La responsabilità dello scrittore oggi: Marie Cosnay testimone nei tribunali di Bayonne
Indice
Letteratura e diritto : il ruolo della scrittura oggi
Marie Cosnay e la scrittura impegnata
Abstract
Italiano | IngleseIl rapporto tra la scrittura letteraria e il diritto assume connotazioni molto particolari nell'opera di Marie Cosnay. In due testi, Comment on expulse e Entre chagrin et néant, che forniscono una testimonianza diretta sulle procedure giudiziarie legate all'espulsione dalla Francia degli stranieri clandestini, l'autrice discute della responsabilità civile del cittadino e dello scrittore, fornendo ampio e vario materiale di riflessione. Dimostra così un atteggiamento, una postura autoriale attiva nei confronti della società e un engagement di sartriana memoria.
Letteratura e diritto : il ruolo della scrittura oggi
La produzione narrativa in Francia si è rinnovata verso la fine degli anni Settanta quando sono lentamente scomparse le ultime avanguardie e le sperimentazioni degli autori denominati nouveaux romanciers e di quelli che gravitavano intorno alla rivista Tel Quel, e si sono affacciati sulla scena letteraria nuovi scrittori, con nuove prospettive e nuovi testi. Molto si è già detto su questo momento di grande rinnovamento dove, come spiega Dominique Viart: «Il ne s'agit plus en effet d'«écrire» – au sens absolu du terme – mais bien d'écrire quelque chose, qui relève du réel, du sujet, de l'Histoire, de la mémoire, du lien social, ou encore de la langue.» (VIART, 2004: 290) In un certo senso, si tratta di un periodo caratterizzato dal ritorno alla gioia di raccontare e di narrare storie, al quale stiamo ancora assistendo, come se da allora in poi si fosse inaugurata una nuova era, nella quale si interroga il presente avendo ormai assimilato il soupçon sarrautiano nei confronti del romanzo e in generale della finzione narrativa. Infatti, con il ritorno al soggetto, al racconto e al reale, la scrittura letteraria ha dimostrato una fiducia rinnovata nei confronti della narrativa e del raccontare, presupponendo anche un superamento delle limitazioni generiche e delle strutturazioni impermeabili e rigide: l'epoca contemporanea si sviluppa all'insegna della porosità tematica, dell'ibridazione generica e del meticciato artistico in tutti i campi della creazione e quindi anche in quello della letteratura. La fiducia rinnovata nel racconto è dunque una tendenza che permane nella produzione letteraria odierna che assume caratteristiche specifiche e, soprattutto, mette in scena da parte degli scrittori una rinnovata apertura e disponibilità verso l'esterno e l'altro: essi si pongono in ascolto della realtà e delle problematiche che affliggono l'uomo e la società contemporanei e ne danno testimonianza nelle loro opere.
Essere en prise avec la réalité comporta l'essere calati nel mondo che ci circonda, di portare uno sguardo attento su quanto avviene oggi, e anche di tentare di decifrarlo, di spiegarlo e d'interrogarlo. Tale prospettiva autoriale di posizionamento rispetto alla realtà contemporanea si potrebbe a tutti gli effetti considerare come una vera e propria postura dello scrittore, che decide di implicarsi in prima persona nel tentativo di rendere conto e di interpretare la complessità che lo circonda. Per postura intendo, come Jerôme Meizoz, la posizione dell'autore rispetto al contesto in cui opera, al campo letterario nel quale agisce e al quale si riferisce. È un concetto che consente di « décrire au mieux l’articulation constante du singulier et du collectif dans le discours littéraire » (MEIZOZ: 2007, 14). Difatti, affinché la nozione di postura autoriale possa essere utilizzata proficuamente nell'analisi letteraria, è fondamentale considerare le attività dello scrittore rispetto ai diversi contesti nei quali esse si sviluppano; diventa così necessario prendere in conto non solo il testo e l'eventuale metadiscorso che vi si trova inscritto, ma anche le condizioni della produzione letteraria, il contesto della diffusione delle opere e l'ambito della loro ricezione. Quella di postura è, dunque, una nozione complessa che ha valenza soltanto se concepita come un'articolazione di azioni in uno specifico campo letterario e in un determinato momento storico. Inoltre, vi si può collegare anche la riflessione sullo statuto dello scrittore, sul suo possibile ruolo nel mondo di oggi e nella società contemporanea (DUBOIS: 2005).
Nonostante oggi sia ormai chiaro che l'attività letteraria è dissociata da una qualsiasi funzione sociale se non quella dell'intrattenimento, che comunque ormai è appannaggio di altri media ben più attraenti e potenti, succede che sia proprio la scrittura a essere scelta per trasmettere un messaggio etico, per porre questioni e interrogazioni alla società di oggi, per denunciare situazioni e pratiche sociali aberranti. Tanto più che, nella produzione letteraria francese odierna, l'impegno dello scrittore si fa sempre più importante e si declina in mille sfaccettature diverse che, ricomposte, consentono di avere una seppur vaga idea della complessità del mondo di oggi. Proprio in questo contesto si può considerare l'attività letteraria di Marie Cosnay (1965), scrittrice francese che ha fatto della battaglia a favore del riconoscimento dei diritti degli immigrati in Francia l'oggetto di alcuni dei suoi ultimi testi, editi in formato cartaceo e reperibili talvolta in formato elettronico (sul sito Publie.net), e dei post che pubblica sul suo blog (http://www.marie-cosnay.fr/).
Marie Cosnay e la scrittura impegnata
Quando ho incontrato Marie Cosnay un anno fa, nell'ambito di un seminario dottorale al quale partecipavamo entrambe presso l'Université de Lille 32, sono stata colpita dal suo discorso sull'«engagement» dello scrittore oggi che era assolutamente e inaspettatamente in linea con quanto avevo argomentato prima di lei nel mio intervento. Avevo infatti presentato l'attività di scrittori che raccontano la città da un punto di vista molto particolare, quasi etnologico, e si concentrano sul mondo dei marginali, dei clochard e di chi, a causa di situazioni drammatiche molto diverse e diversificate, si trova a vivere in zone urbane e periurbane, in abitazioni di fortuna o addirittura in tenda e a condurre un'esistenza in un certo senso in incognito e insieme accanto alla popolazione 'regolare'. Si tratta, per l'appunto, di persone che si trovano fisicamente molto vicino a noi ma, al tempo stesso, lontani, sconosciuti, ignorati. La ricerca e l'inchiesta umana e letteraria svolta da parte di scrittori come Jean Rolin (Zones, Gallimard, 1995 e La Clôture, Gallimard, 2002) e Philippe Vasset (Un Livre blanc, Fayard 2007), ad esempio, dimostra un'estrema attenzione nei confronti di queste realtà misconosciute tanto che, attraverso la scrittura, essi praticano una vera e propria ricerca sociologica e un'azione con una forte valenza etica. Effettivamente, attraverso la loro descrizione degli insediamenti in zone che mai si penserebbe possano essere abitate e il racconto della vita quotidiana delle persone che vi vivono, gli scrittori compiono un atto di impegno etico e politico nei confronti della società attuale, la quale in genere preferisce nascondere, chiudere un occhio, non venire a sapere.
La discussione scaturita dal mio intervento ha approfondito e ampliato le riflessioni che avevo proposto, perché da un'idea di impegno, che io avevo definito come sociale, dello scrittore di oggi, si è passati all'affermazione di un engagement di tipo sartriano rivendicato dalla stessa Marie Cosnay. La scrittrice è infatti personalmente impegnata in un'attività di scrittura in cui la denuncia e la diffusione dell'informazione sono primordiali. Questo suo impegno si sviluppa da alcuni anni principalmente intorno alle problematiche sociali e umane dell'immigrazione in Francia e, in particolare, riguardo a quelle che derivano dall'adeguamento delle pratiche giuridiche alla normativa sull'immigrazione che è stata adottata in Francia a partire dal 20083. È da quel periodo infatti che in Europa si è verificato un fenomeno crescente di immigrazione dai paesi poveri (si vedrà che nel tribunale di Bayonne passano persone di moltissime nazionalità diverse), al quale i Paesi hanno risposto con leggi restrittive e procedure giudiziarie che mirano al contenimento dell'ondata migratoria. In Italia abbiamo tutti preso coscienza della drammaticità del fenomeno attraverso le immagini degli sbarchi tragici nei porti siciliani, con quelle dei Centri di accoglienza e dei Centri di permanenza temporanea (CPT), che oggi sono stati ridenominati Centri di espulsione e identificazione (CEI)4.
Marie Cosnay ha scritto due testi nei quali descrive alcune situazioni legate al trattamento legale dei clandestini, di cui è stata testimone presso il tribunale di Bayonne tra il 2008 e il 2011, Entre chagrin et néant. Audiences d'étrangers5 e Comment on expulse. Responsabilités en miettes. I titoli sono abbastanza espliciti sul contenuto dei libri e anche sull'atteggiamento della scrittrice nei confronti delle situazioni che descrive. Al di là di qualsiasi giudizio di merito sulla sostanza di quanto si legge nei due testi, mi interessano alcuni aspetti formali e autoriali sui quali ho intenzione di soffermarmi. L'idea di trattare di Marie Cosnay e delle sue opere 'impegnate' è nata in relazione al soggetto del presente volume di studi in onore di Giuseppina Piccardo, perché Lingua e Diritto. La Lingua della Legge, la Legge nella Lingua è un titolo impegnativo se si applica al versante letterario della ricerca e non intendevo lavorare a partire da un approccio meramente tematico-contenutistico, bensì mi interessava scoprire se si può stabilire una relazione tra la scrittura letteraria odierna e le trasformazioni sociali alle quali il diritto deve adeguarsi. Inoltre, a livello testuale, i libri di Cosnay presentano specificità e caratteristiche che li pongono all'incrocio di diverse forme di scrittura. L'autrice francese rientra infatti pienamente in questa situazione alquanto porosa, ibrida e meticciata, perché scrive testi che non sono letterari in senso stretto ma in senso lato, ovvero sono opera di una scrittrice che ha sicuramente un atteggiamento diverso rispetto a un giornalista quando si trova a essere testimone di situazioni drammatiche, ma l'atto di scrittura è, comunque, anche vicino a quello del documentarista. Infatti, la sua postura è assolutamente chiara, come si evince dalle dichiarazioni liminari del primo volume:
J'ai voulu la semblance, le respect de chacun. Lorsque j'y ai échoué, cela est dû à un manque de temps, à un manque de capacité d'analyse, à la rapidité des moments passés avec les personnes qui se succèdent au tribunal, à la difficulté de l'acte de témoignage. Jamais à la volonté de faire fiction.
Les conclusions tirées, les morceaux ou tentatives d'analyses, ce que je choisis de noter au jour du tribunal, ce que je laisse de côté, ce que je choisis de recopier d'après mes notes, ce que je choisis de laisser de côté, ne témoignent que de ce que je ressens ou comprends, partiellement, partialement, et n'engagent que moi.
Par rapport à autrui, j'ai à faire. (ECEN:13-14)
Rimane lo stile e la capacità di raccontare storie che trasportano il lettore e gli trasmettono tutta la sua empatia nei confronti delle vittime del sistema delle espulsioni. Questo tratto dell'opera è peculiare: la postura autoriale di Marie Cosnay in questi testi è quella di un forte impegno personale, accompagnato dal desiderio di capire e di denunciare insieme. Infatti nelle librerie, questi testi non si trovano nella sezione della letteratura ma in quella dedicata alle scienze umane.
Possiamo ritenere i due libri come il frutto di un percorso che l'autrice ha intrapreso, un cammino costituito da un'iniziale presa di coscienza dell'esistenza di un problema, da un successivo approfondimento sulle sue caratteristiche con l'analisi di cause, effetti e circostanze, attraverso la frequentazione assidua del tribunale e il contatto con le persone implicate nel piccolo teatro dell'udienza; infine con un ripiegamento su di sé in quanto persona che si mette in discussione e che decide che il ruolo dello scrittore, come quello del cittadino, è di impegnarsi nella denuncia degli abusi e delle aberrazioni del sistema, in questo specifico caso della gestione di questioni legate all'immigrazione clandestina.
Testimoniare per capire la società di oggi
Dal 2008 in poi, Marie Cosnay si è recata settimanalmente al tribunale di Bayonne, dove si tengono le udienze per determinare le modalità dell'espulsione dei clandestini che sono stati trovati dalla polizia di frontiera per la maggior parte sui treni a Hendaye, alla frontiera con la Spagna. L'autrice assiste a quello che si può definire un vero e proprio spettacolo con occhio disincantato e insieme innocente, perché all'inizio non conosce le specificità della ritualità del tribunale e ne descrive i singoli atti con l'ingenuità e la verità del neofito, mentre poi, con l'andare del tempo, acquisisce le conoscenze che le consentono di valutare e giudicare le situazioni.
Gli attori del rito dell'udienza sono il/la giudice, gli avvocati, i rappresentanti della prefettura, il cancelliere, l'interprete, il personale dei servizi sociali e gli imputati che provengono da Paesi molto diversi; questi sono in ordine di comparizione: Cina, Marocco, Iraq, Ghana, Gabon, Pakistan, India, Capo Verde, Camerun, Gambia, Guinea, Congo, Brasile, Tunisia, Algeria, Guinea Bissau, Palestina, Albania, Israele. Anche la situazione sociale dei clandestini è varia e si trova il marocchino che arriva dall'Italia in cerca di lavoro, e vuole andare in Spagna o rimanere in Francia dove ha parenti che potrebbero ospitarlo; il brasiliano residente in Svizzera che è partito in vacanza in Spagna e ha dimenticato a casa il permesso di soggiorno e ora è un clandestino a tutti gli effetti; l'iracheno che ha chiesto e ottenuto asilo politico in Ungheria e che sta girando l'Europa in cerca di lavoro e non sa, o finge di non sapere, che non può farlo. Le storie s'intrecciano e tutte si scontrano con la rigidità della normativa da un lato e con l'ignoranza di essa da parte degli stranieri dall'altro: per risiedere in Europa è necessario un permesso di soggiorno, emesso da un paese e che non può essere usato per spostarsi da uno stato all'altro. L'amara ironia di parecchie situazioni sta nel fatto che molti clandestini sono arrestati nel momento in cui vogliono uscire dal territorio francese e rinchiusi nei Centres de retention administrative in attesa di documentazione da parte del Paese in cui risiedono che permetta loro di ritornarvi o dei decreti d'espulsione.
La rigidità del sistema normativo, accompagnata da quella delle procedure, fa sì che, spesso, vizi di forma durante gli arresti e i fermi consentano ai clandestini di essere rilasciati prima di essere rinchiusi nei centri di accoglienza o di essere espulsi. L'autrice è molto sensibile al fatto che gli avvocati operino spesso soltanto sul reperimento di tali falle del sistema e dell'operato delle forze dell'ordine per far liberare i loro assistiti. Da parte sua, il lettore in questo modo è messo al corrente di tutta una serie di pratiche e iter che costituiscono la vita del tribunale, da quelle per la richiesta d'asilo alle norme comunitarie che regolano i casi di immigrati che circolano, anche senza averne il diritto, e dei quali è necessario seguire le tracce e i percorsi per ricostruirne gli itinerari; ai meandri delle competenze giudiziarie che spesso sono all'origine dell'insperata libertà per gli immigrati; alla debole competenza specifica dei giudici che, soprattutto all'inizio dell'applicazione delle nuove procedure, spesso si trovano a trattare pratiche e situazioni che non conoscono approfonditamente:
Debout lui aussi. Même situation, né à Delhi, je n'ai pas noté la date de naissance. Vous étiez ensemble? Non, ils ne se connaissent pas, c'est le hasard. Pas de document. Pas de passeport. Un an passé en France. De Delhi à Rome. Pourquoi Rome, demande la juge, et l'intreprète explique après le jeune homme que c'est plus facile d'avoir un visa pour l'Italie. Vous aviez un visa de quinze jours, que vouliez-vous faire en Europe pendant quinze jours? Travailler. Vous aviez l'intention de rester là? C'est ça. Perdu le passeport en Italie. Dommage, répond la juge, vous ne pouvez même pas établir votre identité. Venu en France pour trouver travail. Je n'ai aucun avenir dans mon pays, je ne veux pas quitter la France. Déjà interpellé par la police ? Non. Où viviez-vous? Domicile, hôtel? Au temple. Ils ont des chambres au temple? Ils donnent à manger même quand ils n'ont pas de titre de séjour?
La juge s'étonne-t-elle que l'on nourrisse des gens qui n'ont pas de titre de séjour? Est-elle agacée par la recherche d'une vérité qu'elle sait ne pas pouvoir trouver? La vérité de qui à vingt ans quitte Delhi à bord d'un bateau de marchandises, quitte, a tout quitté et peut-être n'a rien à quitter. (ECEN: 22)
In questa citazione è riportato uno stralcio di interrogatorio nel quale si trovano esplicitate le posizioni della giudice, del clandestino, dell'interprete e anche quella dell'autrice. Infatti, nonostante Marie Cosnay riporti fedelmente le parole e le situazioni di cui è stata testimone, il suo punto di vista personale e la sua reazione a quanto sente e vede emergono attraverso brevi commenti, e anche dall'utilizzo del corsivo per indicare il cambio del tono delle parole pronunciate. Piano piano, nella lettura siamo accompagnati non solo dalla testimonianza precisa ma anche dalla reazione dell'autrice che assiste alle miserie altrui e non riesce a rimanere impassibile. Il coinvolgimento personale diventa così forte e importante, che talvolta si trasforma in vera indignazione nei confronti di un sistema diffuso nel quale l'attenzione alla persona in quanto essere umano è assolutamente assente. Il rito giudiziario è considerato in alcuni casi persino «inhumain» e l'autrice riflette e rende conto delle sue impressioni su quella che percepisce come una deriva razzista verso la quale sta scivolando la società europea: «Il faudrait des compétences exceptionnelles pour analyser, à partir du vocabulaire et de ses minuscules glissements, comment une société devient peu à peu raciste et dangereuse» (ECEN: 95).
L'ascolto della parola nel tribunale ci mette di fronte alle nostre responsabilità di cittadini europei, in un mondo capitalista e globalizzato, nei confronti di paesi e popoli che non hanno avuto la nostra fortuna e che spesso sono, soprattutto per la Francia, ex colonie con le quali è rimasto un cordone ombelicale saldamente attaccato. L'espressione del titolo, Entre chagrin et néant (Tra dolore e nulla), prende tutto il suo valore e significato alla luce della postura dell'autrice: la ricerca della verità, delle ragioni che la sottendono e la volontà di capire quali siano le motivazioni specifiche e le problematiche umane, la conduce a una profonda interrogazione delle nostre abitudini, consuetudini e di quelle dei paesi in cui viviamo. Apprendiamo così insieme a lei le piccole sfumature della legislazione sull'immigrazione, con anche uno sguardo alla filosofia politica alla base di alcune pratiche; allo sviluppo delle società occidentali e al loro rapporto con gli stranieri a partire da quella ateniese, modello originario che però deve essere superato e adattato alle situazioni contemporanee. Riferendosi ai principi della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, e della Costituzione francese del 1948 in materia di accoglienza, Marie Cosnay s'interroga sul cammino che è stato svolto sino a oggi e sulle sue ripercussioni sulla coscienza occidentale ma, soprattutto, s'interessa alla responsabilità, a quella nozione tanto importante quanto talvolta difficile da affrontare che dovrebbe essere la base sulla quale costruire qualsiasi rapporto sociale.
Nel volume successivo dedicato ancora alla questione della gestione delle espulsioni dei clandestini dalla Francia, Comment on expulse, l'approccio della scrittrice si è fatto più preciso e focalizza, sin dal sottotitolo, la questione delle Responsabilités en miettes. Nel giro di due anni le procedure amministrative e giudiziarie francesi si sono consolidate, ma la situazione rimane inalterata rispetto ai flussi migratori: il tribunale di Bayonne e il Centro di detenzione di Hendaye lavorano regolarmente insieme a tutti gli altri protagonisti di questa situazione: i giudici, gli avvocati, gli interpreti, i volontari delle associazioni per la salvaguardia dei diritti (Cimade). Come spiega Cosnay: «En 2009, je désirais poser la question des responsabilités de chacun. Je voulais qu'il soit possible pour chacun des participants de se situer, pour un instant, hors de l'espace de sa fonction.» (COE:11) Pretesa alquanto ardita e sicuramente difficile da realizzare: ognuno dovrebbe essere cosciente delle proprie responsabilità allo stesso modo. E ancora, allora il suo desiderio era di agire, di provocare una presa di coscienza nelle persone con le quali assisteva alle udienze e con i protagonisti stessi: «Je tentais donc de montrer comment chacun d'entre nous, avec ses préjugés, fragilités, peurs et connaissances, peut parler de ce qui se passe, ici et aujourd'hui, en matière de droit des étrangers. Ces différentes manières de parler créaient un espace de représentation qui faisait ou pouvait faire, de manière infime, bouger le réel.» (COE: 12) Tre anni fa, la scrittrice aveva ancora fiducia nel potere della parola e in quello dell'empatia, nel riconoscimento del diritto altrui e nella salvaguardia di esso; oggi, la situazione è cambiata, ovvero le posizioni si sono consolidate come anche le pratiche, le procedure e i rituali giudiziari, pertanto la constatazione che ne consegue è alquanto amara e disillusa, ma prelude a un nuovo atteggiamento:
[…] en avril 2009, nous pouvions nous étonner que seule la forme fasse rempart à l'exclusion et à l'expulsion des étrangers, les juges judiciaires n'étant chargés que de la légalité de la procédure, si nous pouvions craindre une justice ne s'interrogeant pas sur ses fins, nous n'en sommes plus là. Deux ans plus tard nous constatons que les procédures n'ont plus l'occasion d'être confrontées au droit, le pouvoir judiciaire étant, dans le cas du droit des étrangers, complètement écrasé. (COE: 12)
Ma che cosa spinge una scrittrice, semplice cittadina con una vita normale, a impegnarsi e a implicarsi in questi discorsi, in queste domande e in queste questioni che apparentemente non la riguardano? La domanda potrebbe sorgere spontaneamente, se non fosse che il volume propone una intensa e approfondita riflessione sull'impegno, quell'engagement di sartriana memoria a cui Cosnay si riferisce molto esplicitamente. Le dodici parti del testo, che portano date nel titolo tranne due, narrano altrettante udienze di stranieri clandestini: 10 avril 2009, 11 avril 2009, O., policier, 16 avril 2009, 18 avril 2009, 12 mai 2009, Juin 2009, Juin 2009, Octobre 2009, 16 octobre 2009, 6 août 2010, 3 juin 2011, Postscriptum. Le testimonianze e la cronaca delle udienze sono simili a quelle del testo precedente nel loro susseguirsi d'interrogatori, di risposte più o meno vaghe, di tentativi di spiegare la normativa francese e le ragioni personali degli stranieri. Tuttavia, qui è proposto al lettore qualcosa di più profondo: ogni udienza è un pretesto alla riflessione, all'approfondimento e alla messa in discussione dell'azione umana. A partire da una considerazione sul legame tra il luogo e la comunicazione che vi si sviluppa: «Idée que les possibilités de communication sont en partie liées au lieu, à la situation» (COE: 16), Cosnay introduce nel suo racconto una digressione su Ossip Mandelstam e la sua critica del potere sovietico, e sul fatto che egli aveva constatato come in ogni luogo si sviluppa una società particolare nella quale le persone hanno ruoli ben definiti e discorsi prestabiliti: così anche nel tribunale si crea un micro sistema, per cui diventa difficile avere uno sguardo scevro dall'abitudine e dalla consuetudine della ritualità dei gesti e delle procedure.
Da un argomento all'altro, la scrittrice rievoca nella stessa parte anche la parrhesia greca: «la liberté que prend un homme pour dire au tyran ce qu'il en est de ses excès. C'est la qualité de dire ce que l'on pense, non au bout des lèvres mais en l'affirmant courageusement.» (COE: 17) È questa la postura affermata da Marie Cosnay, tanto che da questo momento in poi il suo testo diventa una requisitoria contro l'atteggiamento di non accoglienza dello straniero, contro la xenofobia crescente in Europa, contro la vigliaccheria del negare la parola agli emarginati. In questo secondo testo, la politica della Grecia antica e l'etica nella politica sono le fonti primarie dell'autrice, quelle che nutrono la sua riflessione, insieme naturalmente alla letteratura impegnata del XX secolo. Socrate e Vittorini, Sofocle e Edipo, le associazioni mentali tra la realtà del tribunale e la profondità della ricerca di un senso si susseguono in un discorso che talvolta si ripete, come se avesse bisogno di ritrovare vigore per riprendere e proseguire il suo corso.
Nel testo del 16 aprile 2009, leggiamo di Socrate che rinuncia alla difesa durante il processo che lo porterà alla condanna, perché sa che il dovere dei giudici è di deliberare per il giusto e quindi lui si fida di loro. Da questo esempio di pura fiducia nelle istituzioni, Cosnay passa in rassegna alcuni personaggi che hanno dimostrato un forte impegno civile e una pura necessità di parlare, di far conoscere al mondo situazioni di abuso di stato, a partire da Larissa Bogoraz che partecipò a una manifestazione sulla piazza Rossa contro la Primavera di Praga: ebbe il coraggio di dire no, di denunciare quel che considerava negativo e pericoloso, dimostrando un atteggiamento etico e responsabile. L'atteggiamento di Socrate e quello di Larissa Bogoraz sono complementari al discorso di Cosnay, perché il filosofo non può neanche immaginare che i giudici non applichino la legge correttamente e accetta la loro decisione stoicamente; la scrittrice russa invece sa che ormai la giustizia è aliena alla realtà e che l'opinione pubblica non si opporrà alle decisioni dei giudici, per paura: «Il y a entre la loi et la pratique judiciaire une grosse différence […] Il y a des États où entre la loi et la pratique judiciaire, il y a des écarts et ces écarts peuvent être béants.» (COE: 35) Sono due esempi che accompagnano il suo ragionamento e la sua ricerca di una maniera per dire l'indicibile.
L'alternanza di fonti classiche e moderne è molto interessante e costituisce una delle caratteristiche più innovative di questo testo. La profonda conoscenza della letteratura antica deriva dalla formazione della Cosnay, docente di lettere alla scuola media, e anche dalla sua pratica di traduttrice dal greco antico. Così, l'interrogazione e la riflessione sulle modalità della trasformazione della legge nel tempo e sul suo rapporto con la pratica giudiziaria e con le mutazioni sociali è accompagnata dal riferimento classico: Sofocle prima di Euripide ha posto la questione cruciale della legge degli uomini a confronto con quella degli dei, con la narrazione della storia di Edipo e della sua famiglia. (COE: 47) Attraverso la ripresa della storia di Antigone che si pone in contrapposizione allo zio Creonte, detentore del potere e della legge, ritorna il motivo della giustizia della legge, del suo rapporto con l'etica e con il senso di giustizia insito in maniera più o meno forte in ognuno di noi. L'argomentazione dell'autrice continua tra racconto di situazioni di stranieri costretti a lasciare le loro case improvvisamente perché risultano clandestini, nonostante i loro figli frequentino le scuole pubbliche e siano integrati nella società da anni, con riflessioni tratte da testi antichi e moderni: tutti funzionali alle affermazioni della scrittrice.
Tuttavia, il passaggio dove espone il ruolo del racconto nelle situazioni evocate nei suoi testi e nella vita in generale, mi sembra essere uno dei tratti più interessanti per un approccio più letterario della sua pratica di scrittura, lontana dalla finzione narrativa e saldamente ancorata alla realtà. Il testo che prende il titolo di Juin 2009, e che si trova esattamente a metà del volume, tratta appunto del racconto, o meglio della necessità che ha l'essere umano di raccontare, di raccontarsi, di rendere conto delle proprie esperienze per passarle agli altri, per farsi capire e per trasmettere quel che conosce. Questa esigenza del racconto è evidente durante le udienze di Bayonne quando gli interpellati dimostrano un forte desiderio di far conoscere ai giudici la loro storia, troppo sovente tragica e drammatica. Anche in questo caso, l'autrice sceglie di rifarsi alle fonti antiche, a Ovidio che nelle Metamorfosi descrive il luogo dove nascono le storie vere o false (COE: 59). I racconti accompagnano la storia umana e sono in definitiva sempre gli stessi se li si analizza dal punto di vista dei valori che trasmettono. Le stesse storie ricompaiono a ciclo continuo, rivisitate, riadattate e riscritte, ma tutte mantengono inalterata la necessità umana di raccontare il mondo. Il discorso generale di Cosnay passa incessantemente al particolare: «Les personnes en quête de subsistance, déplacées de pays en pays et malmenées devant les lois constituées des anciens États nations composant l'Europe, disent, quand on les rencontre: il faut raconter, raconter mon long parcours.» (COE: 62) La necessità della testimonianza è forte perché soltanto attraverso il racconto si esiste davvero, perché solo se gli altri conoscono possono capire e forse accettare la diversità. Da parte sua, il racconto serve per far conoscere una realtà troppo spesso nascosta, ignorata o misconosciuta, quella degli stranieri che transitano da uno stato all'altro dell'Europa e caduti nelle reti dei controlli sono costretti a rimpatriare, a ritornare da dove sono venuti, fuggiti, scappati. A tornare talvolta in paesi dove hanno vissuto solo l'infanzia e ora, diventati adulti, non si ricordano neanche più di appartenervi, tanto il tempo ha cancellato dalla loro memoria quei luoghi ormai remoti.
La seconda parte del libro contiene alcuni racconti, stralci e brani di discorsi carpiti al volo: sono quelli che gli stranieri cercano di far intendere ai giudici per far comprendere la loro realtà, la loro necessità di rimanere in Francia, di ritornare in quello che considerano ormai il loro paese. Sovente però, il loro racconto non è chiaro, non è abbastanza piano per essere percepito nella giusta misura: «Regards complices, sourires d'incompréhension. Je pense: on ne comprend jamais rien aux histoires des autres et parfois pas grand-chose à la sienne, aucune vie n'est dans un continu qui la rend immédiatement déchiffrable.» (COE: 81) Le storie del tribunale servono anche a rendersi interessanti agli occhi dei presenti, l'attenzione si risveglia quando il racconto è particolarmente ricco di dettagli; gli aneddoti: le piccole miserie private, riescono ad attirare lo sguardo e a captare l'attenzione più della semplice risposta alle domande dei giudici. Nel tribunale si percepiscono in questa maniera delle «bribes de vie», quelle che si possono carpire anche negli ateliers d'écriture, attività cui si dedicano moltissimi scrittori a contatto con pubblici sempre diversi anche composti da gruppi molto particolari, come ad esempio i carcerati, i marginali e i senza tetto, ma anche persone assolutamente integrate nella società che sentono il bisogno di esprimersi. Si tratta di «récits minuscules» (COE: 85), che hanno valore soltanto perché esprimono l'umanità che è in noi. Marie Cosnay facendosi portavoce di questi racconti minuscoli di persone sconosciute e al di fuori da qualsiasi inquadramento sociale, rende la sua testimonianza e compie, così facendo, un atto etico e impegnato: dà la parola a coloro i quali non sono ascoltati, diventa la loro tribuna. Così, la sua scrittura diventa azione politica, nel senso più nobile del termine, e questa «nouvelle politique de l'écriture» (VIART, 2012:80), che si sviluppa in Francia da una decina d'anni, dice le faglie della nostra società, si mette al servizio delle persone e delle situazioni che non interessano nessuno ma che sotto la penna degli scrittori diventano oggetti letterari.
Bibliografia
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Note
↑ 1 Marie Cosnay, Comment on expulse, Paris, Éditions du Croquant, 2011, p.41. Tutte le citazioni saranno poi seguite dall'abbreviazione COE, e dal numero di pagina.
↑ 2 Séminaire doctoral européen "Littérature contemporaine et sciences humaines: Sociologie, Histoire, Ethnologie", Université Lille 3, École Doctorale SHS, Études européennes, Équipe Alithila, sous la direction de M. Dominique Viart, 21/03/2012: « Littérature ethnologique: territoire urbain et périurbain (Jean Rolin, Philippe Vasset, Marc Augé, Annie Ernaux) ».
↑ 3 Tra il 2007 e il 2008, le « reconduites » di clandestini alla frontiera, o nei loro paesi sono aumentate in tutta Europa, e quindi anche in Francia, in seguito all'inasprimento della normativa a livello comunitario. In Francia questa materia è normata dal « Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile » (CESEDA).
↑ 4 Cfr. la descrizione della norma in Italia che è molto vicina a quella francese descritta da M. Cosnay: http://immigrazione.aduc.it/articolo/espulsione+amministrativa+cittadino_19609.php
↑ 5 Marie Cosnay, Entre chagrin et néant. Audiences d'étrangers, Éditions Laurence Teper, Paris, 2010. Tutte le citazioni saranno poi seguite dall'abbreviazione ECEN, e dal numero di pagina.