Scienza e letteratura : Cesare Lombroso e alcuni scrittori di fine secolo

Delia Frigessi

Tra le molte facce di uno studioso onnivoro come Lombroso ce n'è una, a mio parere meno conosciuta e forse più sorprendente delle altre. Ed è l'attenzione intensa dedicata alla letteratura e al suo mondo, una sorta di innamoramento che incomincia in gioventù , non lo abbandona nel corso della vita e si congiunge, senza contraddirla, con la dedizione assoluta alla scienza.

Accesi e frequenti dibattiti, in Italia e all'estero, incontri e scontri di idee hanno sorretto, nella seconda metà dell'Ottocento, la crescita e la definizione di nuovi saperi (psichiatria, antropologia, diritto penale), ai quali sono legate le fortune alterne di Lombroso. Queste fortune e l' attenzione al messaggio che si esprime nei suoi scritti, continuano ad espandersi verso la fine del secolo in campo letterario ancora più che in quello scientifico. Scrittori famosi, in contesti e testi letterari non affini tra loro, anzi non poco diversi, riprendono temi, immagini e idee lombrosiane. Non c'è da stupirsene. L'alienismo, la medicina mentale - l' esempio è importante - fin dagli inizi aveva compiuto un'annessione della letteratura, l'alienista trova nell'opera letteraria una conferma della sua pratica e l'intersezione tra medicina e letteratura si sarebbe sviluppata durante tutto l'Ottocento in un lungo dialogo, fatto di mimetismi e di dissensi1 . Inversamente, e in parallelo, la letteratura utilizza le rappresentazioni che compaiono nelle scienze mediche e psichiatriche quando incomincia a crescere, in un movimentato paesaggio culturale, la reazione allo scientismo positivistico. A quel momento - e sembra di trovarsi quasi di fronte a una curiosa contraddizione - l'opera lombrosiana, in alcuni suoi aspetti, incontra le esigenze degli scrittori.

Tra la letteratura soprattutto nella sua forma romanzesca e Lombroso c'è stato un amore lungamente corrisposto. In una lettera del 1854 all'amico Ettore Righi, Lombroso non ancora ventenne - allora giovane studente di medicina - confessa : "io che passo dal tristo scalpello anatomico alla fredda e severa analisi della storia, mi sento tratto tratto scappare il proponimento inamovibile e mi vien voglia di abbandonare la vita del pensiero per quella del poeta"2 . E in un'altra lettera, tuttora inedita, e diretta anch'essa al Righi, troviamo ancora una conferma : Lombroso racconta all'amico che si propone di fondare, con un gruppo di coetanei, un giornale che si occuperà, a numeri alterni, una volta di letteratura e una volta di medicina3 .

Si chiederà Lombroso quasi 50 anni dopo, a cavallo del nuovo secolo, quando ormai la nuova scienza da lui fondata ha fatto il giro del mondo : per quali motivi nella letteratura più che nella scienza l'antropologia criminale ha mostrato e tuttora dimostra una presenza più incisiva ? "Perchè il vero si accetta dai romanzieri e non dagli scienziati ?" Nel romanzo e nel dramma antico, fatta eccezione per i grandissimi (Dante, Shakespeare) gli scrittori hanno curato più il simbolo, la tradizione e la declamazione "che non la pittura delle persone", nei loro testi i veri pazzi e i criminali non compaiono ancora. Ma la loro visibilità si sarebbe poi grandemente accresciuta, l'avanzare della civiltà avrebbe aumentato sempre di più l' importanza dei pazzi nella società, nella vita vissuta. Oggi, in età moderna, le scoperte dell'antropologia criminale sembrano anticipare o addirittura riflettere le aspirazioni profonde dei grandi scrittori russi, francesi, svedesi, da Balzac a Zola a Daudet, da Dostoevskij a Ibsen. Dostoevskij è addirittura descritto come "un vero antropologo criminale", nei romanzi di Zola Lombroso ammira la "descrizione più perfetta di quella che io chiamo vertigine criminale epilettoide, ch'è per me il fondo del reo-nato". Nell'ultima edizione dell'Uomo di genio del 1894 e in uno scritto di poco precedente4 ,Lombroso aveva affermato con vigore che i romanzieri, gli scrittori colgono e intuiscono le scoperte antropologiche criminali, i grandi artisti sanno raffigurare "figure vere ... sotto una forte luce" ; l'arte risveglia in noi "la coscienza del vero". L'arte collabora dunque con la scienza, con la conoscenza e addirittura la conferma e la ispira, le opere letterarie e artistiche rappresentano una sorta di specchio e contengono quasi una profezia della scienza futura. Lombroso non era certo d'accordo con quanto avrebbe scritto l'amico Max Nordau : "La scienza non sa che farsene del romanzo"5 . E si può ricordare che fin dai primi passi la sua antropologia criminale ha mostrato una tendenza onnivora, analizzando le forme espressive e culturali - si pensi al gergo, al tatuaggio, ai graffiti - che costituiscono la natura del delinquente. Al contrario di Nordau, Lombroso è fermissimo sostenitore dell'interazione tra letteratura e scienza in età moderna. Questa sua convinzione concorda con l'immagine dello stretto rapporto arte-scienza, fondamentale nella contemporanea cultura positivistica.

In Italia si era diffuso in quegli anni un clima culturale che nel progresso delle scienze riconosceva quello della conoscenza, il positivismo privilegiava le figure nuove dei romanzieri scienziati, e degli scienziati romanzieri. Nel suo Preludio a cento anni ( Milano, Sonzogno, 1864) Giuseppe Rovani aveva osservato : "Tutte le verità e della religione e della filosofia e della storia, se hanno voluto uscire dall'angusta oligarchia dei savi, per travasarsi al popolo, hanno dovuto attraversare la forma del romanzo che tutto assume... al pari dell'iride, ha tutti i colori ed è per questo che si diffonde nel popolo e piove come la luce di luogo in luogo e di ceto in ceto". L'attenzione ai rapporti tra scienza e letteratura è dunque diffusa tra i letterati della seconda metà del secolo. Fin dagli anni '70 l'antropologo Paolo Mantegazza accoglie le novità della poetica naturalistica e, per esempio, in Un giorno a Madera. Una pagina dell'igiene d'amore, utilizza la forma narrativa per la divulgazione scientifica. Una questione, questa della divulgazione scientifica, che stava molto a cuore anche a Lombroso, che credeva nell'utilità di una forma semplice e popolare per esporre le nuove verità a un grande pubblico. L'arte del romanzo è utile, consente alla scienza di oltrepassare i propri specialismi, i termini tecnici. La scrittura di Lombroso riflette questa convinzione nella sua discorsività e colloquialità, per la capacità di presentare i casi clinici, le anomalie dei delinquenti e dei folli con un linguaggio vivace che non di rado si ispira alla letteratura etnografica. Per parte sua il romanzo, il "romanzesco", accoglie constatazioni e tematiche delle scienze e privilegia tra queste gli aspetti inquietanti, morbosi e patologici della realtà. In un'intervista a Ugo Ojetti D'Annunzio osservava che "le conquiste più notevoli della psicologia contemporanea sono dovute a psichiatri". E aggiungeva : "quali miniere d'incomparabile ricchezza per l'artefice ! Mentre i critici ignoranti celebrano i funerali della poesia, taluno osserva che la scienza rende all'arte l'antico elemento che pareva dovesse sempre mancarle : il Meraviglioso!"6 . Alla diffusa persuasione che nella modernità stretti legami uniscano arte e scienza, si opporrà invece un fine intellettuale e letterato come Arturo Graf, fermamente contrario alla dannosa e assurda "pretensione dei realisti", di fare della letteratura una "coadiutrice " della scienza7 .

Sulla "Revue des deux mondes" del I dicembre 1897 (Le roman italien en 1897), un acuto osservatore del paesaggio culturale italiano, Thèodore de Wyzewa, constata che metà della narrativa italiana si ispira alle "doctrines lombrosistes" e che nell'altra metà formule di risonanza lombrosiana si incontrano ad ogni pagina. Arte, follia, malattie della psiche, la preferenza per l'eccezionale e per il morboso, occultismo, magnetismo, spiritismo e le forze dell'invisibile, degenerazione e decadenza sono temi che trovano grande risalto nella narrativa del secondo Ottocento. Basterà ricordare alcuni romanzi : Fosca (1869), Malombra (1881), Don Gesualdo (1889), I Vicerè (1894). La medicina stava diventando addrittura una "scienza guida", alcuni casi clinici descritti dallo psichiatra Pinel sembrano usciti addirittura dai romanzi di Balzac e a ben guardare i malati di Janet somigliano ai personaggi di Emile Zola.8 Le idee, le tematiche di Lombroso possono trasformarsi agevolmente in figure, in topoi narrativi ; si pensi alla naturalità del male, alla predestinazione fatale, biologica al delitto, alla psicosi del genio. E gli scrittori non hanno mancato di accogliere, utlizzare e trasformare alcuni paradigmi e intuizioni lombrosiane.

"Caro, colgo l'occasione per mandarle la lettera preparata nella mente. L'edizione è bella e bellissima è la memoria ; son contento d'averle fatto venire l'idea" : così Lombroso a Carlo Dossi, in una lettera del 24 ottobre 1883.9 La lettera allude a I mattoidi al primo concorso pel monumento in Roma a Vittorio Emanuele II, un testo che Dossi incomincia a far leggere agli amici nell'8310 . Ma a quando risalgono i contatti e il dialogo tra lo scienziato veronese e lo scrittore ?

Dopo aver letto L'uomo delinquente del '76, Dossi scrive una lettera di ammirazione e di elogi a Lombroso e gli invia il testo de La colonia felice. La corrispondenza poi continuerà e durerà per parecchi anni.11 L'opera di Dossi contiene parecchi riferimenti satirici ai medici e ai loro comportamenti, lo scrittore si compiace di sottolineare più volte l'affinità tra le due arti, medicina e letteratura. Nelle Note azzurre spicca un ritrattino dissacrante di Lombroso, raffigurato nel ruolo di direttore di manicomio e di professore mentre spiega il comportamento dei pazzi e, nella veste di medico della pellagra, afferma che fa bene ai matti bere "ogni mattina un bicchiere di raccagna e un grano di meliga".12

Dossi conosce bene le tesi della scuola lombrosiana, i suoi commenti all'antropologia criminale ne sottolineano con chiarezza limiti e virtù. Coglie con finezza e ironia - per fare un esempio - quali potrebbero essere gli effetti paradossali della "severa" prevenzione, auspicata da Lombroso : potrebbe accadere - postilla Dossi - che "si incarcerassero intiere famiglie e chissà anche villaggi e città".13 Le critiche non gli impediscono tuttavia di accettare l'idea del delinquente nato, "organismo non modificabile" come dimostrano "le cifre reali raccolte dalla psichiatria, dalla chimica organica, dalla statistica criminale. L'uomo malvagio non è correggibile", scriverà nell'83 . Lombroso ricambia.

Nella terza e nella quarta edizione di Genio e follia inserisce in appendice i testi dei "pazzi letterati", venuti nel frattempo sott'occhio allo scrittore, che glieli aveva inviati e proprio nella terza edizione del 1882 la figura del mattoide ("l'anello di passaggio tra i pazzi di genio, i sani ed i pazzi propriamente detti") assume piena dignità psichiatrica. Dossi allora cambia il primitivo titolo del testo - La pazzia al primo concorso pel monumento in Roma a Vittorio Emanuele II - in quello de I mattoidi e lo dedica a chi glielo ha suggerito : "E dirò con Voi - insigne LOMBROSO - qual tema più attuale della follia?"14 L'idea che pervade I mattoidi, le intenzioni dello scrittore, incuriosito e sedotto dalla possibilità di approfittare dell'occasione - i bozzetti "pazzeschi" inviati al concorso - per costruire un catalogo, un inventario di bizzarrie e singolarità dei comportamenti umani, al confine tra cretinismo e follia, attingono a piene mani alle tematiche e alle patologie descritte e studiate da Lombroso.

Ma il tratto più interessante del dialogo tra scienza e letteratura, impersonato dal rapporto che intercorre tra Lombroso e Dossi, si trova nell'Autodiagnosi quotidiana del 3 maggio 1880. Lo scritto accompagna, a modo di breve prefazione, alcune tabelle e diagrammi statistici inviati a Lombroso per sottoporgli l'andamento alterno di una personale sintomatologia psicologica. E' una enumerazione di nevrosi, di umori, di cadute intellettuali minutamente seguite nelle loro fasi discendenti e costruite con gli strumenti proposti da Lombroso. La follia che discende dai rami familiari, la vita solitaria condotta in gioventù, le difficoltà amorose, lo studio ardente interrotto, la successiva perdita delle forze, e "gli intervalli di spirituale impotenza" perchè "il senso morale gli è guasto". Alla fine interviene la previsione infausta su "la prossima fine del Dossi", senza tuttavia cancellare la fiducia nell'analisi di sè : "il Dossi studierà il Dossi".

Nell'Autodiagnosi avviene una trasformazione letteraria dell'ipotesi psichiatrica, esperita in prima persona. Si ricalcano i casi clinici narrati da Lombroso e dai grandi della psichiatria, ma la freddezza scientifica scompare per lasciare posto agli elementi personali, dove si annida l'inconscio e il fantasma incombente della follia trova gli accenti della confessione e dell'analisi autobiografica. Dossi, il letterato, lo scrittore anticonformista ha saputo utilizzare Lombroso, ed è questo il senso di un incontro esemplare, certo non unico nella nostra storia letteraria ma di intenso significato nella storia culturale del secondo Ottocento italiano.

In altra prospettiva si inserisce l'incontro tra lo scienziato e Luigi Capuana, in un primo tempo grande ispiratore del verismo italiano e appassionato sostenitore del rapporto tra scienza e mondo della letteratura, per concludere poi a rivendicare l'importanza della "immaginazione creativa"15 , anche nel timore dell'impoverimento che lo scientismo positivistico avrebbe potuto arrecare all'arte. Il modello dell'affinità tra arte e scienza si sarebbe alla fine quasi rovesciato, sarebbe stata l'arte a diventare il "modello concettuale della scienza".

Nelle opere di Capuana, accanto al filone verista, compaiono non poche incursioni letterarie nel mondo della psiche e dell'occulto. Le aperture all'irrazionale e al mondo "di là", l'interesse per le forme del soprannaturale sono presenti in tutto il suo percorso, dal Diario spiritico del '70 fino a Mondo occulto del '96 (com'è noto, Capuana fu uno sperimentatore assiduo di fatti ipnotici e medianici). Questo intreccio, a dire stesso dello scrittore, realizzava uno "strano connubio" tra positivismo e spiritualismo. Capuana aveva seguito con attenzione quanto si veniva pubblicando e discutendo intorno allo spiritismo e alle sue esperienze e si vantava di essere il primo letterato a scrivere un libro sull'argomento.16 Nello stesso momento Lombroso, che qualche anno prima aveva pubblicato un articolo sul "Fanfulla della Domenica", di cui Capuana era da poco direttore, gli scrive una lettera di approvazione e di consenso.17 La lettera è interessante perchè rivela il punto dell'incontro. "Ho finalmente letto e studiato il suo Spiritismo come meritava. E son perfettamente d'accordo con lei che il momento delle ispirazioni è assolutamente analogo a quello dell'ipnosi". Per Capuana infatti il "demone" della scrittura trasforma chi scrive in una sorta di medium, l'artista entra in una sua "particolare allucinazione" e l'arte apre alla conoscenza più della scienza. In modo analogo - e lo conferma la lettera sopra citata - Lombroso indica nella "creazione incosciente" la particolarità del genio, afferma il carattere inconscio del lavoro mentale e il ruolo decisivo della fantasia "quasi allucinata" nella creazione dell'opera d'arte.18

Il dialogo tra Capuana e Lombroso continua, lo scrittore non manca di seguire gli scritti lombrosiani e in occasione delle onoranze per il suo giubileo scientifico gli dedica due racconti : Un vampiro e Fatale influsso, entrambi pubblicati nel 1907. In Vampiro il medico Maugeri, che impersona la sconfitta della scienza positiva, la sua incapacità di svelare il mistero, ricorre all'espediente della credenza popolare per risolvere un caso inquietante di vampirismo, mentre Fatale influsso descrive un esperimento ipnotico che si conclude tragicamente. Nei due racconti allo scrittore interessa descrivere alcuni fenomeni parapsicologici per mettere in luce i limiti della scienza medica e psichiatrica. Anche Capuana dunque, a suo modo, utilizza Lombroso e lo fa soprattutto per osservare quanto straordinari siano i poteri della psiche e come attraverso di essi si palesino le suggestioni dell'incosciente e non controllabili forze oscure.

Altri letterati, altri scrittori faranno uso delle suggestioni lombrosiane. Non è forse vero che "Cuore traduce Lombroso"19 , che Franti mostra alcune caratteristiche del reo-nato ? Anche Pascoli terrà conto di Lombroso, in particolare si soffermerà sul risveglio del "bruto primordiale" e della "bestia" che è nell'uomo, sui suoi "lontanissimi primordi". Ma il poeta rifiuta Lombroso e il suo determinismo, critica la sua idea di normalità : "non esiste l'uomo normale, perchè questi sarebbe l'uomo non evoluto". Contro ogni fatalismo Pascoli sostiene anche che il libero arbitrio esiste : "E' la macchina con cui gli uomini fabbricano il proprio avvenire".20

Nella prima metà dell'84 un giovane militare, Misdea, nella caserma di Pizzofalcone a Napoli, dove si trovava per compiere il servizio militare, uccide con il suo fucile otto commilitoni per difendere l'onore dei calabresi e della nativa Calabria. Il fatto cruento e improvviso, il processo (al quale partecipa anche Lombroso come perito della difesa) e l'esecuzione capitale suscitano dotti dibattiti e forte commozione nell'opinione pubblica. In quello stesso anno compaiono due scritti dedicati al caso Misdea. In collaborazione con lo psichiatra Leonardo Bianchi, nell'opuscolo su Misdea e la nuova scuola penale Lombroso analizza il recentissimo delitto per dimostrare che il giovane omicida calabrese è un delinquente-nato , "che riproduce, grazie a malattie congenite, i caratteri anatomici e psichici dell'uomo primitivo, dell'uomo selvaggio". Misdea è un epilettico, un uomo malato, la malattia ha esasperato in lui i sintomi della follia morale. Misdea e la nuova scuola penale rappresenta una tappa importante per l 'antropologia criminale e anche per la teoria del genio. In particolare l'identità, da Lombroso affermata in quella occasione, tra epilessia e follia morale, lo condurrà ad allargare sempre di più l'orizzonte della devianza, della patologia sociale, gli aprirà una strada per patologizzare una non piccola parte della società. E nel successivo decennio Lombroso indicherà anche nella creazione geniale una forma di psicosi del genere "epilettoide", sottolineerà con forza la somiglianza tra estro creativo e accesso epilettico e allargherà le manifestazioni dell' epilessia psichica ad "una serie di attività psichica incosciente".

Poco prima dell'opuscolo lombrosiano il napoletano Edoardo Scarfoglio, in una quarantina di puntate sulla "Riforma" di Roma, pubblica la sua ricostruzione del caso. In Il romanzo di Misdea (di recente raccolto per la prima volta in volume) il giovane critico, futuro giornalista celebre, propone una personale ricostruzione della vicenda. Scarfoglio aveva da poco sentito una lezione di antropologia criminale, tenuta da Lombroso a Torino, senza restarne del tutto persuaso. Su Misdea, la sua vuole essere una "narrazione dimostrativa", quasi una provocazione adatta a suscitare una "universale sollevazione del senso morale". Nelle pagine del romanzo dove compaiono non di rado immagini stereotipate del Mezzogiorno, esempio eccellente dell'inferiorità, delle tare e della criminalità che connotano le popolazioni meridionali, Scarfoglio avvicina il destino di Misdea a quello dei tantissimi contadini meridionali, giovani e ancora selvaggi, che vengono costretti alla rigida e durissima disciplina del servizio militare senza poterne comprendere il senso.

A conclusione di questa sua narrazione a tesi, dove qua e là compaiono squarci idilliaci della natura e del paesaggio in perverso conflitto con le rissose realtà della caserma e della metropoli napoletana, Scarfoglio si appella ai lumi dei nuovi saperi. Antropologia, sociologia, psichiatria aiutano a comprendere le tristi condizioni dei contadini meridionali, pongono alcune premesse per trasformarle. Anche la barbara istituzione militare dovrà essere riformata in senso "più umanamente scientifico". Queste conclusioni trasformano Il romanzo di Misdea, che era stato presentato dallo scrittore nella semplice veste di "un corollario o un cemento dell'opuscolo scientifico" lombrosiano, in qualcosa di diverso. Scarfoglio legge e utilizza infatti la teoria di Lombroso in senso politico, la trasforma in uno strumento che morde nella società contemporanea perchè capace di produrre riforme profondamente innovatrici.

I riflessi di Lombroso sulle lettere, la sua ricezione si mostrano in conclusione molto differenziate a seconda degli interessi, delle intenzioni. Dossi, Capuana, Scarfoglio - tre esempi non marginali di scrittori che operano negli ultimi decenni del secolo - colgono aspetti, contenuti, immagini assai diverse dell'opera lombrosiana, come si è detto. Dossi è profondamente colpito, quasi affascinato dalle invenzioni psichiatriche di Lombroso, dalle sue riflessioni sulla follia e se ne giova per cogliere gli aspetti bizzarri e grotteschi che essa assume nel sociale, per descrivere il mondo sub specie mattoide. Ma non rinuncia a scandagliare soprattutto nel profondo, fino allo svelamento delle sue stesse ombre, alle soglie del proprio inconscio. Capuana, che in una fase matura del suo percorso ha incominciato a percepire le debolezze della scienza e la crisi del positivismo, si dedica ad esplorare le zone del misterioso, dell'occulto e in questa ricerca trae forti spunti dal dialogo con Lombroso, dai suoi tentativi di scienziato per avvicinare l'inconoscibile. Infine Scarfoglio, che cerca di utilizzare le scoperte di Lombroso a fini riformatori, di affidare alla psichiatria e all'antropologia criminale il compito di provocare l'azione dei legislatori, di modificare le istituzioni.

I casi dei tre scrittori, che ho cercato di ricordare fin qui, malgrado sussista una loro notevole diversità, hanno qualcosa in comune : la convinzione che la letteratura debba attingere alla scienza e che allo stesso tempo la possa sorreggere. Quasi una conferma della osmosi, della reciprocità e compenetrazione tra letteratura e scienza, che anche attraverso Lombroso ha segnato la seconda metà del nostro Ottocento. Ma sia Dossi sia Capuana leggono l'opera di Lombroso in chiave tutt'altro che positivistica, anzi la utilizzano quasi a rovescio, in senso creativo, liberato dai vincoli dello scientismo, come un'apertura alle domande nuove e inquietanti della modernità. In questo arduo compito, scienza e arte, scienza e letteratura si danno la mano, ancora un esempio della reciprocità, delle corrispondenze che anche attraverso Lombroso caratterizzano quel periodo del nostro Ottocento.