Publifarum n° 12 - Atti Convegno Assiterm 2009

La variazione in traduzione e in redazione tecnica: verso una tipologia differenziata delle schede terminologiche.

Franco BERTACCINI e Claudia LECCI



Abstract

In questo lavoro ci sembra opportuno inizialmente fornire una breve spiegazione sulla distinzione tra termine "vedette", sinonimo e variante.
Con termine “vedette” intendiamo il termine riconosciuto come più usato, il più “ufficiale” o il più conosciuto.
Il sinonimo è un termine che designa lo stesso concetto del termine “vedette”, ma il cui uso è meno frequente o relativo ad una particolare classe di utenti. La variante è un tipo grafico di sinonimo (sigle, acronimi, ...).


A livello di traduzione umana, oltre all’uso di termini vedette, è corrente anche l’utilizzo di sinonimi e di varianti e dei loro equivalenti isomorfi, considerati gli unici possibili, a livello interlinguistico. Per alcuni committenti la capacità di individuare gli equivalenti a livello di variazione è indice di conoscenza approfondita della lingua del settore di intervento e di grande professionalità. Per un traduttore umano, per il quale la variazione viene mantenuta, significa che, di fronte ad un ventaglio di termini sinonimi tra loro, la scelta del termine vedette non è obbligata e lo status di "termine vedette" assume un valore relativo.

La Traduzione assistita permette ancora al traduttore di tenere in considerazione la variazione in quanto, se inizialmente le schede sono state realizzate tenendo conto dell’aspetto variazionista del termine vedette in L1 e in L2, successivamente, in situazione traduttiva, il DB terminologico, assieme al termine considerato vedette in L2, ripropone le varianti e i sinonimi e permette al traduttore di fare la scelta fra l’equivalente interlinguistico considerato più appropriato in quel determinato contesto.

In situazione di traduzione intralinguistica però l’approccio cambia sostanzialmente. Questo è dovuto in parte all’interazione uomo - macchina, che funziona tanto meglio quanto più il linguaggio è semplificato, ed in parte al fatto che quello che inizialmente veniva considerato una ricchezza, in quanto permetteva di coinvolgere un gran numero di interlocutori, ora diventa un elemento di disturbo e da eliminare ai fini di una produzione/comunicazione tecnica chiara e trasparente.


Anche in fase di redazione controllata la variazione viene completamente eliminata. I sistemi autore infatti permettono di distinguere un termine approvato da uno non approvato, quindi un termine vedette consigliato da un sinonimo o da una variante sconsigliati.

A nostro giudizio ne guadagna la coerenza terminologica del testo, ma si perde quella ricchezza tanto cara all’approccio socioterminlogico e variazionista.

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Oggetto di questo saggio è un’analisi dell’impatto della variazione terminologica sulla redazione dei vari tipi di schede e una riflessione sulle metodologie che permettono di inserire al meglio la variazione nella loro struttura.
Nella prima parte, tratteremo brevemente delle radici della variazione in terminologia, soffermandoci in particolare sulla presenza di fattori specifici legati alla polverizzazione delle aziende coinvolte e alle funzioni della terminologia nel microcosmo aziendale (§ 1).
In seguito, esamineremo i principali tipi di schede, differenziati in base alle loro specifiche funzioni, cercando di capire come fare posto alla variazione in armonia con le diverse funzionalità in ciascun tipo (§ 2).

1. La variazione in terminologia: il microcosmo dell’azienda

Conosciamo le ragioni generali, sociologiche per così dire, alla radice della variazione in terminologia.
In primo luogo, c’è il contesto, con l’asse diafasico: la terminologia si adatta ai diversi contesti ed alle diverse situazioni comunicative. In secondo luogo, la comunicazione tecnica orale risulta essere maggiormente flessibile rispetto alla comunicazione scritta, in quanto seguita da un processo di democratizzazione della conoscenza terminologica e dal fondamentale ruolo dell’autoapprendimento. In questo caso un numero sempre maggiore di persone si avvicina alla terminologia, per esigenze diverse e con conoscenze diverse. È in casi come questo che, nella variazione terminologica come nella variazione linguistica, abbiamo la sensazione che di uno stesso concetto si mettano in luce aspetti e sfumature diverse in relazione a diverse esperienze. Un ulteriore fattore di variazione si colloca sull’asse diacronico, dove l’evoluzione tecnologica procede parallela all’evoluzione terminologica. Infine, un fattore decisivo è il ruolo dell’esperto che, in quanto responsabile della compilazione dei manuali, finisce con il legittimare certi usi a spese di altri senza essere necessariamente competente sul piano linguistico, e quindi in modo inconsapevole, privo di un criterio guida coerente.
Le ragioni di tipo sociologico che abbiamo appena sintetizzato identificano certamente un fattore rilevante di variazione terminologica in ambito aziendale. Tuttavia, il fattore specifico e determinante nel contesto italiano sembra che vada cercato nella struttura delle imprese e nella loro politica linguistica.
Le ragioni di tipo sociologico generale coinvolgono le diverse tipologie di utenti della terminologia all'interno dell'impresa, il loro grado di istruzione, i diversi ruoli ricoperti dagli utenti (operai, tecnici, dirigenti, addetti all’assistenza clienti, responsabili marketing) e le varie situazioni comunicative di switching e mixing che si vengono a creare. La necessità di una sempre maggiore specializzazione a tutti i livelli aziendali, dalla progettazione alla vendita, dalla produzione all’assistenza tecnica, ha creato all’interno delle aziende una complessa stratificazione degli utenti, che a sua volta ha favorito una differenziazione nella terminologia, e quindi un sostanziale aumento della variazione.
Le ragioni più specifiche e interne, legate al funzionamento del microcosmo aziendale, rimandano invece alle diverse funzioni alle quali la terminologia risponde nella comunicazione aziendale, fatta di interazioni orali tra le diverse figure di personale e di testi scritti, appartenenti a quella che comunemente viene definita la “letteratura aziendale”: manuali d’uso e manutenzione, brochure, bilanci, schede tecniche di prodotto, cataloghi ricambi, e così via.
In primo luogo, occorre osservare che i protagonisti della vita aziendale – gli addetti alla progettazione, alla produzione, alla vendita e all’assistenza tecnica - comunicano più all’interno del microcosmo che verso il macrocosmo esterno. Il microcosmo aziendale si configura così come una realtà a sé stante, con limitate occasioni di scambio con l’esterno, una realtà, questa, che di per sé favorisce la dispersione rispetto all’armonizzazione. Nel microcosmo aziendale, che vive quasi in condizione di isolamento, è normale che lo stesso oggetto/concetto venga “etichettato” in modi diversi, soprattutto nella comunicazione orale diretta. La variazione terminologica, prodotta inizialmente dallo scambio orale, finisce per sedimentarsi e trasferirsi nella comunicazione scritta. Una volta sedimentata, la terminologia acquisisce l’autorità di una tradizione, e vive una sua seconda vita propria della comunicazione scritta. Ovviamente, la comunicazione orale continua a svolgere il suo ruolo determinante nel produrre variazione.
Se osserviamo la realtà dall’esterno, non ci sfugge che una situazione di potenziale ‘babele terminologica’ può ridurre l’efficienza di un’azienda e la sua capacità di penetrazione nel mercato. Nonostante questo, la maggior parte delle aziende dimostra una certa insensibilità verso una politica terminologica, e più in generale linguistica, coerente.
Se prendiamo in esame la struttura delle imprese in Italia, il dato non ci sorprende. In Italia, le piccole imprese da 7 a 9 addetti sono oltre il 73% e le medie imprese da 10 a 99 addetti sono il 22%, mentre le grandi imprese da 100 o più addetti sono relativamente poche: il 7,8%. Questa estrema diffusione della piccola impresa, e soprattutto della micro impresa, genera inevitabilmente un alto tasso di variazione terminologica. Al tempo stesso, non favorisce interventi adatti a limitare il fenomeno.
Sulle confezioni in Tetra Pack brick di “Tuorlo fresco pastorizzato per pasta”, ad esempio, lo stesso oggetto/concetto viene etichettato da quattro aziende italiane in quattro modi sostanzialmente diversi. EUROVO lo chiama Tuorlo d’uovo fresco pasta ricca, AIA Tuorlo d’uovo più, PARMOVO Tuorlo omogeneizzato speciale, FATTORIE NOVELLI Tuorlo supergiallo naturale. Bastano pochi esempi per capire che una terminologia armonizzata a livello interaziendale è un obiettivo remoto. L’esigenza di mantenere riconoscibile l'identità di ogni singolo marchio entra in conflitto con l’esigenza di armonizzazione e finisce con il prevalere pagando come prezzo un alto grado di variazione. Al tempo stesso, due obiettivi terminologici funzionali alla comunicazione intra- e inter-aziendale, sono stati salvaguardati. Il primo nel momento in cui, tra un ventaglio di varianti e sinonimi, probabilmente attestati all’interno dell’azienda, si è scelto il “termine principale”. Il secondo quando la comunicazione a livello intra-aziendale è assicurata, e il prodotto si presenta al pubblico dei consumatori con un’identità indiscussa differenziandosi dagli altri prodotti aziendali identici o simili.
Mentre favorisce la variazione, la situazione italiana scoraggia, come dicevamo, la collaborazione con i terminologi e, più in generale, una politica linguistica aziendale coerente.
La ricerca terminologica finalizzata alle aziende è di tipo proattivo e variazionista: proattivo nel senso che viene incontro alle esigenze dell'impresa e variazionista nel senso che tiene in considerazione la variazione (sinonimi e varianti) in ambito aziendale in tutte le attività del traduttore e del redattore. I risultati di una ricerca mirata potrebbero essere applicati con profitto a tutti i campi di attività linguistica dell’impresa, dalla redazione, traduzione, localizzazione, revisione alla correzione. In particolare, ne potrebbero beneficiare gli ambiti che richiedono tecnologie sofisticate: non solo la traduzione, che sarebbe più rapida e coerente, ma anche la redazione in L1 di manuali e di altri tipi di testi inclusi nella letteratura aziendale.
Tutto questo in teoria. In pratica, un progetto di armonizzazione terminologica coerente e, più in generale, la sensibilizzazione delle aziende a una politica linguistica di ampio respiro, si scontra con ostacoli economici insuperabili.
La ricerca socio-terminologica funzionale alle aziende, portata avanti da linguisti e da terminologi, richiede metodologie di ricerca complesse: registrazioni di interviste, conversazioni, discussioni e loro successiva analisi. La distribuzione di questionari agli addetti di un settore e l’analisi dei dati così ottenuti si aggiunge a uno spoglio sistematico, linguistico e statistico, di corpora di letteratura aziendale per un’attenta estrazione e sistematizzazione terminologica. Tutte queste operazioni, svolte da personale qualificato, hanno dei costi. Rispetto alla stessa ricerca sui corpora, la ricerca socioterminologica è decisamente più complessa e costosa. Questi costi potrebbero essere abbattuti solo grazie a un utilizzo esteso, che permetterebbe di ammortizzare gli investimenti in tempo e denaro. Ma una piccola azienda non possiede la massa critica per ammortizzare investimenti ingenti in tempo e denaro che, inevitabilmente verrebbero scaricati sui costi di produzione.
Per queste stesse ragioni, l’assenza di una politica terminologica delle aziende rientra nel problema più generale di un’insensibilità cronica verso le politiche linguistiche, dalla qualità della competenza della lingua materna alla pratica delle lingue straniere.
Da una ricerca pubblicata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale in merito alla politica linguistica delle imprese emerge che una miriade di micro imprese, ossia il 77%, non ha mai partecipato ad iniziative che comportano esportazione verso paesi esteri. Tra le grandi imprese, che coprono il 40% del mercato, solo il 2,7% ritiene che l’ignoranza o il non utilizzo delle lingue straniere da parte del personale sia fattore frenante delle attività con l'estero. Questo atteggiamento è coerente con i dati sulla conoscenza e l'utilizzo della lingua nazionale e delle lingue straniere a livello aziendale: l’utilizzo di una o più lingue straniere nello svolgimento specifico delle mansioni aziendali è una rarità. Più della metà delle imprese non ha un addetto che utilizzi e quindi conosca le lingue straniere e il 24,6% dichiara che all'interno dei rispettivi contesti aziendali non sussiste alcun fabbisogno linguistico e che la lingua e le lingue straniere non costituiscono un elemento utile per il business aziendale. Il 48,5%, poi, ritiene poco o per niente utile avere personale con conoscenze linguistiche. Una valutazione simile investe anche la lingua italiana, e il dato inevitabilmente si ripercuote sulla qualità della cosiddetta “letteratura aziendale”, e cioè dei manuali d’uso e manutenzione, delle brochure, dei bilanci, delle schede tecniche di prodotto, dei cataloghi ricambi, e così via. Sulla formazione linguistica del personale nei prossimi tre anni, il 67% delle imprese non intende investire, e il 20% probabilmente non lo farà; resta un 13% di aziende disposte ad investire in ricerca terminologica o linguistica in generale.
Tutto questo ci porta a concludere che la dimensione linguistica della produzione e della vendita, nei suoi aspetti sia interni, sia internazionali, è considerata dalle aziende italiane unicamente un costo esorbitante da ammortizzare sul prezzo del prodotto e non il biglietto da visita dell’azienda che presenta sul mercato nazionale o internazionale il proprio prodotto. Da un lato, è naturale che un’azienda piccola o piccolissima ritenga suo interesse investire il meno possibile nelle politiche linguistiche, nell’illusione di comprimere i costi e accrescere i margini di utile. Ma in questo modo si finisce con l’abbassare la competitività del prodotto e la sua capacità di penetrazione. Questo fatto appare subito evidente quando si viene in contatto con qualsiasi documentazione di accompagnamento di un prodotto. Certamente non è possibile, e neppure corretto, generalizzare queste affermazioni, ma questo è ciò che si verifica nella maggior parte delle aziende italiane.

2. Le schede terminologiche e la variazione: modelli differenziati

Per tutte le ragioni che abbiamo sintetizzato nel paragrafo precedente, dobbiamo prendere atto che il problema della variazione è un dato di fatto insormontabile, che il terminologo deve cercare di fronteggiare con gli strumenti che ha a sua disposizione. In particolare, occorre preoccuparsi di come fronteggiare il problema della variazione nelle schede terminologiche. In questo paragrafo, illustreremo i diversi modelli di scheda che cercano di rispondere alle esigenze delle diverse forme di mediazione linguistica. In ciascuno di questi modelli di scheda la variazione occupa un posto diverso. I modelli sono realizzati prevalentemente con il software SDL Trados Multiterm 2007.

2.1. Schede per la traduzione umana

Un primo tipo di scheda terminologica per la traduzione umana è orientata al concetto. All’interno di ciascuna scheda, rappresentiamo lo stesso concetto in più lingue, risultato di un processo di estrazione terminologica di tipo onomasiologico.
L’estrazione terminologica può avvenire in due modi: quello semasiologico tradizionale che consiste nell’analisi anche statistica dei corpora, e quello socio-terminologico, che si svolge direttamente in azienda. Questo secondo metodo ci consente di individuare terminologia stratificata, e quindi una serie di set di sinonimi. Una scheda orientata al concetto presenta nel DB terminologico, a livello intralinguistico e a livello interlinguistico, non più un unico termine, ma un set di sinonimi. Grazie a questo tipo di scheda, sia un esperto, sia un semiesperto o addirittura un non-esperto può entrare nel set a partire da un termine qualsiasi di sua conoscenza, e quindi acquisire la conoscenza di altri termini, quasi in un processo didattico di formazione e di informazione che arricchisce l’utente-apprendente. Questa struttura della scheda allarga sensibilmente il ventaglio di utenza del DB. Al contrario, una terminologia che tenga conto solo ed esclusivamente degli aspetti terminologici normalizzati, cioè dei “termini vedette”, non fa altro che restringere il ventaglio di utenza.
Una scheda orientata al concetto contiene un’immagine, che vale per le tre lingue in quanto rappresenta l’oggetto del triangolo wusteriano, informazioni dominiali, grammaticali, definizione, contesto e sistema concettuale, relazioni semantiche e relazioni gerarchiche, collocazioni, sinonimi e varianti, quindi un set di sinonimi, o “synset”. Il dominio è quindi strutturato attraverso alberi concettuali. Questa rappresentazione grafica della conoscenza permette anche di individuare all’interno di wordlists o di keywords i candidati termini che possono diventare termini a tutti gli effetti. I candidati termini acquisiscono lo status di termini solo se stanno nella sistematizzazione di un albero concettuale.
Le schede orientate al concetto contengono poi, come abbiamo detto, gli equivalenti concettuali del termine principale in L2, L3 e così via. I sistemi concettuali del termine in L2, L3 sono perfettamente sovrapponibili a quelli del termine in L1. Questo significa che, se c’è sovrapposizione, molto probabilmente ci sarà anche un’esatta equivalenza interlinguistica. Se così non fosse, in fase traduttiva non si utilizzerebbe più un esatto equivalente interlinguistico, ma un equivalente funzionale.
I campi in L2 e L3 sono gli stessi della lingua 1, Ci sono però alcune differenze pertinenti. Nel caso delle collocazioni, ad esempio, a livello interlinguistico non viene individuata la stessa collocazione, ma una collocazione che nei corpora assume la stessa funzione.
In definitiva, l’utilizzo di questi DB è rivolto al grande pubblico. Non sono solo i traduttori i suoi destinatari, ma potrebbero essere anche persone interessate al dominio (tecnici, redattori, ecc…).
Queste schede presentano però un problema. A livello interlinguistico, sono in grado di garantire l’esatta equivalenza per i termini principali, ma non necessariamente per le varianti. Una forma di equivalenza interlinguistica a livello di variazione si ottiene solo se il termine viene usato nella stessa situazione comunicativa, quindi se all’interno del cerchio diafasico, a livello diastratico e diamesico la situazione comunicativa risulta essere la stessa. Dalle schede orientate al concetto create con SDL Multiterm è possibile estrarre per coppie di lingue delle griglie di termini che contengono anche i set di sinonimi. Spetta poi all’utente e all’esperto, ciascuno con le sue competenze, il compito di stabilire le equivalenze a livello di variazione all’interno dei synset.
Un secondo tipo di schede per la traduzione umana è orientato al termine.
Le schede orientate al termine si costruiscono quando due sistemi concettuali in due lingue diverse non sono perfettamente sovrapponibili. In questo caso, la seconda o la terza lingua non sono all’interno della stessa scheda in quanto esprimono un concetto diverso o almeno non identico. Quindi la definizione, il contesto ed i sinonimi valgono solo per la lingua 1 ed il termine in L2 ha una sua definizione, un suo contesto e suoi sinonimi.
In questo caso, la scheda fornisce un equivalente funzionale e non un esatto equivalente concettuale a livello interlinguistico. La scheda non presenta inoltre un sistema concettuale esattamente sovrapponibile a livello interlinguistico e tantomeno delle relazioni semantiche. Questa è quindi una terminologia non sistematizzata realizzata ad hoc, per una particolare esigenza magari del traduttore, con un numero di campi contenuto ed attributi dei campi fortemente legati al contesto traduttivo del momento.

2.2. Schede per l’interpretazione

Dalla traduzione umana passiamo ora all’interpretazione e quindi alla “resa interpretativa”. L’interprete che lavora in azienda, in particolare nel settore commerciale a contatto con una terminologia altamente tecnica, ha bisogno di strumenti che tengano conto delle sue specifiche esigenze.
Un esempio è la scheda Verbi chiave del dominio. Questa scheda permette di accedere ai verbi chiave del dominio preso in esame, circondati da una costellazione di informazioni che vanno in tutte le direzioni (dai sinonimi, ai sostantivi, agli avverbi, agli antonimi ed alle fraseologie). Partendo dall’idea che bisogna trasferire i concetti e non i lemmi, potrebbe ad esempio essere necessario trasformare un verbo in un sostantivo, oppure modificare un verbo generico con un avverbio o un nome con un aggettivo. Tutte queste informazioni diventano estremamente funzionali per un interprete il cui ruolo è quello di “rendere” e non “tradurre” il significato di un concetto.
Un interprete ha però bisogno anche di conoscere tutta una serie di equivalenze interlinguistiche in L2, L3, ecc… a livello di collocazione, dove avverbi, verbi, fraseologismi e termini correlati lo aiutano ad ampliare la sua competenza e a rendere in maniera più efficace il concetto nella lingua di arrivo. Qui l’approccio non è tanto linguistico, quanto cognitivo-funzionale. Se aiutato a risolvere questo problema, un interprete svolge meglio e più serenamente il suo lavoro.

2.3. Schede per la traduzione assistita

Oggi il 90% del mercato della traduzione viene dalle imprese, quindi solo il restante 10% del mercato è occupato dalle case editrici. Gli studenti hanno perciò bisogno di imparare dei metodi che, oltre a velocizzare la traduzione, la rendano allo stesso tempo più precisa, coerente e coesa. Gli strumenti che permettono tutto questo sono i sistemi CAT. Alla SSLMIT di Forlì utilizziamo SDL Trados 2007, che è il sistema oggi più diffuso sul mercato, ma tutti i sistemi CAT funzionano più o meno allo stesso modo, utilizzano cioè una memoria di traduzione, un DB terminologico e un’interfaccia utente per tradurre il proprio testo.
Una scheda di dominio funzionale alla traduzione assistita ha un termine in L1 ed un termine in L2. Non abbiamo più a che fare solo con i termini semplici, composti e complessi che analizzavamo nei DB per la traduzione umana, ma anche con stringhe di testo, formule, simboli, stringhe alfanumeriche. Non è sempre il termine in senso stretto ad essere preso in esame. Il concetto stesso di termine diventa un’etichetta di massima che include tutti gli elementi elencati. In traduzione assistita, in particolare, c’è bisogno di poter creare schede di “lexicon”, cioè schede contenenti stringhe di testo che all'interno di un testo specialistico ricorrono con la stessa frequenza della terminologia. In fase traduttiva queste particolari schede possono diventare estremamente funzionali, sia per velocizzare la pratica, sia per garantire la coerenza e l’armonizzazione delle scelte traduttive nella lingua di arrivo.
Anche le schede per la traduzione assistita possono fare posto alla variazione e ai sinonimi. Questo implica che, in fase traduttiva, il DB individuerà e proporrà al traduttore non un termine ma una rosa di opzioni. Spetterà al traduttore operare la scelta appropriata, sulla base delle sue competenze. La traduzione assistita deve il suo nome al ruolo che assegna al traduttore umano: il ruolo di attore di valutazioni e di scelte responsabili e appropriate. Il traduttore risponde alle sollecitazioni della macchina scegliendo con consapevolezza nella lingua di arrivo quello che, a suo giudizio, è l’equivalente esatto, o il più appropriato, in quel testo e in quella situazione comunicativa.

2.4. Schede per la traduzione intralinguistica e interlinguistica umana, assistita e automatica

Accade spesso che le caratteristiche del testo di partenza costringano il traduttore, prima di tradurre in L2, a riformulare il contenuto in un nuovo testo nella stessa L1 nella quale è formulato. Il processo chiamato metaforicamente traduzione intralinguistica non è altro che una riformulazione di questo genere (Prandi, 2004), all'interno di una stessa lingua, preliminare e funzionale alla traduzione interlinguistica. Facciamo un esempio. Data una scheda nella quale viene impostato il termine Italiano Standard (cioè appartenente a un italiano riformulato) “bacchetta”, il sistema CAT sostituisce sempre tutti i suoi sinonimi (in L1 a volte ce ne sono fino a 6) con “bacchetta”. Quindi, al momento di effettuare la traduzione in L2, il termine da tradurre sarà uno solo e non darà origine ad una proliferazione di sinonimi anche in lingua di arrivo.
Queste schede, create appositamente per la traduzione intralinguistica in un primo tempo e interlinguistica poi, permettono di armonizzare la terminologia in L1, e quindi di fornirne una traduzione coerente in L2.

2.5. Schede per la localizzazione e per la traduzione automatica

Le schede di localizzazione in genere sono realizzate con SDL Multiterm 2007, e quindi compatibili con SDL Passolo, software creato espressamente per la localizzazione.
Il principio è lo stesso che viene applicato in traduzione assistita, e le schede si presentano con lo stesso aspetto e con le stesse caratteristiche.
Le schede per la traduzione automatica non sono delle vere e proprie schede terminologiche, ma dei dizionari personalizzati, dove non c'è solo ed esclusivamente terminologia, ma anche e soprattutto “lexicon”, che anche in traduzione automatica si rivela, spesso, molto funzionale.

2.6. Schede per la redazione controllata

Il caso della riformulazione preliminare in L1 ci fornisce l’occasione per fare un ulteriore passo: se si redige un testo destinato alla traduzione, perché non redigerlo direttamente con caratteristiche tali da facilitare l’uso degli ausili terminologici e tecnologici alla traduzione? Scrivere in modo controllato permette, attraverso i sistemi CAT, di tradurre in modo controllato, velocizzando e standardizzando il processo traduttivo e migliorando la qualità dei testi di arrivo. In definitiva la redazione controllata, gestita da SDL Authoring (un altro software di SDL Trados), funziona così: vengono utilizzate le memorie di traduzione (segmenti paralleli allineati) ed un DB terminologico creato ad hoc, dove ogni termine possiede lo status di “approvato” o “non approvato”. Le schede per la scrittura controllata si inseriscono in questa strategia.
Entrambi gli strumenti lavorano all’interno di una sola lingua e su quella sola lingua. In base a parametri predefiniti, si riescono a gestire le strutture sintattiche e morfosintattiche, oltre naturalmente alla terminologia. Il testo prodotto in L1 viene sottoposto ad una serie di “controlli” effettuati dal programma, attraverso i quali sono garantite la sua uniformità sintattica e morfosintattica rispetto alla memoria di riferimento e la sua armonizzazione terminologica rispetto al DB di riferimento. Nel momento in cui migliora la qualità della lingua di partenza, la redazione controllata ottimizza i benefici della traduzione assistita.

3. Conclusioni

Il fenomeno della variazione affonda le sue radici in parte in fattori ineliminabili dalla scena terminologica, la stratificazione degli utenti, e in parte in fattori specifici del panorama aziendale, in particolare italiano: la terminologia è spesso più funzionale alla coesione del gruppo di addetti e all’identificazione del marchio che alla comunicazione verso l’esterno.
Il terminologo, se inserito in modo adeguato nella dinamica aziendale, avrebbe gli strumenti per intervenire attivamente sul problema. Come studioso, si impegna a affrontarlo inserendo il ventaglio dei sinonimi nei vari tipi di schede.
Spesso però la realtà aziendale impone al terminologo-traduttore-localizzatore tempi stringenti che non permettono di dedicare alla terminologia il tempo che meriterebbe. Perciò, i database terminologici proposti non possono che essere uno strumento volto ad incrementare il rendimento in fase operativa. Tuttavia, in futuro, non si esclude che le aziende possano sentire l'esigenza di creare un vero e proprio database aziendale di riferimento ai fini della standardizzazione e della normalizzazione della terminologia. Ciò dipenderà dalle scelte e dalle politiche aziendali anche in relazione alle strategie di investimento.

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Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN 1824-7482