Lombroso e i fantasmi della scienza

Alessandra Violi, Università di Bergamo

Nel 1910, il sociologo Gustave Le Bon presenta ai lettori francesi l’ultimo testo scritto da Lombroso, uscito postumo nel 1909. Lo studio ha per tema le Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici e documenta, con l’intero armamentario di fatti, cifre e testimonianze tipico dell’indagine positivistica, l’esistenza di fantasmi, materializzazioni luminose, ectoplasmi, di cui Lombroso stesso è stato spettatore nel corso di innumerevoli sedute spiritiche. Il commento di Le Bon su quella che appare come una deriva di Lombroso nell’irrazionale è lapidario: “Dal momento in cui iniziò a studiare i fenomeni spiritici, la sua scienza svanì e venne sostituita da una credulità infinita”1 .

L’interesse di Lombroso verso lo spiritismo risale in effetti a molti anni prima, e sembra aver assunto la forma di una vera e propria svolta nel suo orientamento epistemologico. Negli Studi sull’ipnotismo del 1886, pur accreditando fra i sintomi dell’isteria o della neuropatia fenomeni quali la trasmissione del pensiero o la magnetizzazione, egli interviene una prima volta sulla questione per negare recisamente ogni credenza in quelli che definisce “gli spiriti delle specchiere e delle poltrone”, sottolineando il carattere atavico di queste superstizioni magiche: “ricordatevi che con ciò ritorniamo al Totem, al Feticcio”2 . Due anni dopo, lo spiritista napoletano Enrico Chiaia lo invita pubblicamente, tramite la stampa nazionale, a prendere parte a una seduta spiritica, ciò che avverrà nel 1891 a Napoli inaugurando un rapporto fra Lombroso e la medium Eusapia Palladino destinato a produrre, oltre alle molteplici séances che li vedranno protagonisti (17 solo nel ’92 a Milano), la ‘sostituzione’ cui fa riferimento Le Bon, ossia il passaggio dall’ambito della scienza a quello dell’occulto, dal fatto positivo al fatto magico.

Più che di una sostituzione, e dunque di un Lombroso transfuga dal positivismo, credo sia più opportuno parlare in realtà di una ‘torsione’ interna a quello stesso sapere positivistico di cui Lombroso si è fatto interprete e promotore; non si tratta cioè di uno scivolamento dello scienziato verso la dimensione fantastica dello ‘spettrale’, ma dell’emergere di un immaginario già inscritto nel progetto delle scienze positive, un immaginario che Lombroso spinge alle estreme conseguenze dandogli appunto i contorni e il carattere di una rivelazione fantasmatica.

La sua operazione si inserisce d’altronde in un orizzonte medico-scientifico di fine secolo già prepotentemente segnato da questo doppio registro. In Inghilterra, sin dal 1882 la Society for Psychical Research (SPR, alla quale aderirà anche Lombroso) si prefigge di raccogliere e classificare con pieno rigore ‘positivo’ le manifestazioni spiritiche, fra le quali include anche le comunicazioni telepatiche che collegano i cervelli dei viventi, rendendoli dunque inevitabilmente luoghi spettrali abitati dal fantasma dell’altro. Nasce da qui quello che potremmo chiamare un primo grande ‘archivio’ dei fantasmi, ossia il gigantesco compendio Phantasms of the Living (1886), una raccolta di oltre settecento testimonianze sui ‘fantasmi dei viventi’ curata da Edmund Gurney, Frederic Myers e Frank Podmore, a cui farà riferimento anche Lombroso nelle sue Ricerche ipnotiche e spiritiche segnalando il valore iniziatico di questa indagine per l’elaborazione di un diverso archivio di tracce spettrali, vale a dire quelle della morte: “se i fantasmi dei viventi rendono inutili quelli dei morti, li rendono anche possibili”.3

Anche in Germania, con le ricerche psicologiche di von Schrenck-Notzing4 , e in Francia i fenomeni di ipnosi o telepatia ricevono un’analoga spiegazione orientata a enfatizzare il loro carattere fantasmale, ed è soprattutto la medicina a operare su un doppio registro, individuando nell’isteria la condizione che permette la reversibilità tra fatto positivo e fatto magico. Il corpo isterico, poiché più suscettibile allo scambio telepatico, può in altre parole rovesciarsi in un corpo medianico, capace di produrre e manifestare ectoplasmi. Valgano per tutti due esempi di questa ‘torsione’ dalla patologia all’occulto: quello di Charles Richet, professore di fisiologia alla Facoltà di Medicina di Parigi (e membro dell’SPR), che dall’indagine sul corpo isterico sotto ipnosi giunge agli esperimenti medianici e alla materializzazione del fantasma di Bien Boa (fig. 1), che vediamo in una fotografia del 1902 ripresa da Lombroso nel testo del 1909; e quello, forse oggi meno noto ma più illuminante nei suoi risvolti, di Albert de Rochas, ingegnere e amministratore dell’Ecole Polytechnique, che nel corpo isterico ricerca soprattutto il “fantasma della sensibilità”, la veste di luce che ogni corpo emana come suo doppio spettrale (e che in questo fotomontaggio di Paul Nadar – fig. 2 – vediamo attorniare lo stesso Rochas): così descrive il fenomeno Lombroso nelle Ricerche Spiritiche: “la sensibilità del paziente si trasporta, come un abito sul mannequin, su una specie di fantasima che può allontanarsi sotto gli ordini del magnetizzatore e attraversare ostacoli materiali conservando la sua sensibilità”5 . Sono solo due esempi, indicativi però di tutto un clima all’insegna del meraviglioso, che non risparmia, come ormai sappiamo, nemmeno Charcot e la Salpêtrière. Qui, da tempo è stata riabilitata la teoria dei fluidi invisibili di Mesmer, ciò che da una parte ha incentivato quel connubio fra medici e magnetizzatori da palcoscenico che vedrà coinvolti, come documenta Clara Gallini, anche Lombroso e il popolare mesmerizzatore Donato6 ; e dall’altra, ha dato impulso a tutta una serie di ricerche sugli effluvi energetici del corpo, tra cui ricordiamo ad esempio quelle dell’allievo di Charcot, Jules-Bernard Luys, finalizzate a catturare i fluidi luminosi rilasciati dal corpo, in altre parole i suoi fantasmi, definiti col termine ‘aura isterica’, che in questa testimonianza fotografica dello stesso Luys (fig. 3) si vede promanarsi dalle dita di un paziente7 .

Fig. 1 : Fantasma di Bien Boa (in LOMBROSO, C., Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici, Torino, 1909, Fotografia).

Fig. 2 : Ritratto di Albert de Rochas e simulazione della sua aura (Paul Nadar , Parigi, 1896. Fotografia)

Fig. 3 : Aura fluidica da una mano (Jules-Bernard Luys, 1897, Fotografia)

Fig. 4 : Seduta spiritica di Camille Flammarion con Eusapia Palladino (H. Mairet, 25 Novembre 1898. Fotografia)

È chiaro che l’ingresso di Lombroso dentro questo orizzonte produce per certi versi un effetto dirompente, dal momento che il prestigio e l’autorevolezza associati al suo nome sembrano offrire una sorta di imprimatur alla cultura dello spettrale. Già nell’88, la notizia del suo interesse per lo spiritismo fa il giro del mondo suscitando grande scalpore; un articolo da lui pubblicato nel 1906 sui Fenomeni spiritici genera in poco tempo in Italia una voga medianica senza precedenti, testimoniata dagli articoli del giornalista Luigi Barzini, inviato dal Corriere della Sera a partecipare alle sedute di Lombroso con Palladino per poi darne ampia divulgazione pubblica8 . Nel circuito scientifico internazionale, le emanazioni spiritiche prodotte da Eusapia Palladino, poichè accreditate da Lombroso, divengono oggetto di un’attenzione spasmodica: dal ’91, anno della prima séance con Lombroso, al ’98, la loro ‘evidenza’ è testimoniata in una corvé di sedute che fra Parigi, Cambridge, Roma, Monaco, Varsavia…coinvolgono, fra gli altri, Myers e Oliver Lodge della SPR, Richet e Albert de Rochas, il medico von Schrenck-Notzing, ma anche astronomi come Camille Flammarion, che qui (fig. 4) vediamo con Palladino a Parigi nel 1898 fra luminescenze spettrali e levitazioni di oggetti (ossia fra “gli spiriti delle specchiere e delle poltrone”).

C’è un primo dato, a proposito di queste séances di fine secolo, che illustra bene il paradigma di reversibilità operante nelle scienze positive, e cioè che a dispetto del rito esoterico o mondano tramandatoci da fotografie come quella di Flammarion, lo spazio della seduta spiritica è divenuto in realtà analogo a un laboratorio sperimentale, provvisto di apparecchi radiometrici, elettroscopi, dinamometri, lastre fotografiche. Lombroso stesso ribadisce d’altronde il versante positivo e sistematico dell’esperimento medianico, accumulando cifre, misure, tracciati meccanici sulla fisiopatologia di Eusapia Palladino durante la trance9 . Il metodo-scientifico sperimentale è in altri termini continuamente rivendicato, e ruota precisamente attorno a quella retorica della traccia visiva come segno rivelatore su cui poggia gran parte del modello indiziario del positivismo. Le tracce, come ci insegnano i corpi fisiognomici di Lombroso – fotografati, misurati, scomposti fin nel minimo indizio – sono lo strumento per accedere all’invisibile della materia, sono la sua interiorità oscura che si manifesta come esterno, scrivendosi sulla pelle.

È lui stesso a dirci allora che i corpi ipnotizzati, e dunque sprofondati nella trance come quello del medium, “ci offrono come l’autopsia delle singole facoltà della psiche”10 : il corpo del medium offre cioè un accesso alla morte (autopsia), ma dalla prospettiva della vita: è un corpo che può ‘fare il morto’ solo perché è vivo. Nel medium la morte si rende perciò visibile nella vita, nei suoi segni vitali, il che significa che quel corpo presenta già la struttura dello spettrale: la morte che ritorna come vita, come insieme di tracce che posso registrare, misurare, catalogare, e che mi consentono, dando una forma al fenomeno, di possederlo. Prima ancora che negli ectoplasmi e nelle apparizioni, lo scienziato trova così la logica della rivelazione fantasmatica nel corpo stesso del medium, e nei ‘tracciati’ meccanici che già ne fanno apparire gli ‘spettri’, disegnando una fisiognomica dell’invisibile. In quest’ottica, l’indagine spiritica non interviene a sostituire il positivismo, ma al contrario ne realizza la massima ambizione: rendere visibile, narrabile, la morte come processo ‘vitale’ che attraversa la materia. Lombroso conclude le sue Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici parlando non a caso di una “biologia degli spiriti”, di cui abbozza le prime linee intendendola come la sfida più alta del suo metodo positivo11 .

Una volta riconosciuta questa premessa, la struttura della séance risulta allora singolarmente come sdoppiata en abîme. Allo scienziato di fine secolo che reclama tracce visibili, fatti positivi, non basta più la generica rivelazione medianica che caratterizzava, ad esempio, le sedute spiritiche degli anni 1850, ma occorre che il medium produca un intero repertorio iconografico degli spettri. I fenomeni tipici delle prime séances, fatti di luminescenze vaghe o dei contorni sfumati di arti fantasma, subiscono dunque una vertiginosa amplificazione: il testo di Lombroso passa in rassegna casi di materializzazioni di corpi, appendici neoplastiche, calchi di mani e di volti, impronte fotografiche, busti, quadri, ritratti, apporti, scritture litografiche… . Nel commentarli, insiste a più riprese sulla materialità di queste immagini, sul fatto che esse creino fisicamente il corpo della morte; le materializzazioni sono ad esempio descritte come “creazioni ex novo, […] forme più o meno organizzate, aventi i caratteri fisici da noi assegnati alla materia”; gli arti fantasma “sono ordinariamente mani, braccia, spalle, e anche teste che […] sembrano i pezzi di una creatura che si stia formando”; le mani spettrali hanno “i caratteri delle membra di una creatura vivente: se ne sentono la pelle, il tepore […] e se si afferrano si prova l’impressione di mani che si dissolvono, che sgusciano via, quasi fossero composte da sostanze semifluide”12 .

Le forme della rivelazione occulta devono in altri termini essere speculari a quelle della rivelazione positivistica, con il medium chiamato a ricalcare la passione per le tracce propria dello scienziato. Ma chiaramente, è grazie a questa specularità che lo spazio della séance diviene oggetto di un reinvestimento immaginario senza precedenti, dove il fatto magico cresce in misura esponenziale rispetto al bisogno spasmodico di fatti positivi, e il medium diventa sì il doppio dello scienziato ma nel senso che dispiega (o, anche qui, rivela) il rovescio fantastico del suo progetto, pur mantenendo intatta la possibilità di una duplice credenza (nel fatto e nell’occulto).

Il corpo del medium è in effetti, come in parte è già emerso, l’altro elemento su cui occorre soffermarsi per capire quale sia la posta in gioco complessiva dell’appello positivistico ai fantasmi; e anche in questo caso si tratta di un dato che prescinde dalle sue manifestazioni spiritiche, sebbene le renda per certi versi quasi inevitabili. In questo corpo ritroviamo infatti sintetizzata un’intera visione della materia come vasto sistema di energia radiante, regolato dal principio dell’elettromagnetismo e dal paradigma dell’etere come conduttore di onde luminose e sonore. È l’immagine di un gigantesco organismo cablato, interamente percorso da fili nervosi su cui viaggiano le impressioni sensoriali, che raggiungono i nervi della macchina umana fino a farli vibrare, producendo in tal modo il pensiero: “noi siamo – scrive Lombroso nei Nuovi studi sul genio (1902) – come il filo elettrico che trasmette il segno, ma che non avverte cosa questo segno significhi, né cosa dirà combinato con altri segni. Noi trasmettiamo una sensazione al cervello, e questa viene elaborata, trasformata in pensiero. L’uomo, insomma, è una specie di medium del cervello”13 .

È dentro a questo orizzonte teorico, comune al tempo alla fisiologia così come alla fisica o alla chimica, che diventa possibile pensare il contatto e l’azione a distanza come fenomeni intrinseci al lavoro della materia, anziché come eventi occulti. In The Unseen Universe (L’universo invisibile) del 1875, i fisici Balfour Stewart e P.G. Tait interpretavano già l’etere come “un modo in cui l’universo conserva una memoria del passato”: ogni evento, esperienza, sensazione resta come registrata, impressa nelle onde luminose della materia, poiché, dicono, “si producono e si conservano fotografie continue di ogni avvenimento”.14 Nel 1884, il matematico Charles Howard Hinton riprende questo immaginario sulla conservazione dell’energia in A Picture of our Universe (Un’immagine del nostro universo) paragonando questa volta l’etere a un fonografo cosmico, che funge da interfaccia fra la terza e la quarta dimensione.15 L’etere è dunque un grande archivio di tracce invisibili, una cripta in cui si conservano le impronte sensibili del passato, simili a fantasmi pronti a manifestarsi di nuovo, intimi seppure distanti: la telepatia non è altro che questo, un tele-pathos, un’intimità che si riproduce a distanza nel tempo e nello spazio.

Che ruolo svolge allora il corpo del medium in questo contesto? Da una parte, la sua propensione alla trance ipnotica lo colloca tra le forme più pericolose di vicinanza alla materia. È lo stesso pericolo che Lombroso ravvisa nelle epidemie di suggestione collettiva scatenate dai magnetizzatori, e nelle patologie nervose che accomunano gli isterici e i geni ipersensibili: ovunque, il puro esercizio della macchina nervosa è un chiaro segnale di atavismo, una regressione a stadi primitivi della materia di cui questi soggetti mantengono la memoria impressa nel sistema nervoso: “nei fenomeni del trance – scrive nelle Ricerche – domina supremo l’automatismo […] il trance medianico è un vero equivalente isterico, come l’estro geniale è per me un equivalente dell’accesso psichico epilettico, sopra un fondo nevrotico e morboso” . Per spiegare la loro telepatia, non è dunque necessario, sosteneva Lombroso negli Studi sull’ipnotismo dell’86, ricorrere a “intervalli sopra-sensibili”, anzi, è “abbassandoci al livello degli animali” che possiamo incontrare queste specie di macchine-insetto, puri apparecchi di registrazione senza pensiero né coscienza.16

È questa stessa regressione primitiva a garantire però, d’altra parte, che il corpo del medium dia luogo a una straordinaria tecnologia dello spettrale: quel corpo telepatico, proprio perché ridotto a una lastra sensibile, diventa una macchina fotografica dove tutto il passato della materia, cioè tutto ciò che è morto ma che continua a sopravvivere invisibile nell’etere, tornerà a farsi immagine. Lombroso cerca addirittura conferma di questa corporeità in cui si annodano primitivismo e tecnologia nei resoconti etnografici del tempo, trovandola nella relazione dell’antropologa Mary Kingsley Sulle forme delle apparizioni nell’Africa Occidentale (1898), che puntualmente cita nelle Ricerche: “probabilmente il sistema nervoso più sensibile fa vedere a loro [i primitivi] cose che noi, più ottusi, non vediamo. La loro è una lastra fotografica più perfetta, ove più facilmente si imprime il mondo dell’oltre-tomba”.17

Nel fenomeno della seduta spiritica, non ci troviamo allora di fronte a una mera evocazione di fantasmi (dell’oltre-tomba), ma al desiderio, tutto positivistico, di una sorta di panopticon delle cose morte, una visione totale delle loro tracce o impronte, e questo non perché esse ritornino, come avviene ad esempio per il collezionista o l’archivista, in qualità di esperienze inerti da rianimare; al contrario, la séance serve appunto a conferire loro la ‘vitalità’ dello spettro e l’immediatezza del suo tempo paradossale, capace di essere insieme passato (distante) e presente (intimo).

Il medium fotografico risponde precisamente a questo bisogno, come già aveva intuito Félix Nadar quando, nel 1855, sceglieva di tematizzare il processo della traccia fotografica attraverso la figura di Pierrot (Têtes d’expression de Pierrot), ossia il fantasma bianco che un’intera tradizione, prima pittorica e poi letteraria, aveva eletto a emblema della morte che ritorna come presenza fra i vivi.18 Più vicino a Lombroso, è il cinema a farsi equivalente della séance e della sua capacità di mettere, per così dire, l’archivio della morte in movimento. Il procedimento ci è questa volta illustrato in uno dei primi esempi di cinematografia medica, il film La neuropatologia, realizzato dal neurologo Camillo Negro e proiettato per la prima volta a Torino nel 1908 per un pubblico di curiosi e soprattutto di addetti ai lavori, fra i quali lo stesso Lombroso. Il film documenta un esperimento di ipnosi su una paziente isterica, ma ciò che risulta interessante è un fotogramma anomalo, su cui ci informa Alberto Farassino in un’analisi del cortometraggio: è il dettaglio di occhi di donna (l’isterica-medium), nella cui pupilla si scorgono riflessi la cinepresa e l’operatore che la fa funzionare. 19 Il documentario positivistico sembra così consegnare a questo dettaglio il suo immaginario magico: quel corpo divenuto tutto occhio, pupilla, raffigura il processo stesso della macchina da presa come una proiezione di fantasmi interiori, in altre parole una séance che è diventata addirittura collettiva. Un giornalista testimone dell’evento riferisce infatti dell’inquietudine dei presenti di fonte a un “bianco schermo cinematografico, tramutato in una verticale tavola anatomica”20 :lo schermo bianco è cioè l’interno del corpo medianico esibito come esterno, l’“autopsia”, come la chiamava Lombroso, delle tracce che vi si sono impresse, e che ora riacquistano una vita postuma, spettrale.

Nella seduta spiritica, che, va ricordato, prevede oltretutto sempre un’architettura giocata sugli ‘interni’ – il gabinetto medianico si trova di norma dentro una casa, e a sua volta contiene una tenda che ricrea la struttura di un interno – tutto lo spazio diventa questo schermo di proiezione anatomica, dove l’attività medianica di Eusapia Palladino e di altre medium attiva un processo tecnologico di cattura, archiviazione e infine resurrezione delle tracce passate. Anzi, con Palladino partiamo addirittura dalla forma antesignana della fotografia, ossia il calco, altra passione del positivista alla ricerca di impronte leggibili del corpo, nonché da sempre, nella tradizione, maschera della morte. Ecco allora lo straordinario fenomeno, documentatoci dalle immagini di Lombroso, dei calchi di impronte di mani e volti rilasciate dai fantasmi (fig. 5), quelle stesse mani e quegli stessi volti che la scienza scrutava (pensiamo a Galton, oltre che allo stesso Lombroso) alla ricerca di indizi inequivocabili dell’identità. Sono dei “bassorilievi”, spiega Lombroso, ottenuti da Palladino durante la trance posando semplicemente la sua mano su una cassa sigillata contenente al suo interno argilla, creta o plastilina: la medium diceva “è fatto”, e, racconta Lombroso, “si schiudeva la cassa e si trovava l’impronta incavata o della mano o della faccia di un essere la cui espressione fisiognomica oscillava fra la vita e la morte”.21(fig. 6) Notiamo come in realtà i tratti fisiognomici dei fantasmi riproducano, lombrosianamente, un confine ben diverso, ossia quello fra animalità e umanità già tipico dei volti primitivi. Ad uno scultore spettava poi il compito di cavare i rilievi dalle impronte, ottenendo con ciò un perfetto trasferimento della materia dall’invisibile (l’incavo, il negativo) al visibile (il rilievo, il positivo). Le impronte catturate dalla medium si trasferiscono poi sulla lastra fotografica (fig. 7), oppure si manifestano sotto forma di fotografie, ossia quali immagini piatte e bidimensionali. Lombroso è, a dire il vero, perfettamente consapevole del carattere artificiale di queste immagini, che giustifica tuttavia con l’intervento del medium, il quale presta al fantasma l’iconografia che già possiede: “in queste di Imoda – scrive – compaiono sotto forma di busti, di quadri e ritratti”.22

Ma le impronte scultoree o fotografiche dei corpi sono ancora dei segni inanimati, sebbene tridimensionali (le prime) e vividamente realistiche (le seconde). Lo stadio successivo della rivelazione è dunque una sorta di passaggio, questa volta mobile, della materia dall’invisibile al visibile, dall’informe alla forma, e dalla dimensione del tempo a quella dello spazio. È un processo che Lombroso chiama moulage vivente, e che descrive in questi termini: il gabinetto medianico appare vuoto, e la tenda che lo protegge è “gonfia e vuota. Ciò che da una parte sembra il rilievo di un corpo umano che si muova coperto dalla tenda, dall’altra parte è una cavità nella stoffa, un moulage”.23 Assistiamo qui a una forma prodotta e gonfiata dal vuoto, cioè a un corpo che è pura impronta nell’etere, pura aura, ossia un tessuto di aria luminosa, colto nel momento in cui si fa traccia visibile. La metamorfosi in traccia comporta anche un divenire tempo dello spazio: è Lombroso stesso a osservare come lo spazio della séance sembri assumere “quattro o più dimensioni” e come “si capovolgono in questo nuovo spazio anche le leggi che governano il tempo”.24 Scegliendo il moulage vivente come struttura di questo capovolgimento, Lombroso sembra però suggerire anche di più, e cioè che l’altrove non è un’altra dimensione, ma, simile alla frontiera che separa l’esterno della tenda dal suo interno (il rilievo dalla cavità), l’altrove è semplicemente la piega, la struttura reversibile di un’unica superficie unilaterale e continua.

Gli ectoplasmi veri e propri, ossia le aure mobili e luminose che si proiettano dal corpo medianico, sono per l’appunto la sintesi di questa reversibilità della materia. Significativamente, Lombroso non chiama gli ectoplasmi ‘fantasmi’, termine che peraltro usa nel descrivere genericamente il fenomeno delle apparizioni, ma invariabilmente ‘fantasime’, con una scelta peculiare nei confronti del genere femminile che sembra suggerire la loro parentela con tutta un’altra serie di sostantivi che portano lo stesso genere: materia, sensibilità, impronta, aura, oltre, ovviamente, alla morte

Rifacendosi agli studi di Rochas, Lombroso definisce la fantasima una “esteriorizzazione della sensibilità” del medium, un “sensibile soffio”,25 che si presenta inizialmente nella medium con la sensazione di essere “ricoperta da tele di ragno”26 :è la tela dei nervi, con tutto il loro carico di impronte passate, e dunque di tracce memoriali, che si manifestano come un’aura, un doppio esterno. Nell’invadere lo spazio, questa interiorità acquista però anche un’esteriorità, una pelle: è, dice sempre Lombroso, il corpo dell’etere, più volte paragonato a una stoffa che si avviluppa in pieghe: “vengono le fantasime rivestite da un tessuto bianco finissimo, alle volte duplice, triplice o anche quadruplice”27 (fig. 8). Vi domina cioè precisamente la struttura della piega, che unisce interno ed esterno, qui e altrove, passato e presente, morte e vita. Nelle volute degli ectoplasmi, sembra così realizzarsi l’utopia positivistica di un’impronta totale, un moulage vivente del corpo dell’universo, che oltretutto, grazie alla tecnologia della medium, non si limita a ritornare in immagine, come nella fotografia, o ad acquistare proprietà cinematiche, ma si ricrea come un doppio sensibile, offrendosi perciò quale esperienza non solo visiva ma multisensoriale. Lo spazio della séance, lo ricordiamo, va infatti ben al di là del bianco schermo cinematografico che presuppone una distanza tra lo spettatore e la scena anatomica, perchè quello spazio è già l’anatomia di quel corpo, che lo spettatore può dunque esplorare dall’interno, cioè toccare, sentire, udire... tutte esperienze che la seduta medianica puntualmente ricrea nei suoi effetti tattili, olfattivi, sonori...

Questo fantasma positivistico di possesso totale è ovviamente anche il segno del suo massimo rovesciamento in un immaginario, il culmine di quella torsione che di fatto costituisce il suo lascito più cospicuo alla sperimentazione artistica di inizio Novecento. Non mi riferisco qui tanto ai fenomeni di creazione ‘medianica’, che pure dominano gran parte delle avanguardie, dal surrealismo di Breton alle frequentazioni spiritiche di scrittori come Henry James, T.S. Eliot, HD, Vita Sackville-West, Gertrude Stein o Conan Doyle, e di cui la moderna spettralizzazione dell’autore è in gran parte tributaria: basti pensare al caso di Conrad, che in “The Life Beyond” (“La vita dell’aldilà”, 1921) commenta in tono denigratorio proprio le evocazioni di Eusapia Palladino, ma poi non esita a descrivere la funzione dello scrittore nei termini di un fantasma auratico: “una figura dietro un velo, una presenza più sospettata che realmente visibile, un movimento e una voce dietro alla stoffa della finzione (fiction)”.28 E non penso nemmeno agli influssi del cosiddetto ‘spiritualismo nell’arte’, dove pure, come in Kandinskij, è ancora una volta l’esperienza di Lombroso con Palladino a venire citata come esempio eclatante di un nuovo orizzonte di sapere interno alla stessa scienza.29

Penso invece piuttosto alla sorprendente affinità fra le impronte medianiche prodotte da Eusapia Palladino, le cui immagini iniziano a circolare in Europa già prima del testo di Lombroso, e i calchi di Duchamp, in particolare quello dell’autoritratto With my tongue in my cheek (fig. 9). Come documenta Jean Clair in un recente studio Sur Marcel Duchamp et la fin de l’art, dall’interesse di Duchamp per le esteriorizzazioni auratiche, originatosi negli anni 1910 attorno agli esperimenti di Rochas o nell’ambiente della Salpêtrière, nasce l’idea che la creazione debba pensarsi proprio come una sorta di moulage vivente, ossia un lavoro di impronte che catturino i passaggi della materia, il suo dentro-fuori dall’invisibile al visibile, nelle pieghe dello spazio e del tempo.30 Il corpo dei fantasmi, ossia l’aura, è l’oggetto immaginario attorno a cui ruota questa operazione, peraltro comune a molta sperimentazione artistica del tempo.

In Italia, proprio sulla scia delle ricerche spiritiche di Lombroso, il fotografo Anton Giulio Bragaglia inizia ad esempio a lavorare, sempre attorno al 1910, sulle manifestazioni ‘infra-visibili’, pubblicando la sua iconografia in un articolo significativamente intitolato I fantasmi dei vivi e dei morti (1913), dove i ‘fantasmi’ sono ormai diventati una pura questione di tracce auratiche; lo stesso Bragaglia spiega infatti il suo progetto come il desiderio di catturare l’immagine di “un uomo che si alza dalla sedia, lasciandola vuota mentre essa contiene ancora l’uomo che vi era seduto”.31 (fig. 10)

Fig. 5 : Calco di mano fantasma e calco di volto fantasma realizzati da Eusapia Palladino (in LOMBROSO, C., Ricerche... 1909)

Fig. 6 : Calchi di volti fantasma realizzati da Eusapia Palladino (in LOMBROSO, C., Ricerche... 1909)

Fig. 7 : Impronta di mano fantasma su lastra fotografica (in LOMBROSO, C., Ricerche… 1909)

Fig. 8 : Fotografia di seduta spiritica dall’album del dottor Imoda (in LOMBROSO, C., Ricerche... 1909); Particolare del volto fantasma riprodotto (in BARZINI, L., Nel mondo dei misteri con Eusapia Palladino, Milano, 1907).

Fig. 9 : Calco di volto fantasma realizzato da Eusapia Palladino (in LOMBROSO, C., Ricerche… 1909); With my tongue in my cheek, (Marcel Duchamp, 1959)

Fig. 10 : Ritratto fotodinamico di Anton Giulio Bragaglia (Gustavo Bonaventura, 1912/13)

In Duchamp l’aura assume il nome di una categoria precisa, quella dell’“inframince”, categoria su cui egli ritorna a più riprese e per la quale offre, tra le altre, questa definizione: l’inframince è la ‘soglia’ che permette il passaggio da una dimensione all’altra, simile alla “differenza fra il vuoto di uno stampo e il pieno del moulage corrispondente”; o ancora, simile “al rumore o al suono che produce un pantalone di velluto a coste quando ci si muove”.32 Lombroso, che come si è visto ricorreva proprio al paradigma del moulage e della stoffa auratica per spiegare i passaggi della materia, sembrava muoversi proprio in questa direzione quando parlava dei fantasmi come “corpi in cui la materia si è così assottigliata da non essere ponderabile né visibile che in speciali circostanze”.33 Il corpo del medium per Lombroso e quello dell’oggetto d’arte per Duchamp mostrano perciò di condividere un’analoga funzione di ‘operatori di reversibilità’, di tecnologie per quella perdita o rilascio spettrale dell’aura che, con identico vocabolario isterico-medianico, Walter Benjamin sceglieva all’epoca di eleggere a sintomo dell’opera d’arte nella modernità.

Il modello della tecnologia auratica non contagia però solo le arti visive, tant’è che è proprio uno scrittore come Rilke a consegnarci gli esiti più estremi di questa ricerca sui fantasmi della materia, in un breve testo che si pone a ideale conclusione dell’ambiguo progetto consacrato da Lombroso. Come Rilke racconta in una nota del 1919 intitolata Ur-Geräusch (Suono originario), non c’è bisogno di un medium o di una seduta spiritica per rievocare le tracce spettrali scritte sul corpo della materia: a lui basta un teschio, al quale immagina di poter applicare la stessa tecnologia che fa risuonare un fonografo, facendo scorrere un ago lungo il solco sottile della sutura cranica: “Ne deriverebbe – scrive Rilke – necessariamente un suono, una serie di suoni, una musica…”.34 Se l’intero corpo, come sosteneva Lombroso, non è che un medium del cervello, è sufficiente avere il suo calco – cioè il teschio – per ripercorrere la somma delle tracce che vi si sono depositate, ed evocarne dalla morte gli spettri, l’aura sonora. Lo stesso procedimento ‘fisio-tecnologico’, suggerisce Rilke, potrà allora essere applicato all’intero corpo del mondo: “quale varietà di linee, allora, presenti ovunque, non potrebbero essere messe sotto l’ago e sentite? C’è qualche contorno di un senso che non si potrebbe […] completare in questo modo per poi farne esperienza, mentre si offre al sentire, trasformato in un altro campo dei sensi?”.35 Per Rilke, come per Duchamp, la creazione deve ripartire da qui, da un’anatomia dell’invisibile a cui Lombroso ha prestato, senza immaginarlo, tutta la follia del suo sapere positivo.