Publifarum n° 27 - CERTEM

Il regime linguistico nell’Unione europea

Lara TRUCCO



Abstract

Italiano  | Inglese 

La necessità di “gestire” la diversità degli idiomi parlati in ambito europeo e di fissare delle regole precise al fine di garantire un regime linguistico adeguato si è presentata sin dagli esordi del processo di integrazione comunitario.
Il saggio si propone dunque di esaminare l'evoluzione del regime linguistico dell'Unione europea, focalizzando l’attenzione soprattutto sul quadro giuridico vigente nei rapporti tra Unione europea e cittadini ed all’interno delle stesse Istituzioni europee. Ciò che rileva è la complessità della situazione che è venuta a crearsi soprattutto dopo l'allargamento ad Est (così che si giustifica il motto di una Comunità anche linguisticamente “unita nella nella diversità").
In particolare, sebbene in seno alla società (e particolarmente nella società italiana) il "multilinguismo" pare essere ancora dominante, tuttavia la promozione della conoscenza di una seconda lingua (oltre la propria “lingua madre”) sta favorendo l’emersione di un certo "plurilinguismo", il quale, peraltro, risulta essersi già affermato all'interno delle Istituzioni e in alcuni particolari settori. Specie in questi ultimi casi la domanda che si pone è se è opportuno e possibile, a questo punto, la previsione (anche sul piano normativo) dell’impiego di una sola/comune "lingua franca europea” (ELF).


“Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche,
deve trovare nell’organismo statale creato per proprio conto,
secondo la sua particolare concezione della vita politica,
lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni,
indipendentemente da ogni intervento estraneo (...)”.
(Manifesto di Ventotene, “Per un’Europa libera e unita”, 22 gennaio 1944)

1. Il regime linguistico “originario”

La necessità di “gestire” la diversità degli idiomi parlati in ambito europeo e di fissare delle regole precise al fine di garantire un regime linguistico adeguato si è presentata sin dagli esordi del processo di integrazione comunitario.1

Sin dai Trattati originari, infatti, fu stabilito che il relativo testo sarebbe dovuto essere “redatto in unico esemplare, in lingua francese, in lingua italiana, in lingua olandese e in lingua tedesca” (art. 8, poi, art. 314 del Trattato di Roma) e che i quattro testi avrebbero dovuto fare “tutti ugualmente fede” (previsione, questa, destinata a conoscere ulteriori estensioni in occasione dei successivi Trattati di adesione). Sulla base, poi, della previsione per cui il regime linguistico delle istituzioni della Comunità sarebbe dovuto essere fissato “dal Consiglio che delibera all’unanimità” (art. 217 del medesimo Trattato CEE), il primo Regolamento adottato dallo stesso Consiglio stesso nel 19582 – e rimasto, in ampia parte invariato, eccezion fatta per le modifiche resesi necessarie a seguito delle adesioni da parte di nuovi Stati3 – ha riguardato proprio la materia linguistica.

La centralità del regime linguistico della Comunità è stato poi avvalorato in occasione di tutte le successive revisioni dei trattati, incluso, in tempi più recenti, lo sfortunato Trattato di adozione di “una Costituzione per l’Europa”, in cui pure si ribadiva che “l’Unione rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e conseguentemente il divieto di discriminazione fondata sulla lingua” (artt. I-3; II-81; II-82; ed altresì I-10 d; II-101; III-128; III-282; III-433; IV-448). Soprattutto, è stata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nell’obiettivo enunciato nel Preambolo, di operare “nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei” e “dell’identità nazionale degli Stati membri”, a consacrare, nel frattempo, la portata costituzionale di un tale principio, così che il rispetto della “diversità culturale […] e linguistica” (art. 22) ed il divieto di “qualsiasi forma di discriminazione” fondata, in particolare, proprio sulla lingua (art. 21) sono divenuti fattori imprescindibili del noto motto dell’Unione “uniti nella diversità”.4

A Lisbona è stata prevista (v. l’art. 55, ex art. 53 TUE) la possibilità di “parimenti tradurre” il Trattato “in qualsiasi altra lingua determinata da uno Stato membro che, in base all’ordinamento costituzionale dello Stato in questione, sia lingua ufficiale in tutto il suo territorio o in parte di esso” (§2).5 Disposto a cui si accompagnano, rinforzandone il carattere precettivo, alcune previsioni normative contenute nel Trattato sul funzionamento dell’Unione (spec. l’art. 20, c. 2 lett. d) TFUE e l’art. 24 TFUE) ed in “Dichiarazioni” ad hoc, allegate al Trattato (spec. la n. 16 e la n. 58), con cui si è inteso confermare “l’importanza che l’Unione annette alla diversità culturale dell’Europa e la particolare attenzione che essa continuerà a prestare” al regime linguistico europeo, considerandosi “che la possibilità di tradurre i trattati nelle lingue di cui all’articolo 55, paragrafo 2 contribuisce a realizzare l’obiettivo di rispettare la ricchezza della diversità culturale e linguistica dell’Unione”.

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2. Il “multilinguismo” esterno (tra Istituzioni e Stati, gruppi, individui)

È stata, in particolare, l’affermazione dei principi del primato e dell’effetto diretto del diritto comunitario, per cui «le droit de l’Union ne s’adresse pas uniquement aux Etats membres mais également aux citoyens», a corroborare il processo di enucleazione del principio del multilinguismo in seno all’ordinamento comunitario, nella consapevolezza dell’aversi a che fare qui, a differenza che in altri tipi di organizzazioni transnazionali, con una questione di «democrazia linguistica europea».6 Processo che nel tempo ha prodotto un vero e proprio «“miracle” juridico-linguistique européen»,7 col conferimento, ad oggi, di pari rilievo di ben ventiquattro lingue ufficiali e di lavoro8 ed il riconoscimento di cinque lingue regionali,9 ovvero la presa di forma di un unicum rispetto a tutte le altre realtà statuali ed internazionali, le quali conoscono l’impiego, al più, di otto idiomi.10

È soprattutto con riguardo alla condizione di disagio di chi deve confrontarsi con un linguaggio che non gli è proprio che, specie nei rapporti “esterni verticali” tra Istituzioni e, rispettivamente, individui e/o Istituzioni e Stati membri, gruppi ed individui, meglio si colgono le motivazioni di fondo del principio multilinguista. È in una simile prospettiva, dunque, che si è stabilito che i “testi, diretti alle istituzioni da uno Stato membro o da una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro, siano redatti, a scelta del mittente, in una delle lingue ufficiali” e che la risposta debba essere “redatta nella medesima lingua” (art. 2); specularmente, i testi “diretti dalle istituzioni ad uno Stato membro o ad una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro, sono redatti nella lingua di tale Stato” (art. 3). Più ampiamente, “I regolamenti e gli altri testi di portata generale” devono essere “redatti nelle lingue ufficiali” e, dunque e particolarmente, “La Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è pubblicata nelle lingue ufficiali” (artt. 4 e 5). Con più specifico riguardo al rapporto coi singoli, poi, è prevista la possibilità da parte di “Ogni cittadino dell’Unione” di scrivere alle istituzioni o agli organi in una delle lingue ufficiali “e ricevere una risposta nella stessa lingua” (art. 20, c. 2 lett. d) TFUE e art. 24 TFUE, ex art. 21 del TCE). Dal canto suo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nel quadro del “diritto ad una buona amministrazione”, riconosce la facoltà ad ogni individuo di “rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue del trattato” ed il diritto di “ricevere una risposta nella stessa lingua” (art. 41).

La Corte di Giustizia si è dimostrata sensibile nei confronti del principio del multilinguismo sul piano dei rapporti “verticali esterni” nella consapevolezza della sua importanza per la salvaguardia di altre situazioni giuridiche soggettive e dello stesso processo di integrazione europea (tanto da potersi forse parlare, in questi casi, del riconoscimento di veri e propri “diritti linguistici”). Si pensi alla giurisprudenza in materia di contratti di lavoro a carattere transfrontaliero, e particolarmente alle censure di Lussemburgo alle imposizioni della stesura di contratti di lavoro in determinate lingue ufficiali, in quei casi in cui da ciò derivi una situazione di (ulteriore) inferiorità (pure sul piano linguistico) dei lavoratori e, più in generale, la presa di forma di un ostacolo alla libertà di circolazione dei lavoratori stessi nell’area europea.11 Così come alle pronunce in materia di etichettatura dei prodotti, in cui (pur nella consapevolezza del rischio di aumenti dei costi di produzione), la stessa Corte ha fatto valere l'obbligo «di esprimere tali informazioni in una determinata lingua» (non avendo, del resto, queste ultime, «pratica utilità se non vengono espresse in una lingua […] comprensibile»).12 Ma anche, fatte le dovute differenze del caso, alle decisioni rese ancora di recente dalla Corte, in cui centrale è «l’interesse» a che, a fini identificativi, «il passaporto possa essere compreso ovunque nel mondo» ed alla correlativa esigenza che «qualsiasi iscrizione del cognome alla nascita nella casella» rispetti «i requisiti formali relativi alla designazione e al multilinguismo».13

Per concludere, a conferma della stretta inerenza tra principio multilinguista ed efficacia generale dell’atto va menzionata la giurisprudenza sui marchi ed i brevetti unitari, nell’ambito della quale nulla è stato opposto alla previsione dell’uso di solo (tre) lingue ufficiali (all’atto di sottoporre i progetti, rispettivamente, all’ufficio marchi e all’ufficio brevetti), rilevandosi, per l’appunto, come «pur se l’Unione attribuisce grande rilievo alla preservazione del multilinguismo», nondimeno si abbia in questi casi a che fare con situazioni “create” «a beneficio di operatori economici, e non dell’insieme dei cittadini», con riguardo alle quali la scelta della valorizzazione delle «lingue la cui conoscenza è più diffusa nella Comunità europea» può quindi giustificarsi in quanto «risultato di una difficile ricerca dell’equilibrio necessario tra gli interessi degli operatori economici e quelli della collettività per quanto riguarda i costi dei procedimenti», così come tra gli interessi degli stessi «operatori economici».14

3. La (proposta di una) “lingua franca” inter ed intra istituzionale

Al momento, pertanto, se si guarda al versante dei rapporti “esterni”, il multilinguismo continua ad essere una condizione essenziale per il libero esplicarsi dell’autonomia individuale in termini di certezza del diritto e di conoscibilità delle norme giuridiche, di tutela dell’eguaglianza con riguardo alla “non discriminazione” linguistica ed, in ultima analisi, di salvaguardia delle identità etniche. Una situazione diversa pare invece caratterizzare il versante “interno” alle Istituzioni, nel quale, per ragioni di funzionalità, si è avuto un trend decisamente favorevole alla semplificazione, nel senso dell’uniformizzazione linguistica. È stato infatti lo stesso regolamento n. 1 del 1958 a disporre da subito la “possibilità per le Istituzioni” di discostarsi, in certa misura, dal regime linguistico comune, determinando “le modalità di applicazione del regime linguistico nei propri regolamenti interni” (art. 6)… margine di autonomia linguistica inter e soprattutto intra istituzionale che è stato solo sfiorato15 dall’“accentramento” della materia avutosi, nel tempo, in capo al Consiglio, al quale infatti compete di fissare “il regime linguistico delle istituzioni”, deliberando “all’unanimità mediante regolamenti” (ai sensi dell’art. 342, ex art. 290 del TCE e dell’art. 190 del Trattato Euratom). Più in generale, anche con riguardo alle singole Istituzioni è registrabile quella tendenza “bifronte” di cui si diceva, dovendosi distinguere il regime linguistico caratterizzante il rapporto “esterno verticale” tra Istituzione e cittadini e quello “interno orizzontale” di chi lavora nelle Istituzioni eurounitarie.

È, per vero, con un certo paradosso che sia stata proprio l’Istituzione a cui, come si diceva, spetta il “governo” della materia - il Consiglio per l'appunto - ad avere palesato le maggiori ritrosie al riguardo16… finendo così per lasciare ampio spazio alla prassi ed alle circolari interne.17 Su questa base, può dunque osservarsi come il regime di interpretazione e di traduzione integrale (cd. “copertura linguistica completa”) sia riservato solo agli “appuntamenti” che hanno una maggiore rilevanza esterna ed un certo impatto mediatico (sessioni del Consiglio europeo, vertici dei capi di Stato e di Governo e relative riunioni preparatorie); mentre nell’ambito dei vari comitati e gruppi di lavoro che svolgono l’attività preparatoria ed istruttoria la situazione risulta diversificata (in dipendenza, tra l’altro, delle varie presidenze di turno e delle specifiche istanze di attivazione del servizio di interpretazione e traduzione da parte degli Stati…).18 In ogni caso, anche qui si evidenzia un trend favorevole alla semplificazione del regime linguistico, dato che «En l’absence d’interprétation, les délégués peuvent s’exprimer en principe dans la langue de leur choix, mais ils le font en pratique en anglais ou en français, le recours à l’anglais, étant largement majoritaire».19

Più precise sono invece le norme del Regolamento interno della Commissione europea, che vedono proprio nella distinzione del regime linguistico a seconda dei destinatari dell’atto un perno della propria impostazione, col prevedere, in particolare, che “le lingue facenti fede sono tutte le lingue ufficiali delle Comunità, quando si tratta di atti aventi efficacia generale, e quelle dei destinatari negli altri casi” (art. 18, u.c.). I servizi linguistici della Commissione svolgono un’attività di traduzione imponente,20 controbilanciata, almeno in parte, dal limitato numero di lingue di lavoro ad uso “interno” (e, cioè, il francese, il tedesco e, soprattutto, l’inglese).

Dal canto suo, il Parlamento europeo rappresenta (insieme, come si vedrà, alla Corte di Giustizia), l’istituzione che, per le sue caratteristiche ed a ben vedere per la sua stessa ragion d’essere, meglio valorizza il principio del multilinguismo integrale, tanto da essere considerato un “champion du multilinguisme”.21 Ed infatti, l’art. 158 del regolamento interno (a cui si accompagna, si noti, un Codice di condotta sul multilinguismo)22 conferisce a tutte le lingue ufficiali analoga rilevanza con riguardo non solo agli atti di rilievo sul piano esterno ma anche all’attività interna all’Istituzione (partic., nelle riunioni delle commissioni e delle delegazioni e del relativo apparato “di supporto”).23

Le diverse e talora divergenti dinamiche in atto di cui si è riferito e con esse l’esigenza, da un lato, che il personale interno disponga delle necessarie competenze linguistiche, e quella, dall’altro, di trasparenza e conoscibilità di quanto avviene in seno alle Istituzioni dell’Unione, sono deflagrate nel contenzioso concernente il regime linguistico dei bandi di concorso per l’assunzione dei funzionari, con riguardo ad una serie di casi che ne avevano visto la pubblicazione solo nelle lingue di cui si richiedeva la conoscenza.24 Al proposito, la Corte (si noti, in Grande Sezione) ha chiarito che, al fine di scongiurare l’inammissibile “totale esclusione” «dalla sfera di applicazione del regolamento n. 1» (del 1958) dei rapporti tra istituzioni ed i loro funzionari ed agenti, nonché di possibili candidati esterni, i concorsi generali devono essere «pubblicati integralmente in tutte le lingue ufficiali».25 Nella medesima occasione, poi, è stata chiarita l’ammissibilità della previsione, sempre da parte di bandi di concorso, del requisito di conoscenza di determinati idiomi, a condizione, però, che «tale interesse del servizio sia oggettivamente giustificato» ed il livello di conoscenze linguistiche richiesto risulti «proporzionato alle effettive esigenze del servizio» stesso.26

Quanto alle modalità organizzative27 ed alle tecniche operative28 messe in campo dalle Istituzioni eurounitarie per dare concretezza ed effettività al principio multilinguista29 ci si limita ad osservare come vi abbia giovato l’uso delle nuove tecnologie.30 Peraltro, ciò che sulla semplificazione linguistica non hanno potuto altri fattori, sta invece potendo la congiuntura economica negativa dell’ultimo decennio, la quale si è presentata proprio all’indomani dell’allargamento dei confini ai dieci nuovi Paesi dell’est, col relativo ampliamento degli idiomi dell’Unione,31 determinando un consistente aumento del carico di lavoro di traduzione.32

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In un tale rinnovato contesto, il dibattito sui “costi” del multilinguismo ha finito per occupare la scena, dando nuovo smalto all’interrogativo relativo alla necessità di introdurre una “lingua franca” eurounitaria (individuata, dai più, specie proprio a seguito dell’allargamento e dunque nella ricerca di un denominatore minimo comune, nell’inglese)34 da estendere, secondo i migliori auspici, anche al di là della sfera intraistituzionale e, in prospettiva, anche nei “rapporti esterni”. Tutto ciò ha reso di stringente attualità il tema relativo “ai costi del multilinguismo”, mentre il relativo confronto si è polarizzato intorno alle posizioni di chi lo ritiene “un lusso” fine a se stesso e chi, invece, lo reputa un costo «necessario per la democrazia».35

In sintesi estrema, ciò che ne è emerso (e che si ripropone, in forma schematica, nelle tabella che segue) è stato ed è la debolezza delle argomentazioni volte ad affermare l’accantonamento del regime multilingue in ragione del risparmio che deriverebbe, non solo e non tanto perché l’indotto resta comunque in ampia parte nell’ambito dell’Unione, quanto, soprattutto, perché si tratta di cifre sostenibili da parte dell’Unione, in rapporto al PIL eurounitario ed a quelli nazionali (se è vero che il costo della traduzione e dell’interpretazione riferito a tutte le istituzioni dell’Unione è poco più di 2 euro all’anno per ogni cittadino UE e che in questo quadro il costo del multilinguismo rappresenta meno dell’1% del bilancio annuale dell’UE).36

Di maggior momento, invece risultano le questioni di tipo funzionale a cui si è già in parte accennato. Al proposito, è interessante notare come persino il giudice di Lussemburgo sia stato toccato da una tale dinamica, che l’ha portato a far propria una cd. “politique de gestion raisonnée du multilinguisme”, con l’invito a limitare al massimo la lunghezza dei testi ma anche prendendo a selezionare in maniera vieppiù oculata quanto da tradurre…per cui ad oggi può dirsi che la Corte garantisce la pubblicazione (oltre che della “langue du délibéré” francese) in tutte le lingue ufficiali dell’Unione solo delle decisioni che presentano un particolare rilievo in ragione dell’importanza delle novità del caso. Una simile politica linguistica ha prodotto un allentamento del carico di lavoro di traduzione,37 laddove alla maggiore opacità dei lavori che ne è scaturita (in ragione vuoi del certo margine di discrezionalità all’atto della selezione dei prodotti, vuoi della inferiore disponibilità dei testi da tradurre) si è cercato e si sta cercando di rimediare attraverso il mantenimento, in ogni caso, della possibilità di ottenere traduzioni “a sportello”.

4. La Corte di Giustizia: Istituzione e Giudice della “traduzione”

L’esame del regime linguistico della Corte di giustizia conferma, arricchendolo di ulteriori dettagli, il quadro tracciato. Ed infatti, le lingue utilizzate “nella Corte” sono l’inglese ed il francese, col riconoscimento di una posizione peculiare a quest’ultimo idioma, trattandosi, come si è già accennato, della cd. “langue du délibéré”. Il regolamento del 1958 prima (v. l’art. 7) ed i Trattati poi (v. l’art. 290 del Trattato di Roma) hanno fatto attenzione a salvaguardarne il principio di autonomia linguistica, prevedendo la possibilità che, nell’esercizio di una tale autonomia, la stessa si dotasse di proprie regole linguistiche: in questo quadro, si deve alla stessa Corte la scelta di lasciare al Consiglio il delicato compito di stabilire (all’unanimità) le norme generali “relative al regime linguistico applicabile”.38

Cambiando prospettiva, “dalla Corte” come giudice (segnatamente, in quanto “voce di sintesi” delle tre giurisdizioni che la compongono) al di là di quanto si è detto nel precedente paragrafo, viene svolta un’importante attività di traduzione.39 Nel quadro delle sue attività giurisdizionali, infatti, la Corte di giustizia è soggetta ai principi linguistici comuni che si sono esaminati, per cui, essendo le sue decisioni atti di portata generale, esse devono essere pubblicate in tutte le lingue ufficiali (potendo dunque pure a questo riguardo enuclearsi un vero e proprio “diritto alla traduzione”). A ciò deve aggiungersi che il principio del multilinguismo è qui declinato ed adattato al contesto giudiziario in cui i singoli cittadini divengono parti del processo, venendo conseguentemente a disporre, a questo titolo, di specifiche facoltà (connesse, in primis, al diritto di difesa).40 Peraltro, anche ragioni di opportunità militano a favore di una tale situazione, per chi condivide l’idea che la «diffusion multilingue de la jurisprudence participe en outre de la coopération judiciaire entre juges de l’Union et juges nationaux, dans le dialogue qu’ils entretiennent sur l’application du droit de l’Union» e che «elle contribue à l’application uniforme et cohérente du droit de l’Union, dont les conséquences […] ne sont pas neutres, puisque ce sont autant de litiges ultérieurs qui sont évités».41

Specie, poi, per chi ritenga che chi traduce non è una mera «bouche de la loi», dato che «traduire, c’est choisir, et on ne saurait choisir sans y mettre du sien»,42 quanto da ultimo osservato dimostra l’inerenza della questione relativa alle tecniche di (interpretazione in vista della) traduzione dei testi normativi al carattere multilivello dell’ordinamento eurounitario, ed in questa luce la necessità di tenere nel debito conto le specificità delle questioni ermeneutiche che ne derivano (finora studiate, per lo più, in una prospettiva statale),43 come sembrerebbero fare quelle discipline che stanno prendendo forma propria intorno ai temi della traduzione giuridica multilivello (come ad es., la “juritraductologie”).44 Del resto, è innegabile che ovunque esiste, il multilinguismo pone questioni di ordine metodologico e pratico più complesse che negli ordinamenti in cui vige un solo idioma… le quali in ambito eurounitario sono state acuite dal progressivo allargamento dei confini e degli idiomi dell’Unione e, con esso, dall’aumento delle diverse combinazioni (tradurre nelle 24 lingue ufficiali produce infatti 552 combinazioni linguistiche diverse, dato che ogni lingua può essere tradotta nelle altre 23 (!)) e dalla conseguente moltiplicazione delle possibili distorsioni in sede di traduzione.

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Si accenna soltanto a come pure la tecnica redazionale delle leggi sia stata chiamata talvolta in campo a conferma dell’idea dell’opportunità di perseguire una politica di semplificazione linguistica a livello eurounitario, col considerare il multilinguismo, per l’appunto, un fattore ostativo alla buona fattura dei testi normativi, in ragione degli esiti discrepanti ed approssimativi delle diverse versioni linguistiche che verrebbero inevitabilmente a prodursi.46 Laddove, in una diversa prospettiva, si tende invece ad evidenziare come «le manque de clarté du Droit de l’Union ne résult[erait] pas du multilinguisme, mais des compromis auxquels les partecipants aboutissent au terme des négociacion».47 A ciò può poi aggiungersi come, talora, sia, invece, proprio la necessità di produrre varie versioni linguistiche dei testi a portare a ridurne la quantità (con l’abbattimento della cd. “inflazione normativa”), nonché (proprio al fine di renderne praticabile la traduzione) a migliorarne la qualità48 (com’è esemplarmente avvenuto, in aggiunta ad altre motivazioni, per la stesura della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).49

Il vero problema, semmai, è dato dalle difficoltà di traduzione di termini, espressioni, nozioni ed istituti giuridici costituenti prodotti culturali ed in fondo di un modo stesso di pensare difficilmente riproducibile e traducibile correttamente. Ciò che può avvenire con riguardo a normative tecniche dettagliate e complesse, epperò può presentarsi anche rispetto a norme di principio (apparentemente) semplici e di ampia portata e dunque apparentemente semplici.50

Una situazione tanto complessa ha reso necessaria l’individuazione e l’applicazione, da parte della stessa Corte di giustizia, di criteri di risoluzione delle antinomie tra le diverse versioni linguistiche dei testi normativi comunitari, al possibile adeguati, passandosi, nel tempo, da cd. “metodi di riconciliazione” basati sul criterio letterale – particolarmente, sul confronto tra i vari testi, a beneficio della traduzione fatta propria della «majorité des versions linguistiques»51 – ad altri, incentrati sul criterio teleologico, o su “criteri misti” (cd. “melangée”), specie quando il ricorso ai primi non è stato più praticabile data la grande quantità dei testi da comparare.52

Il momento cruciale di una tale giurisprudenza può essere individuato all’inizio degli anni Ottanta, allorquando, nel confermare il proprio ruolo di custode della «corretta applicazione» e dell’«interpretazione uniforme del diritto comunitario, nell’insieme degli stati membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione delle norme comunitarie», al fine, tra l’altro, di «evitare che si producessero divergenze giurisprudenziali all’interno della comunità su questioni di diritto comunitario», il Giudice di Lussemburgo affermò il principio di autonomia del diritto e dell’interpretazione del diritto comunitario,53 rispetto agli ordinamenti statali ed al diritto internazionale, consideratene le «caratteristiche» e le «particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta».54 Affermazione di principio, questa, che non sarebbe più stata rimessa in discussione, ed anzi è stata a Lisbona consolidata col mantenimento in capo al medesimo giudice di Lussemburgo del compito di “assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati” (ex art. 19 TUE).

Più in generale, quanto si è qui considerato dimostra come la Corte di Giustizia rappresenti il motore della lingua europea. In questo senso, sarà interessante vedere come, il cd. “dialogo tra Corti” ed, in prospettiva, la (possibile) adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo inciderà sul regime linguistico europeo (le cui lingue ufficiali, com’è noto, sono solo il francese e l’inglese). Si osserva al proposito che nel noto parere sull’adesione, sebbene il tema del regime linguistico europeo non abbia costituito oggetto di specifica trattazione, tuttavia la Corte di giustizia ne ha toccato un punto essenziale, rilevando in chiave multilinguista come, nel quadro delle norme sull’equo processo, la stessa Convenzione riconosca il diritto di “ogni accusato” di “essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico” e di “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza” (art. 6).55

5. Il “plurilinguismo” e l’“unione nella diversità”

Da quanto rilevato emerge un quadro linguistico europeo variegato e fluido, nell’ambito del quale le “nicchie” istituzionali e sociali in cui risulta ormai piuttosto consolidato l’impiego di specifiche lingue di lavoro si innestano su di una base politico-culturale che, dove più, dove meno, si dimostra custode sensibile e attenta alla salvaguardia del proprio patrimonio linguistico nazionale.

Un tale stato di cose sembra offrire argomenti sia a chi ritiene che la lingua d’Europa sia il multilinguismo,56 sia a chi la individua nella traduzione,57 ma anche a chi la scorge nella lingua franca58… ciò, nell’ambito di una gamma di situazioni alle cui estremità si trovano rispettivamente il rischio della mancanza di una condizione importante (quale la sussistenza di una “lingua comune”) per il forgiarsi di un autentico demos europeo, e quello dell’isolamento dovuto all’esclusione (linguistica) di porzioni di società.

Al riguardo, le più recenti statistiche sono interessanti in quanto bene evidenziano, ci pare, nella loro solo apparente contraddittorietà, le dinamiche in atto (v. anche la tabella più sotto riportata).59 Così la maggioranza dei cittadini europei si dice favorevole nel contempo alla semplificazione linguistica (anche nei rapporti tra istituzioni e cittadini) ed al multilinguismo(!);60 inoltre, nove cittadini su dieci si dicono consapevoli dell’importanza della conoscenza delle lingue straniere anche se poi (si noti, tra i più giovani) meno della metà risulta avere una certa padronanza di una prima lingua straniera e solo un quarto del totale di una seconda, mentre, un altro quarto non raggiunge nemmeno un livello di base in rapporto alla prima lingua.61

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Un tale quadro conferma, ci sembra, l’opportunità di evitare imposizioni, per così dire, dall’“alto” di determinati idiomi (a scapito di altri)62 dato il rischio, così facendo, di ulteriormente acuire il senso di lontananza tra i cittadini e le istituzioni (ed in ultima analisi il cd. “deficit democratico” nell’Unione). Per contro, si guarda favorevolmente al promovimento, anche sul piano istituzionale63 della conoscenza di lingue ulteriori rispetto alla propria lingua “madre”, nella prospettiva dell’emersione “dal basso” di uno spazio “plurilingue”64 (distinto dunque concettualmente dal quello “multilingue”)65 di reciproco arricchimento (invece che di “aggressione”)66, dei diversi idiomi… nell’ambito di un crogiuolo culturale in cui a ben vedere si sta già spontaneamente forgiando un linguaggio popolare comune. Del resto, si tratta di un modulo non nuovo (se solo si pensa a quello sperimentato per la cittadinanza europea…) e che riprende, consolidandolo, il sentiero dell’“Unione nella diversità” che caratterizza l’esperienza eurounitaria, differenziandola, come si diceva in apertura, rispetto a tutte le altre67.


Note

↑ 1 Per la ricostruzione delle tappe dell’edificazione eurounitaria si rinvia per tutti a P. Costanzo, L. Mezzetti, A. Ruggeri (curr.), Lineamenti di Diritto costituzionale dell’Unione europea, Torino, 2014, 23 e ss.

↑ 2 Trattasi, per la precisione, del Reg. n. 1 del 15 aprile 1958 “che stabilisce il regime linguistico della Comunità Economica Europea”.

↑ 3 Per cui ad oggi, ai sensi del Reg. n. del 1958, le “lingue ufficiali e le lingue di lavoro delle istituzioni dell’Unione sono la lingua bulgara, la lingua ceca, la lingua croata, la lingua danese, la lingua estone, la lingua finlandese, la lingua francese, la lingua greca, la lingua inglese, la lingua irlandese, la lingua italiana, la lingua lettone, la lingua lituana, la lingua maltese, la lingua neerlandese, la lingua polacca, la lingua portoghese, la lingua rumena, la lingua slovacca, la lingua slovena, la lingua spagnola, la lingua svedese, la lingua tedesca e la lingua ungherese” (art. 1).

↑ 4 Motto visibile in tutte le lingue sullo stesso sito dell’UE, alla pagina http://europa.eu/about-eu/basic-information/symbols/motto/index_it.htm.

↑ 5 Là dove, ai sensi del Reg. n. 1 del 1958, negli Stati membri in cui esistono più lingue ufficiali, l’uso della lingua viene determinato, a richiesta dello Stato interessato, “secondo le regole generali risultanti dalla legislazione di tale Stato” (art. 8).

↑ 6 Così S.M. Decaudin, Multilinguisme et traduction du droit, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, I. Pingel (cur.), Paris, 2015, 92.

↑ 7 Così A. Viala, Le droit à la traduction, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 21 e ss. (il quale, nel ragionare del «mythe de la traduction transparente» considera, più in generale, come «Entre la figure du traducteur servile et celle du traducteur émancipé, l’alternative dans laquelle nous enferme le formalisme juridique rappelle étrangement le bipolarité classique avec laquelle la modernité juridique met stérilment dos à dos légalisme et décisionnisme judiciaire»).

↑ 8 V.le, supra, alla nota 3.

↑ 9 Si tratta del basco, catalano, galiziano, gaelico scozzese e gallese. Va precisato che alcune “lingue regionali”, come il catalano e il gallese, hanno acquisito lo status di lingue co-ufficiali dell’Unione europea. L’uso ufficiale di queste lingue può essere autorizzato sulla base di un accordo concluso tra il Consiglio dell’UE e lo Stato membro richiedente. Tra le lingue “statali” l’irlandese ha un regime particolare: dal 1º gennaio 2007, infatti, è una lingua ufficiale dell’UE, con una deroga transitoria, però, per un periodo rinnovabile di cinque anni in base alla quale “le istituzioni dell’Unione europea non sono vincolate dall’obbligo di redigere tutti gli atti in irlandese e di pubblicarli in detta lingua nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea”, eccettuati i regolamenti adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio (v. il Reg. n. 920 del 13 giugno 2005 ed il Reg. n. 1257 del 20 dicembre 2010).

↑ 10 Basti considerare che il Consiglio d’Europa di cui fanno parte 47 Stati membri ha solo due lingue ufficiali (francese ed inglese) e che l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che conta 193 Stati membri, vede l’impiego di sei lingue ufficiali (arabo, cinese, francese, inglese, russo e spagnolo), mentre a raggiungere i suddetti otto idiomi ufficiali è l’Unione europea occidentale (UEO). Inoltre, nell’Organizzazione Mondiale del Commercio vige il trilinguismo (inglese, francese e spagnolo), il bilinguismo (francese e inglese) in seno all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ed il monolinguismo (inglese) nell’Organizzazione del trattato Atlantico e nel Fondo monetario internazionale. Per un quadro approfondito del regime linguistico in varie organizzazioni internazionali si veda Assemblée nationale (francese), “Rapport d’information déposé par la délégation de l’assemblée nationale pour l’union européenne, sur la diversité linguistique dans l’Union européenne¸ dell’11 giugno 2003, in http://www.assemblee-nationale.fr/12/europe/rap-info/i0902.asp.

↑ 11 V. Corte di Giustizia, Gr. Sez., sent. 16 aprile 2013, in C‑202/11, Anton Las.

↑ 12 V. Corte di Giustizia (sez. V) sent. 3 giugno 1999, in C-33/97, Colim NV.

↑ 13 V. Conclusioni del 30 aprile 2014, in C‑101/13, U c. Stadt Karlsruhe, confermate da Corte di Giustizia (IV sez.), sent. 2 ottobre 2014.

↑ 14 Secondo la Corte, infatti, sebbene il Trattato contenga «diversi riferimenti all’uso delle lingue nell’Unione europea», nondimeno, questi riferimenti non possano essere considerati «come la manifestazione di un principio generale di diritto comunitario che garantisce a ogni cittadino il diritto a che tutto quello che potrebbe incidere sui suoi interessi sia redatto nella sua lingua in ogni caso» (v. Corte di giustizia, sent. 9 settembre 2003, in C-361/01 P, Christina Kik, §82 e e Id. (Gr. Sez.), sent. 5 maggio 2015, in C-147/13, Regno di Spagna).

↑ 15 Cfr., inoltre, infra, il §4, per quanto riguarda il regime linguistico della Corte di giustizia.

↑ 16 V. la Decisione del Consiglio europeo del 1° dicembre 2009 “relativa all’adozione del suo regolamento interno” (2009/937/UE) ed il Regolamento del Consiglio, con riferimento alle “Deliberazioni e decisioni in base a documenti e progetti redatti nelle lingue previste dal regime linguistico in vigore”, i quali (rispettivamente agli artt. 9 e 14) stabiliscono che “Salvo decisione contraria presa dal Consiglio europeo all’unanimità e motivata dall’urgenza, il Consiglio europeo delibera e decide soltanto in base a documenti e progetti redatti nelle lingue previste dal regime linguistico in vigore. Ciascun membro del Consiglio europeo può opporsi alla delibera qualora il testo delle eventuali modifiche non sia redatto nelle lingue fra quelle di cui al paragrafo 1 che egli designa”.

↑ 17 Cfr., sul punto, H. Legal, Le régime linguistique des institutions de l’Union. Rôle et pratique du Conseil, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 47 e ss.

↑ 18 Così, ad es., il Comitato agricoltura ed il Comitato militare beneficiano di un regime di interpretazione integrale, mentre le riunioni del Comitato dei rappresentanti permanenti si svolgono di regola in tedesco, inglese e francese, quelle della PESC in inglese e francese, e quelle del Comitato Politico e di sicurezza esclusivamente in inglese.

↑ 19 Così Legal, il quale ritiene che «Ce largo recours à l’anglais dans les interventions est favorisé par le fait que les propositions d’actes, si elles le doivent être soumises par la Commission dans toutes les langues avant de pouvoir être délibérées, sont en réalité négociées au niveau technique dans une version linguistique unique qui est toujours la version anglaise» (H. Legal, Le régime linguistique des institutions de l’Union, cit., 51).

↑ 20 Secondo i dati ufficiali della Direzione generale del Servizio Traduzione della Commissione europea (v. http://one-europe.info/translation-in-the-european-union-facts-and-figures), nel 2012 è tradotto un totale di 1.760.615 pagine. La maggiore percentuale di pagine tradotte è stata in inglese (14,92%), seguito dal francese (8,25%) e dal tedesco (6,45%). Solo lo 0,38% (6.680 pagine) sono state tradotte in altre lingue. Gli idiomi meno tradotti sono il lettone e l’estone (3,41% ciascuno), il maltese (3,37%), e l’irlandese (solo lo 0,41%).

↑ 21 V. http://www.europarl.europa.eu/news/fr/news-room/20071017FCS11816/3/Le-Parlement-europ%C3%A9en-champion-du-multilinguisme.

↑ 22 Trattasi, per la precisione, della decisione dell’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo del 16 giugno 2014, recante, per l’appunto, il “codice di condotta sul multilinguismo”.

↑ 23 La Direzione generale dell’interpretazione e delle conferenze del Parlamento europeo ha un organico di circa 330 interpreti permanenti e può contare su una riserva costituita da circa 1800 interpreti esterni accreditati ai quali ricorre con grande regolarità in base alle proprie esigenze. In particolare, un centinaio di giuristi linguisti forniscono ai deputati ed alle segreterie di commissione consulenze redazionali e procedurali dalla stesura iniziale dei testi legislativi sino all’approvazione definitiva in Aula; preparano e pubblicano i testi legislativi da sottoporre all’approvazione del Parlamento in commissione e in Aula; predispongono gli emendamenti da sottoporre all’esame dell’Aula e la pubblicazione di tutti i testi approvati nel giorno della votazione in Aula; e provvedono a ultimare gli atti legislativi insieme ai giuristi linguisti del Consiglio.

↑ 24 Si vedano, tra le altre, Tribunale, VI sez., sent. 13 settembre 2010, in T166/07 e T285/07, Repubblica italiana; Id., sent. 3 febbraio 2011, in T205/07, Repubblica italiana; Id., sent. 31 marzo 2011, in T117/08, Repubblica italiana, Tribunale V sez., sent. 12 settembre 2013, in T218/09, Repubblica italiana; nonché Tribunale della funzione pubblica, sent. 29 giugno 2011, in F7/07, Marie-Thérèse Angioi.

↑ 25 V. Corte di giustizia (Grande Sezione), sent. 27 novembre 2012, in C‑566/10 P, Repubblica italiana c. Commissione europea.

↑ 26 V. Corte di giustizia, sent. 27 novembre 2012, in C‑566/10 P, cit.

↑ 27 Il regime “multilinguistico” dell’Unione è attuato, in primis, grazie ai servizi interni di interpretazione e traduzione giuridica specializzati. I “servizi” per l’interpretazione sono tre: il primo è interno al Parlamento europeo (ma serve anche la Corte dei Conti e la sede lussemburghese della Commissione); il secondo è interno alla Corte di Giustizia; ed il terzo è un servizio comune agli altri organi e istituzioni (il Servizio Comune “Interpretazione - Conferenze”, cd. SCIC). Per quanto riguarda invece la traduzione, sono attivi nove distinti servizi: precisamente, si ha un servizio di traduzione per ognuna delle cinque istituzioni comunitarie (il più importante dei cinque servizi è il “Servizio di Traduzione della Commissione europea” (o SdT)); uno di traduzione congiunto per il Comitato economico sociale e il Comitato delle regioni; un servizio di traduzione per la Banca centrale europea; uno di traduzione per la Banca europea per gli investimenti ed infine un servizio di traduzione unico per gli organi decentrati, come le Agenzie o le scuole europee (il “Centro di traduzione degli organismi dell’Unione europea” (o CdT)).

↑ 28 Una tale situazione ha finito infatti per rendere materialmente impossibile interpretare e tradurre nelle varie versioni direttamente ed istantaneamente (cd. “coredazione”). Per garantire la necessaria copertura di tutte le lingue sono stati elaborati vari sistemi, molto spesso combinandoli insieme: all’indomani dell’allargamento a venticinque membri del 2004, il sistema maggiormente adottato parrebbe essere quello cd. delle “lingue pivot”, in base al quale “la traduzione” avviene in due diverse fasi: una prima in cui la lingua X viene tradotta nella lingua Z, detta lingua “ponte” - o lingua pivot appunto - (nel Parlamento europeo ed alla Corte di Giustizia francese, inglese, italiano, polacco, spagnolo e tedesco), ed una seconda, in cui la traduzione viene fatta dalla lingua Z verso la lingua Y (cd. target languages). Si rammenta che alla Corte di giustizia il francese costituisce la cd. “langue du délibéré” (pertanto, qui i giuristi linguisti continuano a tradurre direttamente dalla lingua sorgente, se diversa dal francese, al francese e quindi negli altri idiomi attraverso, come si diceva, le lingue pivot).

↑ 29 Ad un tale riguardo, il Tribunale della funzione pubblica ha chiarito che le «istituzioni hanno l’obbligo di fornire la traduzione di ogni atto processuale di cui sono autrici. Tale obbligo imposto dal regolamento di procedura alle istituzioni dell’Unione trova origine nel fatto che dette istituzioni operano in un contesto di multilinguismo e dispongono di tutte le risorse umane necessarie a produrre le traduzioni degli atti processuali in tutte le lingue di cui all’articolo 1 del regolamento n. 1, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea. Tali spese non possono essere poste a carico del funzionario che ha il diritto di scegliere la lingua processuale e che subirebbe pertanto una discriminazione se dovesse sopportarne le spese» (v. Trib. funz. pubbl., I sez., ord. 20 marzo 2014, in F84/10 DEP, Efstratios Chatzidoukakis e in F-83/10 DEP, Konstantinos Giannakouris).

↑ 30 Su come le tecnologie – particolarmente le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – hanno modificato il modo di lavorare dei traduttori, rendendo possibili forme di traduzione assistita e financo (là dove possibile) automatica dei testi e sui relativi limiti, si rinvia, ad es., a N. Froeliger, Point et mise en garde sur les technologies dans les metiers de la traduction, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 117 e ss. V., inoltre, sul piano operativo, http://ec.europa.eu/dgs/translation/translationresources/index_en.htm; e e http://ec.europa.eu/dgs/translation/publications/index_en.htm.

↑ 31 Cfr., ex multis, sul punto e, più ampiamente, sulle implicazioni di un tale storico evento, S.M. Decaudin, Multilinguisme et traduction du droit, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 95 e ss.

↑ 32 Più in generale, nel corso del tempo il progressivo ampliamento dei confini dell’Unione ha portato ad un aumento del carico di lavoro di interpretazione e traduzione (si calcola che dal 1992 al 2003 la mole di pagine da tradurre sia aumentata di quasi un milione e mezzo!); il che avrebbe di fatto reso necessario ricorrere all’assunzione di collaboratori esterni “a contratto”: i cd. free lance. V. inoltre, supra, anche la nota 29.

↑ 33 Si ripropone qui il grafico presentato da D. Bruni, L’italiano, lingua dell’Unione europea, 2014, in www.politicheeuropee.it/file_download/2475, 10.

↑ 34 Le due lingue che si contendono il primato sono l’inglese ed il francese, a scapito, si noti, del tedesco, che pure è l’idioma più parlato, come prima lingua, nell’area eurounitaria. Ed infatti, al di là di altre possibili considerazioni (derivanti dal rilievo della facilità di apprendimento), inglese e francese sono i due idiomi maggiormente usati all’interno delle istituzioni, così come nell’ambito delle organizzazioni internazionali. Inoltre, tra gli argomenti che militano a favore dell’inglese vi è il rilievo per cui è «the most widely used second language in the EU», trattandosi, per l’appunto, dell’idioma più parlato e conosciuto come seconda lingua (v. ad es., in tal senso, e con l’aggiunta di altre motivazioni, T. Schilling, English versus multilinguism, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 105). Da parte degli oppositori all’adozione di un simile idioma si è giunti invece addirittura a richiamare alla memoria il fatto che lo stesso Trattato di Parigi fosse stato redatto in un solo esemplare di lingua francese, e che solo a seguito della pressione del cancelliere Adenauer si era proceduto alla traduzione in quattro lingue compreso l'inglese (v. C. Pennera, Le multilinguisme, comme ideal?, ivi, 141-2)

↑ 35 Cfr., sui diversi punti di vista e sulle «possibili alternative» N. Froeliger, Point et mise en garde sur les technologies dans les metiers de la traduction, cit. 117 e ss. Cfr., inoltre, in argomento, V. Ginsburgh, La langue agressée, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 77 e ss.; E. Pusillo, Il multilinguismo nell’unione europea, Genova, 2013, 1 e ss.; e A. Ortolani, Lingua e politica linguistica nell’Unione europea, in http://www.jus.unitn.it/cardozo/review/2002/ortolani.htm.

↑ 36 V., per questi dati, D. Bruni, L’italiano, lingua dell’Unione europea, 2014, cit., 45; cfr., inoltre, al riguardo M. Gazzola, Multilingualism In The European Union And Its Costs, in http://archive.is/iVVHX#selection-581.1-591.0.

↑ 37 Una tale politica, infatti, avrebbe consentito, nel 2014, di evitare di tradurre più di 410 mila pagine, e cioè a dire, circa il 40% del numero di pagine tradotte quell’anno.

↑ 38 Più precisamente, la Corte ha previsto, nel proprio Statuto, che le “norme relative al regime linguistico applicabile”, vengano adottate – a seguito della propria richiesta e previa consultazione della Commissione e del Parlamento europeo o su proposta della Commissione previa consultazione della Corte di giustizia e del Parlamento europeo – da parte di “un regolamento del Consiglio che delibera all’unanimità” (v. l’art. 64 del Prot. n. 3, “sullo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea”). Dal canto loro, il Tribunale ed il Tribunale della funzione pubblica sono chiamati ad uniformarsi al regime linguistico della Corte (ex art. 7, 2° comma, dell’allegato 1 allo Statuto della Corte di giustizia); su questa base, il Regolamento di procedura del Tribunale riserva alla materia il capo V, rubricato “Del regime linguistico” (artt. 35-37).

↑ 39 Cfr., al proposito, A.C. Escobar, Le multilinguisme à la Cour de justice de l’Union européenne: d’une exigence légale à une valeur commune, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 55 e ss.

↑ 40 In particolare, si prevede che il ricorso al giudice si debba poter fare in tutte le lingue ufficiali, che nel caso di rinvio pregiudiziale il giudice nazionale debba utilizzare la (o una) propria lingua ufficiale “nazionale” e che la lingua in cui è redatto l’atto introduttivo diventa “la lingua procedurale” (sul «carattere plurilingue del processo» v. P. Costanzo, L’ordinamento giudiziario e la giurisdizione costituzionale, in Lineamenti di Diritto costituzionale dell’Unione europea, cit., 340).

↑ 41 Così A.C. Escobar, Le multilinguisme à la Cour de justice de l’Union européenne: d’une exigence légale à une valeur commune, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 59.

↑ 42 Si riprende qui l’espressione coniata da A. Viala, Desordre normatif et pluralité linguistique européenne, in Revue du droit publique, 2006, 139.

↑ 43 In una tale prospettiva, v, per tutti, in Italia, G. Tarello, L’ interpretazione della legge, Milano, 1980; R. Guastini, Interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004; e, da ultimo, P. Chiassoni, Tecnica dell’interpretazione giuridica, Bologna, 2007.

↑ 44 V., amplius, al proposito, Multilinguisme et traduction du droit, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, 97 e ss.

↑ 45 Si ripropone il grafico presentato da F. de Vicente, Translation Strategy and Multilingualism, 2011, in http://ec.europa.eu/dgs/translation/workwithus/candidatecountries/documents/european__union__translation_en.pdf, 8.

↑ 46 Più nello specifico, si è considerato che «le phrases, dans les textes applicables, sont plus longues et moins claires» ed inoltre «lorsque plusieurs langues sont à l’oeuvre, le droit est plus flou, entrainant une diminution de la densité normative des textes qui a pour consequénce de réduire la capacité du législateur d’orienter le comportement de destinataire» (cfr., sul punto, in senso critico, I. Pingel, Le multilinguisme dans l’Union européenne defis et defense, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, cit., 8 e ss.).

↑ 47 Così I. Pingel, Le multilinguisme dans l’Union européenne defis et defense, cit. 9; ed in senso analogo T. Gallas, EC-law between social message and record of agreement. How the theory of legislation can contribute to understanding practical problems of negotiated legislation, Ashgate, 2005, 1 e ss. Sul “drafting comunitario” e, relativamente a questo il tema del multilinguismo, sia consentito rinviare a L. Trucco, Il multilinguismo, 2007, in http://www.tecnichenormative.it/draft/trucco2.pdf.

↑ 48 V. ad es. A. Flückiger, Le multilinguisme de l’Union européenne: un défi pour la qualité de la législation, in Jurilinguistique: entre langues et droits, Bruxelles, 2005, 340 e ss.

↑ 49 Cfr., volendo, al riguardo, L. Trucco, La Carta di Nizza tra tecnica normativa e politica d’integrazione europea. Uno studio preliminare (I), in http://www.tecnichenormative.it/DottoratoTrucco.pdf, 2007, 126 e ss.; e, più in generale, Id., in Carta dei diritti fondamentali e costituzionalizzazione dell’Unione Europea, Torino, 2013, 22 e ss.

↑ 50 Come, ad es., nel caso della traduzione del termine “child” (contenuta, tra l’altro, in importanti convenzioni internazionali) in italiano (v., sul punto, ed amplius in argomento E. Pic, La traduction multilingue des droits fondamentaux, in Le multilinguisme dans l’Union européenne, 36).

↑ 51 V., ad es., nella causa C-265/03, Igor Simutenkov, rispettivamente, la sent. della Grande sezione della Corte di giustizia (§34) e le conclusioni dell’Avv. gen. Christine Stix-Hackl presentate l’11 gennaio 2005 (§§14 e ss.).

↑ 52 Per un excursus, fase per fase, dei criteri interpretativi sviluppati dalla Corte e della relativa giurisprudenza si rinvia a B. Pozzo, L’interpretazione della Corte del Lussemburgo del testo multilingue: una rassegna giurisprudenziale, in https://www.bk.admin.ch/dienstleistungen; v., inoltre, amplius, in argomento, B. Pozzo, M. Timoteo, Europa e linguaggi giuridici, Milano, 2008.

↑ 53 Così, ad es., per una definizione eurounitaria di “imposta”, v. Corte di giustizia, I sez., sent. 28 giugno 2007, in C-466/03, Albert Reiss Beteiligungsgesellschaft mbH, §39 e ss.;

↑ 54 Su questa base, la Corte considerò, dunque, innanzitutto «che le norme comunitarie sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura» e che quindi «l’interpretazione di una norma comunitaria comporta […] il raffronto di tali versioni»; inoltre che «anche nel caso di piena concordanza delle versioni linguistiche, che il diritto comunitario impiega una terminologia che gli e propria», dato «che le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel diritto comunitario e nei vari diritti nazionali»; ed, infine, che «ogni disposizione di diritto comunitario va ricollocata nel proprio contesto e interpretata alla luce dell’ insieme delle disposizioni del […] suddetto diritto, delle sue finalità, nonché del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui trattasi» (§18-20) V. Corte di giustizia, sent. 29 febbraio 1984, SRL CILFIT, nella causa 77/83 (§§16-17); e successivamente Id., 15 settembre 2005, in C‑495/03, Intermodal Transports BV §33; e, da ultimo, Id., sent. 9 settembre 2015, in C‑160/14, João Filipe Ferreira da Silva e Brito e altri, §39; e Id., 9 settembre 2015, in C‑197/14, X e T.A. van Dijk, §55.

↑ 55 V. Corte di giustizia, parere n. 2 del 2013 del 18 dicembre 2014, §12.

↑ 56 Cfr., ad es., C. Caprioli, Multilinguismo e diversità linguistica nell’unione europea, in http://www.romaniaminor.net/ianua/Torino/Torino11.pdf.

↑ 57 Cfr., ad es., U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, 2013.

↑ 58 Cfr., ad es., E. Pusillo, Il multilinguismo nell’unione europea, Genova, 2013.

↑ 59 Si ripropone nella versione italiana la tabella riportata da V. Ginsburgh, La langue agressée, cit., 86-7.

↑ 60 Per i dettagli, v. Eurobarometro, Il 98% degli intervistati afferma che l’apprendimento delle lingue è positivo per i propri figli, ma dai test emergono carenze di competenze, 2012, in http://europa.eu/rapid/press-release_IP-12-679_it.htm.

↑ 61 V. Commissione europea, First European Survey on Language Competences, in http://ec.europa.eu/languages/policy/strategic-framework/documents/language-survey-final-report_en.pdf.

↑ 62 Ad es., attraverso la messa in campo di politiche innescate motivate dai costi eccessivi del multilinguismo (v., supra, il §3).

↑ 63 In una tale prospettiva, si guarda con favore, agli atti che, tra le prime volte, si sono posti in una simile prospettiva: in particolare, la Risoluzione del Consiglio del 16 dicembre 1997 sull’”enseignement précoce des langues de l’Union européenne”; la Decisione n. 1934/2000/CE del Parlamento EU e del Consiglio, del 17 luglio 2000 établissant l’Année européenne des langues 2001; nonché le Comunicazioni della Commissione del 24 luglio 2003, “Promouvoir l’apprentissage des langues et la linguistique diversité: un plan d’azione 2004-2006” [COM (2003) 449 def] e del 1° agosto 2005, sull’”indicateur européen des compétences linguistiques” [COM (2005) 356 def]; nonché, più di recente, la Comunicazione della Commissione “Multilinguismo: una risorsa per l’Europa e un impegno comune” [COM (2008) 566 def.] del 18 settembre 2008 e la Risoluzione del Consiglio relativa a una strategia europea per il multilinguismo [2008 / C 320/01] del 21 novembre. Un tale orientamento è stato consolidato a Lisbona con la previsione, in norme originarie, di incentivi ad “un’istruzione di qualità”, con l’impegno, tra l’altro a “sostenere ed integrare” l’azione degli Stati membri “per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche” (art. 165, ex art. 149 del TCE). In questo rinnovato quadro, migliorare l’apprendimento delle lingue non è solo uno degli obiettivi chiave del quadro strategico per l’istruzione e la formazione ET 2020, ma anche uno strumento per facilitare la mobilità oltre confine dei cittadini europei, come sottolineato nella strategia generale dell’Unione “Europa 2020” (v. http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm e http://eacea.ec.europa.eu/education/eurydice./documents/key_data_series/143IT.pdf).

↑ 64 Si riprende qui il “plurilinguismo” come nozione facente riferimento «alle competenze individuali di un soggetto relative alla capacità di imparare e usare più lingue» valorizzata (e distinta dalla nozione di multilinguismo) nei documenti del Consiglio d’Europa (v., ad es., M.C. Luise, Plurilinguismo e multilinguismo in Europa per una Educazione plurilingue e interculturale, in http://www.fupress.net/index.php/bsfm-lea/article/download/13843/13603, 527).

↑ 65 Di qui l’opportunità di non far rientrare, come si tende a fare nell’Unione, le due accezioni indifferentemente sotto il termine multilinguismo, coll’affermare che: “Il termine di multilinguismo si riferisce sia al fatto di parlare lingue diverse in un determinato ambito geografico che alla capacità di una persona di parlare più lingue” (v. Eurobarometro, Europeans and their languages, 2006, in http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_243_sum_it.pdf, 243), ma di tenerle, per l’appunto, distinte, come sembrerebbe proporre il Parlamento europeo (v., ad es., la Proposition de résolution du Parlement européen sur un nouveau cadre stratégique pour le multilinguisme 2006/2083(INI), del 23 ottobre 2006).

↑ 66 Si ripropone l’espressione di V. Ginsburgh, La langue agressée, cit., 75.

↑ 67 Questo testo è stato in parte oggetto di pubblicazione anche nella forma: Lara Trucco, “Drafting multilinguistico” e controllo della Corte di giustizia, in Rassegna Parlamentare, fasc. n. 2 del 2016, 289-315.

 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN 1824-7482