Elena Garofalo - Università di Cagliari

Presenze di Antigone e Ismene  nelle prime tragedie di Corneille

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Il teatro francese rinascimentale e barocco riscopre i miti classici e, fra questi, l’Antigone di Sofocle, modello tragico che ha ispirato la riscrittura di Robert Garnier (1580) e quella più celebre ad opera di Jean Rotrou (1637). Corneille, invece, non si è mai cimentato nell’adattamento di questo soggetto, ma ha sicuramente studiato a fondo la maniera in cui Sofocle riesce a suscitare terrore e pietà attraverso la rappresentazione del sacrificio di un’innocente, perseguitata ed uccisa dallo zio, il re Creonte1. Di certo un finale tragico così cruento mal si addice alla tragedia francese del XVII° secolo, attenta sì ai modelli antichi, ma anche alla necessità di edulcorarne alcuni tratti nel rispetto della sensibilità e del gusto di un pubblico alto-borghese o aristocratico. Georges Forestier, nel suo Corneille à l’œuvre, ha dimostrato con grande perizia che La Mesnardière e D’Aubignac, teorici di una tragedia addomesticata, condannavano sostanzialmente che i contrasti familiari potessero sfociare nella morte violenta2. Al contrario, Corneille afferma con Aristotele che la violenza nata dalla conflittualità tra parenti o amanti è l’elemento chiave della tragedia, proprio perché il pubblico ama commuoversi alla vista di padri che uccidono figli, mogli che uccidono i mariti o viceversa, fratelli che uccidono sorelle:

Les oppositions des sentiments de la nature aux emportements de la passion, ou à la sévérité du devoir, forment de puissantes agitations, qui sont reçues de l’auditeur avec plaisir, et il se porte aisément à plaindre un malheureux opprimé ou poursuivi par une personne qui devrait s’intéresser à sa conservation, et qui quelquefois ne poursuit sa perte qu’avec déplaisir, ou du moins avec répugnance3.

Quanto più un personaggio che dovrebbe amarne un altro si trasforma in suo persecutore, tanto più drammatica è la gestione degli affetti. Su questo principio Corneille sceglie soggetti che gli permettano di rappresentare un nucleo familiare o una coppia divisi da un dovere che sia più nobile e più sublime dell’amicizia, di ogni sentimento naturale e di ogni passione; fin dal Cid e da Horace, il drammaturgo conquista il suo pubblico attraverso i commoventi conflitti che separano due amanti, come Rodrigue e Chimène, o due amici nonché cognati, come Horace e Curiace. Ma un lettore attento riconosce che la drammatizzazione di questi soggetti cela anche una rivisitazione della illustre coppia di sorelle Antigone e Ismene, anch’esse separate da un dovere più forte della legge – quella del re Creonte – e più forte di ogni legame alla vita. Con gli occhi di questo lettore cercheremo di dimostrare che il modello dell’Antigone di Sofocle è strutturalmente presente nelle tragedie di Corneille. Analizzeremo soprattutto il Cid, perché Corneille vi sperimenta la fusione dello schema classico della tragedia sofoclea con la struttura moderna della tragicommedia. Peraltro anche in seguito, Corneille praticherà l’imitazione di alcune situazioni presenti nell’Antigone e lo dimostreremo accennando a qualche analogia riscontrata in Horace e Cinna, le due tragedie composte immediatamente dopo il Cid.

Presenze dell’ Antigone nel «Cid»

Georges Forestier fa notare che Corneille, nella sua ultima tragedia Suréna général des Parthes, intende rivendicare il suo titolo di Sofocle francese4 modellando il conflitto tra il valoroso eroe eponimo e il re Orode su quello di Antigone e Creonte: un innocente è perseguitato perché ama Eurydice, la principessa destinata al figlio del re Pacorus. Affinché nella pièce si potesse ritrovare lo stesso senso tragico dell’ opera di Sofocle, Corneille inventa il personaggio di Palmis, sorella di Suréna, per molti aspetti simile ad Ismene. In effetti l’integrazione di questo personaggio secondario gli permette di costruire uno schema classico: così come Antigone ama i suoi cari oltre la legge, noncurante dei consigli di Ismene, con altrettanta ostinazione Suréna ama Eurydice contro il volere del suo sovrano, e a nulla valgono i tentativi della sorella Palmis di sottrarlo a morte certa. Ma Forestier rileva che Palmis, nella sua funzione di innamorata non ricambiata, è anche il fulcro di un’azione che si adatta allo schema moderno della catena amorosa:

En intégrant ce personnage – peut-être initialement conçu comme une simple confidente – dans la structure amoureuse de sa pièce, Corneille retombait sur un schéma à quatre personnages avec ses diverses possibilités de combinaison. La combinaison préférée des auteurs dramatiques du XVIIe siècle est celle qu’on appelle la chaîne amoureuse, issue de la pastorale dramatique: Palmis aime Pacorus qui aime et doit épouser la princesse Eurydice laquelle aime et est aimée par Suréna – que le roi, de son côté souhaiterait voir épouser sa propre fille5.

D’altro canto Forestier osserva che la stessa struttura moderna di Suréna si rileva anche nel Cid, proprio perché in questa tragicommedia Corneille sperimenta la creazione dell’Infanta,  personaggio episodico come Palmis, il cui amore per Rodrigue non è ricambiato. La sua presenza contribuirebbe dunque a dare un tocco moderno allo schema degli amanti separati, in questo caso Rodrigue e Chimène, che ripongono nella morte l’unica speranza di essere riuniti. La differenza tra le azioni di Suréna e del Cid è che l’una ha esito tragico con la morte dell’eroe eponimo e della sua Eurydice mentre l’altra, concepita inizialmente come una tragicommedia, si conclude con un progetto di matrimonio tra Rodrigue e Chimène.   

Al di là della configurazione moderna delle due pièces, è possibile rilevare che, non solo Suréna ma anche il Cid presenta elementi tragici ascrivibili ad uno schema classico: i conflitti familiari sono generati da un ordine superiore che determina una disparità tra due eguali; i disonorati che non possono difendersi da soli delegano la vendetta ad un consanguineo; infine, malgrado i sentimenti personali, i personaggi principali antepongono l’onore alla legge innescando il meccanismo della persecuzione. Le conclusioni di Forestier ci permettono così di aprire un’altra prospettiva di studio: se Suréna ricorda l’Antigone di Sofocle, ma ricorda altresì il Cid, è possibile che Corneille, nel comporre la sua ultima tragedia, intendesse tornare a quel modello sofocleo che aveva già utilizzato fin dal suo primo capolavoro.

Non intendiamo in tal senso supporre che una tragicommedia, per il suo carico di ornamenti e di episodi, possa essere ridotta ad un’ azione lineare come quella dell’Antigone, in cui è sufficiente che un re getti la discordia tra due fratelli morti, perché la sorella vendichi il disonorato e subisca poi una morte violenta. Elencando le sequenze più tragiche dell’azione del Cid, potremmo tuttavia notare che esse replicano situazioni via via riconducibili allo schema sofocleo:

  • Il re Fernand getta la discordia tra due consiglieri di egual valore, favorendo Don Diègue al Conte. Trovandosi nella posizione di Antigone che reagisce ad una legge discriminante, il Conte schiaffeggia Don Diègue e non si lascia convincere a sottomettersi al re.

  • Impossibilitato a duellare contro il Conte a causa dell’età avanzata, Don Diègue demanda la vendetta al figlio Rodrigue. Da una parte questo padre è, rispetto al figlio, una sorta di Polinice che può difendersi solo grazie al sangue del suo sangue; ma, splendida opportunità offerta dal soggetto spagnolo, egli è altresì un novello Creonte, la cui legge decreta la separazione tra Rodrigue e colei cha intende sposare, la figlia del Conte Chimène.

  • Per onorare la sua famiglia, Rodrigue uccide il Conte sapendo di perdere per sempre Chimène. I conflitti familiari rendono questi giovani amanti nemici e, come Emone che perde Antigone a causa del padre, allo stesso modo Rodrigue perde Chimène e medita di morire. Nella famiglia del Conte, morto nel disonore, spetta a Chimène il dovere della vendetta e la rinuncia all’amore: chiederà al re di punire Rodrigue. Ritorna così lo schema di Antigone che antepone l’amore della famiglia al sentimento per Emone.

  • Innamorata di Rodrigue, ma destinata ad un matrimonio di alto rango, anche l’Infanta segue i suoi doveri di principessa. Reagendo in modo altalenante al suo sacrificio d’amore, si accontenta di essere una confidente di Chimène. Con la stessa funzione legittimista di Ismene, non esiterà però a difendere la ragion di stato e a condannare la vendetta familiare che Chimène conduce contro Rodrigue, che è divenuto ormai un campione del regno.

Ribadiamo che Le Cid non termina con la morte degli amanti che sono stati disuniti da una legge ingiusta. D’altronde, se i modelli del passato insegnano che il sentimento tragico nasce dalla violenza che si oppone alla forza dei legami, questo stesso sentimento è sublimato in quest’opera di Corneille; in effetti la violenza trasforma due amanti virtuosi in perseguitato e persecutore, ed è altamente tragico il caso di Chimène che si adopera per nascondere l’amore verso colui che tenta in ogni modo di far condannare6. Ma Chimène ama e perseguita un cavaliere che assurge improvvisamente ad eroe epico, e questa circostanza orienta l’azione verso il lieto fine, tipico della tragicommedia: Rodrigue ha vinto i Mori ed è da essi riconosciuto come il Cid, ovvero il loro re. La sua vittoria estingue il debito con Fernand che, ampiamente ricompensato della perdita di un suddito valoroso quale il Conte, non intende realizzare il desiderio di giustizia di Chimène. L’ordine tra le famiglie sarà ristabilito proprio dal re che ne causò la rivalità e un matrimonio da lui deciso riunirà i due amanti separati.

Ritorniamo ora allo schema tragico che prepara per così dire il finale tragicomico. Ricorrendo a degli schemi, metteremo il testo di Corneille a fronte di quello di Sofocle, laddove sia possibile cogliere analogie nei pensieri e nei concetti espressi in circostanze simili. Riporteremo anche un confronto con alcuni versi dell’Antigone di Garnier e mostreremo che anche questo adattamento ha spesso ispirato il Cid. Seondo la nostra ipotesi, la materia dell’Antigone avrebbe arricchito la catena di azioni della tragicommedia corneliana, in cui le questioni d’onore si diramano in senso orizzontale, dalla famiglia di Rodrigue a quella di Chimène, e in senso verticale, da Don Diègue al figlio Rodrigue e dal Conte alla figlia Chimène. E il principio di filiazione sembra determinare anche le azioni legate alla famiglia reale perché l’Infanta assume ad un certo momento la funzione di portavoce del re.

Intendiamo ora analizzare la prima sequenza, quella in cui si rileva che da un disordine iniziale prende avvio l’azione del Cid: per volere reale, è scelto come precettore del figlio del re l’anziano Don Diègue invece dell’ancor vigoroso Conte. Discriminato e disonorato, questi si rivolge così al rivale:

Un Monarque entre nous met de la différence7.

Allo stesso modo Antigone imputa al re Creonte la colpa di discriminare i suoi due fratelli in attesa di sepoltura:

Créon, pour leurs funérailles distingue entre nos deux frères8.

Il Conte schiaffeggia Don Diègue, oltraggiando di fatto una scelta del re, ciò che lo rende un ribelle. Corneille sfrutta questa situazione e arricchisce i discorsi del re Fernand, del Conte e dei consiglieri, che lo esortano a sottomettersi alla legge, attingendo dalla materia riflessiva dell’Antigone. In un nostro precedente lavoro sulle sentenze di Corneille, abbiamo già analizzato il contrasto tra il Conte e il re Fernand alla luce del conflitto tra Antigone e Creonte9. Riassumendo i punti salienti del nostro studio, emerge che la reazione del re Fernand all’insolenza del Conte non si discosta  da quella di Creonte che accusa Antigone:

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Agli occhi del loro re, Antigone e il Conte sono due soggetti fieri e insolenti che hanno perso ogni freno e devono essere domati. Ma la posizione di Antigone è ancora più grave perché è una donna e, malgrado “la faiblesse du sexe”, non esita a dettare legge al re. Forse aiutandosi con i versi dell’ Antigone ou la piété di Robert Garnier, Corneille fa ripetere a Fernand anche altri  concetti espressi da Creonte:

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Rispetto a Sofocle e Garnier, Corneille elimina il tono sentenzioso nel discorso di Fernand, pur conservando del primo modello l’idea che un soggetto ribelle sia anche fiero e insolente, e seguendo l’esempio di Garnier che trascura i riferimenti alla natura femminile e la rude metafora del cavallo.

I principi di Antigone che si dibatte contro la sorella Ismene sembrano poi riecheggiare nei discorsi del Conte, che persegue ciò che gli detta l’onore, noncurante delle raccomandazioni di un consigliere inviatogli dal re. Ecco di seguito una situazione in cui il Conte da una parte e Antigone dall’altra si difendono di fronte ai legittimisti Don Arias e Ismene. Ma in questo caso Corneille segue decisamente qualche verso dell’Antigone di Garnier:

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Malgrado le somiglianze, non va certo trascurato il fatto che Corneille adatta un tratto del carattere di Antigone, la fierezza, ad un uomo d’armi. Si spiegano così alcune sostituzioni lessicali: essere audaci con i potenti è follia per una giovane donna mentre è prova di coraggio eccessivo per un capitano; le belle azioni che potrebbe compiere una ragazza indifesa diventano meraviglie per chi, avvezzo alla guerra, sa sfidare i pericoli.

Corneille prende spunto da modelli autorevoli per abbellire le sue tragedie, avendo cura, all’occorrenza, di levigare la dimensione ideologica e privilegiare semplicemente una pratica dell’ornamento. Enfatizzare i principi audaci del Conte non significa quindi provocare maggiore simpatia per un personaggio che ha di fatto offeso un vecchio uomo d’onore e che morirà, del resto, senza destare alcuna commiserazione10. Ricordiamo quindi che il ricorso a principi simili in circostanze simili non intacca la peculiarità degli atti commessi dai personaggi. Per spiegarci meglio, queste sono le circostanze che uniscono il Conte ad Antigone: entrambi sfidano i potenti, non ritrattano le loro scelte e si mostrano temerari all’idea di morire per punizione del re. E’ però nelle azioni che i due personaggi si distinguono: diversamente dal Conte, Antigone non ha offeso ma piuttosto difeso l’onore di un'altra persona; così gli stessi discorsi che l’uno e l’altro utilizzano, nel Cid amplificano le conseguenze di un atto di superbia, e nella tragedia di Sofocle danno spessore ad un’impresa, già grande, che una fanciulla ha realizzato sola contro tutti.  

Passando alla seconda sequenza, osserviamo che Don Diègue e Rodrigue si trovano in una situazione che si presta bene ad accogliere qualche concetto mutuato dal discorso che Creonte fa al figlio Emone. Nel Cid, un vecchio padre cede al figlio il compito di vendicarlo di un oltraggio subito. E’ vero che, per la circostanza, Rodrigue è assimilabile ad Antigone, poiché s’incarica di rendere l’onore ad un consanguineo che non ha la facoltà di difendersi. Ma se Polinice non può più parlare, Don Diègue può invece appellarsi alla virtù dei figli maschi, custodi dell’onore della casa. Per la prima volta nel Cid, una questione d’onore diventa un affare di famiglia, una legge che Don Diègue trasmette a Rodrigue con questo imperativo:

Montre toi digne fils d’un tel père que moi11.

Confuso e disperato all’idea di uccidere un nemico di famiglia, che è al contempo il padre di colei che ama, Rodrigue ragiona pertanto sul dovere dei figli verso i padri; nelle celebri stanze in cui espone il dilemma se vendicare il padre o preservare il fidanzamento con Chimène, l’argomento che sarà per lui risolutivo riflette una guida precisa che Creonte impartisce ad un Emone disperato all’idea di perdere Antigone:

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Un figlio che sa curare la propria reputazione deve fuggire gli amori irrazionali e onorare i padri, vendicarli dei nemici e rispettarne gli amici. Viceversa, un figlio infame è una pena, lo pensa Rodrigue e anche un padre come Creonte.

Per arricchire la terza sequenza, quella che fa di Rodrigue e Chimène due amanti nemici, Corneille trova ancora in Antigone elementi utili a costruire l’immagine di un giovane d’onore che rivendica però il suo diritto d’amare. Non tanto in Sofocle, quanto piuttosto in Garnier, che ha enfatizzato i sentimenti di Emone rispetto a Creonte, Corneille trova l’ispirazione per costruire l’accusa che Rodrigue muove al padre, dopo l’omicidio del Conte:

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Per rispetto del soggetto, Corneille ha dovuto apportare qualche modifica: quel “Vous” pronunciato da Emone accusa direttamente Creonte che, con i suoi “rigueurs”, ha portato via l’amata a suo figlio. Per Rodrigue, è il suo stesso braccio vendicatore che, per mezzo di un “coup glorieux”, lo ha privato di Chimène. Ma se Emone impietosisce perché un padre crudele è l’artefice della sua separazione da Antigone, si è ancor più coinvolti dalla richiesta di un innamorato e valoroso Rodrigue che, proprio dal padre a cui ha ridato l’onore, rivuole l’amata che è stato costretto a strapparsi dal cuore.

Eppure un figlio disperatamente innamorato non commuove il vecchio Don Diègue che, anzi, spinge Rodrigue a consolarsi con le tante altre amanti che potrà incontrare dopo Chimène. Come si può notare, questo padre parla ancora una volta come Creonte:

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I due versi di Corneille uniscono due frammenti di discorsi diversi che Garnier e Sofocle attribuiscono a Creonte: nel primo verso il drammaturgo segue Sofocle nella scelta della forma sentenziosa ma elimina, come fa Garnier, la metafora pesante della donna intesa come «champ à labourer». Per il secondo verso, Corneille riutilizza una definizione dell’amore squalificato a piacere che il Creonte di Sofocle enuncia come precetto per il figlio innamorato di una donna indegna di lui:

Non, mon enfant, ne va jamais, pour le plaisir que peut te donner une femme, perdre la raison12.

Assimilando Don Diègue a Creonte, Corneille aggiunge ulteriori elementi che alimentano uno scontro ideologico tra Rodrigue, fedele a Chimène, e suo padre che, da vecchio uomo d’onore, non può che disprezzare gli amori assoluti.

Dal canto suo, Chimène, non appena esploso il conflitto tra la sua famiglia e quella di Rodrigue, assiste inerme al frantumarsi del suo sogno d’amore. Fino a quando il Conte è in vita, può avvalersi della solidarietà dell’Infanta, anche se i consigli che ne riceve non dissipano le nubi della tragedia che incombono sulla sua casa. Ora, i tentativi dell’Infanta di consolare Chimène riflettono uno schema d’uso nella tragedia rinascimentale, secondo cui i personaggi s’illudono di allontanare lo spettro della morte semplicemente sperando. Conformemente a questa pratica, nell’Antigone di Garnier è inserito un incontro tra Antigone e Emone che funge da esempio per la costruzione di una scena in cui l’Infanta cerca di consolare i dolori di Chimène:

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Adattando il primo verso di Emone, Corneille ripete lo stesso verbo “apaiser” all’imperativo; dal punto di vista metrico, il passaggio dal “vous” al “tu” comporta una perdita di sillabe che però il drammaturgo sopperisce con l’introduzione di “ma Chimène” al posto di “mon âme”, scelta in ogni caso obbligata, poiché l’Infanta non può parlare come un innamorato.  

Nel secondo esempio Corneille riprende l’idea che momenti fortunati prenderanno il sopravvento sulla sfortuna attuale: come Garnier, anche lui sfrutta la metafora del bel tempo che succede alla pioggia calcando così un luogo comune tradizionale.

Infine nell’ultimo esempio si ravvisa un calco per opposizione che procede da un cambio di prospettiva: Chimène è un personaggio tragicomico che, pur non sperandoci, si riunirà all’amante; diversamente l’Antigone di Garnier spera che la morte non la separi da Emone mentre il finale tragico sarà inevitabile.

Per tornare all’Infanta, abbiamo riassunto i suoi diversi ruoli nella terza sequenza. Questo personaggio secondario non è solo la confidente di Chimène ma è anche una principessa tormentata dall’ amore impossibile per Rodrigue. Fin dall’inizio mostra apertamente di favorire l’unione di quest’ultimo e Chimène ma solo perché il dovere del suo rango le impone un matrimonio reale. Non si trattiene tuttavia dal rivelare il suo sentimento alla confidente Léonor e di crearsi false speranze ogni qualvolta  gli avvenimenti determinano la separazione dei due amanti. Con questo personaggio Corneille sviluppa ulteriormente il tema centrale dell’amore impedito dalla legge del padre, anche se nel caso dell’Infanta il sentimento non è sottomesso ad un “intérêt de sang” ma  piuttosto ad un dovere di “rang”.

Indubbiamente l’Infanta riassume tratti ben noti di personaggi femminili della tradizione classica e moderna; infatti riecheggia da una parte il modello illustre di Fedra che confida alla Nutrice il suo amore impossibile per il figliastro, e, dall’altra, la figura della “mal aimée” che appartiene alla materia romanzesca e pastorale. Tuttavia c’è da chiedersi perché, malgrado i tanti riferimenti letterari, Corneille abbia scelto anche di attribuirle versi simili a quelli che Garnier fa proferire ad Emone che consola Antigone. A ben guardare entrambi i personaggi hanno due elementi in comune: il rango, poiché sono figli di re, e il doloroso dovere di opporre la ragion di stato all’ amore. Questi due personaggi mostrano che anche i potenti sono obbligati a seguire il volere paterno; così Emone soffre perché la sua Antigone non è più gradita a Creonte, ma soffre anche l’Infanta in quanto Fernand non approverebbe il suo sentimento per Rodrigue, che principe non è.

Corneille deve aver rilevato che, rispetto alla fonte sofoclea, Garnier ha amplificato un discorso corale a commento delle pene d’amore di Emone, emblema del principe talmente afflitto da un sentimento contrastato che sembra potersi dimenticare i doveri del suo rango; certe immagini, certe sentenze sembrano esemplificare lo stesso tormento d’amore dell’Infanta  e riaffiorano, in forma circostanziata, nelle conversazioni tra quest’ultima e Léonor.

Un esempio è il ricorso all’ immagine dell’amore che tiranneggia i cuori, senza discriminazioni di rango:

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L’idea espressa è identica; però il lettore di Corneille deve ricordarsi che chi enuncia questa sentenza sulla tirannia dell’amore è una principessa che, pur appartenendo al rango dei Grandi della Terra, non è esentata da un sentimento così umano. Il passaggio da un discorso corale ad un dialogo tra due personaggi implica la perdita di alcuni elementi di riflessione che permangono ad un livello implicito. Tuttavia leggendo prima le riflessioni del Coro di Garnier e, poi, le rivelazioni dell’ Infanta, ci sembra quasi di comprendere più a fondo le idee che questa principessa esprime in funzione degli avvenimenti che si susseguono e che modificano i suoi stati d’animo.

La soppressione dei cori nella tragedia non ha impedito ai drammaturghi moderni di recuperare i ritratti morali in essi inseriti e di riutilizzarli poi per creare personaggi secondari, come l’Infante di Corneille. Così le scene in cui Léonor le ricorda di curare i suoi doveri di principessa, e non i sentimenti inopportuni, potrebbero procedere dall’assimilazione di una descrizione generica del principe innamorato che, pari ad un folle, dimentica sé stesso, la propria nascita e quindi il “suo paternel devoir”:

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Altrove Corneille assorbe la materia sentenziosa in un discorso personalizzato che varia a seconda delle circostanze offerte dall’azione. Per esempio dal tema corale dell’amore che non lascia riposo neanche ai re, il drammaturgo costruisce l’oscillare dell’Infanta che cerca rimedio al suo mal d’amore nel matrimonio tra Rodrigue e Chimène ma che, perdendo quest’opportunità, ricade nel suo tormento:

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Il concetto del mal d’amore che non lascia riposo all’anima tormentata prende vigore nelle dinamiche dell’azione del Cid e ne suggella le fasi alterne: quanto più la separazione tra Rodrigue e Chimène è netta tanto più l’Infanta sente rinascere il sentimento. Quasi come se in essa si riconoscessero gli antichi cori delle tragedie, questo personaggio sottolinea i momenti più drammatici dell’azione e, senza mai prendervi parte, ne rileva gli effetti nel suo cuore che spera e si dispera. In tal senso sembra esemplificare ciò che sentenzia un Coro dell’Antigone di Sofocle a proposito dei i danni delle vane speranze:  

L’espérance vagabonde peut être un profit pour beaucoup. Pour bien d’autres elle n’est qu’un piège formé de désirs étourdis. Et l’homme en qui elle pénètre ne comprend rien avant l’instant où il sent soudain sous son pied la brûlure du feu ardant13.

Questo Coro completa una scena in cui Ismene, incredula, accusa lo zio Creonte di voler distruggere il fidanzamento del figlio. Le riflessioni morali stanno quindi ad indicare che per Emone non c’è nulla da sperare, anche se, nella scena seguente, questi cercherà inutilmente di convincere il padre a non uccidere una ragazza stimata da tutti per la sua virtù.

Ora anche Rodrigue ha conquistato tutti per i grandi meriti e il raro senso dell’onore, ma resta pur sempre un suddito indegno dei sentimenti dell’Infanta. Eppure, malgrado i ripetuti avvertimenti di Léonor, la principessa non si rassegna e il motivo della speranza è ampiamente ricorrente nei suoi dialoghi con la confidente:

L’Infante / Léonor :

I.: Si l’amour vit d’espoir, il meurt avecque lui, / C’est un feu qui s’éteint faute de nourriture, / Si Chimène a jamais Rodrigue pour mari/ Mon espérance est morte et mon esprit guéri (I, 3, vv. 102-105)

I.: Ce qui va séparer Rodrigue de Chimène / avec mon espoir fait renaître ma peine. [...

[... malgré moi j’espère, / Et d’un si fol espoir mon cœur mal défendu / Vole après un amant que Chimène a perdu. (II, 5, vv. 511-512 e vv. 520-521)

L.: Si l’amour vit d’espoir, et s’il meurt avec lui, / Rodrigue ne peut plus charmer votre courage, / Puisqu’il faut qu’il y meure, ou qu’il soit son mari, / Votre espérance est morte et votre esprit guéri. (V, 3, v. 1610-1614)

I.: Mais plutôt quel espoir ne pourrais-tu défendre? (V, 3, v. 1616)

L’Infanta è vittima di una speranza “vagabonda” che alimenterà il suo sentimento, almeno fino a quando il matrimonio tra Rodrigue e Chimène non sarà celebrato. A niente valgono i consigli di Léonor, perché la principessa riprende a sperare ogni volta che l’unione tra i due amanti è minacciata, per esempio quando Rodrigue affronta ben due duelli, la prima volta contro il Conte e la seconda volta contro Don Sanche, altro pretendente di Chimène. L’idea che quest’ultima, già rimasta orfana per opera dell’amato, possa poi andare in sposa a Don Sanche, fa sì che l’Infanta si formi mille chimere che però non si tradurranno mai in azione.  

Imprigionata in una struttura corale, l’Infanta resta un personaggio imperfetto, scorporato dal resto dell’azione e, come Corneille stesso precisa, i suoi sentimenti non producono nessun effetto14. Il suo ruolo di innamorata è però secondario rispetto alla funzione che Corneille dichiara di averle assegnato, ovvero quella di interagire con Chimène che, dopo la morte del Conte, chiede al Re di punire Rodrigue. Ora che Chimène ha l’interesse della vendetta da difendere pubblicamente – ed un sentimento amoroso da nascondere – l’Infanta non può più essere la sua confidente ma unicamente la figlia del Re; e in sua presenza, Chimène può solo mostrarsi come un suddito che manifesta ostinatamente la sua ansia di giustizia15. In queste nuove circostanze l’una e l’altra sono costrette da un dovere superiore a nascondere il sentimento che entrambe provano per Rodrigue, anche se per Chimène non si tratta di amare una persona che non le si conviene bensì il suo acerrimo nemico.

Tuttavia quando Rodrigue assurge a difensore del regno, l’ostinazione di Chimène a volerlo far condannare diventa incompatibile con le esigenze di Fernand, che invece intende preservare la vita dei suoi eroi. Ancora una volta il re è artefice di una discriminazione, in quanto da una parte protegge Rodrigue e, dall’altra, sottovaluta la richiesta di giustizia dell’orfana di un suo consigliere. Il contrasto con Chimène pare replicare quello iniziale con il Conte, dato che in entrambi i casi si assiste ad un confronto tra difensori di un interesse personale e sostenitori della legge del re; in effetti nella situazione di partenza il re chiedeva al Conte di sottomettersi avvalendosi della mediazione di Don Arias, mentre nel secondo caso egli parla alla figlia del Conte attraverso la sua propria figlia.

Emanazione diretta del re, l’Infanta, smessi i panni della confidente di tormenti amorosi, prodiga i suoi consigli legittimisti a Chimène. Ecco quindi riemergere una seconda volta lo schema del confronto tra Antigone, tutrice dell’onore del sangue del suo sangue, e Ismene, più fedele alla legge del re che agli interessi privati. E se, come abbiamo dimostrato, in un primo momento Corneille si era servito del modello di Antigone per mettere in rilievo la fierezza indomita del Conte in opposizione ai consigli di Don Arias, ora è sul modello di Ismene che il drammaturgo conferisce all’Infante quel sentimento patrio che la rende superiore a Chimène.

Tra il confronto Chimène/l’Infanta e Antigone/Ismene esistono analogie di tipo morfologico, ma anche notevoli differenze. Per esempio le prime due non sono unite da alcun legame forte e non possono considerarsi l’una parte dell’altra. Per di più l’Infanta manifesta tutta la superiorità del suo rango e, a differenza d’Ismene, ha facoltà di convincere ad abbandonare le questioni d’onore perché lei stessa può ineccepibilmente illustrare le massime del regno e sottolineare ad un suddito quale Chimène che la patria è sempre un interesse superiore. Quindi l’Infanta non può parlare come Ismene, che si limita a schierarsi dalla parte della legge per paura di una punizione, ma all’occorrenza come portavoce del re. Non a caso sono piuttosto le massime di Creonte che tornano nei suoi discorsi:

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Certo gli enunciati di Creonte non appaiono in forma esplicita nei ragionamenti dell’Infanta, ma rappresentano una conclusione logica che Chimène – e il pubblico in sala – sono invitati a formulare. Unendo i primi due enunciati risulta che chi vendica un padre mettendo in pericolo la patria sta ribellandosi alla massima generale secondo cui un suddito non può amare qualcuno più di quanto possa amare il regno e il suo re. E passando agli altri due enunciati, l’Infanta non può sostituire il re e, come fa Creonte, promettere omaggi a chi offrirà devozione alla patria; ma può ricordare formalmente che un suddito si rende più illustre quando sacrifica allo Stato l’amore per la famiglia.

Questo intervento dell’Infanta a favore dei sudditi devoti al re è più che altro necessario a preparare il finale tragicomico del Cid: il re non promette protezione alle vendette personali contro gli eroi e impone a Chimène di rendersi illustre offrendo il suo dolore al bene del regno. Corneille troverà però il modo di riprendere il contrasto tra interesse pubblico e privato per ricollocarlo in azioni tragiche quanto quella dell’Antigone. Passando dal Cid a Horace, il dovere s’impone sugli affetti nella rappresentazione della morte di Camille, giovane donna punita dal fratello proprio per aver amato eccessivamente un nemico del regno. Ed infine in Cinna, Emilie e l’eroe eponimo sfiorano la pena capitale per aver congiurato contro l’imperatore Augusto in nome di una vendetta personale.

Presenze dell’Antigone in Horace e Cinna

Lo schema tragico di Horace può rivelare delle analogie con quello dell’Antigone: Alba e Roma sono in guerra per la supremazia dell’una sull’altra; per evitare uno spargimento di sangue la lotta fratricida si risolve tra campioni, i tre romani Orazi, e i tre albani Curiazi. Il romano Horace uccide gli avversari e non risparmia nemmeno Curiace, il fidanzato di sua sorella Camille che non si dà pace. Invece di esultare per la vittoria di Roma, Camille rivendica i suoi sentimenti e, come Antigone con suo fratello, si rende colpevole di piangere un nemico della patria. Horace la punisce ferendola a morte e commenta così il suo fratricidio:

Ainsi reçoive un châtiment soudain

Quiconque ose pleurer un ennemi romain!16

Ritorna così la massima di Creonte che è oltretutto ripetuta anche dal Vecchio Horace; difatti l’amore per Roma esorta questo padre a dichiarare che sua figlia è stata giustamente punita da Horace:  

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Anche il Vecchio Horace, come Creonte, ritiene che non si debba disconoscere la propria patria per amore di qualcuno, e precisa ulteriormente che amare i nemici sia addirittura un crimine.

Questo principio fu già di Sofocle e lo troviamo infatti in un confronto tra Antigone e lo zio Creonte, durante il quale si profila la condanna a morte della fanciulla. Scegliamo alcune battute che, messe a fronte di alcuni versi di Horace, mostrano come il modello sofocleo del re persecutore che si accanisce contro una vittima fiera e impavida abbia in realtà ispirato la scena dell’alterco tra Horace, tornato vincitore, e sua sorella Camille, che rivendica il fidanzato morto:

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Creonte chiede ad Antigone di affrancarsi dai legami con quel fratello che, anche se morto, si è reso nemico della patria. Per tutta risposta lei prende le distanze dal partito dell’odio e si vanta di preferire tutti i suoi morti, di rinnegare così coloro che le impongono di oltraggiare i sacri vincoli della famiglia. Sono istanze che si ripetono nel confronto tra Horace e Camille, benché la loro situazione sia ben più complessa. Difatti, se Creonte è estraneo alla morte di Polinice, Horace ha di fatto ucciso il fidanzato della sorella e, per colmo di orrore, pretende che quest’ultima lo cancelli dal suo cuore perché indegno di una romana. Camille ironicamente replica che l’accontenterebbe se solo avesse un cuore barbaro come il suo, in altri termini se come lui sapesse odiare al punto di uccidere un amico fraterno. Non sapendo recidere un giuramento d’amore per seguire un dovere per lei crudele, il suo unico desiderio è piangere il suo Curiace.

Schieratasi per l’amore illegittimo, Camille decreta la sua condanna, e così Horace le annuncia sarcasticamente che il suo desiderio di unirsi a Curiace sarà esaudito. Corneille non si discosta a questo punto dalla fonte storica da cui trae il suo soggetto, le Decadi di Tito Livio, e mutua quasi le stesse parole che il campione romano rivolge alla sorella. Seguendo l’esempio di Georges Couton, le riportiamo nella versione tradotta in francese da Blaise de Vigenère:

Va t’en doncques trouver ton époux avec ce hâtif et inconsidéré amourachement17.

Tuttavia nel drammatizzare questo momento, Corneille sfrutta l’analogia tra Horace e Creonte, e colora i versi del suo eroe con le stesse macabre immagini di amore e morte che Sofocle ha prestato al persecutore di Antigone:

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Creonte e Horace si trasformano in terribili carnefici e realizzano ciò che sia Antigone che Camille hanno più volte profetizzato: entrambe promesse spose, al posto di un matrimonio riceveranno una tomba ed effettivamente solo nella morte si ricongiungeranno ai loro amati18: Camille ritrova Curiace e Antigone sarà presto raggiunta da Emone, la cui morte esaudisce fatalmente e paradossalmente il desiderio di suo padre.

Peraltro anche Ismene vorrebbe seguire Antigone, dividere con lei le pene della morte piuttosto che continuare a vivere nell’orrore dei legami sconvolti dalla violenza. E la stessa idea perseguita Sabine, moglie di Horace e sorella dei Curiazi; come Camille, anche lei vive un dramma privato ma è pronta a morire pur di non prendere partito né con i vinti né con i vincitori, né con il marito né con i fratelli. Rimasta sola, con un marito che ha perso ogni misura uccidendole i fratelli e per giunta Camille, Sabine gli chiede di essere uccisa e poi, per punirlo, ripete la richiesta anche al re Tulle. Ma né Ismene né Sabine si sono rese colpevoli di crimini contro la patria o contro il sovrano e il loro desiderio di morire non può essere confuso con la punizione riservata ai complici dei nemici dello stato.

Il soggetto di Horace non permette di sfruttare fino in fondo il modello di Antigone e Ismene, due personaggi speculari accusati di un’azione contro il sovrano e per questo passibili di condanna a morte. Cinna offre invece a Corneille la possibilità di far culminare l’azione in una scena di intensa emozione tragica in cui due personaggi, dapprima rivali nel contendersi la gloria del supplizio ma coscienti poi di essere eguali nell’amore, offrono il petto al loro persecutore.

Non più due sorelle, ma due amanti, Emilie e Cinna sono alle prese con lo stesso schema d’Antigone: l’una ha un interesse privato da difendere e accusa di codardia l’altro che esita di fronte all’idea di violare la legge. Infatti Emilie vuole vendicare la morte del padre, ucciso dall’imperatore Auguste e, dimentica del fatto che costui l’ha in seguito adottata, ordisce una congiura e obbliga il fidanzato repubblicano Cinna ad ucciderlo.

La cospirazione è però scoperta, Emilie e Cinna sono in pericolo e, convocati da Augusto, si comportano in un primo momento come Antigone e Ismene a giudizio di Creonte. Corneille19. segue in parte Sofocle, in parte i suoi adattatori francesi20 e, per rendere l’idea delle affinità dei concetti espressi, ci affidiamo ancora al confronto con Garnier:

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Nel primo confronto, Ismene e Cinna vogliono proteggere l’una la sorella, l’altro l’amata, dichiarando di essere gli unici colpevoli. Nel secondo confronto, invece, le due sorelle e la coppia sembrano volersi disputare la gloria del supplizio; ma, a differenza di Antigone e Ismene, diventa prerogativa di Emilie e Cinna superare le rivalità, nella convinzione che due amanti debbano dividersi tutto, anche la stessa grandezza d’animo21. Un legame così forte esaspera il loro giudice che per un attimo mostra il volto del carnefice ed emana questo verdetto di morte:

Oui, je vous unirai, couple ingrat et perfide22.

Almeno fino a quando il colpo di scena della confessione di Maxime non capovolgerà la situazione, Auguste è del tutto intenzionato a punire i due amanti che hanno tramato contro di lui. E sarebbe stato un esecutore spietato quanto e più di Creonte ed Horace che avevano punito Antigone e Camille mandandole ad amare i lori morti. Con un’unica condanna, Auguste avrebbe potuto sacrificare due fidanzati, unendoli non nel matrimonio bensì nella morte. Maestro nell’arte della suspence, Corneille fa temere fino all’ultimo la vista terribile del sacrificio dei due amanti e induce lo spettatore ad immaginare uno spettacolo pietoso che in Sofocle è solo idealmente evocato attraverso la narrazione del suicidio di Emone, morto per unirsi ad Antigone.

La  scena in cui Emilie e Cinna appaiono davanti all’imperatore Augusto rappresenta per Corneille l’occasione di mostrarsi a tutti come il Sofocle francese. Crediamo infatti che Balzac lo insignisca di questo titolo non solo perché con Cinna il drammaturgo diventa “le roi de la tragédie”23, ma anche perché questa tragedia rappresenta l’espressione moderna del sentimento tragico che pervade il mito greco di Antigone.

Del resto tutta la tragedia corneliana è pervasa da presenze di Antigone, questa giovane donna che ama fino a morirne, ma senza tenerezze, senza passioni né furori tradizionalmente attribuiti alla natura femminile. Il suo amare la famiglia si confonde con la pietas e lei, anima fiera e tragica, si eleva a difesa dei suoi valori oltre le leggi degli uomini. Con la stessa grandezza fuori dal comune, i personaggi femminili di Corneille accettano senza compromessi il sacrifico della vita purché sia salvo il loro onore. Così Chimène antepone ostinatamente il dovere di vendicare un padre ad ogni altro interesse privato e pubblico, che sia l’amore o il bene dello Stato; Camille difende la sua scelta di amare e, come Antigone ma con audacia ancora maggiore, si espone alla punizione riservata a colui che si allea ai nemici della Patria; Emilie, poi, non abbandona la sua fierezza nemmeno quando, a cospetto dell’Imperatore che giudicherà le sue colpe, rivendica per sé l’onore del suo crimine chiedendo che Cinna non ne sia partecipe. In effetti Antigone fa altrettanto con la sorella Ismene, disdegnando la presenza di colei che, per aver esitato di fronte al dovere di seppellire il fratello, non è ai suoi occhi meritevole di una morte gloriosa.

Sull’esempio di Antigone le eroine di Corneille corrono al dovere e non temono la morte, anzi l’agognano quando è gloriosa. Peraltro il supplizio di Antigone non può non far pensare al martirio cristiano e già il Tasso doveva ricordarsene mentre integrava l’episodio di Olindo e Sofronia  alla Gerusalemme liberata, poema epico senza dubbio noto a Corneille24. In realtà il martirio di Olindo e Sofronia è calcato sulla storia di Teodora, raccontata da Sant’Ambrogio. Il Tasso ha però immaginato che i due martiri della Gerusalemme siano giudicati e condannati dal pagano Aladino, ed ha in tal senso ricreato una situazione simile a quella di Antigone e Ismene a giudizio di Creonte. A Corneille di certo non è sfuggito l’episodio tassiano, non solo perché ha tratto da Sant’Ambrogio il soggetto di Théodore, vierge et martyre, in cui il personaggio femminile eponimo ama Dio più del cristiano Didyme, ed è mandata al rogo insieme a lui, ma anche perché la sua tragedia ripropone una situazione simile a quella del giudizio di Antigone e Ismene. Tuttavia, al fianco della sua Théodore25 non c’è più una fedele sorella, ma un innamorato cristiano che tenta di preservarla dalle pene del martirio con parole che possono essere confrontate a quelle dell’ Olindo del Tasso26:

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Per i limiti di questo studio, non intendiamo riportare altri elementi di confronto che inducono a ritenere che Corneille si sia ispirato al Tasso. Ci sentiamo però di affermare che il poeta italiano ha per primo utilizzato l’episodio di Antigone e Ismene, pur costretto a trasformare ragionamenti della mite Ismene, propensa a condividere le pene della sorella, in istanze di sacrifico degne di un amante zelante e generoso, quale è Olindo, che intende morire al posto dell’amata. Forse quando Corneille ha elaborato l’episodio del giudizio di Emilie e Cinna doveva aver già in mente come il Tasso avesse sostituito lo spirito di sacrifico che anima la coppia di due sorelle con il sentimento che unisce due innamorati che lottano per la salvezza dell’anima. E’ probabilmente dal Tasso che Corneille ha appreso ad adattare anche a personaggi maschili situazioni, discorsi e concetti di Antigone e Ismene. Del resto, questo procedimento è replicato ancora una volta in Héraclius, in cui l’eroe eponimo e Martian formano una coppia di amici fraterni perseguitati e giudicati come lo sono Antigone e Ismene.

La grandezza di Antigone è amplificata dal suo essere una fanciulla. Nelle raccomandazioni di Ismene e nelle minacce di Creonte, è ribadito a più riprese che è follia per una donna sfidare le leggi dei potenti. Ma al di là della problematica femminile, è il senso del dovere, è la strenua difesa di un principio assoluto che interessa Corneille; e il drammaturgo ne farà i principi dominanti dei suoi personaggi maschili e femminili. Non a caso le sue eroine tutte virtù non mostrano le fragilità così naturali al “sexe faible”, non vivono fatalmente la sfortuna ma, lottando tra sentimenti e interessi superiori che spezzano ogni legame di sangue, d’amore e d’amicizia, ottengono l’ammirazione commossa dello spettatore. Dalla “Querelle du Cid” fino ai Commentaires sur Corneille di Voltaire nel XVIII° secolo, passando per le Dissertations di D’Aubignac, Corneille è stato accusato di aver fatto dei suoi personaggi femminili delle virago fredde e insensibili, appassionate solo di doveri e alta politica. Ma si sa, questi personaggi calcano figure femminili illustri e Corneille, fiero come le sue eroine, ha proseguito nella strada che gli era stata aperta da Sofocle. E, proprio quando l’estetica del sentimento s’impone con le tragedie di Racine, Corneille chiude la sua carriera con un ritorno alla struttura dell’Antigone; Suréna, come a suo tempo Le Cid, tornerà ad infiammare gli animi attraverso la rappresentazione della condanna di un innocente, perseguitato per aver difeso le i principi di un amore assoluto a dispetto delle leggi degli uomini.


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Elena Garofano, " Presenze di Antigone e Ismene nelle prime tragedie di Corneille ", Publif@rum, 2, 2005

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1 Riassumiamo i passaggi essenziali dell’azione: Antigone, sorella di Eteocle e Polinice, governanti di Tebe, è promessa sposa a Emone, figlio di colui che è di fatto lo zio di Antigone, Creonte. A seguito di una lotta fratricida, Eteocle e Polinice muoiono, Creonte diviene il nuovo re e ordina di non dare sepoltura a Polinice, come si confà ai nemici di stato. Si dolgono di questa legge Antigone e Ismene, uniche figlie superstiti di Edipo, ma solo la pietosa Antigone s’incarica di seppellire il fratello restituendo così gli onori che appartengono al suo proprio sangue. Malgrado le sagge raccomandazioni di Ismene, Antigone trasgredisce la legge per lei ingiusta ed ha solo il tempo di rimpiangere un matrimonio che non ci sarà perché lo zio-re, nonché suocero mancato, la seppellirà viva. Pertanto la violenza della punizione a lei inflitta sconvolge la città di Tebe ed ancor più la famiglia reale. Difatti Creonte sarà a sua volta punito per aver privato Emone della propria amata: assisterà prima al suicidio di quest’ultimo e poi a quello della moglie, disperata per aver perso suo figlio.
2 Cf. FORESTIER, G., Essai de génétique théâtrale. Corneille à l’œuvre, Paris, Klincksieck, 1996, pp. 109-123.
3 CORNEILLE P., Discours du poème dramatique (1660), [in Œuvres complètes, III, G. Couton éd., Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, 1987, p. 151.
4 Con questo appellativo viene salutato Corneille all’indomani del successo di Cinna. Cf. FORESTIER, G.,  op. cit., pp. 31 e 37.
5 FORESTIER, G.,  op. cit., pp. 45 e 46.
6 Nell’ “Avertissement” del Cid (1648), Corneille spiega che in questa pièce si ritrovano le due condizioni primarie che Aristotele richiede nelle tragedie: la prima prevede che colui che soffre ed è perseguitato sia un innocente caduto in disgrazia per debolezza e non per aver commesso un crimine; la seconda impone che il primo attore sia in pericolo di vita perché perseguitato non già da un nemico o da un estraneo, ma “d’une personne qui doive aimer celui qui souffre et en être aimé”, cf. CORNEILLE P., Le Cid 1637-1660, Georges FORESTIER éd., Paris, Société des Textes Français Modernes, 1996, p. 115. Il riferimento al sentimento tragico che scaturisce dal caso specifico di Chimène è più esplicito nell’ “Examen” del 1660: “Une Maîtresse que son devoir force à poursuivre la mort de son Amant, qu’elle tremble d’obtenir, a les passions plus vives et plus allumées, que tout ce qui peut se passer entre un mari et une femme, une mère et un fils, un frère et une sœur; et la haute vertu dans un naturel sensible à ses passions qu’elle dompte sans les affaiblir et à qui elle laisse toute leur force pour en triompher plus glorieusement, a quelque chose de plus touchant, de plus élevé, et de plus aimable, que cette médiocre bonté, capable d’une faiblesse et même d’un crime, où nos Anciens étaient contraints d’arrêter le caractère le plus parfait des Rois et des Princes […”, cf. CORNEILLE P., Le Cid 1637-1660, cit., p. 122.
7 Le Cid, tragi-comédie (1637),  I, 4, v. 208 [in] CORNEILLE P., Le Cid 1637-1660, cit. Benché il nostro studio riguardi essenzialmente le tragedie, ci riferiamo, per ogni citazione, alla tragicommedia del 1637, il cui testo originale è da noi adattato al francese odierno. Quando la pièce è rinominata tragedia (1648), il testo non subisce sostanziali modifiche e riporta le stesse influenze dell’Antigone che si riscontrano nella versione tragicomica.
8 Antigone, [in] SOPHOCLE, Tragédies complètes, Paris, Gallimard, 1973, p.86. Per facilitare un confronto intertestuale con le pièces di Corneille, le nostre citazioni si avvalgono di questa edizione in francese.
9 Abbiamo approfondito i riferimenti all’ Antigone circa l’episodio del Conte e di don Arias in GAROFALO E., La Sentence dans le théâtre du XVIIe siècle : les tragédies de Pierre Corneille (1635-1660), ANRT, Lilles, 2003, coll. « Thèse à la carte 36051 », pp. 353-356. Riferimento : www.anrtheses.com.fr.
10 Secondo Corneille, la morte del Conte non deve suscitare la compassione che è invece riservata al primo attore, cioè Rodrigue: «L’indignité d’un affront fait à un vieillard, chargé d’années et de victoires, les [les Auditeurs jette aisément dans le parti de l’offensé, et cette mort qu’on vient de dire au Roi tout simplement, sans aucune narration touchante, n’excite point en eux la commisération qu’y fait naître le spectacle de son sang, et ne leur donne aucune aversion pour ce malheureux Amant, qu’ils ont vu forcé par ce qu’il devait à son honneur d’en venir à cette extrémité, malgré l’intérêt et la tendresse de son amour.» Examen du Cid (1660), [in CORNEILLE P., Le Cid 1637-1660, cit., p. 131.
11 Le Cid,  cit., I, 7, v. 305.
12 SOPHOCLE, Antigone, cit., p. 107
13 Ibidem, p. 106.
14 Cf. L’ « Examen » d’ Horace (1660), [in CORNEILLE P. Œuvres complètes, I, cit., p. 841.
15 Cf. l’ « Avertissement » del Cid (1648), [in CORNEILLE P., Œuvres complètes, I, cit., p. 694 e il Discours du Poème dramatique (1660), [in ibidem, III, p. 133.
16 Horace, tragédie (1641), IV, 6, vv. 1321-1322, [in CORNEILLE P., Œuvres complètes, I, cit. Ogni citazione è riferita a questa edizione.
17 Cf. CORNEILLE P., Œuvres complètes, I, cit., nota 2, p. 1559.
18 Un sogno e un oracolo preannunciano il destino tragico di Camille che, come Antigone o Ifigenia, conosce la morte al posto del matrimonio. La relazione con i due miti è per questo aspetto già stata individuata da Jean-Yves Vialleton nel suo eccellente commento di Horace. Cf. CORNEILLE P., Horace, par J.-Y. Vialleton, Paris, Nathan, 1991, coll. « Balises », pp. 23-24.
19 Ci riferiamo all’edizione di Cinna, tragédie (1643) presente in CORNEILLE P., Œuvres complètes, I, cit.
20 Rimandiamo anche a ROTROU J. de, Antigone, IV, scena 4, [in] Idem, Théâtre complet, II, Bénédicte Louvat éd., Paris, Société des Textes Français Modernes, 1999.
21 Cf. CORNEILLE, Cinna, Hubert Curial éd., Paris, Hatier, 1991, coll. « profil littérature », p. 60.
22 Cinna, cit., V, 2, 1657.
23 Con questa espressione, Georges Forestier esplicita il significato dell’appellativo di “Sophocle” che Balzac ha conferito a Corneille. Cf. CORNEILLE, Cinna, Georges Forestier éd., Paris, Gallimard, 1994, coll. « folio classique », p. 12.
24 Per uno studio sull’influenza del Tasso su Corneille rimandiamo al nostro lavoro La Sentence dans le théâtre du XVIIe siècle, …, cit., pp. 349-379.
25 Cf. Théodore, vierge et martyre, tragédie chrétienne, O.C., II, cit., pp. 267-243.
26 TASSE (Le), La Jérusalem délivrée, Charles-François LEBRUN trad., Françoise GRAZIANI éd., Paris, G. F. Flammarion, 1997, V, 46, p. 125-126. Per la scelta della versione in francese, rimandiamo alla nota 5.