Mappe ʽaperteʼ nella narrativa speculativa di Douglas Coupland: dal centro al margine, dal dove al come, dall’io al noi
Indice
1. Mappare il presente: luoghi-etichette e statistiche per una socio-geo-narrazione
2. Geografie aperte. Rompere icone e simbologie del territorio per ridefinirle
3. Gated communities al contrario e we-narratives: entità sociali minime per nuove città-narrazioni
Abstract
Italiano | IngleseContesa tra fatti, finzioni, geografie la narrativa speculativa di Douglas Coupland è un’indagine dei processi socio-storici e di costume legati a precise generazioni. Storia e geografia, diventano un linguaggio che permette la spazializzazione di comportamenti, problematiche e debolezze sociologiche di un’epoca. Traducendo in narrazioni dati demografici e scenari di crisi, sia economica che esistenziale, l’autore traccia un nuovo spazio ideale, una nuova forma di utopia, che non è tanto geografica, quanto umana e relazionale. Quando il singolo incontra il gruppo, ritrova l’opportunità di dire “noi” – we-narrative – di scrivere la storia/Storia, di immaginare località e panorami da cui ripartire. In questo saggio si offre un’analisi dei travestimenti geografici che Coupland sfrutta per porsi al di là dell’era post-fordista e della dual city abbracciando una visione dalla Googlesfera, più ampia e aperta. Se la Storia con la s maiuscola è inservibile principio per organizzare il nostro pensiero e la nostra cultura da quando è stata trasformata in «a press release, a marketing strategy, and a cynical campaign tool» (COUPLAND 1991: 151), allora è la capacità di narrare storie il punto zero. L’utopia da cui ripartire si gioca all’interno di gruppi che rifiutano l’omologazione in nome della forza dell’immaginazione. Sono le mappe carto-grafiche, fisiche e della mente la nuova frontiera, il modo per riposizionare la prospettiva da una visione storica o storicistica ad una aerea.
Collocato in un tempo di là da venire, ma relativamente prossimo, il genere speculativo di natura on the fringe, perché spesso a margine dei generi letterari e on the edge perché incline a ibridare tipologie testuali, consente a Douglas Coupland di superare con agilità opposizioni binarie, fiction versus non-fiction, e coppie di ossimori legate al concetto di dual city senza privare l’autore canadese di una delle sue intenzioni primarie: inoltrarsi nella complessità del contemporaneo per offrirne un’analisi. L’indagine che l’autore e artista visivo canadese intraprende fin dal suo esordio letterario con Generation X (1991) è legata a una condizione sociologico-geografica periferica, esistenziale e generazionale, che interagisce con spazi del mondo reale su scala urbana e globale in modo pressoché indistinto, come fosse osservato dalla Googlesfera. Douglas Coupland: everywhere is anywhere is anything is everything recita il titolo della personale dedicata all’eclettica produzione artistica di Coupland alla Vancouver Art Gallery nel 2014, in un’interessante quanto sintetica definizione della sua spiccata propensione a definire per associazione o accumulo, ma anche a tenere conto della compresenza di molteplici dimensioni, fisiche e digitali. «It’s about the simultaneousness of today’s world» (OBRIST 2014: 37) commenterà lo scrittore in un’intervista, proprio riferendosi al titolo della mostra. Lungi dall’autore negare o mettere in discussione il fenomeno definito «Income Polarization and the Dual City» (SOJA 1991: 363), specie mentre prende in esame il medesimo arco di tempo: fine anni sessanta, primi anni novanta; tuttavia Coupland non ferma lo sguardo ai dati – che pure raccoglie in appendice a Generation X – non delinea apocalittici scenari, compie un’altra operazione: rimette in moto il senso stesso della prospettiva e della Storia. Come? Associando la fattualità del presente a scenari futuri dichiaratamente immaginari, bedtime stories, prodotti da una generazione che ha scelto di rompere le righe del conformismo, senza alcuno strappo né rivoluzione, semplicemente attraverso una forma di auto-esilio da tutto ciò che si riconosce come centro (in senso geografico e simbolico) o anche storicamente rilevante, in una parola omologato, per tentare di «erase all traces of history» (COUPLAND 1991: 36). Come vedremo la questione del margine e del luogo deputato all’evasione resta mobile e non riconducibile a un’opposizione simmetrica e binaria. Sprecando tempo, talento e risorse senza un vero obiettivo o fine, «I’d like to go somewhere rocky, somewhere Maltese, and just empty my brain, read books, and be with people who wanted to do the same thing» (COUPLAND 1991: 36) gli Xers escono dalla passività e da percorsi predefiniti riattivando il pensiero e rimettendo in moto l’immaginazione.
Il punto per Coupland non è più, o non è solo, occuparsi di «how the city affects the imagination and how the city is imagined» (BRIDGE WATSON 2000: 7), ma di come negli anni ’90 l’azzeramento di immaginari urbani fino a quel momento dati, non significhi necessariamente l’impossibilità stessa di immaginarne altri o di immaginarsi altrove. Ovunque purché lontani dalle tante manifestazioni di conformità sotto cui anche le città hanno finito per soccombere: «Toronto, Canada, a city that when I once visited gave the efficient, ordered feel of the Yellow Pages» (COUPLAND 1991: 18). La visionarietà riparte secondo Coupland dal pensiero creativo e narrativo, da chi non credendo più nella città e nelle sue partizioni è in grado di attivare fantasie utopiche proiettandole su forme di aggregazione non tradizionali, su luoghi non colonizzati o già decolonizzati, eventualmente su rovine; su dinamiche e forme di organizzazione collettive che anticipano, almeno in Generation X , l’era di Internet e con essa le varie forme di online community (discussion boards, email-lists, forums, chats, social networks) e il fenomeno del crowdsourcing.
In quattro romanzi speculativi, Generation X (1991), Girlfriend in a coma (1998), Generation A (2009) e Player One. What is to become of us? (2010), tracciando le dinamiche di personaggi fittizi in luoghi reali (soprattutto Canada e America del nord, ma non solo), Coupland ci accompagna nei territori post-fordisti proponendo un processo di spazializzazione di comportamenti, problematiche e debolezze sociologiche di un’epoca. Al posto di tradizionali setting narrativi l’autore ricorre a similitudini geografico-spaziali per definire caratteri, oggetti, comportamenti: «quiet as abandoned Chernobyl» (COUPLAND 2010: 31); «she’s like one of those Japanese department store greeting robots he’s seen on YouTube» (2010: 55); «a future as big as Montana», (2010: 140). La necessaria dimensione denotativa dei luoghi non scompare, ma lascia largo spazio a una trasmutazione in cui geografia e Storia, storie e geografie sono linguaggi interscambiali con cui leggere fenomeni umani, sociali e di costume, al di là di indicarli: «Home is like one of those aging European cities like Bonn or Antwerp or Vienna or Zürich» (COUPLAND 1991: 85); «someone who dresses like a General Motors showroom salesman from the year 1955» (1991: 85). In questo esorcizzare dejà vu del costume e dello stile, si aggiunge un’altra prospettiva simbolica che riguarda l’urbanistica e la cartografia. Alla base dell’evoluzione territoriale, Coupland vede un immaginario di matrice coloniale che continua a condizionare la vivibilità dei luoghi, impedendone altri tipi di utilizzo o precludendo a identità altre di immaginarne una diversa funzione. In Player One l’autore la definisce Torn-Paper Geography1 (in grassetto nell’originale):
The phenomenon in which, if you take a sheet of paper and rip it in half, both pieces will probably resemble an American state or a Canadian province. If one continues to rip the paper, the phenomenon continues – a reflection of New World geopolitics versus the Old World. European and Asian borders are delineated by rivers, watersheds, and battlefields. New World borders are most often a mixture of rivers and the nineteenth-century Cartesian grid. Old World = people before property; New World = property before people. (2010: 244)
Non è più però la legge del profitto a dominare, bensì quella del possesso. Il concetto di spazio – sia esso urbano, suburbano, periferico o rurale – viene così ridisegnato non solo a partire da questa convinzione – torn-paper geography – ma anche e soprattutto dalla volontà di testimoniare il turn-over sempre più rapido con cui i processi di urbanizzazione e di «urban restructuring» (SOJA 1991: 361) si soppiantano l’un l’altro. Resta una sorta di stratificazione geologica, che ridefinisce in termini di coesistenza ogni forma di opposizione binaria – si tratti di dati demografici, storico-economici o di geopolitica. È la compresenza di più livelli spazio-tempo e la capacità di leggerli e interpretarli, senza venirne condizionati, il processo che Coupland mette a fuoco e che man mano – almeno tra Generation X e Generation A – vede la nascita di un nuovo paradigma basato su varie forme collaborative, non lontano da quello che Jeff Howe nel 2008 individua con il termine crowdsourcing o crowdcasting: «the people you’d least expect to solve a problem were exactly the one to crack it» (148). Nel 1991 nessuno si interessa alla nuova community degli Xers che rifiuta l’iperconsumismo, l’iperproduttività, la devastazione del territorio. La nuova generazione è innocua e invisibile. Nel 2009 invece, all’interno della trama di Generation A, la nuova generazione si sa far notare perché diventa inconsapevolmente un nucleo (i B5s) che detiene il sapere o DNA necessario a far uscire il mondo da uno scenario apocalittico. Sono scomparse le api e l’immaginario umano è stato annientato dal Solon, droga la cui produzione è certamente legata all’estinzione del prezioso insetto. Solon è un composto chimico basato su una neuroproteina sintetizzata da persone che abbiano letto Finnegans Wake: «when diluted in a mild solution of sodium phosphate, became a chemical that had a calming effect», (COUPLAND 2009: 280). L’effetto devastante è il progressivo rifiuto di forme di socialità: «Solon mimics the solitude one feels when reading a good book. Both books and Solon pull you away from the world» (2009: 284). I B5s sono allergici al Solon e per questo sono stati punti, ma essendo allergici il loro cervello contiene una grande quantità della neuroproteina necessaria a produrre la droga e il suo antidoto: «When you tell stories out loud, your bodies make a corrective molecule, one that brings people together. The anti-Solon. You felt the closeness. You’re feeling it now» (2009: 284). I B5s erano destinati a rappresentare i sopravissuti in un scenario apocalittico, a diventare un gruppo e a creare we-narratives.
Tenendo memoria della stratificazione dei principali macro-fenomeni dove l’economia politica piega i processi di urbanizzazione – dall’invasione delle città, al loro successivo svuotamento a favore di aree suburbane, dai processi di gentrification alla «proliferation of urban crisis in virtually every advanced industrial capital city» dei primi anni settanta che porterà alla quarta «new urbanization» (SOJA 1991: 363) – Coupland gioca ironicamente a commentarne la portata offrendo una narrativizzazione delle geografie in cui colloca le sue storie. Trasforma città e nazioni in strumenti per misurare questioni socio-economiche: «unemployed corn workers eager to accept Bangladeshi-calibre hourly wages» (COUPLAND 2009: 285); oppure in unità di misura per fenomeni culturali di nicchia: «I was also listening to some trendy band from Luxemburg or the Vatican or Lichtenstein or the Falkland Islands, one of those places so small that a distinct pie slice of its GDP derives from the sale of postage stamps to collectors and music sales by nanotrendy indie rock bands» (2009: 6). Prende a prestito i trasferimenti aerei per descrivere stati dell’animo: «it was soooooooo boring, like a Qantas L.A. to Sydney flight that never lands» (2009: 75). Trasfigura paesi in etichette per prodotti di consumo di bassa qualità o desueti: «a brick-like North korean monitor and hard drive» (COUPLAND 2010: 18).
Il fenomeno definito urban dualism (formal-informal, planned-unplanned, rich-poor) è evento urbanistico e socio-storico ormai consumato, all’interno della scrittura dell’autore canadese, gli Xers si aggirano in uno scenario in cui la dis-illusione si allarga a macchia d’olio. Colti come gruppo gli Xers (protagonisti anche in Girlfriend in a coma) costituiscono identità campione in una nascente we-culture, segnata dalla ridefinizione di gruppi di appartenenza sorti per emanciparsi da un geo-determinismo antropologico o socio-economico.
Si oscilla tra uno sguardo on the road che attraversa la trasformazione e uno che abbraccia aree più vaste in questi romanzi, in una visione aerea che apre le mappe per includere città, spazi urbani, rurali e aeroporti, attraversati sia con tradizionali veicoli che con i media, vecchi e nuovi – TV inclusa. Ogni località è intesa come luogo dell’immaginazione, non perché immaginaria o immaginata, ma nella misura in cui chi la abita va a contribuire con un nuovo strato percettivo e socio-generazionale al now – sogni, storie, idee, allucinazioni che sono antidoto alla povertà sociale, economica e culturale del presente. Luoghi, spazi e edifici diventano archeologie in cui il tempo presente avviene insieme ad altre dimensioni geo-storiche legate a quel luogo.2 In una collezione di immagini che funzionano meglio di qualsiasi aggettivo, Coupland descrive personaggi e contesti coniando nuove espressioni: «I turned into a Basement Person and never went in to work in an office again» dichiara Andy, narratore principale di Generation X, mentre spiega la sua attuale condizione: «Now: when you become a Basement Person, you drop out of the system. You have to give up, as I did your above-ground apartment […] Basement People rent basement suites; the air above is too middle class» (COUPLAND 1991: 26). Questa ricodificazione dell’identità avviene su vari livelli.
Basement subcultures was strictly codified: wardrobes consisted primarily of tie-dyed and faded T-shirts bearing images of Schopenhauer or Ethel and Julius Rosenberg, all accessorized with Rasta doohickeys and badges. […] No one ever seemed to have sex, saving their intensity instead for discussions of social work and generating the best idea for the most obscure and politically correct travel destination (the Nama Valley in Namibia – but only to see the daisies). Movies were black and white and frequently Brazilian. […] And after a while of living the Basement life-style, I began to adopt more of its attitudes. I began occupational slumming: taking jobs so beneath my abilities that people would have to look at me and say, ‘Well of course he could do better.’ (26).
Gli Xers sono alla ricerca di «a land that is barren – the equivalent of blank space at the end of a chapter», (COUPLAND 1991: 26). Il panorama urbano e suburbano nord americano però è saturo. Alla nuova generazione è impedito di costruire ma, anche, di sovrapporre la propria idea/immagine su un territorio tanto densamente connotato, da essersi trasformato in un kitsch linguistico: «your bungalow looks more like it belongs to a pair of Eisenhower era Allentown, Pennsylvania newlyweds than it does to a fin de siècle existentialist poseur?» (1991: 85). Quelle epifanie joyciane che la città di Dublino per esempio sapeva suscitare, non trovano più spazio nella città tantomeno nei quartieri middle-class, i suburbs. Sono i luoghi senza troppe stratificazioni semantico-simboliche – perché intrisicamente privi, deprivati o in frantumi – quelli che consentono qualche ri-scrittura: in Generation X è il deserto di Palm Springs, California «a small town where old people are trying to buy back their youth and a few rungs on the social class» (1991: 10); in Girlfriend in a coma è la città dell’autore, Vancouver prima però degli anni ’80: «an innocent, vulnerable, spun-glass Kingdom»; in Generation A si va da una pluralità di luoghi alle diverse latitudini del pianeta – Sri Lanka, Iowa, New Zealand, Francia, Canada – a una location ideale condivisa, «a bizarre and beautiful island» (2009: 153) che diventa spazio principale dell’azione: Haida Gwaii (o Queen Charlotte Islands), in British Columbia. Luoghi dismessi, residuali, spogliati definitivamente delle loro varie identità diventano contesti fertili, paradossalmente proprio per la loro decadente, a volte macabra, nudità funzionale. Fa eccezione Vancouver, per l’autore, centro urbano con uno status speciale, luogo ad alto tasso di potenzialità e risorse (umane, naturali, energetiche): «From the viewpoint of creating utopia, Vancouver remains a place where people still come to start fresh. [...] Vancouver was always where hippies from elsewhere in North America arrived to start any number of utopian communities along the West Coast» (COUPLAND 2014: 108).
Tra i quattro romanzi presi in esame, come vedremo meglio più avanti, per ragioni diverse sia Generation A che Player One creano un potenziale scarto. Due le ragioni essenziali per Player One: la prima, l’assenza di un focus sugli Xers. Al loro posto, personaggi di varie età, capaci però, come gli Xers, di dare corpo a un piccolo gruppo, soggetto plurale «the four of them». Seconda ragione, l’unità di spazio e tempo in cui viene collocata la vicenda: un aeroporto nell’arco di 5 ore, tante quanti i capitoli e le voci narranti. La deviazione non incide sull’approccio, riposiziona però l’ottica dentro un unico contesto, certo inviduato non casualmente nell’aeroporto. Generation A, invece, rappresenta una variante generazionale, un aggiornamento agli Xers, che ci porta tra chi ha tra i venti e i trentanni nel 2000 e in un mondo definitivamente globalizzato e interconnesso per cui si può essere in un punto qualsiasi del pianeta, ma far finta di essere altrove: per esempio Harj fa credere di chiamarsi Werner e trovarsi a Kassel in Germania quando invece è al lavoro in «a call centre for Abercrombie & Fitch in a warehouse building at Bandaranaike Airport» (COUPLAND 2009: 26) a Trincomalee, capitale dello Sri Lanka. Oltre a mascherare l’identità e il luogo di residenza è anche possibile essere in luoghi distanti migliaia di miglia, eppure coabitare uno stesso spazio-tempo, grazie alle nuove tecnologie. Zack, un altro dei cinque protagonisti di Generation A, è connesso attraverso «a two-way satellite link» con «an insomniac freak named Charles, who works in […] Singapore» (2009: 6).
1. Mappare il presente: luoghi-etichette e statistiche per una socio-geo-narrazione
1.1 Generation X
Generation X (1991), nelle intenzioni, non era un romanzo: «The proposal pitched a non-fiction book, in which Coupland would enlighten readers about the generation following the Baby Boomers» (DOODY 2011: 9). Si trattava di un saggio in chiave socio-politica dedicato alla generazione a cui lo scrittore all’epoca apparteneva.
In GENERATION X readers get the facts: the attitudes and expectations of Xers as a generation destined to grow up in a world very different from that of ... generations before them. [It] combines startling statistical and demographic research with a humorous and accurate narrative to present an idiosyncratic but bang-on picture of the bodies and souls of Xers—and the world they will inherit. (maiuscolo come da originale d’archivio)3
Nella prima edizione a margine – a pié di pagina in quelle successive – Generation X ospita altro materiale che va a ulteriore completamento della riflessione socio-antropologica: una serie di elementi visivo-testuali che associano parola a immagine – tra cui glosse, disegni con didascalie, fumetti a vignetta singola con testo.4 Centro e margine, elementi formali di genesi e composizione, determinano due forme discorsive parallele: quella narrativa (il romanzo) e quella iconica, simbolica, ironico-satirica che corre accanto fatta di frammenti visivo-testuali, scritture brevi, brevissime, a cui l’autore è avezzo nella sua attività di commentatore per quotidiani e riviste, cartacee e online. Se i tre personaggi fittizi permettono una messa in scena della dimensione problematica della loro esistenza e di quella reale che rappresentano, gli elementi a margine innescano ulteriori giochi di senso, aprono la mappatura dal particolare al generale; attraverso la loro posizione e la loro estraneità al genere che inabitano sono di per sè altre geo-grafie. Rispetto alla dimensione fattuale degli intenti, il romanzo si chiude proprio con dei dati in un appendice dal titolo «Numbers» (COUPLAND 1991: 181-183). Una dozzina di citazioni da quotidiani e riviste (per esempio Rolling Stone, Forbes, Science Digest) ma anche da pubblicazioni di enti statali (American Demographics, U.S Bureau of the Census) su percentuali demografiche focalizzate sulla fascia d’età 20-30 anni, tra gli anni ‘70 e i ‘90. Si riporta degli investimenti governativi, per esempio, sull’educazione (2%) in un confronto con quelli dedicati agli anziani (30%). Si descrivono abitudini e condizioni di vita tra i giovani in nord America – never married/married – e si rimanda a sondaggi sul modello di famiglia offerto dai propri genitori. Qualche valore anche su catastrofi geo-ambientali: «Numbers of dead lakes in Canada: 14,000» (COUPLAND, 181) e sui morti a causa delle polveri sottili: «Number of human deaths possible from one pond of plutonium if finely ground up and inhaled: 42,000,000,000». La questione economico-patrimoniale è particolarmente rappresentata: dati sul reddito e acquisto prima casa (confronto fra 1967 e 1987) oppure su chi tra i giovani è proprietario di abitazione – confronto 1973-1987. L’immediatezza di questi valori e il quadro sfavorevole che scorrendoli si delinea rievoca o anticipa – per chi accede a questa appendice a fine lettura o, sfogliando il libro, prima – quanto delineato da Andy, Dag e Claire, i tre personaggi principali. Vari gli episodi che tessono trame attorno a questi dati. Una questione su tutte: la discrepanza di opportunità economico-patrimoniali in un aspro confronto fra due generazioni gli Xers e gli Yuppies, «hypercomsuming urban professionals» (SOJA 1991: 368), ovvero Dag (Xers) e Martin, il suo «embittered ex-hippie boss» (COUPLAND 1991: 21):
[...], do you really think we enjoy hearing about your brand-new million-dollar home when we can barely afford to eat Kraft Dinner sandwiches in our grimy little shoe boxes and we’re pushing thirty? A home you won in a genetic lottery, [...], sheerly by dint of your having been born at the right time in history? You’d last about ten minutes if you were my age these days, Martin. And I have to endure pinheads like you rusting above me for the rest of my life, always grabbing the best piece of cake first and then putting a barbed-wire fence around the rest.
I dati statistici subiscono un travestimento che assume le caratteristiche di una teatralizzazione. Coupland personifica e umanizza i numeri altrimenti non visualizzabili e privi di pathos, a monte di un’indagine socio-storica sul campo. Andy, Dag e Claire sono quelle cifre, ma sono anche il nucleo minimo di chi si oppone ad esse. Invece di subire una ghettizzazione in spazi definiti da altri, cadendo nella polarizzazione ricchi/poveri, decidono di porsi ai margini. Lasciando un lavoro che inaspriva la loro condizione invece di migliorarla, ognuno dei tre protagonisti elegge Palm Springs a sua residenza: «There is no weather in Palm Springs – just like TV. There is also no middle class, and in that sense the place is medieval» (COUPLAND 1991: 10). Un’area suburbana residenziale sviluppata secondo un piano urbanistico a carattere prevalentemente turistico e salutistico viene eletta a luogo ideale perché capace di salvarli dal temibile modello middle class: «the three of us chose to live here, for the town is undoubtedly a quiet sanctuary from the bulk of middle-class life» (10). Avendo siglato un patto che li vincola a raccontarsi vicendevolmente delle storie – «Either our lives become stories, or there’s just no way to get through them» (8) – per la prima sessione organizzano un picnic in «the town of West Palm Springs Village – a bleached and defoliated Flintstones color cartoon». Questo luogo è «a true rarity: a modern ruin and most deserted save for a few hearty souls […]. The mood is vaguely reminiscent of a Vietnam War movie set» (1991: 14-15). Il luogo che facilita il ripensamento della propria identità finisce sempre per non coincidere con un vuoto perfetto, come un foglio bianco su cui è possibile scrivere una storia originale. I luoghi ideali individuati sono come pagine di Storia sbiadite appena leggibili, crolli o vestigia di una città, tracce sparse di memoria che garantiscono un margine. Nonostante la forma di isolamento volontario, i tre individui (e due cani) si identificano in fretta in quella che si potrebbe definire una piccola gated community (SHORT 2000: 24) al contrario per distinguerla dall’accezione sinistra e negativa che l’espressione ha assunto negli ultimi trent'anni (in particolare nelle analisi di sociologi urbani come Mike Davis o Evan McKenzie). Concepita con un valore positivo liberatorio e primordiale, questa forma di “gated community al contrario” è costituita da un gruppo che resiste al contorno ma in modo non belligerante e non auto-protettivo in cui si respinge il condizionamento non l’altro. Enclave priva di fortificazioni e di natura non territoriale, questa “gated community al contrario” coincide appunto con l’idea utopica di una we-narrative, da cui ripartire. Ripristinando un primo nucleo sociale si torna a un’idea zero ancora aperta di gruppo (al di là di rapporti riproduttivi o di parentela), che riconduce agli albori dove «notions of a public good or civic order were slow to develop, always it seems, able to be undermined by family and group loyalties» (24). Costituirsi in gruppo non garantisce agli Xers di essere salvi da forme indotte di ri-condizionamento. Al contrario, la forza omologante persiste nella sua azione, attraverso nuclei come la famiglia – quelle ben diverse di Andy e Claire – o come il mondo professionale (nel caso di Dag) facendo pressione per slacciare il legame del nuovo gruppo e ricondurre gli individui in caselle sociali più consone. Postisi al di là di radici geografiche, questi individui sono le prime vittime di quella sindrome che Coupland definisce Terminal Wanderlust (in grassetto nell’originale):
A condition common to people of transient middle-class upbringings. Unable to feel rooted in any one environment, they move continually in the hopes of finding an idealized sense of community in the next location. (1991: 171)
Forse più che vittime, si tratta più ottimisticamente di superstiti e pionieri di un nuovo concetto di aggregazione e società, un primo tentativo di riformulare il concetto di utopia: non un luogo dato da rintracciare, bensì una comunità da costituire in qualunque luogo. Paradigmatico in questo senso il finale di Generation X con il trasferimento degli Xers in Messico a San Felipe «where my – our – hotel may some day exist» (171) in quella che viene definita «the lunar side of the fence», un territorio «granular, parched, and desperate» scelto «by free will» (172). Un luogo che è in-potenza e quindi non è ancora; idealmente capace di offrire accoglienza, ospitalità, asilo (un albergo) e, siccome, basato su persone e non su una territorialità geografica, da cogliere attraverso una predisposizione alla capacità di riposizionarsi con altri in un altro-dove.
1.2 Player One. What Is to Become of Us?
Nell’appendice di Player One, recuperando la sperimentazione di Generation X, Coupland offre una serie di glosse, ironicamente intitolata «Future Legend». La prima definisce proprio il setting scelto per la storia: «Achronogeneritropic Spaces Nowhere/ everywhere/ timeless places such as airports», (COUPLAND 2010: 215). Tutto in Player One si osserva a partire da questo unico luogo, per sua natura decentralizzato: «a defeated concrete satellite of the main hotel that resembled the third-best restaurant in the fourth-largest city in Bulgaria» (2010: 10), dirà Karen, uno dei 5 personaggi. La natura altra, periferica del luogo, la sua essenza neutrale, già dalla seconda ora – o secondo capitolo – subisce un mutamento assumendo l’identità di un’arena comune, unico luogo sicuro per la piccola comunità «the four of them»; trincea al limitare di eventi apocalittici a catena che accadono in vari centri del mondo (São Paulo, Niagara Falls, Toronto), prima ancora che proprio accanto e dentro l’aeroporto. In questa riclassificazione, Achronogeneritropic spaces, l’aereoporto sembra simbolicamente convergere verso la lettura che ne dà Remo Ceserani superando il punto di vista di Marc Augé e facendo proprio quello che Christopher Shaberg sviluppa in The Textual Life of Airports (2011): «Forse possiamo parlare, a proposito di aeroporti, piuttosto che di “non luoghi”, di “più luoghi”» (2015: 4), in quanto popolati da masse di persone, tra cui molte in transito ma anche tante residenti. Reso ancora più accessibile da vari media televisione, computer, radio e cellulari, l’aeroporto nel romanzo consente (almeno fino a un certo punto) uno sguardo aperto sul mondo e, al contempo, una funzionalità customizzata dello spazio, tra chi per esempio ci lavora quotidianamente come il barista: «Rick works in an airport hotel lounge bar and is hence transient and disposable within his guests’ universe… airport bars have no regulars – just drinkers without roots and with temporarily absent inhibitions» (11); e chi è lì solo di passaggio, come il parroco Luke, in fuga dalla sua chiesa e con in tasca i risparmi rubati, dono dei fedeli:
An airport isn’t even a real place. It’s a pit stop, an in-between area, a “nowhere”, a technicality – a grudging intrusion into the seamless dream of transcontinental jet flight. Airports are where you go right after you’ve died and before you get shipped off to wherever you’re going next. They’re the present tense crystallized into alluminium, concrete, and bad lighting. (71)
Per Karen e Rachel l’aeroporto e, in particolare il «cocktail lounge of the Toronto Airport Camelot Hotel» (COUPLAND 2010: 5), non è spazio familiare né luogo di transito, bensì meta, in cui raggiungere un preciso obiettivo individuale. Karen è qui per il primo appuntamento con un uomo incontrato su internet. Rachel, a caccia di un primo appuntamento, è impegnata invece in una missione personale: è alla ricerca di un uomo che possa darle un figlio così da poter dimostrare a suo padre le sue qualità di essere umano, nonostante i deficit neurologico-comportamentali che la affliggono dalla nascita.
In seguito a una serie di esplosioni e a un contemporaneo attacco terroristico, gli invidui perdono la loro singolarità dando vita a un’altra collaborativa gated community al contrario, per principio incapace di barricarsi visto che deterritorializzata in funzione anticonformista. Ancora una volta, utopia non è un luogo esotico e remoto da raggiungere ma ogni luogo in cui un gruppo di individui è capace di uscire dalla propria dimensione singola dell’io per entrare in quella del noi – we-narrative.
Anche in Player One il labile confine tra fiction e non-fiction va rintracciato, come per Generation X, nella genesi del romanzo: offerto come contributo per The Massey Lectures, una serie canadese annuale di conferenze pubbliche, affidato a una persona autorevole invitata ad affrontare temi a carattere politico, filosofico, culturale:
Selected to deliver the 2010 Massey Lectures, bestselling Vancouver author Douglas Coupland chose the novel as his medium — the first time in the history of the venerable series it has been presented as a work of fiction. According to Coupland, who has been unveiling his ominous five-part work Player One: What is to Become of Us across the country this fall, the novel format seemed the most natural way to distill and crystallize the ideas and concepts he has been grappling with for two decades. (CBS ARTS 2010)
Come nell’arte concettuale è l’idea che domina sulla forma, non viceversa. Non più percentuali né dati demografici da drammatizzare, piuttosto un’accurata selezione di parole chiave per una legenda che aiuti a decifrare il futuro, un sapere accessorio in formato enciclopedico a latere – un’altra geo-grafia.
2. Geografie aperte. Rompere icone e simbologie del territorio per ridefinirle
Nel riappropriarsi di spazi, immaginari e mappe gli Xers seguono un’esigenza di autonomia verso luoghi sufficientemente sgombri da quegli elementi che ne farebbero dei centri urbani i «three fundamental discourses of the city: the authoritarian city, the cosmic city, and the collective city» (SHORT 2000: 18). Si va dunque verso forme socio-spaziali che parlano di coabitazioni non standard che si generano per ragioni diverse: insofferenza ai modelli tradizionali di famiglia; limitato accesso a risorse economiche e naturali; reazione a inquinamento e cambiamento climatico; esito di attacchi terroristici, forme di controllo governativo, sperimentazione scientifica. Questi accadimenti (facilmente accolti da speculative fiction) intersecano le vite comuni di chi è cresciuto nella middle class nord americana e che, negli anni ’90, non ha più accesso a un certo stile di vita e di futuro – modello raggiungibile fino a metà anni ’80. Spazzato via uno scenario rassicurante e dato, la narrativa di Coupland guarda a ciò che resta e alla Storia come a un’inellutabile e ingombrante presenza che impone i suoi simboli sul territorio ma che non serve più per interpretare i fenomeni del tempo contemporaneo. Se la Storia è un peso schiacciante, presente e futuro sono dimensioni in cui si soffre per sovraffollamento, eccesso di conformismo, una diffusa brandizzazione degli spazi urbani e l’inarrestabile avanzare del declino – ambientale e culturale. In questo quadro, i concetti di centro e periferia, tra dimensione simbolica e materiale, non sono più opzioni nette. Narrativizzare gli spazi permette di re-intepretare il senso stesso dell’abitare: «The brain uses stories to organize its perceptions of the world» (COUPLAND 2009: 164). Si è esaurita, secondo Coupland, quell’idea storicamente consolidatasi della città intesa come «a crucible for ideas and innovation» (BRIDGE, WATSON 2000: 7). Svanita è anche la componente «stimulating» e quindi la città offre solo il fenomeno del «constraining» associato a un senso di instabilità e spaesamento risultato di un processo di ristrutturazione urbana «induced by severe shocks to preexisting conditions of urban growth and development» (SOJA 1991: 361). Ogni quartiere mantiene una sua etichetta e corrisponde a una funzione o comunità stereotipata anche se sono evidenti i segni di una brutale dismissione. L’ipotesi utopica risiede dunque nella capacità aggregativa dell’umano, nella sua abilità di dare forma a comunità per fini non immediati e non inviduali.
3. Gated communities al contrario e we-narratives: entità sociali minime per nuove città-narrazioni
Dimensione narrativa e impianto di analisi sociologica convergono nell’identificazione di quella che abbiamo definito una gated community al contrario e nella creazione di we-narratives. Nell’ottica di offrire drammatizzazioni capaci di sfruttare campionature da dati demografici, Coupland punta a rap-presentare quella, delle tre dimensioni dell’umano, che Marc Augé definisce «generica»:
Ogni individuo deve riconoscere in sé e in ognuno degli altri la sua parte di umanità generica, indipendentemente dal sesso e dall’origine. Quando Armstrong ha camminato sulla Luna abbiamo detto: l’uomo ha camminato sulla Luna. Io amo citare la formula di Sartre: “Ciascun uomo è tutto l’uomo”. La dimensione generica è transculturale. Oltrepassa l’identità ristretta di ogni cultura.
Tenere d’occhio la dimensione generica e transculturale per Coupland significa rendere manifesto un quadro umano in divenire, di cui i suoi personaggi sono prima un esempio polifonico, poi una forma di collective narrative o come la definisce Uri Margolin di un Telling in the Plural: «Not every collection of individuals (e.g. Zola’s crowds) qualifies as a collective agent. To qualify the collection must act as a plural subject or we-group» (2000: 592). Coupland complica dunque la dimensione diegetica per cui le voci narranti, in prima o terza persona, sono solo parzialmente incaricate dello sviluppo narrativo, mentre i romanzi virano in fretta verso un punto di vista collettivo. In Generation X, una cornice diaristica gestita da Andy evolve rapidamente per lasciare largo spazio a we/us in cui Andy, Dag e Claire pensano, agiscono, percepiscono e intendono il mondo come un’unica entità.5 Diversa, seppur con qualche similitudine, l’articolazione di voci in Girlfriend in a coma: persiste l’incastro di cornici narrative che diventano però più numerose; si conferma una predilezione per la forma diaristica, per i passaggi dialogici e, anche qui, uno spazio ampio lasciato al noi. In Generation A (2009) e Player One (2010), inizialmente lo svolgimento del plot si segue attraverso l’alternarsi di cinque diversi protagonisti: in Generation A, Harj, Zack, Samantha, Julien e Diana sono narratori per lo più in prima persona singolare poi plurale; in Player One, Karen, Rick, Luke, Rachel e Player One – l’avatar di Rachel o sua coscienza – si affidano a una narrazione in terza persona con focalizzazione interna e a una forma di collective narrative attraverso l’espressione ricorrente «the four of them».
La mappa, in Generation A e Player One, si apre e si chiude a soffietto in un continuo stringere il fuoco su una collocazione precisa, geografica e fisico-corporea, di uno dei personaggi, ma sempre pronta a espandere l’obiettivo alla dimensione globale di un’era ad alta intensità tecno-comunicativa. In Generation A le 5 voci narranti contemplano un contesto molto più ampio, a monte di un fenomeno straordinario: la puntura di un’ape (insetto estinto nell’universo narrato) che li pone al centro di un macro thriller su scala planetaria conteso tra chimica, business e politica. Vittime di uno spostamento coercitivo distribuito su scala globale, i personaggi di Generation A sono colti in un punto ben preciso del mondo, dispersi in quattro dei cinque continenti: Harj a Trincomalee nello Sri Lanka; Zack in Iowa - USA; Samantha a Palmerston North, sulle coordinate GPS «-40.4083°, 176.3204°» nella regione di Manawatu-Wanganui - Nuova Zelanda; Julien seduto sulla panchina di un parco non lontano da rue Claude Decaen nel 12esimo arrondissement di Parigi – Europa che, nella sua prospettiva, equivale a trovarsi in: «an outdoor Las Vegas casino of timelessness» (COUPLAND 2009: 17). Infine, Diana in Ontario - Canada. Eppure Harj, Zack, Samantha, Julien e Diana sono tutti anche altrove perché coinvolti in qualche attività social o di virtual gaming, proprio nel momento in cui vengono punti. Digital savvy e connessi alla rete, vivono tempi ed eventi non solo del loro contesto fisico grazie a dispositivi elettronici (smartphone, PC, videocamera). Samantha, per esempio, sta partecipando a una forma d’arte social ibrida, una sorta di installazione/gioco di società via web, Earth sandwich6:
It’s when you use online maps to locate the exact opposite place on the planet from you, and then hook up with someone close to that place. Then, after you mathematically figure out exact opposite GPS coordinates to within a thumbnail’s radius, you put a slice of bread on that spot, then connect via cellphone and simultaneously snap photos: two slices of bred with a planet between them. (COUPLAND 2009: 9)
Coupland tiene conto della mediazione materiale (mezzi di trasporto, telecomunicazione, alberghi internazionali, ecc.) e simbolica (modelli di consumo, stili, mode e architetture) del contemporaneo, lungo traiettorie, trame e network capaci di attraversare il globo. Per questo, in controtendenza con il fenomeno delle megalopoli, la città in Coupland non è (più) luogo aggregatore per eccellenza, ma punto tra punti, spazio archeologico e enciclopedico, parametro per quantificare fenomeni socio-economici o socio-politici; unità di misura per definire forme di potere e qualità di un fenomeno antropologico; e infine, etichetta o brand che fa dello spazio urbano (popolazione inclusa) un ennesimo prodotto di consumo a scaffale: «the river was the colour of bad Mexican whiskey», (COUPLAND 2009: 291). Centri di produzione, commercializzazione e vendita, le città sono etichette e prodotti al contempo: «What sells the city is the image of the city. In a very real sense the city becomes the image» (SHORT 2000: 59). Icone da collezionare più che luoghi in cui trovare uno spazio abitabile, su mappe che hanno già moltiplicato le loro possibilità di indicizzazione e che, per l’autore, sono anche grafie di «what sorts of people and situations to avoid» (COUPLAND 2009: 219).
4. Conclusione
A partire dall’analisi di un contemporaneo spogliato di prospettive tradizionali (individuali, sociali, economico-ambientali) e sotto scacco per incombenti possibili conflitti e catastrofi (naturali, finanziarie, civili, biochimiche), l’autore va verso una ridefinizione del concetto stesso di utopia. Non certo ispirata al modello ur di Thomas More ma, piuttosto sollecitata, seppur in versione aggiornata e rivista, al Decameron di Giovanni Boccaccio: «Well, I guess we’d better update our notions of lust, the nobility and the clergy. Zack is totally on the right track. Let’s tell stories about stalking, superheroes and cults» (COUPLAND 2009: 164). Lo spazio di elezione è ideale non per centralità ma per neutralità; è un qualunque luogo condiviso, non vissuto tramite mediazioni digitali, ma fisicamente; è dunque uno spazio-tempo in cui la forza governante è un immaginario aperto e non condizionato.
Come altri autori, anche Coupland non si prova più con il genere utopico/distopico per denunciare solo l’ingiustizia sociale, parafrasando Jameson (2005: 43), ma per indagare più da vicino sistemi, mappe e altre strutture o meccanismi articolati e profondi.
[...] the Utopians were not exclusively driven by indignation at social injustice or compassion for the poor and the oppressed. They were also intellectuals, with a supplementary taste for systems (as Barthes argued), for maps (see Marin) and for schemes of all kinds (see the Manuels).
Mappare significa dunque anche tenere traccia di vissuti, epopee, favole e parabole capaci di alimentare altre, nuove narrazioni. Se la Storia con la s maiuscola è ormai inservibile principio per organizzare il pensiero e la cultura, da quando è stata trasformata in «a press release, a marketing strategy, and a cynical campaign tool» (COUPLAND 1991: 151), allora è la capacità di narrare storie il punto zero da cui ripartire. L’utopia si gioca tra il rifiuto all’omologazione e la capacità di riattivare la forza dell’immaginazione (anche in senso pratico). Sono le mappe carto-grafiche, fisiche e della mente, la nuova frontiera, la soluzione per riposizionare la prospettiva da una visione storica o storicistica ad una più mobile e aerea.
Bibliografia
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Note
↑ 1 In Generation A l’idea era già stata presentata: «if you look at a county map of Colorado, it looks like a bunch of ripped paper shreds stacked by preschoolers, whereas Iowa is divvied up into 113 neatly aligned rectangles», (7).
↑ 2 Idea sviluppata nel 2012 in un contributo dal titolo «British Columbia» pubblicato all’interno del volume Oh, Canada: Contemporary Art from North North America (North Adams, MA: MASS MoCa) a cura di Denise Markonish. Giustapponendo paragrafi in cui si passa da fatti storici, a aneddoti della propria vita personale da bambino e poi da adulto, quindi a immaginare Vancouver e la regione, British Columbia, nel 2057, Coupland mostra la coesistenza dei livelli della metamorfosi del luogo.
↑ 3 Questo virgolettato compare nel saggio di Christopher Doody, p. 9-10 e, come si legge nella nota 14 (p. 10), è la descrizione rintracciata tra le carte dell’autore raccolte nel Douglas Coupland Fonds, (box 009, file 14), conservate a Vancouver presso University of British Columbia Library, Special Collections.
↑ 4 Sugli aspetti grafici e di ibridismo del romanzo si veda il saggio della sottoscritta sull’argomento, «La parola-immagine e l’immagine in parole: pubblicità, serie TV, fumetti, Pop Art. In Generation X di D. Coupland» in Nuova Corrente, 156, 2015, 75-98.
↑ 5 Esiste un’alteriore cornice – come accenato nelle pagine precedenti – in cui si collocano una serie di narrazioni in terza persona, in un gioco di pseudo-sopravvivenza dal sapore boccaccesco, frutto di un patto tra gli Xers che si narrano reciprocamente originali novelle perché la loro vita abbia un senso.
↑ 6 Un’esperienza realmente condotta nel 2006 dal web artist e comico americano Ze Frank, proprio come descritto nel dettaglio dalla stessa Samantha nel romanzo (vedi citazione).