Ida Merello, Università di Genova
Conoscere il carattere, anzi, più ancora, indagare nelle intime pieghe dell’animo umano, fino all’individuazione degli sdoppiamenti schizofrenici o addirittura delle personalità multiple, è uno degli obiettivi primari della cultura di fine secolo, condiviso non soltanto dalle scuole di psichiatria dinamica (vedi Charcot), ma anche dai movimenti occultisti, come il rinato martinismo di Papus. Se l’aspetto che interessa di più è quello patologico, forse ciò dipende dal fatto che l’uscita dalla norma suggerisce agli uni come agli altri l’esistenza di campi mai esplorati della mente: da un lato l’enorme potenzialità dell’inconscio, dall’altro la suggestione di un possibile contatto con “menti disincarnate”, che attendono solo di poter dirigere gli atti di qualcuno. L’isterica di Charcot può essere anche, insomma, una donna posseduta da uno spirito. In un caso come nell’altro l’elemento che più sta a cuore sembra essere quello della rappresentazione, fondata sulla ricerca e la definizione delle caratteristiche che rendono agevole riconoscere immediatamente il soggetto patologico, o posseduto. Per questo, come è noto, Charcot utilizzava più ancora dei fotografi numerosi artisti che dovevano cogliere la posa delle sue pazienti isteriche e fissare l’inarcamento del dorso, la posizione delle braccia; chi mostrava particolari atteggiamenti, e ostentava una certa gestualità, non poteva insomma che essere un’isterica.
Forse per le stesse ragioni il momento è favorevole anche al moltiplicarsi degli studi di fisionomica, intesa appunto come scienza della rappresentazione: d’altro canto essa non poteva non essere sollecitata e attingere nuova linfa dal rinnovato interesse per la psiche, pur rimanendo volentieri ancorata a classificazioni degli individui risalenti, quando non direttamente ai romani, almeno al cinquecentesco Della Porta prima ancora di Lavater. Ad esempio il cosiddetto «animalismo», ossia l’analisi dei rapporti di somiglianza tra gli uomini e gli animali, viene riproposto in seguito agli studi di Darwin, che fa della fisionomica una branca dell’antropologia, pur trattandosi di una pratica antica, illustrata ad esempio particolarmente da Svetonio. Anche in questo caso, la convergenza di interesse del mondo scientifico e delle correnti esoteriche sugli stessi argomenti appare evidente, a tal punto che la storia della fisionomica è stata spesso letta a ritroso alla luce del riverbero di Lombroso, cosa da cui già Caroli mette in guardia1 . D’altronde, dopo tutto, dopo Cartesio e la sua indagine sulla complessità delle passioni umane, essa si era già rivolta agli aspetti criminali, lasciando più ampio spazio alla nascente psicologia per lo studio della psiche, fino a collegarsi strettamente poi con Esquirol (1772-1840) agli studi sull’alienazione mentale.
Un colpo d’occhio a taluni di questi trattati che fioriscono proprio nel momento in cui si affermano gli studi lombrosiani, appare pertanto utile per mostrare l’humus sul quale si innestano e si sviluppano le riflessioni dell’antropologo. E’ curioso come proprio negli ambienti esoterici nasca il tentativo di una nuova scienza fisionomica, più moderna e al passo con le nuove acquisizioni scientifiche. Gli studi in proposito, come abbiamo detto, abbondano, e continueranno addirittura oltre la curva del secolo. Il più noto tra gli autori italiani è quello di Angelo Repossi, del 1878, che traccia una storia della fisionomica a partire dal Della Porta per riprendere poi la classificazione dei temperamenti di ispirazione ippocratica (sanguigno, flemmatico, bilioso, nervoso, linfatico) e analizzare come Lavater i vari elementi del volto e del corpo. Un altro studio ben conosciuto è quello di Papus, del 1895, che accusa Lavater di eccessivo particolarismo e di mancanza di una visione d’insieme, per cercare invece un sistema di rapporti, di «correspondances», che permettano di risalire a leggi generali di definizione degli individui. Se per certi versi si mostra molto moderno – per quanto in realtà stia spesso semplicemente riprendendo il saggio di Polti e Gary del 1888 - ricercando la forma embrionale che sta alla base dell’evoluzione dell’essere («L’origine de ces classements est, pour l’être humain, comme pour le végétal, embryologique2 »), tuttavia per far questo non si appoggia tanto a una metodologia scientifica, quanto a una tradizione teosofica che gli fa ritrovare nei simboli dei quattro evangelisti la sintesi delle tipologie umane fondamentali (il bue, o il calmo, il leone, o il passionale, l’aquila, o il nervoso, la figura umana, o il volontaristico). Cerca quindi di definire la natura interiore sulla base del colorito, per stabilire poi una serie di caratteristiche psicologiche e comportamentali proprie di ciascuna tipologia. In realtà Papus si rivolge soprattutto a un pubblico femminile, cui sta indicando in qualche modo come scegliere il marito giusto per poi procedere, con modalità da oroscopo, a un’analisi dei vari tipi di donna entro cui le sue lettrici possano facilmente riconoscersi. Dopo tutto, il volume da cui è tratto il saggio, Les arts divinatoires, è concepito appunto come un manuale per suggerire «Comment faire un bon mariage».
Ma l’opera che può a rigore considerarsi più scientifica, se non nella sostanza almeno nella forma, è senz’altro lo studio di Polti ed Emile Gary de Lacroze, La Théorie des tempéraments, uscito a puntate sulla rivista esoterica “L’Initiation” tra l’ottobre del 1888 e il 1889. A prima vista esso sembra inserirsi perfettamente nel filone di studi da poco rivisitato: gli stessi autori non nascondono che il loro lavoro fa seguito ad altri di poco precedenti: «Depuis quatre ans et même plus, cette méthode est parmi nous tous d’un usage constant3 ». L’originalità dell’opera sta nel fatto non solo di trascurare completamente la ricerca patologica, ma anche di abbandonare ogni tradizione legata al planetismo, l’animalismo e la divinazione, al fine di costruire un sistema quasi strutturalista di analisi dell’individuo.
Georges Polti è un autore molto noto nell’ambito della storia teatrale, per l’originale rielaborazione delle trentasei situazioni drammatiche di Gozzi (1895), e per uno studio sull’invenzione dei personaggi (L’Art d’inventer les personnages, 1930) ma si sa ben poco della sua biografia: medico, nato nel 1868 per alcuni e nel 1867 per altri, morto presumibilmente nel 1946, è autore di pièces teatrali (Les Cuirs de boeuf, un miracle en 12 vitraux, outre un prologue invectif, 1899) e di romanzi (L'Ephèbe, roman achéen, 1913), oltre che di saggi (Le Génie du paganisme, Collection d' "Isis" ca 1908). E’ altresì traduttore di Novalis (1908) e di Goethe (1907); mentre ha scritto un saggio su La timidité de Shakespeare (1900) e un Manuel de la volonté (1929). Con René Ghil ha messo a punto un sistema di notazioni gestuali e musicali. Su «L’Initiation» del 1890 pubblica anche un lungo racconto filosofico, La Loi de Karma, che rappresenta una delle più ampie e approfondite riflessioni sul potere dell’immaginazione4
Emile Gary de Lacroze è invece esclusivamente un appassionato di occultismo, rifondatore dell’ordine dei Rosa + Croce, e, con Papus, della rivista «L’Initiation».
La Théorie des tempéraments, pur apertamente ispirata a Lavater, risulta molto moderna nello sforzo di riposizionamento della fisiognomica rispetto alle altre scienze umane sorte nel frattempo. Gli autori concepiscono infatti la loro classificazione come base e punto d’incontro sia della neonata psicologia (cui pretendono di offrire una sorta di psicologia comparata), sia della fisiologia (che trascura la psicologia individuale) sia del naturalismo, che concepisce l’individuo solo in relazione al gruppo sociale.
Lo scopo è quello di trasformare le indagini di Lavater, accusate di essere un po’ troppo fondate sulle suggestioni, in una classificazione il cui scopo finale è appunto la ricerca dell’unità attraverso la frammentazione: si decostruisce l’essere umano, parcellizzandolo in infimi dettagli, per poter attribuire loro un significato univoco, come un comune denominatore che, grazie a tutte le combinazioni possibili, permette la ri-creazione delle infinite personalità. Ogni frammento perciò viene a proporsi come elemento stabile di tutte le costruzioni, accreditando di assoluta scientificità l’insieme nuovamente ricostituito. Questa mentalità prestrutturalista è particolarmente significativa per il fatto che per la prima volta viene rifiutata ogni definizione morale delle diverse fisionomie, in nome di una individuazione del temperamento:
Notons encore l’esprit moraliste de cet ouvrage, qui se trouvait déjà dans les productions du Moyen Age et de l’époque chrétienne de l’Europe. Les continuateurs et les imitateurs de Lavater ont commis la même faute ; dès les premières observations on le voit qui veulent juger, favorablement ou défavorablement, chaque physionomie.5
Tuttavia tale modalità di analisi, che appare per certi versi vicina ai modelli esegetici novecenteschi, quindi assai innovativa, deriva in qualche sorta agli autori da un modo di pensare il corpo umano assai diffuso negli ambienti esoterici di cui fanno parte. Tutti gli studi sull’aldilà che uscivano dall’ambiente rosicruciano e martinista insegnavano infatti a concepire il corpo come un amalgama provvisorio, alla cui morte si verificava come una diaspora degli organi interni, dispersi nel mondo astrale e dotati di tendenze proprie fino al ricongiungimento in un individuo:
C’étaient les élémentaires, à qui pour la vie de l’homme, pour la confection de sa gaîne terrestre, avaient été pris les principes substantiels dont l’amalgame avait produit les corps.6
Il principio di frammentazione deriva perciò ai nostri autori da un lato dall’esigenza scientifica, dall’altro dall’abitudine occultista di considerare il corpo come un un insieme composto di parti autonome, in qualche modo dotate di forze proprie.
E’ pur vero che a prevalere è, comunque, l’istanza scientifica: Polti e Gary de Lacroze aspirano infatti a inserire i loro studi all’interno delle «classifications des naturalistes7 », in modo da ricollegare le «lois» individuali da loro stabilite a quelle più generali della specie umana. La grande ambizione è proprio quella di trasformare in leggi inoppugnabili le osservazioni di Lavater e di superare i limiti concettuali delle teorie classificatorie del passato. Mentre il sistema ippocratico -cui Lavater si richiama- tiene conto delle caratteristiche introdotte dalle malattie e dalle degenerazioni, Polti e Gary de Lacroze, pur basandosi a loro volta sui quattro temperamenti, Sanguigno, Linfatico, Nervoso, Bilioso, vanno alla ricerca delle caratteristiche più immutabili, che non dipendano dalla carne e dal sangue, ma esistano sotto le apparenze: quello che loro definiscono il “germe”: «C’est la forme des parties solides ou plutôt même son germe8 ». Per questo rifiutano il planetismo, non solo per i suoi rimandi astrologici, ma anche perché convinti che i tipi descritti da questo sistema siano suscettibili di cambiamenti nel corso del tempo e che l’interpretazione personale abbia un peso troppo determinante. Anche l’animalismo non viene considerato soddisfacente, perché non consente quella purezza scientifica pressoché matematica che ricercano:
les éléments que nous allons employer devront être premiers, abstraits, mathématiques, d’une fécondité infinie de combinaisons; notre système devra être comme une cristallographie des proportions humaines: il faudra que nous puissions obtenir dans chaque être, dans chaque fragment de cet être, le plan de cristallisation sur lequel il est tout entier construit ; et il faudra que ce plan de cristallisation trouve sa place, réservée d’avance parmi les combinaisons des éléments simples dont il est composé, ainsi qu’un produit chimique a d’avance sa place prête dans la classification des chimistes.9
L’aspirazione all’astrazione matematica, alla cristallografia delle proporzioni umane, mostra la rilevanza delle suggestioni positiviste, che si intromettono nella mentalità esoterica producendo una riduzione della componente metaforica o analogica, in nome di un principio che sembri avere validità oggettiva.
Come procedono infatti i due autori? Cercano di trascurare nella loro analisi tutti gli elementi più passibili di trasformazione, come il colorito o la carne, per individuare quelli che resistono di più nella vita di un uomo, e che ritengono di trovare nelle ossa e nelle cartilagini. Procedono allora a una superframmentazione dei dettagli corporei, in modo da ricavare delle unità semplici, considerabili come i tasselli base di tutte le possibili combinazioni. Lo studio è concentrato sull’analisi del naso: non vi è alcun grado di novità, ovviamente, in questa scelta, che è sempre stata di interesse fisionomico, e neppure nell’immediata messa in rapporto delle varie tipologie nasali con determinate conformazioni prima del cranio, quindi di tutta la struttura corporea (lo schema di corrispondenze è un classico della fisionomica, già appartenente alla tradizione rinascimentale, perfezionato da Lavater e proseguito in quel periodo dall’amico Papus ). Ma il procedimento di indagine tenta un rigore metodologico mai esperito: gli autori ricercano i quattro elementi ippocratici –sanguigno, linfatico, nervoso, bilioso- in ciascun dettaglio, rimontando poi una serie di temperamenti a dominante sanguigna, linfatica, nervosa, biliosa, a cui collegano la gestualità, la scrittura, lo stile e, infine, l’influenza sulla mente, in quella che noi definiremo disposizione d’animo.
L’originalità del lavoro risiede nella consapevolezza della complessità della natura umana e della difficoltà di ridurla a una tipizzazione semplice, per cui al primitivo processo di smontaggio segue una seconda fase combinatoria, in cui si verificano tutte le possibili mescolanze degli temperamenti ippocratici a due a due: temperamenti opposti possono infatti coesistere in un individuo, ma quello predominante sarà quello che orienterà, come una sorta di vettore, l’insieme delle forme:
On concevra sans peine, en effet, que la prédominance, même faible, de l’un ou de l’autre de ces deux éléments puisse changer considérablement la direction des formes, sans que leur proportion ni ses influences en soient beaucoup modifiées10
E’ evidente il desiderio di rimodellare lo strumento fisionomico attraverso un procedimento che si ispira al rigore scientifico, ferma restando la pretesa di una griglia in grado di render conto dell’infinita varietà della natura umana. Pur dalle sponde di una disciplina per sua natura legata al pensiero analogico e simbolico, la fisionomica di Polti e Gary pretende insomma di configurarsi come una scienza quasi astratta, matematica,. Il lettore, chiamato in causa, può, affermano gli stessi autori, rendersi conto dei vari livelli di complessità delle loro tabelle a seconda del suo temperamento:
il pourra aussi se convaincre que notre système renferme bien toutes le s formes si patiemment et sagacement énumérées par Léonard de Vinci dans son Traité de la Peinture ; il pourra même tirer quelque profit des présentes études pour étudier certaine ligne courbe, sur laquelle Hogarth a écrit son analyse de la Beauté….11
Il riferimento alla pittura, allusivo del resto di quella fitta interrelazione tra pittura e fisionomica che ha accompagnato tutta la ricerca artistica dal rinascimento in poi, sta comunque lì a ricordare come lo scopo finale, anche in questo lavoro, sia legato alle forme della rappresentazione. Polti e Gary fanno addirittura qualcosa di più, procedendo in una direzione che dimostra la volontà di applicare la scienza fisionomica non soltanto alla rappresentazione pittorica, ma anche a quella teatrale. La descrizione delle tipologie caratteriali ha infatti inizio soltanto quando la tavola combinatoria accoglie tutte le varianti possibili: ma allora i due autori individuano ben ventiquattro classi generali di caratteri di cui offrono uno spaccato non solo di tutti i risvolti psicologici, ma anche della dizione, degli atteggiamenti e dei gesti. E’ evidente come queste osservazioni possano risultare utili, oltre che per individuare un tipo umano, anche per rappresentarlo sulle scene: non a caso l’interesse di Polti piega sempre più verso il teatro e infatti pubblica anche, senza data per l’editore Savine, una plaquette sulla Notation des gestes che traghetta le acquisizioni fisionomiche dei ventiquattro caratteri in ambito di tecnica teatrale:
Je présente au public un système complet, précis et pratique de Notation des gestes. S’il est bien accueilli, j’en exposerai plus tard le complément, une Notation des « intonations de la voix » ; ces deux traités pourraient fournir la première assise où le théâtre serait envisagé sous un aspect nouveau, depuis des questions d’un ordre aussi matériel que celui-ci, jusqu’au faite de l’art. 12
Lo studio della Notation des gestes procede secondo lo schema decostruzionista della Théorie des tempéraments: Polti parla di “orchestra dei movimenti”(«nous apercevons dans la tête, le corps et les membres, comme les trois groupes principaux de l’orchestre des mouvements» e procede a una suddivisione capillare del corpo umano, individuando anche in questo caso le unità semplici di espressività :
Chacun des quatre membres se divise à son tour en trois parties (bras, avant-bras et main ; cuisse, jambe et pied). Enfin l’extrémité, jambe ou pied, d’un des membres, reproduit, à chacun de ses cinq doigts, dans les phalanges, cette triple division. Et la subdivision en parties mobiles s’arrête à ce troisième degré définitivement. Car une des fractions que nous avons indiquées (soit un avant-bras, soit une cuisse, soit une phalange etc) ne peut plus être partagée en d’autres susceptibles d’être pliées l’une sur l’autre13
Polti definisce allora una «sphère des mouvements » e cerca «d’indiquer chacune des situations “géographiques” où viendra successivement aboutir l’extrémité libre du rayon, c’est-à-dire la partie humaine que nous étudions.14 La metodologia fisionomica è messa così francamente al servizio della tecnica teatrale, dove il corpo dell’attore è concepito come un corpo capace di settantasei sfere di movimento, ciascuna delle quali in grado di trasmettere un’emozione particolare:
Alors, l’homme en mouvement, avec son corps (le haut et le bas, capables de se cambrer ou courber plus ou moins l’un sur l’autre) sa tête (et la mâchoire inférieure), ses deux épaules, ses deux bras, ses deux avant-bras, ses deux mains, ses dix doigts aux trente phalanges (car la vbase du pouce, quoique cachée dans la chair de la paume, se meut comme une phalange ordinaire) ses deux cuisses, ses deux jambes, ses deux pieds et les vingt-huit phalanges de leurs orteils, l’homme nous apparaît comme une orchestre de seize grandes sphères de mouvements et de soixante petites, mais de soixante-seize sphères de mouvements qui se coupent les unes et les autres.
Cependant, ce n’est pas tout.
Chacune de ces parties est plus qu’un simple rayon géométrique ; c’est un corps, occupant un espace et capable de pivoter sur lui-même, sans que cela les extrémités de son axe changent de place15
La fisionomica slitta insensibilmente da scienza della rappresentazione a scienza del funzionamento della rappresentazione, tentando, attraverso il rigore del metodo, di negare –o di far dimenticare- l’assunto aprioristico su cui comunque si basa l’osservazione del comportamento umano. Diventa una tecnica della messinscena, presupposto indispensabile all’elaborazione delle trentasei situazioni drammatiche, che, come abbiamo già visto, Polti rielabora sulla base di una tradizione che arriva a lui da Carlo Gozzi passando per Goethe e Nerval16 . Proprio di recente Cécile de Bary, sulla rivista «Poétique»17 , esalta questo lavoro paragonando il metodo di Polti a quello di Propp, per la ricerca di un numero limitato di costanti e per la riduzione al nucleo fondamentale che vede contrapposti il Protagonista e l’antagonista, ma lo avvicina addirittura all’OULIPO per l’uso della pratica combinatoria:
Pour son ouvrage de 1895, Les Trente-six Situations dramatiques, Georges Polti (1867-1946) mérite de figurer en bonne place dans les histoires littéraires de la seconde moitié du XXe siècle. Polti anticipe en effet les manifestes de l’Oulipo, et donc la démarche d’ensemble initiée par Queneau et Le Lionnais en 196018
Come abbiamo visto, però, tutto il lavoro teatrale di Polti si nutre delle conclusioni cui è arrivato dalle sponde della fisionomica e da quel procedimento di smontaggio e rimontaggio che tiene conto delle tendenze più contrapposte della fine secolo.
SEIGLE, J.-L., Les trente-six axes dramatiques, «Synopsis», n°1 :Goethe, donc, soutenait qu’il n’y avait pas plus d’une trentaine de situations “tragiques”, et rappelait, dans un de ces entretiens, que Schiller, pour lequel il avait la plus grande admiration, s’était donné beaucoup de mal pour en trouver davantage. Il poussa même la confidence jusqu’à révéler que Schiller, le plus grand dramaturge allemand, n’en avait pas trouvé autant que cet obscur dramaturge italien, Gozzi, qui, le premier, en avait répertorié 36 ! Pas si obscur que ça ! Gozzi fut le créateur de “Turandot” et du “Roi cerf”, fondateur d’un système dramatique féroce et totalement libre, qui engendra des auteurs comme Hoffmann, Richter et Poe. En attendant, nous lui devons l’établissement de ces 36 situations dramatiques, pas une de plus, pas une de moins ! C’est à peine croyable ! Enfin, on croit avoir trouvé en Gérard de Nerval, le génie qui, d’un revers d’intelligence, va mettre du désordre dans un système apparemment si rigide. Il faut savoir que le poète a cherché à découvrir, au tout début de sa carrière littéraire, le nombre exact des actions possibles au théâtre. Il n’en trouva pas 36, mais 24 ! Et encore, dans sa classification, il avait comptabilisé tous les péchés capitaux, dont trois ne constituent pas des situations dramatiques mais des états : la gourmandise, la paresse et la luxure. Ça ne fait plus que 21 situations. C’est la peau de chagrin et, la mort dans l’âme, on retourne aux 36 savamment classifiées par Georges Polti au début du siècle.
Mais, la question de la répétition de ces inlassables et mêmes situations dramatiques pose celle des emprunts. Si l’on n’invente pas de nouvelles situations, on les reprend nécessairement, on les copie. Pourtant nombre d’auteurs se drapent dans leur dignité, convaincus qu’ils perdraient la paternité de l’œuvre originale s’ils avouaient un seul emprunt, à la différence des auteurs de la Nouvelle vague qui, plus malins, appelaient ces emprunts « des hommages, voire des références ». Il suffirait pourtant d’écouter Goethe s’expliquer sur la complexité des éléments qui constituent son “Faust” pour être rassuré sur ce point : « Je dois l’intrigue à Calderon, la vision à Marlowe, la scène du lit à Cymbeline, la chanson ou sérénade à Hamlet, le prologue au “Livre de Job”. On peut y ajouter : le premier prologue imité des Hindous, la visite de la guenon digne de Théocrite, de nombreux souvenirs picturaux (scène première issue de Rembrandt ; mimes de la Promenade, de la Taverne, du Puits, d’origine flamande), la fin est inspirée de Dante, etc. etc. etc. ». Bien sûr qu’un au-teur n’invente rien, il réinvente tout, mais à la lumière de ses propres expériences et de ses propres fantaisies (employé ici au sens freudien du terme).
Dès lors, nous pouvons, sans scrupule, répertorier à notre tour, et dans le plus grand désordre, ces 36 situations de base en alimentant cette classification d’exemples classiques et contemporains. Mais attention ! Il ne faut pas confondre ces 36 situations dramatiques avec des thèmes ou pire, des sujets. Plusieurs de ces situations peuvent se retrouver à l’intérieur d’une même histoire. Ce sont d’ailleurs ces innombrables compositions entre les différentes situations qui constituent le tissu dramaturgique. Cet art de la composition, ajouté à celui du dialogue, sont donc les deux seuls véritables éléments à travers lesquels peuvent se révéler le talent ou l’absence de talent d’un auteur.
Etrange liste dont il est impossible de se satisfaire en l’état. Chacune de ses situations comporte bien évidemment des subdivisions qui élargissent et nuancent le propos de base. C’est pourquoi “Synopsis”, dans chacun des numéros suivants, étudiera d’un point de vue dramaturgique, une de ces 36 situations à travers l’histoire littéraire, cinématographique et télévisuelle. Ce qui nous permettra sûrement de faire quelques découvertes passionnantes, comme, par exemple, à quel point “l’ambition” a donné un nombre de pièces et de romans incroyable au XIXe siècle, et de films au XXe, alors que cette situation n’existe pour ainsi dire pas dans le théâtre grec. Et comme il n’y a pas de hasard (du moins du point de vue du sens) dans l’écriture, il sera intéressant de savoir quelles situations on n’utilise pas ou peu aujourd’hui et, à l’inverse, celles que l’on utilise le plus afin de faire une lecture sociologique des raisons qui poussent les auteurs à traiter telle situation plutôt que telle autre. Su «Poétique» n°138. C. DE BARY studia il ruolo delle trentasei situazioni drammatiche di Polti in funzione prestrutturalista.