Presentazione
Al di là della vasta e varia panoramica di città e periferie tematizzate in questo numero di Publif@rum (si va da Parigi a Londra, da Copenaghen a Zurigo, da Montréal a Stoccarda e Mannheim), ci pare possibile rintracciare due temi che attraversano i contributi: da una parte la questione che unisce una difficile definizione della periferia a un'altrettanto problematica sua denominazione, dall’altra il permanere della validità della tripartizione dello spazio, secondo Henri Lefebvre, in espace conçu, espace perçu e espace vécu (La production de l’espace, Paris, Anthropos, 1974).
La prima problematica riguarda la definizione stessa di periferia: quali ne sono i tratti caratterizzanti? E anche: dove si trova la periferia in rapporto alla città? L’esistenza di una “inflazione di semi-concetti, mai chiaramente definiti” (Agostino Petrillo, Peripherein: pensare diversamente la periferia, Milano, Franco Angeli, 2013, p. 7) si combina necessariamente con una difficoltà di nominare, di battezzare tali concetti. Banlieue, suburb, periferia, Stadtrand rimandano a oggetti già connotati dalla denominazione, ma che hanno subito profondi mutamenti storici e sociali. Per questo la periferia sarà molto diversa a seconda del periodo storico e del contesto culturale in cui si colloca, ma anche del tipo di città a cui si collega, per esempio se si tratta di una città policentrica o di una megalopoli (ma anche qui, come definirne la tipologia?). Quanto ai tratti definitori pertinenti, nessuno sembra essere privo di zone d’ombra. Se la periferia è spesso caratterizzata da una distanza dal centro, questo non è un tratto né sufficiente, né necessario, dato che esistono periferie “interne”, caratterizzate da situazioni di emarginazione e disagio sociale. Forse allora è questo uno dei tratti periferici? Possiamo tuttavia constatare come le periferie si fanno portatrici di voci nuove, di stimoli che vanno talvolta a sovvertire gli schemi mentali e le concezioni tradizionali. La periferia è forse un ghetto? Secondo Loïc Wacquant («Repenser le ghetto. Du sens commun au concept sociologique», Idées économiques et sociales, 2012/1, n. 167), non lo è, proprio per la mescolanza delle origini etniche degli abitanti e la mobilità sociale che li caratterizza. Di certo la periferia è, almeno in parte, un luogo di segregazione sociale. Insomma, presenta una fisionomia multiforme e per questo tanto più interessante.
Quanto alla seconda tematica, che riprendiamo come detto da Lefevbre, ci siamo interessati in tutti i contributi alle modalità di concettualizzazione che, attraverso la sperimentazione sensoriale e la percezione degli spazi, l’essere umano fa di ciò che trasforma – proprio perché ci abita – in un territorio. Queste comprendono la modificazione dello spazio attraverso la sua occupazione (esempi di gentrification, anche involontaria), la sua esplorazione, la sua denominazione, la sua concettualizzazione mediante la creazione di categorie valorizzanti o peggiorative seppure eufemistiche (come nel caso tedesco, ma esempi si trovano facilmente in altre lingue). Il nostro rapporto con la città, e quindi con la periferia, è, insomma, soprattutto una questione di rappresentazioni, che possono coincidere o meno con il discorso egemonico. E il rapporto tra periferia e centro è largamente un rapporto di potere. Significativo a questo riguardo che la letteratura francese abbia spesso identificato alcuni scrittori «issus de l’immigration» come una «francofonia interna»: si tratta proprio di una sorta di fronte interno derivato da categorie coloniali e chiaramente stigmatizzato come tale. La periferia è forse quella cosa che cerca di conquistare la città dal suo margine e talvolta dal suo interno? Il dibattito rimane aperto.
Il progetto di questa antologia di saggi interdisciplinari sul tema delle periferie nasce dalla collaborazione di alcuni gruppi di ricerca attivi nel Dipartimento di Lingue e Culture Moderne dell'Università di Genova a partire dal 2013, i quali hanno poi invitato esperti esterni, costituendo di fatto un laboratorio dedicato allo studio della letteratura urbana e dei fenomeni connessi allo sviluppo delle periferie negli ultimi decenni. I quattro gruppi, formatisi attorno a Progetti di Ricerca di Ateneo, hanno affrontato tematiche affini, proponendosi di svilupparne lo studio al di là delle scadenze previste dai singoli progetti e di dare continuità ai molteplici spunti emersi nel tempo: le quattro linee di ricerca (con i relativi responsabili scientifici) sono state “Conflittualità urbana e immaginario letterario dal volgere del millennio ad oggi” (Laura Colombino), “Spazi urbani contesi e dinamiche socioculturali e sociolinguistiche tra XX e XXI secolo” (Michele Porciello), “I confini delle città, tra Modernità e Postmodernità” (Davide Finco) e “La città contemporanea: mappature, rappresentazioni, appropriazioni” (Anna Giaufret).
I primi due contributi di questo numero monografico affrontano il problema della denominazione: Micaela Rossi analizza le funzioni e la natura delle metafore terminologiche in ambito architettonico, nello specifico nel dominio dell’urbanistica, studiando un corpus di testi specialistici nel corso del XX secolo. Basandosi sugli strumenti offerti dalla metaforologia di stampo interazionista e dalla terminologia socio-cognitiva, l’indagine vuole evidenziare gli schemi ricorrenti nel discorso sullo spazio geografico e nella descrizione dello spazio urbano e del rapporto tra centro e periferie. Joachim Gerdes si occupa della geografia sociale della città tedesca nella sua rappresentazione linguistica, partendo dal concetto di Oberstadt (città alta) e Unterstadt (città bassa) e rivolgendosi ad alcune geografie sociali caratteristiche dal punto di vista linguistico, come Mannheim, Zurigo e Stoccarda. Lo studio intende fornire un resoconto dei mutamenti linguistici e concettuali riguardanti la città tedescofona del XXI secolo, valutando inoltre il ruolo dell’immigrazione di massa e della plurietnicità nella stratificazione sociale.
Seguono due analisi focalizzate sulle modalità di mappatura degli spazi urbani: Anna Giaufret sceglie il fumetto contemporaneo ambientato nella città di Montréal per riflettere sui fenomeni riguardanti questa città, a cominciare dalla definizione della sua periferia e dalla commistione di fenomeni tipicamente nordamericani, come quello della periferia residenziale, con la “periferizzazione” di zone centrali del tessuto urbano. Se la gentrificazione o il degrado modificano la percezione di interi quartieri, numerose barriere naturali o artificiali costituiscono ostacoli e creano “enclavi”. Il contesto si presta all’esame delle relazioni fra centro e periferia, fra individuo o società e spazio urbano e fra quest’ultimo e la sua rappresentazione. Laura Santini affronta il genere speculativo praticato negli anni Duemila da Douglas Coupland e la capacità dello scrittore di rappresentare e indagare la promiscuità, la complessità e la diffusione del declino negli ambienti urbani. La narrativa di Coupland intende superare il tradizionale genere utopico/distopico di denuncia sociale per indagare, con una scrittura polifonica e frammentaria, sistemi, mappe e altre strutture o meccanismi riscontrabili nell’organizzazione e nella percezione della città, tenendo conto di una mediazione sia materiale sia simbolica. La città non risulta più luogo aggregatore, ma, tra l’altro, spazio archeologico, parametro di fenomeni economici o politici, espressione di potere, marchio di un prodotto di consumo (come i suoi abitanti).
Gli altri contributi mettono al centro la questione della rappresentazione: Davide Finco esplora il concetto di periferia non dal punto di vista spaziale, quanto piuttosto da quello sociale, psicologico ed esistenziale, prendendo in esame alcuni racconti d’esordio del danese Jan Sonnergaard, che negli anni Novanta ha saputo descrivere in uno stile realista e caustico, con deviazioni nel surrealismo, il disagio dei giovani emarginati di Copenaghen e il loro odio verso le classi privilegiate. L’emersione del lato oscuro dello stato sociale danese contribuisce a una costruzione peculiare del concetto di periferia, la cui modernità viene qui anche messa a confronto con esempi significativi di letteratura urbana danese a partire dal tardo Ottocento. Anna Viola Sborgi considera una serie di scritti autobiografici del cineasta e regista Derek Jarman, il quale rievoca il periodo tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta osservando le prime fasi di un processo di rigenerazione urbana nell’area dei Docklands di Londra; tale zona si è trasformata da area working class per eccellenza a sede di centri culturali e finanziari e complessi immobiliari di lusso, un fenomeno che si ripropone in altre parti della città oggi. Nel contesto di questa gentrification, Jarman avverte la necessità di mantenere un legame con le comunità originarie, preservando la storia e l’architettura di quei luoghi e individuando modelli alternativi nella pianificazione urbana. Serena Cello analizza alcuni romanzi degli anni Duemila denominati dalla critica francese “letteratura delle banlieues”, delle “cités” o “letteratura urbana” e ne evidenzia la percezione del territorio come stigmatizzato e dimenticato dai giovani protagonisti, appartenenti alla cosiddetta gioventù di strada. Queste espressioni letterarie, spesso unica voce della vita ai margini delle grandi città, testimoniano il brusco arresto nelle periferie della funzione socializzatrice e l’esistenza di una “questione urbana”, se è vero che almeno dagli anni Novanta non è più chi occupa il centro, bensì chi si posiziona verso i margini, a descrivere la nazione. Frédéric Martin-Achard riflette sui criteri per identificare il corpus della “letteratura delle banlieues” o “letteratura urbana”, individuandone tre tipologie (di ordine biografico, tematico e linguistico/stilistico) e mettendo in evidenza i problemi e i limiti posti dall’adozione di ciascuno di questi criteri. In particolare l’autore si sofferma sul fatto che l’approccio linguistico ha finora trascurato le più significative caratteristiche di questi testi, come il minimalismo sintattico, il lavoro sul lessico e l’oralizzazione della lingua letteraria, fattori che mettono in discussione l’omogeneità del corpus letterario “urbano”, collocando i testi in una più ampia tendenza della prosa narrativa attuale.