Leggi dell'uomo vs leggi della natura: «El disputado voto del sr. Cayo» di Miguel Delibes
Abstract
Miguel Delibes publishes the novel "El disputado voto del sr. Cayo" in 1978, in full democratic transition. Once again, the rural world has to deal with the anxieties of modernity, creating a culture clash in which the wisdom of the farmer Cayo seems to prevail. In the novel Delibes creates characters that represent some of the ideological postures and common moral principles of the beginning of the XXI century.
The article also focuses on Delibes as a keen observer of the political evolution, an aspect poorly emphasized by criticism. Particular emphasis is given to the the ability of Delibes to trace with great clarity the "human types" that would characterize Spanish politics in the post-Franco era.
Nel marzo del 2010, pochi giorni dopo la morte di Miguel Delibes, trovai affisso sulla porta del mio studio un articolo del Corriere della Sera che ricordava la straordinaria figura di intellettuale dello scrittore castigliano. Il foglio era arricchito da una scritta a matita: “convegno subito”. Il mio stupore fu enorme. Non per la partecipata attenzione che una mano ignota aveva dedicato all’avvenimento – eventualità che in un dipartimento di ispanistica poteva essere più che comprensibile – quanto piuttosto per lo stupefacente interesse dimostrato dalla stampa italiana nei confronti di uno dei più prolifici e autorevoli romanzieri della storia letteraria spagnola. Questa affermazione potrebbe sembrare paradossale se non si riflettesse sul fatto che Delibes, come molti altri grandi scrittori spagnoli, ha ricevuto nel corso dei decenni un’attenzione poco più che miserrima da parte dell’editoria italiana. Come ricorda Nuria Pérez Vicente, citando le parole di Stefano Tedeschi,
Delibes rappresenta probabilmente il caso di maggiore disattenzione della cultura italiana verso la narrativa spagnola del Novecento. Scrittore di grande valore […], ha ormai raggiunto in patria un’importanza pari, se non superiore, a quella del Nobel Cela: in Italia, invece, le scarse traduzioni delle sue opere si sono disperse senza che gli venisse prestata una più approfondita attenzione1.
Quello con Camilo José Cela fu un interminabile duello a distanza – sentito, in realtà, più dall’opinione pubblica e dai critici che dai diretti interessati – capace di mettere a confronto le due anime storiche della Spagna, quella contadina e progressista di Delibes con quella borghese e conservatrice di Cela. A questo vanno aggiunte le differenti personalità dei due, con la sprezzante e provocatoria presunzione celiana a far da contraltare alla dimessa semplicità di Delibes.
Nel contesto italiano entrambi hanno goduto di scarsa considerazione, ma se Cela può vantare ancora oggi l’edizione Einaudi dei suoi due capolavori – La familia de Pascual Duarte e La colmena –, nel caso di Delibes a stupire è proprio la quasi totale assenza di sue opere nelle nostre librerie, evenienza che ha comportato una generalizzata indifferenza tra lettori e critici. A fronte di alcune inspiegabili dimenticanze – La sombra del ciprés es alargada, Aún es de día, Mi idolatrado hijo Sisí, Las ratas e El hereje non sono mai stati pubblicati in Italia – non sono mancate traduzioni accurate, in alcuni casi corredate da sostanziosi apparati critici, ma sempre carenti in quanto a distribuzione e longevità editoriale. Risultato di questo processo è la sostanziale inconsistenza del nome di Miguel Delibes nel contesto culturale italiano.
El disputado voto del señor Cayo è il romanzo che con maggior immediatezza ha saputo attirare l’interesse dell’editoria italiana. Trascorrono infatti solo quattro anni dalla pubblicazione in Spagna – avvenuta nel 1978, in piena Transizione democratica – all’edizione italiana del 1982, uscita presso la SEI di Torino a cura di Giuliano Soria. La mancata letteralità nella traduzione del titolo, Per chi voterà il signor Cayo? mantiene il valore semantico dell’originale ma perde, inevitabilmente, il rimando al gioco di parole diputado/disputado, insostenibile nella lingua italiana (diputato/conteso).
Il perché di questa attenzione si può ricercare nel fatto che El disputado voto del señor Cayo è un romanzo quanto mai opportuno, legato a doppio filo alla realtà sociale e politica del suo tempo. La rottura di molte barriere politiche e sociali avvenuta in Spagna in quegli anni e il rapidissimo percorso di aggiustamento alle coordinate culturali ed economiche europee rende la letteratura spagnola meno autoreferenziale di quella prodotta negli anni bui della dittatura e più appetibile agli occhi altrui. La fine “istituzionale” della censura nel 1977 e la fermezza con la quale i nuovi governi sembrano perseguire l’obiettivo democratico spazzano via molta di quella diffidenza che gli editori italiani, in molti casi politically oriented, avevano provato nei confronti del contesto iberico negli anni precedenti.
Cayo o la voce della natura
Alla vigilia delle prime elezioni democratiche, dopo quasi quarant’anni di regime franchista, Miguel Delibes getta lo sguardo sul processo di Transizione che si sta portando a compimento in Spagna; e lo fa a modo suo. Da sempre interessato al mondo contadino e al processo di abbandono delle campagne in atto ormai da decenni, presenta un personaggio tipico della realtà rurale alle prese con il processo di Transizione, un incontro/scontro che si concretizza nella visita che il protagonista, il signor Cayo, riceve da parte di tre membri di un non ben identificato partito della sinistra, che ripercorrendo le pagine del romanzo, tra dichiarazioni ed esclusioni, si scopre essere il PSOE. Cayo è il sindaco di Cureña, una piccola frazione di montagna situata nella provincia di Burgos, che negli anni si è andata via via spopolando fino ad arrivare agli attuali tre abitanti; lo stesso Cayo, la moglie sordomuta e un vicino con il quale i rapporti si sono interrotti ormai da molti anni. La situazione, ai nostri occhi paradossale e in parte comica, inquadra alla perfezione il senso di strenua resistenza che il mondo contadino esercita di fronte a quello che sembra un ineludibile destino. Lo stesso Cayo, nelle parole di Delibes «puede muy bien ser considerado como el arquetipo del campesino castellano que conoce y ama su tierra, un ser primario, lacónico, llano, muy suyo, pero cuyos movimientos van ineluctablemente presididos por el signo de la eficacia2». La concretezza estrema del contadino non può quindi che scontrarsi con la inconsistente retorica dei nuovi “ideologi” che la recente situazione politica, venutasi a creare dopo la morte di Francisco Franco, ha generato. Così, in piena ottica delibesiana3, quello che si preannunciava come un comizio si trasforma in una appassionata lezione di vita contadina che l’anziano rivolge ai suoi giovani visitatori. Le leggi degli uomini, della politica, sembrano soccombere di fronte alla semplice ma concreta saggezza delle ancestrali leggi della natura. L’idealismo metropolitano dei giovani ospiti si scioglie come neve al sole una volta entrato in contatto con il pragmatismo old style del signor Cayo abituato, nella sua solitudine ormai cronica, a doversi confrontare solo con l’ambiente circostante.
L’impatto dei tre giovani giunti da Burgos – Victor, Rafa e Laly – con il mondo di Cayo è umanamente ottimo ma psicologicamente devastante. Le convinzioni dei quali sono portatori faticano ad aprirsi uno spazio nella disarmante semplicità del loro interlocutore…
(Victor) Pero en fin, lo primero que debemos decirle es que estas elecciones, las elecciones del día 15, son fundamentales para el país.
(Cayo) Ya –dijo lacónicamente el viejo.
(Victor) O sea, que es una oportunidad, casi le diría la oportunidad, y si la desaprovechamos nos hundiremos sin remedio, esta vez para siempre.
El rostro del viejo se ensombreció. Parpadeó por dos veces. Se tomó un poco de tiempo antes de preguntar:
(Cayo) Y ¿Dónde vamos a hundirnos, si no es mala pregunta?4
Qual è il significato delle parole di Victor? Cosa significa quel “affonderemo”? Quello di Cayo non è disinteresse, non è il retaggio del pessimismo generato da un lungo regime dittatoriale ma soltanto la convinzione che il mondo si muova seguendo leggi che non vengono dalla politica, che non possono essere decise a tavolino dagli ospiti arrivati dalla “città”. La vita segue i ritmi della Natura, dettati da un’entità superiore che decide la fertilità di un terreno, la ricchezza di un fiume, l’abbondanza o l’assenza di pioggie. Se questa entità assicura prosperità allora non ci potranno essere leggi dell’uomo capaci di infettare la serena esistenza dei cittadini…
(Victor) –En pocos años, el campo ha experimentado una verdadera revolución en Lérida. Y ¿Sabe usted con qué? Con los frutales enanos y una comercialización eficiente, así de fácil.
Sonrió socarronamente el señor Cayo:
¿Hiela en mayo en el pueblo ese que usted dice?5
La vita del contadino è una vita di lavoro e di attesa che non ha bisogno di riflessioni teoriche o di astratte considerazioni, è la coerenza nella sua massima espressione. Tempi dilatati, lunghe e ripetitive giornate trascorse a stretto contatto con la terra e i suoi frutti, gli unici in grado di assicurargli la sussistenza. Cayo rifuta la modernità non per paura, ma perché incapace di comprenderne la valenza, l’utilità. Quando Victor gli prospetta la possibilità di avere migliori vie di comunicazione e nuovi strumenti di contatto con il mondo si genera un dialogo quasi surreale:
Víctor volvió a la carga:
–Díganos, senor Cayo, y ¿cómo baja usted a Refico?
En la burra.
–¿Siempre bajó en la burra?
No señor, hasta el 53, mientras hubo aquí personal, los martes bajaba una furgoneta de Palacios. Y, antes, hace qué sé yo los años, estuvo la posta –sonrió tenuamente– donde Tirso cambiaba los caballos.
Víctor apartó los pies de la lumbre:
Y ahora ¿quién le trae el correo?
¿Qué correo?
Las cartas.
El hombre rompió a reír:
–¡Qué cosas! –dijo–: Y ¿quién cree usted que le va a escribir al señor Cayo?
–¿Los hijos?
Hizo un ademán despectivo:
–Esos no escriben –dijo–: Tienen coche.
–Y ¿vienen a verle?
–Qué hacer. Al mes que viene vendrá él, con los dos nietos, ¿se da cuenta? A ella no le pinta esto. Dice que qué va a hacer ella en un pueblo donde no se puede ni tomar el aperitivo, ya ve. ¡Cosas de la juventud!6
Ogni tentativo di attirare l’anziano contadino verso aspetti puramente politici trova di fronte a sé un muro di ingenua umiltà. Rafa, il meno colpito dall’atteggiamento sereno e distaccato di Cayo, cerca con insistenza di riportare il discorso sui binari della nuova opzione politica che si sta profilando in Spagna, ma con risultati disastrosi. Dopo aver chiarito che non si tratta di “votar que sí” – come negli antichi referendum, figli dell’ipocrita intenzione di Franco di offrire ai cittadini inesistenti spazi decisionali –, ma piuttosto di scegliere tra diverse opzioni, ricorda al suo interlocutore come il suo partito rappresenti «la opción del pueblo, la opción de los pobres7». La risposta è disarmante:
El señor Cayo le observaba con concentrada atención, como si asistiera a un espectáculo, con una chispita de perplejidad en la mirada. Dijo timidamente
–Pero yo no soy pobre.
Rafa se desconcertó:
–¡Ah! –dijo– entonces usted, ¿no necesita nada?
–¡Hombre!, como necesitar, mire, que pare de llover y apriete el calor.8
Lo scontro tra nuovo e vecchio, tra tradizione e modernità, tra le ancestrali leggi della natura e la volontà di aprire una nuova fase politica si fa incessante. La campagna castigliana, ormai spopolata dall’urbanizzazione selvaggia iniziata negli anni Sessanta con l’avvio del piano di sviluppo industriale, difende la sua posizione attraverso la figura di un anziano contadino che vive con la schiena piegata sui campi ma rifiuta di piegare la testa. La certezza di vivere ormai fuori dal tempo lo riempie di una sconcertante tranquillità «(Rafa) Un ejemplo, señor Cayo, la noche que murió Franco usted dormiría tan tranquilo... (Cayo) Ande y ¿por qué no?9» che finisce per ottenere negli interlocutori l’effetto contrario di quello desiderato. Sono questi ultimi a portare con sé dubbi e angosce che finiranno, nel caso del più sensibile Victor, per condizionarne anche la carriera politica.
La battaglia, per Delibes, è vinta. La campagna ha perduto la sua antica centralità ma la saggezza contadina rimane un punto fermo nella vita degli uomini. Al rientro in città, Victor, Rafa e Laly sono costretti a fare i conti con lo sgretolamento di molte delle loro convinzioni, con il ridimensionamento del loro supposto ruolo di protagonisti della vita sociale della Spagna. Nella lucida borrachera che lo accompagna sulla strada di casa, Victor riflette sull’inutilità della loro visita e sulla loro incapacità di comprendere le istanze di una buona parte del tessuto sociale. «Hemos ido a redimir al redentor10» si lascia scappare il candidato Victor Velasco in quella notte di dolore e riflessione che condizionerà irrimediabilmente le sue scelte successive.
Curiosamente, il riferimento più esplicito alla superiorità del mondo contadino e alla centralità delle leggi della natura nella vita dell’uomo, lo ritroviamo non nel romanzo ma nella versione cinematografica dello stesso realizzata da Antonio Giménez Rico, uno dei più apprezzati registi spagnoli contemporanei, nel 1986. La gestazione della pellicola, per la quale venne chiamato a interpretare il ruolo di Cayo nientemeno che Paco Rabal, non fu semplice. Come racconta Ramón García Domínguez11, il problema principale che ci si trovò a dover risolvere fu quello cronologico. Il romanzo affrontava avvenimenti strettamente legati a una realtà politica e sociale che dieci anni dopo appariva superata. L’idealismo politico dei giovani socialisti che alla vigilia delle elezioni del 1977 uscivano per la prima volta dalla clandestinità, i loro sogni e la loro speranza di un mondo nuovo, potevano essere ritratte dieci anni dopo, quando la Spagna era ormai un paese pienamente democratico e i socialisti già da tempo al governo? Per aggirare questo ostacolo la scelta degli sceneggiatori ricadde sull’utilizzo dello strumento dell’evocazione. Nel film gli avvenimenti non sono più raccontati “in diretta” ma attraverso il ricordo di quelli che ne erano stati i protagonisti. In una piovosa Madrid del 1986, Rafa viene informato della morte di Víctor, l’uomo che egli stesso aveva accompagnato quasi un decennio prima nella sua campagna elettorale. Il funerale permette il reincontro di Rafa con Laly, l’altra componente della spedizione che aveva conosciuto il signor Cayo; nella sala di un lussuoso ristorante i due ripercorrono quel viaggio dell’estate del 1977 e la scansione dei ricordi di un passato ormai lontano non è solo funzionale alla riuscita filmica, ma introduce una riflessione profonda sulle conseguenze reali di un certo modo di intendere la vita e la politica. Víctor, idealista e sognatore, aveva lasciato una promettente carriera proprio in conseguenza del contrasto interiore che gli aveva causato l’incontro con il signor Cayo. Il pragmatico e concreto Rafa, da parte sua, grazie a queste caratteristiche aveva scalato velocemente le vette della politica riuscendo a ottenere un seggio nel parlamento spagnolo. E proprio nel finale della pellicola, che si configura come una riuscita continuazione in ottica delibesiana del romanzo, lo spettatore assiste a un emblematico dialogo tra Rafa e Laly che sembra chiudere alla perfezione il cerchio della riflessione…
–Laly: ¿Quieres hacerme un favor?
–Rafa: Por supuesto mujer
–Laly: Cuando puedas, no digo hoy ni mañana, cuando puedas digo, cuando te vaya bien, vuelve a Cureña busca el señor Cayo y dale esto (un mechero) de parte de Victor.
–Rafa: Victor está muerto Laly. Dentro de una semana nadie se acordará de aquel diputado que renunció a su acta para dedicarse a no se sabe que enloquecidas empresas. Dentro de un mes ni siquiera los periodista se acordarán.
–Laly: Me lo has prometido
–Rafa: Vamos a ver, puedes darme una sola razón, sólo una y que no sea sentimental por lo que tenga que hacer lo que me pides...
–Laly: Una hipótesis Rafa, todo lo absurda que tu quieras pero una hipótesis. Imagina por un momento que un día los dichosos americanos aciertan con una de esas bombas de neutrones que matan pero no destruyen. Bueno es una hipótesis; una bomba que nos matara a todos menos al señor Cayo y a ti. Pues bien, si eso ocurriera tendrías que ir corriendo a Cureña, arrodillarte delante del señor Cayo y suplicarle que te diese de comer, ¿comprendes? El señor Cayo puede vivir sin Rafa pero Rafa no puede vivir sin el señor Cayo12.
La consacrazione della cultura contadina è così definitiva. Lo svuotamento delle campagne e la crescita smisurata delle città metropolitane sono inevitabili, ma lo spirito vitale della ruralità, la capacità di sopravvivere a sé stessa e a ogni tipo di calamità la rende immortale.
Le figure nuove della politica
Trascorsi oltre trent’anni dalla pubblicazione del romanzo, e alla luce dell’attuale scena politica internazionale, stupisce la modernità dei personaggi costruiti da Delibes. La critica ha giustamente insistito sul tema del passaggio alla democrazia e del conseguente scontro tra realtà contadina e mondo urbano13 presente nell’opera ma ha tralasciato di notare il carattere quasi profetico della visione politica dell’autore. La realtà iperburocratizzata e priva di contraddittorio politico della Spagna franchista lascia in eredità una mancanza di predisposizione politica tanto nei suoi interpreti quanto nei cittadini. Nel 1977, l’anno delle prime elezioni democratiche dopo la morte del Caudillo, la giovanissima Spagna – la percentuale di spagnoli nata durante il regime raggiungeva il 75% – è priva degli elementi propri della tribuna politica. Manca una cittadinanza preparata al gioco democratico così come una classe politica forte di consistenti basi teoriche. Non si deve, insomma, costruire solo una società democratica, ma anche una classe dirigente democratica. Quest’ultima capace di abbinare i contenuti alla forma, abile nello scardinare la pigrizia e il disinteresse dei cittadini verso l’agire politico, argomento che aveva rappresentato un insormontabile tabù per troppi anni. A quelle stesse persone che erano state escluse irrimediabilmente da ogni tipo di dibattitto o decisione, si chiede ora di ergersi a protagonisti del futuro, proprio e della comunità.
Per questo Víctor, Laly e Rafa, i tre giovani che imbevuti di ideologia si immaginano educatori del popolo, si scoprono, nel confronto con Cayo, pieni di debolezze e inquietudini. Il ruolo di guida che pensano di interpretare si rivela presto un castello di carta che crolla davanti all’incapacità di adeguarsi a una realtà che non conoscono, che ipotizzano pronta a ricevere a braccia aperte il vento della modernità e che scoprono invece irrimediabilmente fiera e autosufficiente. Sono figure nuove per quella Spagna di fine anni Settanta, figure che Delibes disegna affidandosi alla propria intuizione e rappresentative di tre alternative possibili in una realtà nuova, che prevede, per la prima volta dopo quarant’anni, una scelta da parte dei cittadini; questi ultimi devono schierarsi, e i politici, da parte loro, oltre a difendere una posizione ideologica devono abbracciare una linea di condotta personale.
In questo contesto, Víctor Velázquez – il vero candidato al parlamento, e il più maturo del gruppo – rappresenta l’idealista, il sognatore, l’incarnazione della semplicità applicata alla politica. E’ lui il vero trait d’union, sia per età sia per mentalità, tra l’antidiluviana saggezza contadina rappresentata da Cayo e il cinico pragmatismo incarnato, con sfumature diverse, da Rafa e Laly. Già all’inizio del romanzo, e quindi ben prima dell’incontro rivelatore con Cayo, Víctor esprime in più occasioni un atteggiamento politico ingenuo, rivolto più alla creazione di un elettorato cosciente che al conseguimento di consensi elettorali:
–Al elector sólo hay que decirle tres cosas, así de facil: Primera, que vote. Segunda, que no tenga miedo. Y tercera, que lo haga en conciencia.
La voz de Félix Barco salió tonante pero tamizada entre sus lacios y frondosos bigotes:
–¡Joder, estoy harto de vaselina! ¡Estoy de conciencia hasta los huevos! ¿Y si la conciencia no coincide con nuestro programa?, pregunto.
–Mala suerte14
«E se la coscienza non coincide con il nostro programma?», domanda il pragmatico Félix Barco. «Peccato», risponde con distacco il candidato Víctor Velázquez. Un’esternazione, quest’ultima, poco comprensibile se applicata al contesto storico in cui venne pronunciata. Le elezioni del 1977 in Spagna rappresentarono uno spartiacque fondamentale tra il recente passato dittatoriale e il possibile futuro democratico, e la politica dell’opposizione doveva essere rivolta sì alla creazione di un elettorato libero e consapevole, ma anche e altrettanto al conseguimento del potere. Ora, risultati alla mano, sappiamo delle intenzioni democratiche di Suárez e della fermezza con la quale Re Juan Carlos intese non cedere il passo alle nostalgiche rivendicazioni postfranchiste, ma la situazione all’epoca non era così chiara. Alle elezioni del giugno 1977 si era arrivati dopo la semana negra di fine gennaio e, soprattutto, dopo la legalizzazione del Partito Comunista, evento chiave che risvegliò le mai sopite passioni autoritarie di una parte della società e dei militari. Eppure Victor, che è il risultato più concreto della mentalità generata dalla guerra civile, esperienza mai rimossa dall’immaginario collettivo, vede nel superamento della rivalità tra le due Spagne il vero obiettivo, aldilà delle singole opzioni politiche. La rimozione definitiva della violenza politica e l’instaurazione di una duratura stabilità democratica sono per Víctor ben più importanti del potere. Ma c’è di più, la sinistra sembra in alcuni casi preoccupata dall’eventualità di dover governare il Paese, si sente impreparata a svolgere un compito così gravoso in un momento storico così ricco di incognite. Durante una riunione nella sede del partito, di fronte all’enorme quantità di statistiche e percentuali sulle quali si trova a discutere con i suoi collaboratori, Víctor reagisce in maniera decisa:
Tampoco creáis que gobernar ahora vaya a ser una pera en dulce.
Carmelo asintió, moviendo de arriba abajo su impúdica calva almidonada. Félix Barco accionó vivamente con sus pequeñas manos morenas y expresivas:
También eres tú de los que piensan que ganar ahora sería la leche, ¿no?, una especie de catástrofe.
Tampoco es eso –respondió Víctor– pero procuro ser realista15
La realtà parla a Víctor di una sinistra ancora ferita e in parte incapace di liberarsi del profondo risentimento maturato in quarant’anni di silenzio. La Spagna del 1936, con il suo carico di odio e violenza, è sempre presente nelle parole del candidato. Solo alcuni giorni prima il sindaco di un paesino gli aveva negato l’utilizzo della Sala del Comune perché «hace dos días anduvo allí ese tal Agustín y montó el número de tapar el Cristo con la bandera. Ya le conoces, esos tíos creen que seguimos en el 3616». Francisco Franco era morto da quasi due anni ma le ferite della guerra erano ancora lontane dal rimarginarsi. E all’odio e alla violenza fa riferimento Víctor nelle ultime righe del romanzo quando, dolorante per i colpi ricevuti da un gruppo di giovani franchisti, parla di «una maldición que no tiene remedio17».
All’immagine sensibile e tormentata di Víctor fa da contraltare quella di Rafa, giovane arrivista della politica più pragmatico e meno imbevuto di ideologia. Il suo obiettivo è il raggiungimento del potere e per questo tende a semplificare e privare di significato ideologico i propri comportamenti. La sua analisi parte dall’altro per arrivare a sé e non viceversa. Il suo, come ripeterà più volte nelle pagine del romanzo, è il partito del popolo, ma la sua opinione degli elettori provenienti dal mondo contadino non è così gratificante:
Rafa aspiró una fumada profunda:
–¡Camaradas! –dijo enfáticamente mientras expulsaba el humo–: Me parece que os estáis pasando. A estos paletos con decirles que les va a subir las pensiones y doblarles el precio del trigo, te los metes en el bolsillo18.
Paleto, che equivale nella nostra lingua a “rozzo, ignorante”, è il termine dispregiativo con il quale si indicano in Spagna i contadini, gli abitanti scontrosi e fieri del proprio isolamento che abitano gli sperduti villaggi delle campagne castigliane. Rafa non vuole “educarli”, fare di loro dei cittadini consapevoli, ma si limita a esigerne il voto, in modo semplice, convinto che sia sufficiente aumentare loro la pensione e il prezzo del grano per conquistarne la fiducia. Il suo è un pragmatismo esasperato, pronto a lanciare pesanti strali proprio contro coloro che sembrano perseguire i suoi stessi metodi e obiettivi. In un passaggio del libro si riferisce così ai membri del Partito Comunista:
–¿Viste esta tarde a los del Pecé en la Tele?
–Me han dicho que han estado hábiles.
Rafa hizo un gesto despectivo:
–De cagarse, macho.
–A mí no me ha parecido mal.
–Lo siento pero a mi ese tipo de propaganda no me mola.
–Pero bueno, ¿qué han dicho?
–Lo justo, mira.
–¡Ostras!, si es lo justo sacar al Camacho, la Rabal, la Ana Belén y la tira, diciendo que van a votar comunista porque sí, porque les sale de los huevos, que baje Dios y los vea.
–Tú estás encabronado por lo de anoche.
–No, macho. Yo parto de un hecho: El pueblo está alienado después de cuarenta años sin abrir el pico, de acuerdo. Entonces, si queremos mentalizarle, lo que hay que darle no son latiguillos sino argumentos, así de fácil.
–Me estás dando la razón, macho. Si el pueblo ni sabe de qué va y sale el divo de turno y le dice: «Yo voy a votar esto», el personal detrás, a ver, lógico, ni se preguntan por qué19.
Rafa è il politico di oggi, il vero colpo di genio di Delibes che sembra prevedere, in quell’ormai lontano 1978, caratteristiche morali e comportamenti che troveranno ampio spazio in epoca capitalista. All’idealismo dominante negli anni di opposizione al regime franchista, Rafa sostituisce il pragmatismo rampante che si imporrà negli anni della post-transizione. Idee e comportamenti, i suoi, per i quali nutre una infastidita contrarietà anche la giovanissima Laly,
Le miró Laly con ojos compasivos (a Rafa):
–Reúnes todos los vicios del pequeño burgués, las tres Pes, como dice Ayuso: pereza, pito y paladar.
La cara aniñada de Rafa expresó auténtico estupor:
–¡Manda cojones! –dijo–: Yo no oculto que me gusta vivir bien. Soy un tío a quien le mola comer y ligar tías. ¿Por qué no? O sea, si las tengo a punta de pala, ¿Qué le voy a hacer? Te juro que no soy un frustrado por eso.
Intervino Víctor gravemente:
–Ten en cuenta que nosotros predicamos austeridad.
–Austeridad los cojones. ¿Dónde está la austeridad de los cuadros? En el Eurobuilding, con sopa de tortuga y pato a la naranja. ¡No te jode! Así también soy austero yo20.
L’insofferenza è in fondo la componente principe di una personalità complessa come quella della giovane progres. Laly come molte ragazze cresciute negli anni della discriminazione sessuale e della politica educativa imposta dalla Sección femenina de la Falange – che intendeva la donna come buona cristiana e buona moglie e nulla più – è impregnata di idealismo, di rifiuto nei confronti delle convenzioni del tempo e in particolare di quella morale borghese che per decenni aveva rappresentato la base di consenso del regime franchista. Durante la visita a Refico gli attacchi di Laly al rampantismo precapitalista di Rafa sono costanti:
Laly observó a Rafa con curiosidad:
–Tú, ¿con quién te identificas –preguntó.
–Identificarme ¿de qué?
–Con el tío que se integra en el pueblo y asume serena y responsablemente la villa rural o con el becario, avido de subir.
Rafa se apresuró a responder:
–Con éste, joder. El otro es un alienado. Intervino Víctor:
–No seas maximalista.
–¡Ostras! –voceó Rafa–: Un pueblo, una tía buena, tus libritos, tus discos... Muy bien, cojonudo. Y los demás que se jodan. Muy cómodo pero socialmente inútil.
Víctor se acarició la barba, acuclilló las piernas, tomó una hierbecilla de la cuneta y se la puso entre los dientes. Dijo suavemente:
–¿Por qué inútil?
–Egoísta, me es igual.
–¡Coño, egoísta! Según lo mires –dijo Laly–: Más egoísta es la postura del tío que sólo piensa en medrar para alcanzar la fama y el dinero. Puro arribismo21.
L’arrivismo, la volontà irrefrenabile di ottenere fama e denaro della quale Rafa sarà vittima (in)consapevole, è una delle intuizioni più felici del romanzo. Non a caso, Antonio Matji e Manuel Giménez Rico, autori della sceneggiatura del film girato dieci anni dopo l’uscita del romanzo, ne sottolineano l’importanza, collocandolo tra gli scagni del parlamento nel giorno del funerale di Víctor, l’antico compagno di battaglie ormai da anni lontano dalla scena politica. E anche l’incontro con Laly al cimitero e la lunga chiacchierata al ristorante che ne segue non fanno che confermare la sensazione di trovarsi di fronte a un politico del nuovo millennio, poco incline all’idealismo e interamente votato al successo personale…
–Laly: Eres un triunfador
–Rafa: No siempre, mira mi matrimonio
–Laly: Victor se quedó de una pieza cuando te casaste; dijo que nunca dejarías de sorprenderlo, que tu capacidad para decir una cosa y hacer la contraria era inagotable
–Rafa: En un político, es una virtud
La Spagna entra a piè pari nella postmodernità.
Note
↑ 1 N. PÉREZ VICENTE, La narrativa española del siglo XX en Italia: traducción e interculturalidad, Fano, edizioni studio@lfa, 2006, p. 102.
↑ 2 R. GARCÍA DOMÍNGUEZ, El quiosco de los helados. Miguel Delibes de cerca, Barcellona, Destino, 2005, p. 436.
↑ 3 Miguel Delibes è stato lo scrittore del Novecento che più convintamente ha parlato del mondo contadino, descrivendolo, denunciandone i mali, difendendolo dall’incidere della modernità sempre con arcigna caparbietà. Scrisse di se stesso: “Podría decirse hoy en España: «Más aburrido que Delibes en Madrid». Y ¿Qué tiene Delibes en realidad contra la capital de España? Debo reconocer que nada fundamental. Simplemente me molesta su densidad, la polución, el alejamiento progresivo de los horizontes abiertos que es lo que a mí siempre me ha atraído. Pero eso me ocurre con Madrid y con cualquier otra gran ciudad del mundo. Para decirlo de una vez: Yo soy un hombre de pueblo”. (M. DELIBES, Pegar la hebra, Barcelona, Destino, 1990, p. 197)
↑ 4 M. DELIBES, El disputado voto del señor Cayo, Barcelona, Destino, XIII ed., 1986, p. 86.
↑ 5 Ivi, p. 105
↑ 6 Ivi, p. 143-144
↑ 7 Ivi, p. 146
↑ 8 Ivi, p. 146-147
↑ 9 Ivi, p. 144
↑ 10 Ivi, p. 166
↑ 11 R. GARCÍA DOMÍNGUEZ, El quiosco de los helados..., op. cit., p. 441
↑ 12 Dialogo riprodotto dalla versione cinematografica (El disputado voto del señor Cayo, regia di Antonio Giménez-Rico, 1986).
↑ 13 Per questi aspetti fare riferimento a: J. URDIALES YUSTE, «El señor Cayo, un sabio representante rural de la Castilla serrana», Espéculo, n. 41, marzo/junio 2009; S.L. POSTMAN, «El dominio del orbe de Caína en la contemporaneidad de El disputado voto del señor Cayo de Miguel Delibes», Castilla: Estudios de literatura, n. 28-29, 2003/2004, pp. 219-240; N. MORGADO, R. PÉREZ, «La complicada 'colonización' del señor Cayo: O el cuestionamiento de la modernidad», B. FRASER (cur.), Capital Inscriptions: Essays on Hispanic Literature, Film and Urban Space in Honor of Malcolm Alan Compitello, Newark (DE), Cuesta, 2012, pp. 289-302
↑ 14 M. DELIBES, El disputado voto..., op. cit., p. 17
↑ 15 Ivi, p. 19
↑ 16 Ivi, p. 14
↑ 17 Ivi, p. 190
↑ 18 Ivi, p. 55
↑ 19 Ivi, pp. 23-24
↑ 20 Ivi, pp. 68-69
↑ 21 Ivi, pp. 78-79