Giorgio De Piaggi – Università di Genova

Linguaggio di lotta e di rivolta in alcuni romanzi di Michèle Perrein

Uno degli aspetti che mi hanno maggiormente colpito nelle recenti elezioni in Irak –ma il termine è impreciso, direi meglio impressionato, meravigliato, sorpreso, ammirato, e perché no? commosso-  è stata la lunga fila di donne mussulmane che, silenziose e sfidando serie minacce di rappresaglia, sono andate a votare. Il voto, dunque, ha rappresentato per queste donne non soltanto la volontà di uscire da una spirale di violenza provocata dalla guerra e dalla reazione terroristica  (o dei guerriglieri, come si dice?), ma, penso -mi auguro- anche dalla volontà d’affermare, con il loro voto,  il primo nella loro storia millenaria, una base nella lunga strada dell’emancipazione. Insomma, dal diritto politico ai diritti civili. So bene che il cammino sarà lungo e impervio, ma il primo passo è stato compiuto.

Questo straordinario spettacolo pubblico mi ha riportato alla mente altri spettacoli pubblici, che si sono svolti, ormai più di trent’anni fa, nelle strade delle città di Francia. Sfilate, queste sì rumorose, di donne francesi che scendevano in strada per affermare la loro volontà di acquisire certi diritti civili di cui si sentivano ancora private. Storia di ieri, eppure storia recente. Uno strano filo lega, pur con le inevitabili differenze storiche, sociali, religiose, culturali, le francesi degli anni ‘70 con le irakene degli anni 2000. Pura illusione da intellettuale, la mia?

È evidente il fatto che il movimento femminista francese è stato preparato e accompagnato da una vasta produzione letteraria, sia nel campo della saggistica che in quello della narrativa, sulla quale molto è stato scritto e non è qui il caso di ritornarci sopra1. Mi limiterò soltanto a qualche rapida osservazione concernente aspetti del linguaggio di cui si è servito nella composizione di alcune fra le sue  opere narrative Michèle Perrein, senza dubbio una delle scrittrici più illustri di quel periodo. Una scrittrice, appunto, che ha fatto della scrittura un’arma di lotta in favore della libertà e contro la violenza, una ribelle, come ella stessa si definisce, «surtout rebelle à toute forme de mépris, ce mépris qui implique l’exercice du pouvoir, puisque c’est mépriser les autres que de se satisfaire du pouvoir qu’on prend sur eux»2.

Ne La Partie de plaisir3, i dialoghi, molto numerosi, sono, il più spesso, ripetitivi ed anche banali, ma mettono bene in evidenza la personalità di ogni personaggio. Clara, ad esempio, “l’avorteuse”, sottolinea la triste realtà dell’aborto clandestino (uno degli argomenti di lotta delle femministe degli anni ’70): «-[…] Vivement qu’ils fassent des lois!…]» -Si seulement vous aviez de l’argent, vous ou votre Martin, je n’aurais pas eu à m’en mêler» (p. 133). Le sue parole, brevi e secche, giudicano. La donna si sforza d’aprire gli occhi ad Emilie (la giovane protagonista del romanzo che è rimasta incinta a causa della relazione con Martin, ed è ora costretta ad abortire clandestinamente in quanto il progetto legislativo sull’interruzione legale della gravidanza non è ancora legge), come succede allorché risponde, ironicamente, alla seguente affermazione della ragazza:

-Martin ne boit pas. Il ne fume pas.

-Martin n’a aucun défaut […]. Il ne téléphone pas non plus (p. 197).

Affermazioni che traducono esattamente il contrario di quel che la ragazza vive, di ciò che fa, di ciò che subisce. Il discorso diretto, al contrario del racconto, rileva perfettamente il difetto di coscienza che Emilie prova di sé medesima in questo momento preciso del romanzo.

In Le Buveur de Garonne4, la parte riservata ai dialoghi è più ridotta, lasciando spazio, spesso, al “discorso indiretto libero”, che è un procedimento intermedio tra il discorso diretto e quello indiretto. Vi si sopprimono semplicemente i segni formali, i verbi introduttivi, dichiarativi. Si mantiene così il tono e il ritmo della lingua parlata. Il limite tra questo genere di discorso e il discorso diretto è talmente sfumato che il soggetto del discorso indiretto libero diviene, da una volta all’altro, «Il», «Elle o «Je», cambiando sovente nello stesso paragrafo:

Elle sera gymnaste, elle sera acrobate, elle fera des claquettes, elle chantera en américain dans une comédie musicale. Elle sera […]. Je vous fais confiance. Je vous méprise et je vous hais. Vous ne m’aurez pas. Je vous rends tout, par avance, au centuple (p. 30).

E poco dopo:

Avec une femme comme elle, il faut être prudent. Ces séances conviennent à Cazaugitat. Il la respire. Elle le masse. Il la paie. Tout est dans l’ordre. Je me demande où est passé son mari. Et pourquoi ce black-out familial systématique (p. 60).

Si tratta di una tecnica narrativa che caratterizza il romanzo, che consiste a far scivolare impercettibilmente il discorso da un livello all’altro e a confondere così i locutori:

Avec une femme comme elle il faut être prudent [discorso indiretto libero: pensiero di Cazaugitat].

Ces séances conviennent à Cazaugitat [livello del racconto: l’autore interviene, commenta e giudica].

Tout est dans l’ordre [livello intermedio tra il racconto e il discorso indiretto libero].

Je me demande où est passé son mari [discorso indiretto libero alla prima persona e, quindi, quasi un discorso diretto libero al quale mancano soltanto le virgolette: è Cazaugitat che parla].

In breve, i personaggi si rivelano più per i loro pensieri che per le loro parole.

In Gemma Lapidaire5 lo spazio riservato ai dialoghi è ancora più ridotto. La scelta si spiega col fatto che, a differenza dei due altri romanzi nei quali i dialoghi sono semplici e spontanei, essi sono, in questo testo, meno “reali”, più “teatrali”, più “retorici”. I personaggi non sembrano rispondersi realmente come nella vita comune, ma recitano come fossero su una scena, utilizzando una lingua più poetica che reale. Le frasi sono brevi, ellittiche, talvolta ridotte ad una sola parola:

-Tu ne dormais pas?

-Non.

-L’angoisse?

-Je me demande s’il fallait avoir peur (p. 163).

Ritroviamo lo stesso tono “declamatorio” dei dialoghi in Comme une formi cavalière6, romanzo nel quale, tuttavia, le frasi si succedono le une alle altre, si rispondono come in una eco, come in uno spartito musicale. I personaggi sembrano comunicare oltre le parole stesse. Non è più il senso che importa, ma il ritmo, la musicalità delle frasi che progrediscono spesso con delle riprese, delle ripetizioni,  delle correzioni di ciò che precede. Si tratta certamente di quel “envol” di cui parla l’autrice7, una sorta di scrittura automatica nella quale la narratrice talvolta s’abbandona con piacere. Ecco, per esempio, questo dialogo tra Rhada e Prisko:

-Qu’est-ce qu’elle disait la femme qui t’a élevé?

-Rien de plus. Elle avait entendu une explosion énorme, attendu la fin du monde.

-Qui n’était pas venue.

-Qui n’était pas venue [ripetizione eco].

-On peut peut-être vivre avec les explosions?

-Malgré les explosions [rettificazione].

-D’explosion en explosion qui donnent la parole aux oiseaux. Les explosions dureront plus longtemps que nous [“volo” poetico, surreale] (p. 220).

I dialoghi tra Rhada e Prisko hanno una logica interna che sfugge alla logica tradizionale. I due ragazzi ragionano nel mondo del sogno, seguendo il loro istinto, la loro immaginazione, lasciandosi condurre dalle loro parole. In breve, si tratta di dialoghi che mirano a trovare la “verità”, ossia la natura reale del personaggio grazie alla liberazione. Il linguaggio, d’altra parte, svolge, nei testi di Michèle Perrein, un ruolo molto importante, al punto ch’ella perviene ad una specie di “personalizzazione” della lingua attraverso l’invenzione di parole nuove o per l’impiego di neologismi. «Bousculeuse» è, per esempio, l’aggettivo che qualifica Rhada, mentre «loquerie» generalizza gli stracci. Le “parole-macedonia”, ossia la sovrapposizione di parole di natura differente (sostantivi, toponimi, verbi…) disposte le une a fianco delle altre per formare un sostantivo unico, una nuova unità semantica, costituiscono una creazione linguistica assai diffusa nei suoi romanzi: «le presque-rouge-mais-pas-de-son père» (p. 294), «Son homme-couverture» (Comme une formi cavalière, p. 329); «Le cri-cassure», «Milka mensonge», «Nada-bête» (Gemma Lapidaire, p. 108). Grazie a queste parole, la narratrice compone la realtà come in una sorta di “collage”, lasciando il lettore “inebriarsi” nel linguaggio, fino a lunghe liste di vocali in risonanza tra di loro: «Il […] la déchira, l’écharpa,, l’affilocha, la rejeta, l’annula» (Comme une formi cavalière, p. 337); «elles ont lavé en cadence, jetant, frottant, rinçant, entassant dans leur corbeille le linge blanc» (Gemma Lapidaire, p. 130).  Altrove, le parole s’incatenano, si richiamano, attraverso un gioco di sonorità: «Elle hurle, hulule» (p. 63); «Elle l’entend parce qu’elle l’attende (p. 74); «faire l’amour avec la mer, avec sa mére» (Gemma Lapidaire, p. 74). Il “raffronto”, del tipo surreale in generale, che mette in relazione due realtà differenti, lontane, è ancora un procedimento frequente nei testi di Perrein: «Station Javel, le métro […] plane au-dessus de Mirabeau comme les montagnes russes au-dessus de la fête foraine» (La Partie de plaisir, p. 34); «Des choses passent à travers lui comme de l’eau et du sable à travers un tamis, surnagent quelques paillettes, des petits éléments de beauté, un grand calme du corps» (Gemma Lapidaire, p. 74). Il paragone come la metafora contiene, del resto, lo stesso grado d’arbitrarietà, di soggettivo, presentando e avvicinando due realtà lontane. Perrein ricorre alla metafora per esprimere l’inesprimibile, per evocare in maniera simbolica ciò che nessuna parola potrebbe saper esprimere. In questa maniera irreale, sognata, che ha luogo il rapporto sessuale tra Emmanuel e Dolorès in Gemma Lapidare:

Rêve-t-il ce point lumineux suivi d’un tourbillon qui se déplace à une vitesse folle? Une route bien droite, une chose qui s’agrandit, s’agrandit, devient spirale, explose. Ce n’est pas la fin du monde. Ça explose mais ça ne bouge pas après. Emmanuel s’appuie un peu plu fort à sa porte. Dolorès est repartie en courant. La chose arrivait de la gauche, elle a explosé au-dessus de l’horizon à l’endroit presque exact où se trouve le soleil, en hiver, peu de temps avant de se coucher (p. 74).

Personalizzazione dunque di un linguaggio, di cui Michèle Perrein si serve per tradurre in scrittura le sue idee e la sua rivolta di donna contro il discorso tradizionale dell’uomo (messi da parte, beninteso, tutti gli equivoci che affermazioni del genere possono ingenerare, pur riportandole al momento storico, del tutto eccezionale, in cui i romanzi sono stati scritti). Volontà di esplorare tutte le possibilità del linguaggio, per conoscere, parafrasando il Manifesto dei Surrealisti, “ciò di cui noi siamo capaci per l’emancipazione della donna”. E si ritorna, idealmente e concretamente, se si vuole, alla partecipazione delle donne mussulmane alle recenti elezioni in Irak.


Pour citer cet article :

Giorgio De Piaggi, " Linguaggio di lotta e di rivolta in alcuni romanzi di Michèle Perrein", Publif@rum, 2, 2005 , URL : http://www.publifarum.farum.it/n/02/depiaggi.php

© Les références et documents disponibles sur ce site, sont libres de droit, à la condition d'en citer la source

1 Mi permetto di ricordare il mio volume La Conquête de l’Écriture ou Une saison d’écriture narrative au féminin: les années 70, Schena-Bari, Nizet-Parigi, 1993, 720 p.
2 J’ai écrit un livre rebelle”, in Nouvelles Littéraires, 2760, 30 oct. 1980, p. 41.
3 Flammarion, 1971, 258 p. Emilie, personaggio ad un tempo eccezionale e banale, lascia la provincia per Parigi, ove raggiunge il suo amante Martin, per far del teatro. Essa vive il suo aborto clandestino, strana “partie de plaisir”, conducendo a termine, attraverso la sofferenza, la sua “rivoluzione” personale.
4 Flammarion, 1973, 442 p. Il padre di Lison, la giovane protagonista del romanzo, è partito, per idealismo, così pare, e Mercédès, la moglie, è costretta ad allevare da sola la loro figlia. Si tratta dunque del rapporto piuttosto fantomatico, più sognato che reale, tra un padre assente e una figlia abbandonata.
5 Flammarion, 1976, 348 p. La piccola Gemma è l’ultima di cinque generazioni di donne della stessa famiglia, che vivono in una strana penisola separata dal resto del mondo da un enorme muro di pietre. Esse sono libere e, per questo motivo, considerate un po’ come delle streghe.
6 Grasset, 1980, 348 p.  Rhada, avendo rifiutato di farsi sposare secondo la volontà della famiglia, abbandona la sua tribù per andar vagabondando, insieme all’innamorato Prisko, attraverso  steppe e città irreali dell’Asia in cerca della libertà.
7 In una intervista concessa a J. Hurtin, M. Perrein dichiara che ciò che l’appassiona a livello della scrittura «c’est d’organiser un dialogue. Les mots se répondent et m’entraînent très loin […]. Pour moi, le dialogue organisé de cette façon, c’est un envol possible, une sorte d’écriture automatique à la quelle il faut s’abandonner» (“Une presqu’île fantastique”, Magazine Littéraire, 115, juillet-août 1976, p.38.