Il realismo descrittivo nella rappresentazione spaziale della Romania rurale e marginale: il ciclo di Adrien Zograffi di Panaït Istrati
Abstract
The Romanian novelist and newspaper journalist Panaït Istrati decided to write his literary works in French, even though he had found a lot of difficulties in learning the new language as a self-taught person, during a stay in the French-speaking Switzerland in 1916. Nevertheless his love and admiration for France were enormous: the French culture evocated in his mind a world based on the values of freedom, justice and fraternity between men.
In the narrations of Adrien Zograffi (Les récits d’Adrien Zograffi, La Jeunesse d’Adrien Zograffi, Vie d’Adrien Zograffi), a novelistic cycle constituting his main literary achievement, Istrati describes, with realistic and sometimes naturalistic tones, the hard lives of peasants and marginal people of his country, with particular reference to the difficult human-nature interaction. Moreover, he is a great storyteller who borrows from the old resource of folk tradition in order to bring back to life the haidoucs mythical figures. Istrati narrates their fight for life on the fringes of society, in the mountains or in the depth of woods. He illustrates also the ethic of generosity of these legendary heroes, their values of kindness towards persecuted people, of independence and social justice.
L'esilio linguistico di uno spirito nomade
Lo scrittore rumeno Panaït Istrati appartiene a quella folta schiera di letterati di origine straniera che, nel corso del Novecento, hanno contribuito fortemente a dare nuovo vigore alla letteratura francofona e che costituiscono una sorta di «pléiade d'écrivains de la diaspora» (GORRIS, 2002: 198). Per molti di questi scrittori, fra i quali vanno annoverati anche numerosi autori provenienti dall'Europa centrale ed orientale (Kristof, Makine, Cioran, Ionesco, lo stesso Istrati e tanti altri), la scelta di adottare il francese per le loro opere letterarie ha rappresentato un'esperienza artistica ed esistenziale di importanza vitale. L'esilio linguistico, sia esso scelto o imposto, ha comportato per gli scrittori rumeni citati, in particolare per Cioran ed Istrati, degli effetti traumatici e numerose difficoltà, soprattutto all'inizio della loro attività di scrittori ed intellettuali, poiché «tout changement de langue provoque une désorganisation du code linguistique» (BALOTA, 1993: 18) che rende ardua l'attività letteraria. Del resto, l'esilio è innanzitutto un'esperienza storica; l'allontanamento volontario o coatto di singoli individui o di gruppi di persone ha caratterizzato gran parte della storia rumena del Novecento, sino alla fine degli anni ottanta e il crollo del regime comunista del dittatore Nicolae Ceauşescu sul finire del 1989:
Évoquer l'exil, c'est penser à tous les bannissements, à toutes les expulsions, les proscriptions, les interdictions de séjour, relégations, déportations, à toutes les expatriations, migrations, émigrations, à tous les demandeurs d'asile, ostracisés, réfugiés politiques et autres dépaysés de notre époque, dépaysés parfois dans leur propre pays (BALOTA, 1993: 12).
La tematica dell'esilio è un elemento ricorrente nella storia sociale e culturale della Romania ed è legata a circostanze di carattere sociopolitico e alla collocazione geografica del paese. Infatti, dal punto di vista della geografia fisica, la Romania è situata «sur la route de toutes les migrations, de toutes les invasions» (MARTIN, 1993: 3) e sovente, proprio a causa delle ripetute ingerenze di potenze straniere e del loro potere assoluto, il territorio rumeno è stato lo scenario del fenomeno della bejenie, una sorta di «exil partiel et temporaire, retraite vers l'intérieur du pays, vers les montagnes et les hautes forêts» (MARTIN, 1993: 3) o dell'esilio vero e proprio all'estero, soprattutto in Occidente.
Di conseguenza, per molti rumeni, in fuga dall'arretratezza sociale e dall'oppressione straniera, l'allontanamento dal proprio paese ha rappresentato quasi un privilegio, «un exil d'un type spécial: souhaité, rêvé, envié comme un refuge» (MARTIN, 1993: 3) e il mondo occidentale è apparso ai loro occhi come una sorta di terra promessa, un rifugio dal terrore e dalla miseria che hanno segnato la storia rumena. La Francia e la sua capitale hanno rappresentato nel Novecento la meta privilegiata della diaspora rumena, in special modo per gli artisti e i letterati, che hanno potuto così esprimere liberamente la loro creatività, come mette in evidenza Ingrid Vaileanu Paun: «La diaspora trouve également en France une terre d'accueil et un terrain propice à l'expression de leur sensibilité artistique» (VAILEANU PAUN, 2006: 1).
Effettivamente, sono numerosi gli scrittori rumeni del XX secolo che hanno scelto, come Istrati, la lingua francese per il loro exil linguistique. Si possono ricordare, fra i più importanti, Tristan Tzara, Eugène Ionesco, Mircea Eliade, Émile Cioran e Anna de Noailles. Il loro apporto alla letteratura francofona moderna è stato spesso rilevante e la loro scelta linguistica è generalmente scevra delle tensioni che caratterizzano la medesima scelta in paesi che hanno vissuto in maniera drammatica le complesse dinamiche culturali della colonizzazione francese e della successiva decolonizzazione. Per gli intellettuali e gli scrittori rumeni, la lingua francese rappresenta infatti una scelta di natura culturale, non una lingua marâtre imposta in maniera coercitiva, come evidenzia Marina Perisanu: «La francophonie roumaine est plutôt un choix intellectuel et une relation privilégiée» (PERISANU, 2008: 276). La francofonia rumena costituisce quindi una «colonie de cœur» (BONNET, 2006: 1) e gode di una lunga tradizione che risale al XVIII secolo, quando la cultura e gli ideali illuministi e la lingua francese iniziarono a penetrare negli ambienti aristocratici della società rumena. In realtà, i primi contatti fra rumeni e francesi risalgono addirittura al 1396, anno in cui i cavalieri di Jean de Nevers, figlio del duca di Borgogna, combatterono contro l'esercito turco, a fianco delle milizie del principe di Valacchia Mircea il Vecchio. La Valacchia costituiva all'epoca un principato rumeno.
Le relazioni franco-rumene si sono intensificate però soltanto a partire dal XVII e soprattutto dal XVIII secolo, grazie ai soggiorni nei principati di Moldavia e Valacchia di molti intellettuali e commercianti francesi. Notevole è anche il ruolo svolto dai viaggi di studio in Francia dei giovani dell'aristocrazia rumena, particolarmente intensi nel XIX secolo. Per quanto riguarda le relazioni politiche, nel 1859 la Francia di Napoleone III appoggia e favorisce l'unione dei due principati rumeni, ponendo così le basi per delle solide relazioni diplomatiche fra i due paesi. Ma è nella prima metà del XX secolo, nel periodo dell'entre-deux-guerres, che la lingua francese raggiunge la massima diffusione in Romania: Bucarest diviene “le petit Paris” e molti scrittori ed artisti rumeni soggiornano a Parigi e scrivono in francese. Secondo Mircea Goga, si può riscontrare negli intellettuali rumeni del Novecento il fascino di un rêve français: non si tratta di un sogno ispirato al successo economico e all'affermazione individuale, come per l'American dream, bensì di un sogno immateriale, di carattere spirituale, il quale
au bout d'une aventure intellectuelle, enrichit l'esprit d'inestimables trésors, dont on ne risque jamais de se faire déposséder. C'est bien la raison pour laquelle les Roumains ont choisi les valeurs spirituelles, éternelles. Leur aspiration la plus intime, secrète et ancienne est une Roumanie ayant la grandeur de la France: une Roumanie spirituelle (GOGA, 2007: 13).
Del resto, lo scambio culturale fra i due paesi è mutato e si è arricchito nel corso del secolo scorso, divenendo maggiormente reciproco. In effetti, l'investimento culturale francese in Romania è stato premiato, proprio grazie agli artisti e agli scrittori rumeni che hanno soggiornato o si sono stabiliti in Francia e ne hanno adottato la lingua. La loro duplice appartenenza culturale ha consentito di erigere un ponte fra le due civiltà e di realizzare una fertilisation croisée:
De nombreux écrivains et artistes roumains ont choisi la France et le français comme pays et expression de leur génie. Celui-ci a fertilisé la culture et la civilisation françaises, a influencé la pensée française de manière à pouvoir parler aujourd'hui d'une véritable fertilisation croisée. La double appartenance culturelle de ces écrivains et artistes, un authentique pont entre les cultures et les civilisations de la Roumanie et de la France, a enregistré un rôle extrêmement bénéfique des deux côtés (GOGA, 2007: 49).
Negli anni Venti la critica nazionalista ha censurato aspramente, e in diverse occasioni, l'abbandono della lingua rumena da parte della maggioranza degli intellettuali stabilitisi all'estero e la decisione di molti di loro di scrivere in francese. Questa scelta linguistica è stata operata con grande successo da Panaït Istrati. Anch'egli è stato attaccato duramente, da parte di alcuni critici rumeni, per la sua opzione linguistica, benché in realtà i giudizi negativi abbiano in origine altre motivazioni: il rifiuto dello scrittore di cimentarsi nel romanzo psicologico in voga all'epoca nel suo paese, la scelta di ispirarsi alla tradizione orale e, purtroppo, l'invidia che suscitò il suo repentino successo. Monique Jutrin-Klener ha analizzato come la critica rumena si sia spesso divisa nei giudizi sull'opera di Istrati, con valutazioni talvolta contraddittorie, e che presentano in alcuni casi
un sentiment de jalousie mal déguisée envers celui qui s'impose à l'étranger sans solliciter l'appui des cénacles littéraires roumains. On ne lui pardonne surtout pas d'être le premier auteur dont l'œuvre connaît un retentissement international. D'autres critiques furent plus accueillants: ils saluent Istrati comme un frère, s'enorgueillissent du fait qu'il a réussi à l'étranger, grâce à son caractère spécifiquement roumain, tout en regrettant parfois qu'il n'ait pas écrit dans sa langue maternelle (JUTRIN-KLENER, 1970: 259).
Spirito avventuroso e vagabondo, viaggiatore instancabile perennemente alla ricerca di esperienze inedite e di nuove amicizie, Istrati sceglie l'esilio volontariamente e ritorna a vivere stabilmente in Romania soltanto negli ultimi anni della sua travagliata esistenza. Anche per lui, comunque, la scelta di scrivere in francese non è stata semplice, nonostante il suo amore incondizionato per la cultura e la letteratura francesi. Egli ha adorato intensamente la Francia sin dall'adolescenza e l'ha sempre considerata la patria ideale per gli scrittori e per tutti coloro che amano la letteratura, soprattutto nell'Europa orientale: «la France – qui a toujours été regardée par l'Orient comme une amante idéale» (ISTRATI, 2006b: 58).
L'apprendimento della lingua francese, da autodidatta, viene intrapreso durante un soggiorno in Svizzera nel 1916, e più precisamente a Leysin, dove Istrati si ritira per alcuni mesi per curare la tubercolosi e per sfuggire alla Grande Guerra che sta per raggiungere anche la Romania. La malattia e il primo conflitto mondiale sono quindi all'origine del suo esilio volontario in un paese francofono. E proprio in Svizzera avviene, nel 1919, l'incontro decisivo per l'inizio della sua carriera di scrittore: nel sanatorio della Croce Rossa americana, a Sylvana-sur-Lausanne, egli incontra lo scrittore ebreo di espressione francese Josué Jéhouda. Quest'ultimo è un intellettuale raffinato che lo inizia al pensiero occidentale e soprattutto gli suggerisce la lettura del Jean-Cristophe di Romain Rolland. Per Istrati si tratta di una vera e propria folgorazione. In particolare, le tematiche dell'amicizia e della fratellanza umana saranno elementi costanti anche nell'opera dello scrittore rumeno. Inoltre, gli incoraggiamenti di Rolland saranno determinanti nel convincere Istrati a scrivere in lingua francese. In condizioni di salute spesso precarie, egli inizia la sua attività di scrittore francofono dopo soli tre anni di studio del francese, nonostante le continue difficoltà economiche e i molti lavori umili che è costretto a svolgere per sopravvivere.
Il ruolo di guida intellettuale e di punto di riferimento costante svolto da Romain Rolland è stato quindi decisivo anche per la scelta linguistica di Istrati. Élisabeth Geblesco ha analizzato questa opzione dal punto di vista psicanalitico:1 sin dall'infanzia è stata forte nel futuro scrittore la consapevolezza di appartenere a due lingue e due culture distinte, quelle della madre rumena e quelle del padre greco, ucciso quando il piccolo Panaït aveva pochi mesi. Al rumeno (lingua materna) e al greco si aggiunge poi la lingua francese, che si può definire «paternelle en ce que son emploi avait été autorisé par Rolland» (GEBLESCO, 1993: 68), il padre intellettuale e letterario di Istrati.
Lo scrittore rumeno ha ricordato in numerose occasioni come il suo percorso di autoapprendimento sia stato costellato da enormi difficoltà. Per anni egli ha manifestato un'insicurezza di fondo, una sostanziale sfiducia nella sua capacità di saper padroneggiare una lingua straniera appresa in età adulta e di poterla utilizzare, con successo, come strumento di espressione letteraria. Per Istrati si potrebbe parlare più precisamente di bilinguismo franco-rumeno, e in particolare di bilinguismo della scrittura, poiché egli ha continuato, per tutta la vita, a redigere articoli di carattere sociale e politico nella sua lingua materna, destinati a riviste e giornali rumeni. Mircea Martin sottolinea le enormi difficoltà che comporta per uno letterato il bilinguismo della scrittura:
Il s'agit en ce cas d'un bouleversement de la structure organique, d'une prise de conscience supplémentaire et souvent d'un déchirement dont l'effet peut être doublement ressenti, c'est-à-dire dans l'usage de chacune des deux langues, mais surtout dans celui de la langue d'adoption. Effet de déconstruction et de renouvellement (MARTIN, 1993: 5).
Ciononostante, per uno scrittore bilingue che riesca a superare le enormi difficoltà iniziali, il fatto di conservare vivo anche l'uso espressivo della propria lingua madre può contribuire, almeno in parte, ad attenuare l'inevitabile alienazione prodotta dal suo esilio culturale e linguistico.
La lingua francese è percepita inizialmente da Istrati come uno strumento ribelle alla sua volontà, ma i risultati del suo immane sforzo sono straordinari. Superate le difficoltà ortografiche e grammaticali, egli riesce a scrivere in maniera raffinata e piacevolissima, ed è particolarmente accurato nelle scelte lessicali, come sottolinea Linda Lȇ: «Composant dans la langue qu'il a adoptée, il devient le galérien de la nuance et l'esclave du mot ciselé» (ISTRATI, 2006a: 312).
È importante insistere sulla scelta linguistica di Panaït Istrati: essa ha un carattere anche molto concreto e pragmatico, ossia la possibilità di rivolgersi ad un pubblico di lettori decisamente più vasto di quello riservato alla lingua rumena. Si tratta di un aspetto essenziale per la dimensione europea e cosmopolita alla quale aspira lo scrittore di Braïla: il lettore ideale dei récits del ciclo di Adrien Zograffi è dunque un lettore francofono, che percepisce necessariamente come esotici i luoghi descritti, dalle steppe alle montagne rumene, dai porti danubiani alle coste del Mediterraneo orientale. Nell'opera di Istrati la lingua francese è impiegata quindi per narrare vicende autobiografiche, storie tramandate dalla tradizione orale, miti legati al folklore del suo paese d'origine. Egli descrive atmosfere e figure umane dal sapore rumeno, balcanico, mediterraneo ed orientale che affascinano profondamente il lettore occidentale di lingua francese:
Sa sensibilité et sa voix roumaine perturbent et attirent le lecteur francophone qui découvre un monde de sauvagerie hanté par de splendides légendes, écrasé par les traditions de la servitude, mais qui peut basculer en un instant, de la résignation dans la révolte (PERISANU, 2008: 277).
La Romania rurale e marginale
In questo studio si intende analizzare la pratica descrittiva di Panaït Istrati nei récits del ciclo di Adrien Zograffi, suddiviso in tre parti: Les récits d’Adrien Zograffi, La Jeunesse d’Adrien Zograffi, Vie d’Adrien Zograffi, pubblicati fra il 1923 e il 1935, anno della morte prematura dello scrittore. Il quadro spaziale oggetto di descrizione in questo ciclo è molto vasto e costituisce una sorta di «géographie élastique qui soutient, narrativement parlant, une somme d'histoires sans fin» (TEUTIŞAN, 2006: 145); si tratta di uno spazio balcanico e mediterraneo dai contorni non ben delineati, che comprende il sud-est europeo e il Medio Oriente.
In particolare, questo studio si focalizzerà sulla descrizione spaziale delle zone rurali, pianeggianti e montuose, del territorio rumeno e si cercherà di porre in evidenza come questo espace levantin sia essenzialmente rappresentato secondo le modalità tradizionali della descrizione realista, spesso con dei glissements verso il naturalismo e il suo ambizioso progetto di riprodurre in modo esaustivo le coordinate spazio-temporali della scena narrativa. Questo realismo descrittivo talvolta marcato ha indotto alcuni critici a individuare una dimensione marcatamente realista o addirittura naturalista nell’opera di Panaït Istrati. Ad esempio, Teutişan ricorda, nel suo studio già citato, che «la dimension naturaliste est souvent présente dans l'œuvre de Panaït Istrati» (TEUTIŞAN, 2006: 148). Lo scrittore rumeno evita però con cura i brani descrittivi ampi e prolissi alla maniera di Balzac; anzi, solitamente egli si mostra abile nell’intercalare sequenze narrative e sequenze descrittive, limitando la rappresentazione della scena e i ritratti delle figure umane a poche righe, ai tratti essenziali. Per quanto riguarda le strategie narrative impiegate, egli utilizza procedimenti tradizionali e rigetta le innovazioni stilistiche delle avanguardie. In effetti, egli non amava il modernismo europeo a lui contemporaneo, come evidenzia Monica Spiridon: «Panaït Istrati détestait explicitement le modernisme qu'il qualifiait de froid, d'anti-sentimental, de décadent, et de dépourvu d'âme» (SPIRIDON, 2006: 177). La sua predilezione per modalità narrative legate alla tradizione orientale, in particolare Le mille e una notte, nonché i tratti fortemente realistici delle sue descrizioni, che ricordano spesso le meticolose rappresentazioni ambientali naturaliste, rendono unica la figura di Istrati. Egli si trova perciò isolato nel contesto della letteratura europea del primo dopoguerra, un periodo nel quale «l'on militait pour l'européisation de la culture nationale sous les étendards du modernisme» (SPIRIDON, 2006: 177). Anch'egli dunque, come i suoi personaggi, può considerarsi un marginale nel suo stesso paese, per le scelte linguistiche e stilistiche operate, oltre che per il vissuto biografico di esiliato e di scrittore di origini modeste.
I personaggi più importanti che popolano il mondo di Istrati sono quasi sempre degli spiriti nomadi e romantici, dei personaggi che si nutrono soprattutto di libertà e di ideali e che talvolta sono dei veri e propri marginali: primi fra tutti Adrien, l’alter ego dell’autore, e il suo inseparabile amico russo Mikhaïl. Le tematiche del viaggio, della strada e del personaggio errante sono strettamente legate alle tecniche descrittive utilizzate da Istrati, nonché al suo desiderio irrefrenabile e quasi ossessivo di libertà.
In effetti, nei racconti del ciclo di Adrien Zograffi vi è la presenza ricorrente di un narratore intradiegetico (rappresentato spesso dallo stesso Adrien), che consente una perception interne dei luoghi descritti. La descrizione spaziale è filtrata dall’occhio del viaggiatore: il narratore (ma forse è più opportuno parlare di descrittore) delega le sue conoscenze dei luoghi a dei personaggi piuttosto colti o comunque competenti. Si tratta di figure umane che condividono solitamente le condizioni di vita miserabili di Adrien e che permettono di arricchire e moltiplicare «les notations concrètes qui étayent la cohérence de déterminations sociales peu familières au lecteur» (GASPARINI, 2004: 32).
A questi personaggi, particolarmente importanti nei Récits d’Adrien Zograffi, sono affidate la visione del paesaggio e la sua descrizione. Essi incontrano il giovane Adrien nel corso del suo eterno girovagare ed incarnano, agli occhi del lettore e dello stesso protagonista, «un ailleurs d'aventures et de drames fascinants. "Adrien" se glisse dans leur intimité, se met à leur école, complète auprès d'eux son apprentissage de la vie. Il leur cède volontiers le premier rôle et se contente alors d'une position d'observateur» (GASPARINI, 2004: 164). Con i loro racconti, essi introducono lunghe digressioni nella trama principale ed autobiografica dei récits e creano gli effetti polifonici e di dialogismo teorizzati da Bakhtine (BAKHTINE, 1978). Inoltre, le loro caratteristiche sono molto simili a quelle del “personaggio portasguardo” o “portaparola” che Philippe Hamon2 ha individuato come tematica giustificatrice tipica della descrizione naturalista.
Un altro aspetto tipico della rappresentazione spaziale di Istrati è l’impiego della descrizione deambulatoria, una strategia descrittiva già utilizzata ampiamente dai romanzieri realisti e naturalisti, in special modo dai fratelli Goncourt, e che era ampiamente diffusa anche nel romanzo picaresco. La descrizione deambulatoria è costituita da una serie di quadri descrittivi giustapposti e focalizzati su di un personaggio mobile: il viaggiatore, il flâneur, il personaggio “nuovo”, spesso accompagnato dalla figura del personaggio “esperto”.
Lo sguardo del personaggio nomade ed inesperto, ad esempio il giovane Adrien al suo arrivo in Egitto, in Grecia o in Italia, si sofferma ad osservare e a descrivere il quadro ambientale, spinto da motivazioni di carattere psicologico: la curiosità, lo sguardo istintivo o il piacere estetico. Anche il personaggio competente, l’esperto del luogo, può avere delle motivazioni psicologiche che lo spronano all’atto descrittivo: la volontà di accogliere uno straniero e di instaurare un rapporto di amicizia, la pedanteria, il desiderio di trasmettere le proprie conoscenze o di sbalordire il proprio interlocutore, ecc. Nell’opera narrativa di Panaït Istrati l’impiego della descrizione deambulatoria e della figura del viaggiatore “curioso”, o di altre tipologie di personaggi mobili, permette di introdurre nella finzione romanzesca un insieme di informazioni sul mondo rappresentato, senza stravolgere la linearità del discorso narrativo. L’autore utilizza sapienti procedimenti stilistici che favoriscono tale linearità, come ad esempio la visita “guidata” ad un luogo esotico.
Le sequenze descrittive di ambientazione rumena sono particolarmente numerose nella prima sezione del ciclo di Adrien Zograffi, ossia nei Récits d'Adrien Zograffi, nei quali l’alter ego di Istrati è dapprima un bambino e successivamente un adolescente che non partecipa attivamente all'azione, ma svolge piuttosto il ruolo di narratario, in quanto assiste ai racconti di alcuni personaggi secondari, spesso legati alla sua famiglia, che gli narrano le vicende della loro vita. Questa modalità narrativa crea un'atmosfera di coralità ed attenua, almeno in parte, la dimensione autobiografica, che diviene invece prevalente quando Adrien assume il ruolo di protagonista in prima persona del racconto. In quest'ultimo caso Genette parlerebbe di «degré fort de l'homodiégétique» (GENETTE, 1972: 253).
Lo spazio esotico descritto da Istrati, filtrato dallo sguardo attento e sensibile di Adrien o dallo sguardo di un altro personaggio intradiegetico, sembra talvolta divenire una sorta di universo compensatorio, in grado di offrire la misura della bellezza del mondo, ma nella maggior parte dei casi la natura si mostra indifferente di fronte alle sofferenze umane, o addirittura attivamente ostile, come nelle sequenze descrittive che mostrano le immense campagne rumene sepolte sotto un folto manto nevoso e sferzate dalla tramontana. In tal modo, l’indifferenza della natura, unita all’indifferenza dell’uomo, contribuisce a creare l’atmosfera cupa e drammatica di alcuni récits, in particolare di quelli che prevedono un epilogo tragico.
Nel récit Domnitza de Snagov, interamente ambientato in Romania, è chiaramente percettibile questo quadro ambientale in molte occasioni ostile ai protagonisti. Il narratore è Jérémie, il figlio adottivo di due carismatici capi haïdouc, Cosma e Floarea (la domnitza del titolo). Gli haïdouc erano delle figure leggendarie di briganti ed eroi popolari; erano soprattutto dei giovani uomini che sceglievano di condurre una vita da fuorilegge, abbandonando i loro villaggi e vivendo nascosti nelle foreste, per combattere contro gli invasori stranieri. Al ruolo determinante che essi assumono nell'opera di Panaït Istrati, con la loro etica della rivolta, ha dedicato uno studio approfondito Jeanne-Marie Santraud. La storia della Romania è infatti segnata da lunghi periodi di sofferta occupazione straniera: «l'histoire des provinces de la Valachie et de la Moldavie qui formèrent le noyau de la Roumanie actuelle, n'est qu'une suite de luttes contre des voisins trop puissants et batailleurs: les Russes et les Turcs» (RAYDON, 1968: 15). Dai loro rifugi silvestri, spesso aiutati e protetti dalla popolazione più povera e sfruttata, gli haïdouc facevano rapide incursioni sul nemico e poi distribuivano il bottino agli abitanti dei villaggi più miseri.
In Domnitza de Snagov, racconto realista che presenta a tratti le caratteristiche del romanzo storico con il resoconto degli intrighi per le elezioni dei principi nei due principati danubiani, l'ostilità della natura nella stagione invernale viene sapientemente rappresentata con la tecnica della descrizione deambulatoria. Floritchica ed altri stimati esponenti haïdouc stanno viaggiando verso la città di Galati, per convincere Couza a porre la propria candidatura alle elezioni:
Ce voyage de cinq jours, au cœur de l'hiver, me fit souvent penser à la malédiction qu'est la vie des hommes et des bêtes, également opprimés par ceux que le destin favorise. Vraiment, il n'y a pas de quoi se réjouir d'être venu au monde avec une âme miséricordieuse.
La nature, n'ayant pas de conscience, est indifférente devant la douleur. L'homme qui, soi-disant, n'en est pas dépourvu, y est tout aussi indifférent. Pris entre ces deux indifférences, le malheureux blasphème les auteurs de sa vie et le Créateur.
À travers les immenses campagnes, nivelées par la neige, désolées par la bise, oubliées par Dieu, j'ai vu ce malheureux, nous sommes entrés dans sa chaumière, nous avons pleuré sur lui pendant qu'il gardait les yeux secs. Il sait que, la nuit, sa cabane est régulièrement ensevelie sous l'indifférence de la nature. Il sait que, le jour, l'indifférence de l'homme le laisse enseveli, avec les siens. Alors il a la prudence de s'enfermer le soir avec sa pelle. Le matin, il ouvre la porte de sa tombe, commence par creuser un trou, un tunnel, dans la colline immaculée qui l'accable de sa générosité froide, et voici l'homme millénaire apparaissant de l'autre côté de la colline, pareil à une taupe à deux jambes, qui s'appuie sur sa pelle, respire l'air pur et contemple le cimetière blanc de son existence noire. (ISTRATI, 2006a: 501)
La campagna rumena è quindi per il narratore, ma la stessa osservazione si addice anche più in generale per lo stesso Istrati, uno spazio intensamente vissuto, non certo un luogo esotico, come poteva essere per il lettore francese o francofono degli anni venti del Novecento, il primo lettore dell'opera dello scrittore rumeno. La distesa che si offre allo sguardo è in questo caso quella di un paesaggio ammantato di neve che rende ardua e dolorosa l'esistenza delle figure umane che lo popolano.
Il paesaggio è modellato su di una organizzazione territoriale di carattere quasi feudale, con steppe e terreni coltivati nei quali, alternativamente, si ergono i monasteri e i palazzi signorili dei boiari, moderni rappresentanti di un potere ancora quasi feudale, in una società profondamente arcaica e rurale. Si tratta quindi di un quadro ambientale rimasto immutato da secoli, attraversato solamente da vecchie strade carrabili e da antichi sentieri sepolti dal fogliame del bosco o da folte distese di neve. L'amore per questa terra millenaria è ben visibile nello scrittore, sebbene egli l'abbia spesso abbandonata per i suoi vagabondaggi lungo le coste del Mediterraneo e i suoi soggiorni in Svizzera e in Francia.
Gli studiosi che hanno analizzato gli stretti legami che si instaurano fra geografia e letteratura, fra fatti e finzioni, hanno dimostrato, a questo proposito, come sia possibile prendere realmente coscienza del proprio attaccamento al paese natale soltanto quando si è lontani da esso. Ad esempio, Tuan afferma che «è possibile essere pienamente consci del nostro attaccamento al luogo solamente quando l’abbiamo lasciato e possiamo vederlo come un’unità indissolubile da lontano» (TUAN, 1974: 118).
In particolare, in numerosi scrittori ed artisti la separazione e la lontananza rafforzano il legame con la propria terra d’origine, generando nel loro animo un senso acuto di privazione e tenerezza. Questo vincolo affettivo con il territorio è facilmente riscontrabile nelle descrizioni istratiane del paesaggio rumeno, anche quando i luoghi rappresentati fanno da cornice a scene di umana sofferenza. In effetti, nonostante il distacco e l'impassibilità che frequentemente mostra di fronte al dolore umano, il paesaggio naturale nei récit di ambientazione rumena rivela un notevole fascino poetico, grazie alle tracce delle presenze umane che l'hanno modellato, spesso percorrendolo con i piedi coperti di piaghe e bagnandolo con le lacrime.
Il paesaggio rurale, compreso quello boschivo e più inospitale, suggerisce costantemente la presenza umana, in particolare quella di contadini e pastori che mostrano la loro abilità nello svolgere i diversi lavori tradizionali della campagna e del bosco. In effetti, essi sono gli unici personaggi a conoscere perfettamente i segreti del mondo vegetale e condividono la stessa lingua degli haïdouc, ossia il linguaggio degli alberi, dei frutti e dei fiori. La condottiera che gli haïdouc hanno scelto come loro guida dopo la morte di Cosma, ossia Floritchica, si fa chiamare con un appellativo che intende sottolineare il suo profondo amore per l'ambiente silvestre che offre rifugio a lei e ai suoi uomini: «Dorénavant je serai: Floarea Codrilor, l'amante de la forêt, l'amie de l'homme libre, justicière de l'injustice, avec votre aide» (ISTRATI, 2006a: 312). Il narratore è Jérémie anche all'inizio di Présentation des haïdoucs, un racconto polifonico composto dai sei distinti récits nei quali alcuni haïdouc presentano, a turno, ciascuno il proprio racconto, per spiegare i motivi che li hanno condotti a scegliere una vita precaria e da fuorilegge, ai margini della società. Il quadro ambientale nel quale si sono rifugiati gli haïdouc, dopo la morte del loro intrepido condottiero Cosma e la conseguente defezione di metà della loro truppa, è rappresentato da «la retraite du Vallon obscur» (ISTRATI, 2006a: 311), un luogo remoto ed appartato che permette loro di sfuggire almeno temporaneamente alla temibile potéra, lo spietato esercito di mercenari che viene assoldato dagli oppressori stranieri e locali per combattere gli stessi haïdouc e per soggiogare e asservire i contadini. Si tratta di un paesaggio piuttosto inospitale, almeno a prima vista, ma che permette ai ribelli di dileguarsi e di sottrarsi al pericolo più immediato. Il luogo è impervio e quasi inaccessibile ed offre ai suoi abitanti improvvisati «la solitude dans le cœur de ces hautes montagnes peu connues et point fréquentées» (ISTRATI, 2006a: 311).
Ben presto però per Floarea e i quattordici haïdouc che hanno scelto una nuova vita, in questo rifugio di montagna quasi perennemente avvolto dalla nebbia, il luogo, benché spartano, mette a loro disposizione il necessario per sopravvivere, per un'esistenza comunque dura e precaria, ma resa ancora possibile:
Coiffée du turban de cachemire, la chouba3 de renard jetée sur les épaules et très agile dans son large pantalon – chalvar –, elle arpentait fiévreusement l'intérieur de la Grotte aux Ours dont nous avions pris possession la veille - notre refuge pour l'hiver. Le vataf se leva et mit le tchéaoun pour préparer le café turc, luxe introduit par Floarea. Elle le considérait comme indispensable à la vie, fût-ce la vie sauvage (ISTRATI, 2006a: 312).
Del resto, l'ambiente impervio ed accidentato, la sua conformazione aspra ed inospitale nei confronti della presenza umana, contribuisce ad aumentare negli haïdouc la consapevolezza di vivere un'esperienza di vita intrepida ed irripetibile, interamente dedicata agli umili e agli oppressi. In effetti, questi moderni Robin Hood sono spronati all'azione da un'etica della rivolta che li accomuna tutti, nonostante gli eccessi di alcuni di loro, da «leur indéfectible dévouement à la cause des humbles, l'aide désintéressée qu'ils dispensaient sans ostentation» (ZEPHIR, 2005: 8). Le montagne impervie assumono talvolta tratti inquietanti, di desolazione e di minaccia incombente, soprattutto nel periodo invernale, quando all'asprezza del territorio si aggiungono le insidie del gelo e dei lupi:
Une nuit de bise, de tourbillons et de neige, nous sortions habillés en paysans de la montagne, les têtes enfouies en d'énormes bonnets, et chacun muni d'une carabine sous ses fourrures.
Gel à faire éclater les pierres. Dans le désert sinistre, on entendait les loups hurler au loin. La terre s'ouvrait devant nos pas, hostile, menaçante, prête à nous engloutir.
Jamais la vie ne m'a paru si belle (ISTRATI, 2006a: 537-538).
I protagonisti, e in particolare il giovane narratore, sembrano affascinati da questo paesaggio naturale che incute timore, ma che assume al contempo un aspetto sublime e che pone fortemente in risalto il fascino e l'eroicità delle loro intrepide gesta.
La vita degli haïdouc è generalmente breve, pochi di loro riescono ad invecchiare, ma quando decidono di abbandonare la lotta e il brigantaggio, ritornano a svolgere i tradizionali lavori legati alla terra, dedicandosi soprattutto alla pastorizia. È ciò che accade anche al narratore Jérémie e al suo gruppo di ribelli:
Le haïdouc, lui, n'a pas trop l'habitude de faire de vieux os, mais lorsque l'étoile de sa haïdoucie se couche pour toujours – ce qui arrive souvent – il se fait berger.
C'est ce qu'il nous était arrivé à nous aussi, et nous nous sommes faits bergers tous les quatre, Groza, Élie, Movila et moi. Nous avons monté, sur le versant transylvain des Carpates, une petite bergerie à nous, avec peu de brebis, encore moins de soucis, mais avec beaucoup, beaucoup de souvenirs navrants! (ISTRATI, 2006a: 329).
Non è facile però, per degli uomini abituati ad un'azione di costante ribellione armata, ad un'esistenza di rapide incursioni ed altrettanto repentine fughe, calarsi nella nuova realtà sedentaria. Ora conducono le pecore al pascolo e devono sopportare la solitudine dei monti.
La rappresentazione spaziale dei monti Carpazi si sofferma molto sulla descrizione del codru, ossia la foresta, uno dei luoghi prediletti dai marginali nei récit di Istrati. Vi si ritrovano singoli individui o gruppi di persone che, per scelta o per necessità, vivono ai margini della società. Luogo di rifugio naturale e spazio protettivo, essa rappresenta per l'eroico haïdouc un riparo indispensabile:
Retraite toujours ouverte dont il a une connaissance parfaite, il sait se retrouver dans ce milieu hostile pour tout autre que lui, qui y voit au contraire un lieu fraternel, régi par des lois naturelles bien moins injustes et cruelles que celles des hommes. Fraternel aussi parce que «le codru, frère du Roumain», selon un proverbe cité par Istrati, apparaît au haïdouc comme le reflet de l'humanité qui souffre mais garde toujours une lueur d'espoir (ZEPHIR, 2005: 13).
Lo spazio boschivo protegge i suoi abitanti ed offre loro il legname per riscaldarsi e l'acqua del torrente impetuoso «pour la lessive de leurs chemises» (ISTRATI, 2006a: 530).
La voce narrante nel ciclo di Adrien Zograffi contribuisce a produrre un effet de réel nelle pause descrittive della narrazione, ogni volta che si sofferma a rappresentare le caratteristiche della campagna rumena, dei centri abitati e degli interni. Allo stesso modo, anche i ritratti delle figure umane (ribelli, contadini, oppressori e marginali) che si incontrano in questo quadro ambientale rurale contribuiscono a rendere più realistica l'atmosfera dei récits.
In Présentation des haïdoucs, nel racconto di «Movila le vataf», è particolarmente evidente il realismo descrittivo di Istrati. Movila racconta le ragioni che lo hanno spinto ad unirsi ai ribelli. Egli apparteneva ad una famiglia contadina benestante e descrive l'opulenza dei terreni agricoli che la benevolenza del nobile locale aveva concesso loro: «Bétail, vigne, arbres fruitiers, patules regorgeant de maïs, bassecour, rien de ce qui fait le bien-être d'une petite gospodaria ne nous manquait» (ISTRATI, 2006a: 389). Alla morte di questo boiaro generoso ed influente, che amava intrattenersi con i contadini e visitare le loro capanne, le cose mutarono drasticamente. Gli subentrò il figlio, persona avida e senza scrupoli. Egli decise immediatamente di raddoppiare la pressione fiscale, introducendo ogni sorta di nuove imposte: «sur le gros et le menu bétail; sur les vins et les spiritueux; sur l'hectolitre de blé. Puis, tour à tour, sur les arbres fruitiers, la pêche, la chasse, les vers à soie, les abeilles, les lainages, les huiles, les fenêtres et les cheminées» (ISTRATI, 2006a: 393). Per i contadini erano finiti i tempi di pace e di relativa prosperità: il nuovo boiaro li considerava ormai come parte integrante delle sue proprietà, di cui disporre a suo piacimento. Essi dovettero subire i soprusi degli spietati collaboratori greci del nuovo proprietario, «plus avides de sang que les punaises des maisons abandonnées» (ISTRATI, 2006a: 393), paragonati dal narratore anche a un nugolo di cavallette che si abbattono sui raccolti.
La campagna rumena assume ora un aspetto spettrale ed irriconoscibile, a causa delle eccessive esazioni, delle devastazioni e soprattutto del terrore che incutono gli oppressori alle popolazioni rurali: «Au bout de trois ans […] la terreur, à elle seule, fit plus de ravages que l'épidémie, la sécheresse, l'incendie et l'inondation» (ISTRATI, 2006a: 394). I fertili terreni, un tempo intensamente coltivati, sono adesso spogli; i contadini hanno abbattuto gli alberi da frutto, per ricavarne legna da ardere. Sono scomparsi i bachi da seta: «On ne voyait plus les grands lits blancs couverts de milliers et milliers de vers à soie, en train de grignoter des feuilles de mûrier» (ISTRATI, 2006a: 394) e non vi è più traccia delle mucche al pascolo. Le stalle e i cortili sono deserti. Anche gli armoniosi suoni della natura si sono dissolti in questa atmosfera desolata: gli uccelli canterini e le cicogne hanno lasciato la regione. Il silenzio è rotto solamente dal ronzio delle api.
Gli abitanti dei villaggi rurali sono impotenti di fronte a tanta devastazione e alla forza militare degli oppressori, che spesso si abbandonano anche a stupri e ad atti di tortura. Si semina lo stretto necessario, e si vende rapidamente il bestiame, nella convinzione che altrimenti sarebbe razziato. I giovani, come il narratore Movila, scelgono di «reprendre les chemins de la montagne» (ISTRATI, 2006a: 393), ossia di rifugiarsi nelle foreste per dedicarsi alla rivolta armata, diventando haïdouc. Molti contadini costruiscono dei grandi carri, per fuggire con le loro famiglie e i beni più preziosi; altri invece cercano conforto alle loro sofferenze nell'alcool: «Sa chère terre une fois perdue, sa famille déshonorée, le paysan le plus raisonnable se livrait à la boisson, passait son temps dans les innombrables cabarets, surgis comme champignons après la pluie» (ISTRATI, 2006a: 394).
Il terrore diventa angosciante quando si diffonde la notizia dell'imminente arrivo delle orde turche, che il narratore considera come la peggiore sventura che possa colpire le popolazioni rumene. I turchi attraversano il Danubio, giungono nel villaggio di Movila, incendiano le dimore dei contadini e distruggono ogni traccia della presenza umana che incontrano nella loro avanzata. La voce narrante descrive minuziosamente la desolazione delle campagne e dei piccoli centri abitati, con i rintocchi a morto delle campane, le urla disperate delle donne, gli strilli dei bambini, le imprecazioni degli uomini e il lugubre abbaiare dei cani. I contadini fuggono su carri sovraccarichi trainati dai buoi, portando con loro tutto ciò che sono riusciti a raccogliere prima di darsi alla fuga. I villaggi, abbandonati dai loro abitanti, sono destinati alla rovina e alla devastazione. Il convoglio dei fuggitivi può osservare in lontananza, nella sua corsa precipitosa, i bagliori dei villaggi di Putineiu e Stanesti, incendiati dai turchi. In questa situazione di distruzione e disperazione, molti giovani come Movila decidono di diventare haïdouc.
Questi ribelli, a volte briganti e a volte patrioti, non sono i soli marginali che popolano i récits del ciclo di Adrien Zograffi. Istrati si rivela essere ancora una volta «le frère des bannis, des étrangers» (ISTRATI, 2006a: 30) e descrive i luoghi provvisori e miserabili dove vivono i senzatetto, i vagabondi, gli esclusi e tutte le persone che vivono ai margini della società, per scelta o perché costretti da norme o costumi sociali. È il caso di Stavro, il venditore ambulante di Kyra Kyralina, il primo récit pubblicato dallo scrittore rumeno. Stavro narra ad Adrien le sue peregrinazioni attraverso l'Oriente alla ricerca della sorella rapita e prigioniera in un harem. Egli è rifiutato dalla società per la vita errabonda e senza fissa dimora che conduce e per la sua natura omosessuale. Queste sue caratteristiche inducono la gente di Braïla e i suoi stessi familiari ad escluderlo dai «milieux gaillards des faubourgs» che frequentava un tempo; anche la casa della madre di Adrien gli è preclusa: «La maison de la mère était fermée à Stavro, comme toutes les maisons honnêtes» (ISTRATI, 2006a: 51).
La miseria e la sofferenza dei contadini rumeni sono rappresentate anche in «Une nuit dans le marais», la parte iniziale del récitCodine. Si tratta anche del primo racconto della Jeunesse d'Adrien Zograffi, la sezione del ciclo di Adrien Zograffi nella quale il giovane protagonista non è più soltanto un mero testimone delle storie raccontate, bensì partecipa personalmente alle vicende narrate, che assumono tratti fortemente autobiografici.
Adrien trascorre gran parte dell'infanzia presso gli zii materni a Baldovinesti, un minuscolo villaggio contadino a pochi chilometri da Braïla. Egli soggiorna soprattutto presso lo zio Dimi, che lavora la terra in condizioni proibitive, con dei debiti esorbitanti da pagare allo stato e al proprietario terriero e una famiglia numerosissima da sfamare. Il narratore, che in questo racconto è onnisciente ed extradiegetico, sottolinea che «la vie de l'oncle Dimi et des siens n'était qu'une sorte d'esclavage déguisé en liberté» (ISTRATI, 2006a: 551).
La terra coltivata da Dimi, di proprietà del boiaro della zona, non è sufficiente per la sopravvivenza della sua famiglia. Il piccolo borgo agricolo di Baldovinesti si trova nelle vicinanze della foce del Sereth, un fiume che forma nel suo ultimo tratto dei terreni paludosi ricchi di giunchi. I contadini devono pagare per ottenere l'autorizzazione a tagliare dei fuscelli di giunchi da vendere poi al mercato della città vicina. Lo zio di Adrien non è in grado tuttavia di versare la somma necessaria e si reca nottetempo, spesso accompagnato dal giovane nipote, a rubare i giunchi che un tempo appartenevano all'intera comunità. Egli corre il rischio enorme di essere scoperto e di vedersi confiscati i cavalli ed il carro. Adrien deve custodire gli animali mentre lo zio Dimi si inoltra nell'acquitrino per raggiungere e tagliare i giunchi migliori. Questa situazione narrativa di attesa oziosa, da parte del bambino, giustifica all'interno del racconto la lunga pausa descrittiva che segue: Adrien è in effetti il personaggio intradiegetico, il “personaggio portasguardo” a cui è delegata la visione della palude. Anche la motivazione psicologica della curiosità, tipica dell'infanzia, rende plausibile, dal punto di vista narrativo, l'ampia sequenza descrittiva. Adrien aspettava soltanto che lo zio fosse scomparso fra i giunchi, per considerarsi «le maître de tout: des chevaux, de la voiture, de l'immense étendue des marais, et même du vent et du ciel avec ses étoiles sans nombre» (ISTRATI, 2006a: 555). Egli osserva estasiato, nel folto della vegetazione, il volo delle oche e delle anatre selvagge, spaventate dall'insolita presenza notturna. Il bambino gode qualche istante di gioia serena e, accarezzato dalla brezza, contempla questi uccelli, sognando di poter volare via con loro, lontano dalla miseria e dalla sofferenza del villaggio:
Prenez-moi aussi avec vous! La brise légère et le murmure des roseaux lui chatouillaient les sens au point de lui faire perdre toute notion de lieu et de temps. Il aurait pu rester ainsi de longs moments sans bouger d'un doigt, car ces instants-là, il ne les trouvait pas dans la méchante vie de tous les jours, remplie de cris et jurons (ISTRATI, 2006a: 555).
Subito dopo il verso sinistro del gufo preannuncia la tragedia che incombe: uno dei cavalli, uno stallone che ha fiutato la presenza di una puledra nei dintorni, nitrisce rumorosamente e si rifiuta di avanzare. Dimi teme che il rumore metta la guardia turca sulle sue tracce, scoprendo il furto che sta compiendo nel canneto. Colpisce dunque ripetutamente l'animale e, in un eccesso di collera, sventra il cavallo con la roncola utilizzata per recidere le canne. Il guardiano della palude lo scopre comunque, ma prova pietà per la perdita del cavallo e non lo denuncia al boiaro. Per il contadino e la sua famiglia si prospetta una miseria ancora più profonda. Dimi è reso folle dalla collera e tenta di uccidere il boiaro, ma il suo agguato fallisce a causa della pioggia.
Il narratore descrive le condizioni di vita dei contadini e le loro misere abitazioni. Anche lo zio Dimi cade nell'alcolismo e il piccolo Adrien assiste a quotidiane scene di violenza domestica:
Il a compris, très jeune, que la misère engendre souvent un mal plus grand encore, susceptible de causer le malheur d'une famille unie. Combien de fois n'a-t-il pas assisté aux scènes brutales où Dimi, à bout de peines et imbibé d'alcool, rouait de coups sa pauvre femme en dépit des interventions de sa mère qui usait de toute son autorité pour faire cesser ces scènes honteuses (RAYDON, 1968: 20).
Infine, a rendere realistico l'ambiente rurale descritto contribuisce notevolmente anche l'impiego di espressioni o termini lessicali stranieri, rumeni e delle altre lingue parlate nei quartieri cosmopoliti di Braïla e nei villaggi contadini che circondano la città (greco e turco). Si tratta soprattutto di parole ed espressioni connesse alle abitudini alimentari e alle attività agricole, ma riguardano anche il lessico dell'abbigliamento tradizionale e delle feste religiose rumene. Il vocabolario legato alle feste religiose è particolarmente preciso nel récitOncle Anghel, che contiene una cinquantina di termini rumeni, numerose espressioni idiomatiche e molti proverbi tradotti in maniera letterale.
In questo articolo si è cercato di evidenziare l'importanza dell'esilio linguistico e dell'adozione della lingua francese nell'opera di Panaït Istrati, sottolineando alcune tappe decisive del suo tormentato percorso di autodidatta e di scrittore di origini umili. Si è ricordato, inoltre, come per molti scrittori ed artisti rumeni del Novecento la scelta della Francia per il proprio esilio e della lingua francese come strumento di espressione sia di natura essenzialmente culturale ed abbia delle profonde radici storiche. La lingua francese rappresenta infatti un elemento costitutivo della cultura rumena e i due paesi, Romania e Francia, condividono da secoli i medesimi valori ed ideali di libertà e tolleranza.
Per lo scrittore di Braïla, la scelta della Francia, della sua letteratura e soprattutto della sua lingua ha rappresentato una vera e propria passione, nella duplice accezione del termine, di profondo e costante amore, ma anche di enorme sofferenza, a causa del travagliato apprendimento linguistico: «Cette passion pour le français, passion aux deux sens du terme – de souffrance extrême et de désir ardent» (GEBLESCO, 1993: 67). Decisivi per l'adozione della lingua francese e per la stessa carriera letteraria di Istrati sono stati l'incoraggiamento e il sostegno di Romain Rolland, come pure l'incontro con Josué Jéhouda.
Nei récits del ciclo di Adrien Zograffi, che costituisce il nucleo più consistente della sua produzione narrativa, Istrati rappresenta spesso la scena narrativa rumena in termini realistici, secondo i canoni tradizionali del racconto, in particolare i luoghi di vita dei marginali e dei contadini, ossia i villaggi rurali, le aree montuose, il delta paludoso della foce del Sereth, ecc. Lo scrittore è abilissimo nel trasmettere al lettore i valori culturali, simbolici ed emozionali che sono associati agli spazi rappresentati, in particolare quel senso del luogo che è creato, secondo Fabio Lando, dalla convergenza dell’«oggettività (geografica-fattuale) con la soggettività (culturale-umana)» (LANDO, 1993: 107).
La rappresentazione della Romania rurale nei récits di Istrati «construit une image de la Roumanie qui s'adresse au lecteur étranger. Ses tableaux de vie révèlent l'existence d'un choix, d'une orientation qui se fait stratégie littéraire» (BAGIAG, 2003: 11). Egli si rivolge principalmente ad un lettore straniero, particolarmente attento al colore locale. L'enorme successo editoriale che lo scrittore ha ottenuto in Francia, nella seconda metà degli anni Venti, è dovuto anche a questa sua capacità di ricreare in maniera realistica, per un pubblico che amava gli spazi esotici, il paesaggio rurale e boschivo del suo paese natale. Inoltre, le scene di violenza, di desolazione e di estrema sofferenza conquistavano il lettore occidentale, poiché esso ritrovava nei récits istratiani «in un mondo possibile che non si confondeva con il suo, la sospensione di alcuni principi fondamentali della sua etica, la trasgressione di alcune regole sociali, la realizzazione – rassicurante, poiché in uno spazio abbastanza lontano – di alcuni suoi fantasmi» (ZAFIU, 2008: 35).
Le descrizioni delle paludi nel delta del Danubio, della steppa pianeggiante del Baragan o delle cime impervie dei Carpazi rappresentano i quadri principali di questa rappresentazione spaziale. Vi si alternano immagini idilliache di paesaggi sereni ed accoglienti nei confronti delle figure umane ed immagini di una natura inospitale e selvaggia, talvolta visibilmente ostile all'uomo.
Bibliografia
A. BAGIAG, «Le dépaysement – un aspect de la modernité chez Panaït Istrati et Franz Hellens», site Internet http://www2.lingue.unibo.it/.../Bagiag/D%E9paysement%20expos%E9.pdf .
M. BAKHTINE, «Du discours romanesque», dans Esthétique et théorie du roman, Paris, Gallimard, 1978, pp. 83-233.
N. BALOTA, «Exil linguistique et exil métaphysique», in Euresis. Cahiers roumains d'études littéraires, Bucarest, Éditions Univers Bucarest, n. 1-2, 1993, pp. 12-21.
A. BONNET, «La Roumanie championne de la francophonie dans l'UE», in Bulgarie, Roumanie: enjeux d'une nouvelle adhésion, Regard sur l'est, mis en ligne le 15 novembre 2006, site Internet http://www.regard-est.com/home/breve_contenu.php?id=692.
Ph. GASPARINI, Est-il je? Roman autobiographique et autofiction, Paris, Éditions du Seuil, 2004.
E. GEBLESCO, «Langue d'écriture et figures paternelles», in L'Arc, Aix-en-Provence, n. 86-
87, 1983, pp. 57-72.
E. GEBLESCO, Panaït Istrati et la métaphore paternelle, Paris, Éditions Anthropos Economica,1989.
E. GEBLESCO, «Exil et langue d'écriture chez Panaït Istrati», in Euresis. Cahiers roumains d'études littéraires, Bucarest, Éditions Univers Bucarest, n. 1-2, 1993, pp. 67-68.
G. GENETTE, Figure III, Paris, Éditions du Seuil, 1972.
M. GOGA, La Roumanie: culture et civilisation, Paris, Presses de l'Université Paris-Sorbonne, 2007.
R. GORRIS, «“Venus d’ailleurs”: Agota Kristof et les autres», in Le goût du roman. La prose française: lire le présent, a cura di Matteo Majorano, Bari, Edizioni B.A. Graphis, 2002, pp. 198-228.
Ph. HAMON, Introduction à l'analyse du descriptif, Paris, Hachette, 1981.
P. ISTRATI, Œuvres, I, a cura di Linda Lȇ, Paris, Phébus, 2006a.
P. ISTRATI, Œuvres, II, a cura di Linda Lȇ, Paris, Phébus, 2006b.
M. JUTRIN-KLENER, Panaït Istrati, un chardon déraciné: écrivain français, conteur roumain, Paris, Librairie François Maspero, 1970.
F. LANDO, (a cura di), Fatto e finzione. Geografia e letteratura, Milano, ETAS LIBRI, 1993.
M. MARTIN, «Argument», in Euresis. Cahiers roumains d'études littéraires, Bucarest, Éditions Univers Bucarest, n. 1-2, 1993, pp. 3-8.
M. PERISANU, «Traditions et oralité chez Maryse Condé, Panaït Istrati et Ahmadou Kourouma», in Revista brasileira do Caribe, Brasília, Ed. CECAB, vol. IX, n. 17, 2008, pp. 267-288.
E. RAYDON, Panaït Istrati. Vagabond de génie, Paris, Les Éditions Municipales, 1968.
J.-M. SANTRAUD, Les haïdoucs dans l'œuvre de Panaït Istrati: l'insoumission des vaincus, Paris, L'Harmattan, 2002.
M. SPIRIDON, «Les identités frontalières: les "parents pauvres" ou les "riches héritières" de la tribu?», in Philologica Jassyensia, Iași (Roumanie), Editura Alfa, An II, n. 1, 2006, pp. 171-180.
C.-H. TEUTIŞAN, «Panaït Istrati – l'espace littéraire levantin», in Synergies Roumanie, Paris, Gerflint, n. 1, 2006, pp. 145-150.
Y. TUAN, «Spazio e luogo, una prospettiva umanistica», in Spazio geografico e spazio sociale, a cura di Vincenzo Vagaggini, Milano, Franco Angeli Editore, 1978, pp. 92-130.
I. VAILEANU PAUN, «Roumanie: le rôle croissant de la diaspora» in Bulgarie, Roumanie: enjeux d'une nouvelle adhésion, Regard sur l'est, mis en ligne le 15 novembre 2006, site Internet http://www.regard-est.com/home/breve_contenu.php?id=685.
R. ZAFIU, «L’immaginario della violenza», in Deux migrants de l’écriture. Panaït Istrati et Felicia Mihali, a cura di Gisèle Vanhese, Rende, Centro Editoriale e Librario Università della Calabria, 2008, pp. 35-45.
F. ZEPHIR, «L'éthique dans les récits de Panaït Istrati», in Cahiers de Narratologie, n. 12, mis en ligne le 20 avril 2005, site Internet http://revel.unice.fr/cnarra/document.html?id=223.
Note
↑ 1 Élisabeth Geblesco interpreta lo stesso vagabondare incessante di Istrati nel Mediterraneo orientale come una ricerca inconscia del padre: lo scrittore ha mostrato sin dall'infanzia un intenso interesse per la cultura greca, «champ du père, du départ, de l'exil et de la rupture» (GEBLESCO, 1983). Sullo stesso tema, si veda anche: E. GEBLESCO, Panaït Istrati et la métaphore paternelle, Paris, Éditions Anthropos Economica, 1989.
↑ 2 Philippe Hamon ha dedicato numerosi studi alla pratica descrittiva, soprattutto nell'ambito della narrativa naturalista. Per quanto riguarda le tematiche che sono utilizzate dagli scrittori realisti e naturalisti per motivare, dal punto di vista narrativo, le loro sequenze descrittive, vedi Ph. HAMON, Introduction à l'analyse du descriptif, Paris, Hachette, 1981, in particolare p.187: «la description doit être sentie comme tributaire d'une compétence du personnage délégué à la vision, personnage focalisateur, et non de l'étendue du savoir du descripteur. D'où le tendance du texte, souvent, à hypertrophier cette thématique justificatrice, et à constituer, régressivement, en une sorte de “bourre” destinée à gommer et à boucher un hiatus textuel (la frontière entre le récit et la description), une sorte de syntagme narratif stéréotypé, sorte de syntagme-postiche sans fonctionnalité autre que celle “d'introduire” une description».
↑ 3 Ampio giaccone indossato tradizionalmente dai contadini rumeni.