Prefazione
Il fenomeno della variazione ha attirato l’attenzione degli studiosi di terminologia soprattutto nell’ultimo decennio, grazie soprattutto alle originali messe a punto di studiosi come François Gaudin e Rita Temmerman. La variazione, nota Michele Prandi nel suo intervento, è a volte anche un fatto meramente testuale, «in linea di principio privo di spessore concettuale» e spesso strettamente dipendente dall’intento di evitare ripetizioni nelle catene anaforiche più complesse; ma la variazione è al tempo stesso, come ha insegnato Pierre Lerat, un fatto intrinsecamente e diremmo fisiologicamente connesso con l’oggetto della terminologia, cioè con la concettualizzazione della realtà e con la sua verbalizzazione nelle lingue naturali o nei linguaggi specialistici che da quelle stesse lingue traggono la linfa necessaria a coniare i loro termini.
Nel convegno genovese di cui si pubblicano gli Atti, grazie alle cure di Giuseppina Piccardo, Anna Giaufret e Micaela Rossi, il tema della variazione nella terminologia è affrontato da molti punti di vista, diversi ma tra loro spesso utilmente convergenti. Come ormai consuetudine per l’Ass.I.Term, l’occasione ha attratto l’interesse di numerosi studiosi; è stato quindi necessario limitare il numero delle relazioni più ampie e costringere nella sessione poster diversi contributi meritevoli, che per fortuna hanno potuto trovare in questa sede lo spazio per una più piena e distesa articolazione.
Tra le relazioni si segnalano tre interventi (Cabré, Lerat, Prandi) di ampio respiro teorico ma fortemente agganciati all’attività concreta del terminologo; due relazioni di taglio metodologico (Bertaccini-Lecci, Pulitano); quattro di ricerca sul campo ad ampio spettro interlinguistico (Lavagnino, Messina, Zanola) e una (Piccardo) volta a suggerire, prendendo le mosse da un’esperienza concreta, un ideale modello di attività di formazione in terminologia.
Cominciamo dal versante più denso di riflessioni teoriche col saggio di Michele Prandi (Università di Genova), Tra descrizione e normalizzazione: il termine come segno e la dipendenza dalla lingua. Il tema della sinonimia è stato affrontato da Prandi in numerosi importanti lavori, gli ultimi dei quali specificamente connessi con l’attività terminologica; Prandi riprende il tema, magistralmente, in una prospettiva di cooperazione tra lessicologia e terminologia che superi «l’idea di una separazione netta» tra le due discipline, idea nata – a suo modo di vedere – da una forzata riduzione della complessità di uno stesso oggetto d’analisi, la lingua naturale, per focalizzare l’attenzione sui concetti (terminologia) ovvero sui segni (semantica strutturale). Un approccio più equilibrato può mettere in luce la feconda dinamica tra «la spinta dei concetti e degli oggetti verso l’espressione e la spinta formatrice della lingua», con l’aiuto delle categorie, definite dallo stesso Prandi, di concetti endocentrici ed esocentrici. I concetti endocentrici portano indelebilmente «il marchio della lingua che li ha forgiati», espressione della rete di differenze istituite nel paradigma interno alla lingua stessa, quelli esocentrici sono etichette date a classi di oggetti riconoscibili indipendentemente dalla lingua naturale di volta in volta presa in esame, dove importa molto di più la riconoscibilità del singolo segno all’interno della classe che non la strutturazione del campo semantico. Prandi osserva giustamente che tra questi due poli «si apre un ampio spettro di variazione». Particolarmente importante l’accento posto sul fatto che le nomenclature dei linguaggi specialistici non sono semplici etichette poste su oggetti e concetti dell’esperienza, ma «strategie di denominazione e concettualizzazione che nascono nell’uso e nei testi» e non sono pertanto immuni da fenomeni tipici dei lessici delle lingue naturali quali l’anisomorfismo, l’omonimia, la polisemia e, appunto, la sinonimia. Prandi prende in esame ciascuna di queste categorie, soffermandosi infine sulla sinonimia per distinguere una sinonimia patologica e una sinonimia funzionale; quest’ultima mette ordine nella proliferazione che affligge i linguaggi specialistici introducendo un criterio di funzionalità diastratica e diafasica per discriminare e governare la scelta delle varianti (a mo’ d’esempio, Prandi si sofferma sul sistema dei pronomi atoni dell’italiano attribuendo un valore patologico alla sovraestensione di gli per le e viceversa un valore funzionale a quella di gli per loro in posizione atona; su questo tema è intervenuto recentemente, con un importante studio, Massimo Palermo). Obiettivo di una buona terminologia sarà dunque di tener conto delle stratificazioni sociali degli utenti dei linguaggi specialistici per fissare metodologie corrette alla normalizzazione e, di conseguenza, anche alle pratiche di traduzione.
La relazione di un maestro degli studi di lessicologia e di terminologia quale Pierre Lerat (Variabilité et harmonisation terminologiques) si segnala, come d’abitudine nei suoi scritti, per la lucidità e la sistematicità delle osservazioni, a partire dalla puntuale delimitazione del campo d’indagine con una sintetica ma efficacissima introduzione epistemologica, nella quale sottolineiamo l’importanza attribuita all’aspetto cooperativo dell’attività terminologica. In linea con le osservazioni di Prandi, Lerat osserva che l’errore del padre della terminologia, Eugen Wüster, è stato quello di pensare di poter «concilier Saussure et le Cercle de Vienne, c’est-à-dire une épistémologie non référentialiste et une épistémologie référentialiste». Assai istruttiva, in ogni suo aspetto, è la cavalcata di Lerat nell’analisi contrastiva italiano-francese-inglese del trattamento terminologico del concetto di «vino da monovitigno» che tocca i problemi connessi con la variazione lessicale e concettuale, di corpus, di oggetti, di domini e di comunità di lavoro. Lerat fornisce infine alcune decisive indicazioni sul tema dell’armonizzazione: dal punto di vista dell’armonizzazione (termine certo più amichevole di prescrizione) non è la sinonimia specialistica, bensì la polisemia a minacciare la coerenza delle basi di dati terminologiche orientate ai concetti. Occorrerà dunque utilizzare un termine di riferimento e attenersi a quello, trattando i termini concorrenti come sinonimi e cooperando per superare l’impasse dell’assenza di un coerente metalinguaggio della linguistica e per avvicinarsi all’agognato obiettivo di una gestione responsabile della variazione linguistica.
Due le relazioni dedicate specificamente alla terminologia in lingua italiana nei repertori lessicografici. Di particolare significato, per la raffinatezza dell’esame e l’ampiezza delle prospettive, il saggio di Vittorio Coletti (Università di Genova), su Marchionimi e nomi commerciali in terminologia. Coletti prende le mosse dal recente repertorio di Salvatore Riolo per «candidare» i marchionimi ad essere accolti tra gli oggetti di studio della terminologia: categoria un po’ sui generis nell’àmbito dei linguaggi specialistici, quella dei marchionimi può aggirare l’obiettivo della trasparenza della denominazione scientifica puntando sull’«efficacia dell’appello al cliente», e può rinunciare alla biunivocità con il designatum per «indicare intere classi di oggetti analoghi o pressoché identici» (come in cellophan, pennarello e simili). Il successo e la diffusione tra i parlanti, testimoniato dalla larga ricezione lessicografica, rende il marchionimo un’entità “ponte” tra il lessico specialistico e quello comune. Coletti osserva, tuttavia, che il marchionimo «non ha mai un sinonimo, ma al massimo degli equivalenti» e questo lo rende un ottimo candidato al «miracolo» della «perfezione terminologica», tanto più quando l’onomaturgo (o il verbiparo, come lo stesso Coletti lo ha argutamente ribattezzato) abbia preferito alla somiglianza omonimica con parole del lessico comune una creazione di pura fantasia o ispirata ai linguaggi delle scienze e delle tecniche (freon, luminal, valium), tra l’altro più facilmente esportabile in campo internazionale. Queste caratteristiche sembrano essere comuni a quei marchionimi che più sono entrati nella lingua quotidiana, tanto da risultare difficilmente distinguibili da termini tecnici e da essere percepiti come parole d’uso comune. La tesi di fondo di Coletti è dunque che quanto più e meglio «un marchionimo si volgarizza», cioè passa da nome proprio a nome comune – secondo la classica formula di Bruno Migliorini – conservando tuttavia precisione nel rappresentare referenti non equivocabili, «tanto più risulta trasferibile in una data terminologia» e potrà essere considerato «un buon termine». Attraverso un’attenta lettura dei dati raccolti nel repertorio di Riolo e in altre ricerche, aggiornati sulla scorta della lessicografia più recente anche con la valida collaborazione di Manuela Manfredini, e operando inoltre un serrato confronto interlinguistico – a campione – con francese, inglese, spagnolo e tedesco, Coletti conferma e precisa alcune caratteristiche “terminologiche” dei marchionimi e avvalora il principio per cui una buona integrazione europea che garantisca al tempo stesso la diversità e la pluralità delle lingue, passa anche attraverso «un patrimonio terminologico condiviso e situato in settori di grande interesse pubblico», funzionale a quella «comunicazione precisa e diffusa» cui si dovrebbe sempre aspirare.
Valeria Della Valle (Università di Roma), curatrice di alcuni dei più rilevanti repertori di neologismi dell’italiano contemporaneo e attualmente responsabile della nuova edizione del Vocabolario della lingua italiana Treccani, concentra la sua attenzione sulle Tendenze recenti nella formazione delle parole nuove. Della Valle conferma che le tecniche di coniazione dei neologismi si adagiano ancora nell’alveo della tradizione; è semmai la maggiore o minore frequenza di determinate procedure a caratterizzare la neologia dell’ultimo decennio: molto significativa è la quota dei prefissati denominali in funzione aggettivale (antiartrite, antironde, ecc.) e soprattutto quella dei deonomastici «con una tendenza a volte addirittura parossistica e spesso venata di intenti scherzosi, ironici o polemici». Si conferma inoltre la grande vitalità della lingua italiana d’oggi: non solo in termini quantitativi (una media di oltre 1000 neoformazioni ogni anno), ma anche grazie alla capacità di coniare neologismi tramite lo slittamento semantico e la metaforizzazione (concertista, scollinare, ecc.) e di reagire attivamente all’afflusso di angloamericanismi integrali adeguandosi all’internazionalizzazione del lessico con calchi quali aiuto umanitario, cavaliere bianco, eccezione culturale, lavoratore della conoscenza, risparmio etico, sorgente aperta e simili).
A metà tra la riflessione teorica e le sue applicazioni si colloca la relazione di Maria Teresa Cabré (Universitat Pompeu Fabra, Barcellona), Terminología y buenas prácticas. Cabré muove da una essenziale e precisa ricostruzione di come il concetto di buone pratiche (buenas prácticas, best/good practice) si sia consolidato, già negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e in campo internazionale, all’interno del dominio della qualità delle procedure scientifiche; ne definisce quindi con rigoroso dettaglio le sfaccettature concettuali, a partire dalla “chirurgica” analisi semantica dei suoi componenti per enucleare e mettere in risalto il valore specialistico dell’aggettivo buono («en el buen sentido de la palabra... », per citare Antonio Machado). È opportuno notare come proprio l’inquadramento nella definizione delle procedure di qualità inserisca le buone pratiche in una più ampia riflessione che coinvolge ormai anche le discipline linguistiche, come confermato da una recente disamina di Marco Mezzadri a proposito della didattica delle lingue in Europa. Nella parte centrale della relazione, poi, Cabré passa a delineare in modo puntuale e definitivo le condizioni e le procedure perché si possa parlare di buone pratiche nella concreta attività terminologica (in relazione alla norma ISO 9000 sulla qualità e al lavoro del Comitato Tecnico 37 sulla terminologia), indicandole nelle competenze teoriche, terminologiche, linguistiche e di dominio, nella correttezza metodologica e nell’affidabilità della documentazione, nell’uso corretto delle tecnologie dell’informazione. Essenziale è infine la giusta considerazione degli aspetti pragmatici e socio-funzionali. Approfitto per osservare che l’europeismo buona pratica, ancora non registrato nel GRADIT 2007, è stato opportunamente raccolto nel volume Neologismi curato da Giovanni Adamo e Valeria Della Valle.
Due sono, come si diceva, gli interventi orientati sulla pratica concreta del terminologo, quello di Franco Bertaccini e Claudia Lecci (SSLMIT Bologna-Forlì) su La variazione in traduzione e in redazione tecnica: verso una tipologia differenziata delle schede terminologiche e quello di Donatella Pulitano, Le varianti in una banca dati terminologica: come gestirle. Il terminologo che si occupa di terminologia aziendale è costretto a trattare un impressionante coacervo di varianti, che sono spesso il riflesso di politiche promozionali e che inevitabilmente appannano la denotazione e favoriscono la dispersione a danno dell’armonizzazione, specialmente quando rispondono all’intento di garantire la riconoscibilità di ciascun singolo marchio. Bertaccini e Lecci discutono la prassi di redazione di schede orientate alla traduzione “umana” (che si vorrebbe chiamare traduzione senz’aggettivi), all’interpretazione e alla traduzione assistita, avventurandosi fino alla “traduzione” e alla redazione controllata all’interno di una stessa lingua. Pulitano, pur tenendosi rigorosamente nei limiti del proprio àmbito di competenze, nel quale non è eccessivo considerarla un’autorità riconosciuta in campo internazionale, approfitta per ribadire utilmente alcuni principi essenziali dell’attività terminografica: redigere una scheda per ogni omonimo/omografo che appartenga a domini diversi e quindi corrisponda a definizioni diverse; distinguere con attenzione tra termini identici che designano realtà identiche e casi di anisomorfismo linguistico o concettuale; esercitare uno scrupoloso controllo sulla genesi delle varianti (per es., quelle grafiche possono nascere da banali refusi, così come quelle lessicali da ricerche terminologiche incoerenti da parte del redattore o del traduttore), tra le quali Pulitano si sofferma opportunamente anche su quelle diacroniche; infine, impostare la gestione delle varianti in funzione dell’obiettivo del lavoro terminologico, a seconda cioè che l’intento sia descrittivo o prescrittivo. Quest’ultima notazione anticipa quello che sarà probabilmente il tema del prossimo convegno dell’Associazione italiana per la terminologia (Roma, 2011), cioè per l’appunto la terminologia tra descrizione e prescrizione.
Alcune relazioni privilegiano il momento della ricognizione su attività e prodotti terminologici; è il caso dell’intervento di Giuseppina Piccardo (Università di Genova), volto a presentare, con ampia documentazione, il lavoro svolto dal Ce.R.Te.M. (nella Facoltà di Lingue e letterature straniere) dall’atto della sua costituzione nel 2005 (Ce.R.Te.M. – Centro di Ricerca in Terminologia Multilingue dell’Università di Genova). Nell’arco di soli quattro anni, il Centro di terminologia dell’ateneo genovese ha costruito una fitta rete di relazioni con centri di ricerca omologhi in campo italiano e internazionale, ha organizzato e promosso giornate di studio e seminari di formazione su vari aspetti dell’attività terminologica, e ha infine realizzato numerosi e accurati glossari (acqua, agricoltura biologica, caffè, pietra da costruzione, vino). La relazione di Piccardo ha, tra l’altro, il pregio di documentare l’efficacia di un lavoro corale nella formazione universitaria, secondo le linee discusse nel giugno 2005 in occasione del convegno Ass.I.Term di Portico di Romagna.
Molto ricco il ventaglio degli approfondimenti tematici. Maria Teresa Zanola (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) prende in esame la terminologia del fotovoltaico (Glossari e diffusione della conoscenza: la terminologia dei sistemi fotovoltaici) rilevandone le implicazioni sociali e osservando quanto le questioni di politica economica producano effetti sulla terminologia ufficiale, con gravi e significative ricadute per il cittadino. La ricerca della studiosa, che va ad aggiungersi ad altri interventi sullo stesso tema (come quello presentato nel convegno Ass.I.Term del 2008 a Cosenza), mostra con grande efficacia la produttività del lavoro svolto dal gruppo di ricerca da lei coordinato, produttività che si misura non solo nella quantità di spogli e di terminologia raccolta e analizzata, ma anche – e direi soprattutto – sul piano ermeneutico, come Zanola ha saputo ben mostrare con i suoi ormai numerosi studi sulla terminologia economico-finanziaria. A un tema di grande attualità sociale, l’agricoltura biologica, è dedicata anche la relazione di Elisa Lavagnino (Ce.R.Te.M., Università di Genova): L’instabilità dei termini complessi all’interno delle LSP: un confronto italiano-francese.
La presentazione di numerose ricerche in corso (accolte nel convegno nella sezione poster) completa la ricca offerta tematica di questi Atti. Un dominio vicino a quelli toccati da Zanola e Lavagnino è indagato nella presentazione di Mara Georgescu (Ce.R.Te.M., Università di Genova), La variazione nella terminologia dello sviluppo sostenibile, basata su un corpus di testi normativi dell’Unione Europea all’interno del quale la ricercatrice opera una prima ricognizione contrastiva inglese-italiano-francese su alcune polirematiche; un curioso incrocio tra terminologia tecnica ed esigenze pubblicitarie è esaminato da Chiara Messina (Ce.R.Te.M., Università di Genova), che muove da un corpus in lingua tedesca di pieghevoli illustrativi su attrezzature per l’allineamento delle ruote degli autoveicoli per ricavarne alcune più generali considerazioni su temi centrali della riflessione terminologica (Concetto e significato. Una riflessione terminologica).
Due terne di interventi, brevi ma di notevole densità, riguardano i settori giuridico ed economico-finanziario. La terminologia giuridica si conferma uno dei settori di punta della riflessione – non solo italiana – dell’ultimo decennio: si va dalla presentazione di Maria-Teresa Sagri (Istituto di Teoria e Tecniche dell’Informazione Giuridica, CNR, Firenze) che nel contesto dei problemi posti dalla gestione del multilinguismo nella produzione normativa europea presenta un interessante progetto di piattaforma informatica per la gestione della terminologia giuridica (Il profilo multilingue della normativa comunitaria: problemi e prospettive) a quella di Silvia Cacchiani e Chiara Preite (Università di Modena) che propongono un esame incrociato degli anglicismi e dei gallicismi presenti rispettivamente nelle più recenti edizioni del Vocabulaire juridique di Cornu (2007) e dell’Oxford Dictionary of Law, di Martin e Law (2006): Prestito giuridico e specificità culturali: un approccio contrastivo. Enrica Bracchi esamina infine il tema della filiazione così come si riflette nella terminologia giuridica italiana e francese, rilevando da un lato l’arricchimento che questo campo semantico ha avuto nell’ultimo decennio, dall’altro le diverse modalità con cui il lessico francese e quello italiano hanno recepito le novità scientifiche, sociali e giuridiche intervenute nei rapporti familiari e di filiazione (Figli e genitori nel Nuovo Millennio: variazioni diacroniche nella terminologia italiana della filiazione). Al confine tra terminologia giuridica e terminologia economica si colloca la presentazione di Elisabetta Vaiti (Ce.R.Te.M., Università di Genova), che delinea un primo schizzo delle questioni terminologiche che caratterizzano il settore del diritto tributario, solo da pochi anni oggetto dell’attenzione dei giuristi di scuola comparatista: Il reddito d’impresa nel diritto tributario: tra formanti giuridici e ipotesi terminologiche dei sistemi italiano, francese e statunitense. Passando al settore della terminologia economico-finanziaria, assai stimolante è l’analisi della terminologia assicurativa condotta da Sabrina Aulitto (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) a partire da un corpus di condizioni di polizza del quale si esamina nel dettaglio la costellazione terminologica dei concetti di furto e di responsabilità e alcuni problemi connessi con l’alternarsi delle varianti sinonimiche datoriale / datorile e di alcuni anglicismi tipici delle più recenti formule assicurative (La terminologia in ambito assicurativo). Danio Maldussi (SSLMIT, Bologna-Forlì) torna sulla terminologia finanziaria, con un importante esame sulla dialettica tra la creazione di neologismi nella comunicazione professionale e la codificazione terminologica più formale. Le espressioni oggetto d’indagine sono il gergalismo shortare e la polirematica ordine al meglio. Sin dall’inizio, Maldussi rileva il paradosso per cui la prima espressione, nata in modo spontaneo tra gli agenti di Borsa, risponde perfettamente alle esigenze di trasparenza e di univocità denotativa, mentre l’altra, se usata da gruppi di utenti diversi, «fallisce l’obiettivo primario di denominare il concetto in modo trasparente, finendo per indurre inferenze errate, e persino onerose, per i suoi utilizzatori». La ricognizione è approfondita e di prima mano – con esempi raccolti dalle chiacchiere in rete come da documenti ufficiali della Consob o dell’ABI – e offre un illuminante spaccato su un settore tanto interessante quanto poco o insufficientemente indagato (Terminologia sistematizzata e terminologia spontanea in ambito finanziario: un rapporto conflittuale).
Studi citati in forma abbreviata
La formazione in terminologia (Portico di Romagna, 29-30 aprile 2005), Atti del convegno, a cura di Franco Bertaccini, Riccardo Gualdo, Marcello Soffritti, in “Mediazioni. Rivista online di incontri interdisciplinari su lingua e cultura”, http://www.mediazionionline.it/monografici/index2.htm.
François Gaudin, Socioterminologie. Une approche sociolinguistique de la terminologie, Bruxelles, De Boeck/Duculot, 2003.
GRADIT – Grande Dizionario Italiano dell’uso, ideato e diretto da Tullio De Mauro, con la collaborazione di Giulio C. Lepschy e Edoardo Sanguineti, Torino, UTET, 2007.
Marco Mezzadri, Il Quadro e la gestione della qualità, in Integrazione linguistica in Europa. Il Quadro comune di riferimento per le lingue, a cura di M. Mezzadri, Torino, UTET, 2006, pp. 43-59.
Neologismi. Parole nuove dai giornali, a cura di Giovanni Adamo e Valeria Della Valle, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2008.
Massimo Palermo, Il tredicesimo pronome atono, in “Studi linguistici italiani”, 32 (2006), pp. 109-122.
Salvatore Riolo, Marchionimi e nomi commerciali nella lessicografia italiana del secondo Novecento, Catania, C.U.E.C.M., 2007.
Rita Temmerman, Towards New Ways on Terminology Description. The sociocognitive approach, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins, 1990.