. 1, p. 18.
6 In una lettera al marito, datata Bénarès, 19 mars 1913 scrive: «[…] Hier, en écrivant une date, j’ai subitement songé que c’était le 18 mars, l’anniversaire de la Commune, le jour du pèlerinage des fédérés. T’ai-je jamais dit que j’y avais été, au mur des Fédérés, après la fusillade, alors que hâtivement on entassait les cadavres dans les tranchées creusées à cette intention...Une sorte de vague vision me reste de cela. J’avais deux ans à cette époque! Si c’est la première fois que tu entends ce détail, tu te demanderas qui m’avait menée là. C’était mon père qui voulait que, si possible, je gardasse un souvenir impressionnant de la férocité humaine». Ivi, p. 248.
7 CHALON, J., Le lumineux destin d’Alexandra David-Neel, Paris, Presses Pocket, 1986, p.30.
8 In una lettera al marito, inviata mentre si trovava a Benares, nel 1913, scrive: «Je t’ai dit souvent qu’à treize ans j’avais résolu d’être missionnaire et de donner toute ma vie à une œuvre religieuse. Des tendances si profondément ancrées sont puissantes». Ibidem.
9 DAVID-NEEL, A., Sous des nuées d’orage, Paris, Presses Pocket, 1995, pp. 14-15.
10 DAVID-NEEL, A., Le sortilège du mystère, Paris, Presses Pocket, 1994, p. 11.
11 Nonostante abbia vissuto in condizioni di vita agiate e abbia goduto di una libertà che la maggior parte delle famiglie del tempo non concedeva alle ragazze, Alexandra David-Neel ha sentito, fin da giovanissima, come un’oppressione intollerabile la condizione di subalternità delle donne del tempo, contro la quale si è sempre battuta, dapprima per conquistare la propria indipendenza e poi per stigmatizzare una società che relegava le donne in una posizione di inferiorità. Precorrendo i tempi, nel 1909 pubblicherà un’opera dal titolo significativo, Le féminisme rationnel, Paris-Mons, La Società Nouvelle. Precedentemente aveva scritto vari articoli sulla condizione femminile, quali, L’autorité paternelle, in «Societé Anonime des Arts et Manufactures», 28 Août, 1900, Le mariage, profession pour les femmes, in «La Societé Nouvelle», 13ème année, 2ème série, I, 1907, entrambi firmati Alexandra Myrial.
12 Riconosciuto come uno dei leader del movimento anarchico, specialmente nel decennio 1870-1880, Reclus era amico di Bakunin e di Kropotkin, anch’egli geografo, col quale condivideva, oltre alla passione per le esplorazioni, una visione dell’attività umana in armonia con la natura. La sua casa era frequentata da esuli politici di varie nazioni e da una moltitudine di romantici sognatori e apostoli idealisti della fratellanza universale, poiché era noto per la sua bontà e il suo ideale anarchico era alieno da qualsiasi atto di violenza.
13 Si veda DAVID-NEEL, A., Le sortilège du mystère, cit..
14 Tra queste, la stessa Annie Besant, che succedette a Elena Blavatsky nella direzione della Società Teosofica, con la quale rimase in corrispondenza.
15 Cfr. DAVID-NEEL, A., L’Inde où j’ai vécu, Paris, Presses Pocket, 1994, pp. 9-10.
16 Varie lettere del musicista, tra il 1896 e il 1897, attestano la sua stima per le qualità artistiche di Alexandra. Oggi sono custodite nell’archivio della fondazione Alexandra David-Neel, a Digne.
17 Circostanze diverse le impedirono di recarsi in Asia già anni prima, come era sua intenzione, per continuare le sue ricerche. Ancora nel 1934 la sua fama era ben salda, ma altri studiosi cominciavano a interessarsi agli stessi ambiti di ricerca, come testimonia ella stessa, citando il più temibile dei concorrenti, l’italiano Giuseppe Tucci:«[…]mon succès est très satisfaisant et je puis, maintenant, voir qu’il n’est pas un simple feu de paille; il dure et a tendance à s’accentuer. Les coupures de journaux que je reçois de nombre de pays montrent une unanimité complète dans la presse à me louer et à vanter mon érudition de tibétanisante. Ceci est agréable, mais il y a un écueil, tu vas le comprendre. Les journaux impriment couramment qu’il n’existe, actuellement, personne au monde qui connaisse la langue et la culture tibétaines aussi bien que moi. C’est evidemment une réputation flatteuse, mais pas mal de professeurs d’universités se mettent, maintenant, à étudier le tibétain; pour me maintenir à la place où l’opinion m’a juchée, il importe que je ne me laisse pas dépasser. [...] Je vais partir pour Pékin aussi promptement que possible; là-bas, Albert (il lama Yongden) va tâcher de trouver au Temple des lamas un lettré avec l’aide de qui, lui et moi, pourrons nous perfectionner dans la langue littéraire tibétaine et mener à bonne fin la traduction du grand ouvrage de Tsong Khapa qu’Albert a ébauchée. Il faut me hâter, un orientaliste italien, le professeur Tucci, travaille au même livre, je dois m’efforcer d’arriver à paraître en librairie avant lui.» scrive in una lettera al marito del 22 marzo 1934. Cfr. DAVID-NEEL, A., Journal de voyage, cit., t. 2, pp. 313-314. Nato nel 1894 a Macerata ( coincidenza significativa, città dove nacque nel 1552 il primo sinologo al mondo, il padre Matteo Ricci) Giuseppe Tucci divenne uno dei più importanti orientalisti del Novecento, il primo, dopo Alexandra David-Neel, a studiare la cultura tibetana, effettuando lunghe spedizioni in Tibet fra il 1929 e il 1948. Era con lui, nel 1937, un altro celebre viaggiatore ed orientalista italiano, Fosco Maraini (1912-2004). Negli anni Trenta, il “tetto del mondo” attirò altri viaggiatori, tra questi, un poliedrico personaggio, l’inglese Marco Pallis (1895-1989), musicista, esploratore, filosofo, eminente tibetologo, abbracciò il buddismo, fu tra i primi a compiere spedizioni in Tibet, dove incontrò Tucci nel 1933. Amico di Alexandra, era in corrispondenza con lei e in una lettera del 1937 la informa di aver incontrato il suo maestro, l’abate di Lachen . Cfr. CHALON, J., op. cit., p. 439.
18 É l’unica precisazione riguardo alla sua composizione, fornita dalla scrittrice in una lettera, del 1969, al suo editore, in cui ne chiedeva la ristampa. Ivi, p. 49.
19 DAVID-NEEL, A., Pour la vie, Bruxelles, Bibliothèque des Temps Nouveaux, 1898.
20 Cfr. CHALON, J., op. cit., p.49.
21 Cfr. BROSSE, J., op. cit., p. 42. I carnets sono inediti. Ne sono stati pubblicati degli estratti in DAVID-NEEL, A., La lampe de sagesse, Paris, Éditions du Rocher, 1986, volume antologico curato da Jean Chalon .
22 DAVID-NEEL, A., Le Philosophe Meh-ti et l’Idée de solidarité, Londra, Luzac, 1907; Id., Les Théories individualistes dans la philosophie chinoise, Paris, Giard et Brière, 1909;Id., Le Modernisme bouddhiste et le Bouddhisme du Bouddha, Paris, Alcan, 1911.
23 DAVID-NEEL, A., Voyage d’une Parisienne à Lhassa, à pied et en mendiant de la Chine à l’Inde à travers le Tibet, Paris, Plon, 1927.
24 Ad Alexandra David-Neel viene attribuito anche un altro romanzo, La puissance du néant, in realtà scritto dal lama Yongden, suo figlio adottivo, che Alexandra tradusse in francese. L’edizione originale (Paris, Plon, 1954) indicava, come autore, solo il nome di Yongden, al quale in edizioni successive è stato affiancato quello della scrittrice. Nella edizione Presses Pocket (Paris, 1994) i nomi dei due, come autori, compaiono nel frontespizio, mentre la copertina reca solo il nome di Alexandra David-Neel e la quarta di copertina presenta il romanzo come «le troisième volet du triptyque romanesque d’Alexandra David-Neel». Anche una lettera della scrittrice al suo editore testimonia che il romanzo è stato scritto unicamente dal lama Yongden. Cfr. CHALON, J., op. cit., p. 499.
25 DAVID-NEEL, A., Le Lama aux cinq sagesses, Paris, Plon, 1935. Anche questo romanzo deve qualcosa al lama Yongden, che aveva elaborato delle note in vista di una futura opera. Si veda quanto afferma la scrittrice sulla genesi del romanzo nella Introduction. Facciamo riferimento all’edizione Presses Pocket, Paris, 1993, pp. 11-13.
26 DAVID-NEEL, A., Magie d’amour et magie noire, Paris, Plon, 1938.
27 L’autrice espone chiaramente le motivazioni che l’hanno indotta a scrivere l’opera. Cfr. DAVID-NEEL, A., Le Lama aux cinq sagesses, cit., pp. 11-13.
28 Sappiamo che la scrittrice ridusse la lunghezza del romanzo dietro richiesta dell’editore che le scriveva:«Nous sommes heureux de pouvoir vous dire que l’opinion de tous ceux qui ont lu le Lama aux cinq Sagesses est unanime. Tous les rapports concluent de la même façon, à savoir qu’il y a là un roman très curieux dont le récit a beaucoup de charme et de couleur», ma le chiedeva di «raccourcir un peu le texte dans ses parties non essentielles». Cfr. DAVID-NEEL, A., Journal de voyage, cit., t. 2, p. 315. Molto verosimilmente, nelle parti sacrificate la scrittrice descriveva in modo più ampio e circostanziato usi e costumi del Tibet.
29 «L’idée de faire du reportage ou de raconter, autrement, les péripéties de mes voyages ne m’est jamais venue au cours de mes longues pérégrinations en Asie. Je comptais simplement publier les résultats des recherches concernant les religions et les philosophies orientales, qui en étaient le but. Cependant, dès mon retour en France une vive curiosité s’est éveillée autour de moi, et j’ai été pressée de faire connaître ce qu’a été ma vie dans les pays peu ou point connus que j’ai parcourus, les aventures qui m’y sont survenues et les gens que j’y ai fréquentés». DAVID-NEEL, A., Au pays des brigands gentilshommes, Paris, Presses Pocket, 1995, p. 13.
30 Fu pubblicato nel 1909 in «Le Soir» di Bruxelles, ora in DAVID-NEEL, A., Voyages et aventures de l’esprit, cit., pp. 45-67.
31 Ivi, p. 46.
32 Fra le tante pubblicazioni che mettevano in campo le disgraziate condizioni di vita dei ceti più umili, è verosimile che Alexandra David-Neel, accanita lettrice fin dall’infanzia, cresciuta fra le idee del socialismo utopistico, militante nel socialismo anarchico, indomita femminista, abbia conosciuto le opere di Flora Tristan, l’intrepida e anticonformista nonna di Gauguin, giornalista, scrittrice, viaggiatrice, audace femminista, animatrice del socialismo utopistico tra il 1830 e il 1844.
33 Da una lettera all’editore sappiamo che nel 1954 la scrittrice aveva già progettato l’opera, definendone l’argomento e indicandone il titolo:«J’ai autre chose en tête sous le titre de “le Sortilège du mystère”. Ce titre vous paraît-il suffisamment attractif? Le sujet est le monde singulier des adeptes des doctrines ésotériques. Ce n’est pas un roman mais une sorte de promenade en divers pays au cours de laquelle je rencontre des personnages de caractères divers, les uns approchant au sublime, les autres infiniment grotesques ou pitoyables. Le livre est basé sur des faits réels». Cfr. CHALON, J., op. cit., pp. 502-503.
34 DAVID-NEEL, A., Le sortilège du mystère, cit., p. 7.
35 Ivi, p. 72.
36 Ivi, pp. 81-82.
37 DAVID-NEEL, A., Journal de voyage. Lettres à son mari /1 (11 août 1904-27 décembre 1917), Paris, Plon, 1975; /2 (14 janvier 1918-31 décembre 1940), Paris, Plon, 1976.