Publifarum n° 27 - CERTEM

Introduzione

Michele PRANDI, Micaela ROSSI


Questo volume contiene le relazioni presentate ai convegni organizzati dal CeRTeM presso il Dipartimento di Lingue e Culture Moderne dell’Università di Genova in occasione della Giornata Europea delle lingue il 3 ottobre 2014 (La lingua italiana in Europa – tra cultura e identità) e il 15 ottobre 2015 (Multilinguismo e lingua franca nella UE).

Il tema delle due giornate di studio è una riflessione sul posto dell’italiano tra le lingue d’Europa e nelle Istituzioni Europee, con particolare attenzione alla traduzione settoriale e quindi alla terminologia, di cui il CeRTeM è protagonista. Il tema è doppiamente rilevante per un Dipartimento di Lingue, e ancora più per un centro di ricerca terminologica che contiene il multilinguismo nel suo stesso nome. L’Europa linguistica, che è la patria ideale di una lingua come l’italiano e della maggior parte delle lingue studiate in Dipartimento, si fonda sul multilinguismo, e si nutre delle sue fonti di alimentazione naturali: la traduzione e la scrittura multilingue. Ma quando si parla in particolare di terminologia, il multilinguismo non è più solo uno dei fattori in gioco, ma diventa il fattore costitutivo.

Le cosiddette lingue di specialità si distinguono dalla lingua comune non tanto per la struttura quanto per l’ambito di condivisione.

Se guardiamo alla struttura, un termine ha, esattamente come ogni segno linguistico, un contenuto. Indipendentemente dalla sua maggiore o minore accessibilità, questo contenuto è il significato di un segno – di una parola o di un’espressione complessa. Una lingua, inoltre, non è fatta solo di lessico ma anche di grammatica – non solo di termini che designano classi di oggetti ma anche di relazioni e di relazioni tra relazioni. Queste considerazioni mettono in discussione l’idea stessa di lingua di specialità, e forse anche quella di un lessico di specialità per almeno due ragioni: in primo luogo, nei testi specialistici la terminologia specifica coesiste con il lessico naturale: con nomi, ma soprattutto con verbi, aggettivi, avverbi, congiunzioni, preposizioni di uso comune. Inoltre, i termini entrano nei testi e nei discorsi grazie alla grammatica di una lingua naturale. È questa la ragione per cui l’espressione lingua di specialità, anche se ormai convenzionale, contiene una sfumatura iperbolica; più che di lingue di specialità, sarebbe forse corretto parlare di testi di specialità.

La differenza specifica tra un termine e un lessema di una lingua naturale, d’altra parte, diventa netta se prendiamo in considerazione l’ambito di condivisione, come ci ricorda il traduttore Alessandro Piccolomini nel 1550: «Hanno i medici, i mercanti, gli architetti e finalmente in ogni altra arte proprij vocaboli, che, salvo che a loro, parranno ad ogni altro stranij». In un lessema naturale, ciò che legittima la relazione biunivoca tra il significante e il significato è, sul piano del diritto se non sempre dei fatti, la condivisione generalizzata da parte di una comunità di parlanti. Nel caso del termine, è la condivisione da parte di un gruppo di utenti specializzati, che è più ristretto di una comunità linguistica naturale ma al tempo stesso si proietta inevitabilmente in una dimensione multilingue, fino a includere idealmente gli specialisti appartenenti a comunità linguistiche diverse per creare una comunità di condivisione plurilingue. Se questa premessa è giusta, tuttavia, il multilinguismo non è semplicemente un dato empirico della ricerca e della pratica terminologica, ma la condizione stessa che rende possibile immaginare una comunità di condivisione formata idealmente dagli specialisti di una disciplina al di là delle barriere linguistiche.

Gli strumenti che proiettano il lavoro terminologico in una dimensione multilingue sono essenzialmente due: la traduzione e la scrittura multilingue.

La traduzione è stata per secoli lo strumento privilegiato per arricchire il lessico delle lingue d’Europa, dell’italiano dapprima, e poi del francese, dell’inglese e da ultimo del tedesco, trasformandole da vernacoli volgari a grandi lingue di cultura. Nell’Italia dell’Umanesimo e del Rinascimento, autori come Landino, Varchi, Piccolomini e Alberti alimentano con la traduzione dal latino un lessico tecnico e specialistico che permetterà a Galileo di rifondare la fisica in lingua italiana. In questo modo si compie il progetto di Dante di fare dell’italiano una lingua nella quale sia possibile «altissimi e novissimi concetti convenevolmente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso latino, manifestare». Lo stesso destino toccherà alle altre maggiori lingue d’Europa, destinate nei secoli successivi ad affermarsi sul latino nella scienza, nella filosofia e nella cultura in generale. Ancora una volta, la loro affermazione dipende strettamente dalle traduzioni. Bacone e Pascal circolano in traduzione latina. Come sottolinea Tullio Gregory, «in traduzione latina sono presenti nella biblioteca di Kant l’Optics di Newton, l’Essay di Locke, il Dialogo di Galilei, la Géométrie di Descartes».

Da Dante a Kant, la scrittura plurilingue è stato il maggior veicolo di arricchimento delle lingue d’Europa, non solo nella terminologia ma anche nella ricchezza dei tipi testuali. Tra gli autori che alternano il latino alla lingua materna ormai pronta, annoveriamo Galileo e Cartesio. Leibniz alterna latino e francese, in quanto la sua lingua materna, il tedesco, non ha ancora un lessico filosofico. Meno di un secolo dopo, grazie all’opera di trasposizione di Wolf, Kant può usare il tedesco per i lavori più conosciuti; tuttavia, quando non si fida del termine tedesco, offre ancora l’equivalente latino.

Il ciclo che si è aperto con Dante, che ha ricevuto il suo impulso decisivo nel Quattrocento umanista ed è giunto a maturazione nel XVIII secolo, si è ora compiuto in questo inizio di terzo millennio, e il senso della deriva si è capovolto. A una fase centrifuga, che ha disseminato i contenuti delle scienze e della filosofia dal latino comune alle lingue nazionali maggiori, si è sostituita una fase centripeta. A poco più di due secoli dalla fine irreversibile del latino come lingua sovranazionale della ricerca, si sta affermando di nuovo in modo altrettanto irreversibile una lingua universale della scienza e della cultura modellata sull’inglese.

Sullo sfondo di questo mutamento ancora in corso, le considerazioni precedenti, che riflettono certamente l’equilibrio linguistico raggiunto dall’Europa sul finire dell’Era moderna, potrebbero perdere ogni attualità nel giro di pochi decenni. L’affermazione planetaria dell’inglese come nuova koinè della ricerca, della cultura e della comunicazione specialistica rappresenta certamente una sfida estrema all’idea stessa di un multilinguismo nei domini di specialità. Se i parlanti dell’italiano e delle altre maggiori lingue d’Europa abbandoneranno le loro lingue materne nell’espressione dei contenuti della ricerca scientifica a favore di un uso esclusivo della koinè, l’edificio progettato con lungimiranza profetica da Dante crollerà sulle sue stesse fondamenta. Le nostre lingue di cultura potrebbero ridursi a dialetti con una loro letteratura magari vernacolare, mentre la terminologia multilingue potrebbe abbandonare i piani alti della ricerca filosofica, scientifica e tecnologica per trincerarsi nelle aree residue dei settori più legati al consumo di massa.

Non sappiamo se la partita per un multilinguismo ‘illustre’ e non solo di consumo potrà essere vinta nel lungo periodo; in ogni caso, se vogliamo almeno provare a combatterla, le armi a nostra disposizione sono le stesse che hanno permesso ai nostri antenati di trasformare i loro vernacoli materni in lingue della cultura e della scienza: la traduzione e la scrittura plurilingue che alterni l’inglese inevitabile con le altre lingue.

Dopo questa riflessione iniziale, vediamo ora quali sono i contenuti delle comunicazioni pubblicate in questa raccolta.

Il contributo di Domenico Cosmai apre una finestra sull’importante lavoro di ricerca linguistica condotto dalle unità di traduzione delle istituzioni europee, viste come un laboratorio di osservazione e di riflessione sulla lingua nazionale. Le tematiche del prestito, della neologia, del delicato equilibrio tra spinta normativa ed esigenze della comunicazione, non ultimo il senso di responsabilità che la traduzione in ambito europeo comporta, costituiscono altrettanti spunti di riflessione e fonti di esempi, aneddoti, curiosità.

La riflessione sulla ricchezza della terminologia come espressione della cultura condivisa all’interno delle comunità di specialisti costituisce l’oggetto di indagine del contributo di Maria Teresa Zanola, che tratteggia le principali linee di sviluppo della disciplina in Europa e in Italia, per giungere alla descrizione delle attività compiute negli ultimi decenni da AssITerm, l’Associazione Italiana per la Terminologia. Lo studio delle terminologie come porta d’accesso privilegiata alle comunità professionali, alle culture linguistiche e alle strutture produttive delle diverse comunità nazionali, rappresenta lo spunto per una riflessione sulla prospettiva diacronica, ma anche sulle politiche linguistiche attuali nel contesto europeo.

Le peculiarità intrinseche ad ogni sistema linguistico rappresentano il fulcro di interesse del contributo di Vincenzo Lo Cascio. Nella descrizione fine ed approfondita delle reti e delle solidarietà lessicali, Lo Cascio evidenzia i valori culturali profondi legati al lessico delle singole lingue nazionali, e la difficoltà che la comparazione interlinguistica pone in una prospettiva di mediazione o traduzione. L’aspetto sintattico, semantico e retorico delle reti lessicali vengono studiati in prospettiva multilingue (italiano, francese, olandese, tedesco). Viene infine approfondito il ruolo descrittivo fondamentale dell’apparato lessicografico, attraverso l’esposizione del progetto del Dizionario combinatorio (http://www.locasciodictionary.com).

Una riflessione prettamente linguistica e testuale è al centro del contributo di Jacqueline Visconti, focalizzato sulla traduzione del connettivo testuale “o” nei testi giuridici delle istituzioni europee. Attraverso esempi tecnici tratti dalla giurisprudenza unionale, Visconti si sofferma sui problemi di traduzione collegati ad una particella solo apparentemente ininfluente a livello pragmatico, ricordando a lettori e traduttori quanto anche una piccola parte dell’impalcatura testuale possa diventare pietra angolare dell’argomentazione giuridica.

Il testo di Edoardo Pusillo si sofferma sulla problematica della diversità linguistica e dell’univoca comprensione dei testi normativi nell’ambito della UE. Il contributo analizza in particolare il caso in cui il principio di interpretazione uniforme dei testi giuridici unionali sia messo alla prova dalle divergenze linguistiche prodotte dalle diverse versioni linguistiche: cosa accade nel caso in cui le divergenze terminologiche siano tali da impedire la corretta e uniforme interpretazione del dettato normativo?

Il punto di vista amministrativo e giuridico nella controversia tra la necessità di una lingua franca per l’UE e l’opposta difesa delle lingue nazionali è al centro del contributo di Tito Gallas. Analizzati gli argomenti a favore e contro il mantenimento del regime giuridico di multilinguismo, Gallas approfondisce lo studio del quadro giuridico attuale in relazione alla possibile adozione di una lingua franca a livello unionale. Il discorso normativo, ma anche le altre forme di comunicazione tra cittadini e UE, vengono quindi indagati nella prospettiva della dinamica lingua franca/lingue nazionali.

Il tema del multilinguismo e dell’opportunità di una o più lingue franche all’interno dell’UE viene affrontato anche nel contributo di Francesca Lazzaroni, che sottolinea l’importanza e l’ambizione della politica linguistica dell’Unione. Il legame indissolubile tra cultura, lingua e patrimonio della collettività nazionale rappresenta un argomento fondante della politica del multilinguismo da sempre condotta dalle istituzioni europee. Di fronte a questo panorama complesso, Lazzaroni offre al lettore una descrizione dell’uso linguistico nelle istituzioni vissute “dall’interno”, ovvero secondo l’esperienza diretta dei funzionari, primi testimoni di quella “unità nella diversità” che rappresenta il cuore della politica europea.

Il testo di Lara Trucco offre al lettore un excursus dettagliato ed esaustivo sull’aspetto giuridico legato al regime linguistico della UE. Una prima parte riassume le principali tappe legislative che hanno portato all’adozione del regime attuale di multilnguismo; un paragrafo è inoltre dedicato all’analisi del multilinguismo “estrerno”, ovvero tra istituzioni e Stati, cittadini, gruppi sociali. L’ipotesi una o più lingue franche intra- o interistituzionali è presa in considerazione alla luce dell’attuale giurisprudenza unionale, dei costi attuali di traduzione legati al regime di multilinguismo, del valore politico, culturale e sociale che l’adozione di una lingua franca rivestirebbe. Infine, un paragrafo importante viene dedicato all’analisi della politica linguistica nell’operato della Corte di Giustizia. I dati storici e giurisprudenziali, così come le analisi statistiche aggiornate, rendono questo contributo un compendio prezioso anche per i non esperti in materia giuridica.


 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN 1824-7482