L'eccezione europea: 24 lingue ufficiali e la costruzione di una nuova lingua d'uso in un contesto multiculturale
Abstract
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L’Unione europea è un unicum tra le organizzazioni internazionali grazie al riconoscimento e all’uso di 24 lingue ufficiali. In un mondo che sta andando nella direzione di un monolinguismo anglofono, l’Unione europea considera la diversità linguistica un elemento fondamentale nella definizione dell’identità e della cittadinanza europea e per questo motivo difende fortemente il proprio patrimonio letterario frutto di lingue e culture diverse.
La lingua non è un elemento statico e di conseguenza non è esente da trasformazioni legate all’agire quotidiano: un esempio concreto è il Globish o per meglio dire l’inglese parlato nelle Istituzioni europee a volte non facilmente comprensibile per i madrelingua inglesi. Degno di nota il tentativo goliardico di costituire una lingua istituzionale: l’Europanto.
Tra le Istituzioni europee il Parlamento europeo è l’istituzione che maggiormente difende il pluralismo linguistico attraverso la traduzione in 24 lingue dei propri testi o attraverso il servizio d’interpretariato, la Commissione europea cosi come alcuni programmi europei si limitano ad usare le tre lingue ufficiali se non addirittura a fornire le informazioni solo in inglese.
“Il giorno in cui l’Europa cessasse di parlare tutte le sue numerose lingue sarebbe il giorno in cui l’Europa – come idea, come progetto – finirebbe di esistere”. Queste le parole di Androulla Vassiliou, ex Commissaria europea per la cultura e il multilinguismo, in occasione della giornata europea delle lingue il 26 settembre 2012.
La diversità diventa, in questo modo, la condicio sine qua non per realizzare e unificare l’Europa, come testimoniato, non a caso, dalla scelta di “uniti nella diversità”, quale principio fondatore dell’Unione. Il motto sta a indicare come, attraverso l’Unione, gli europei siano riusciti a operare insieme in favore della pace e della prosperità, mantenendo, al tempo stesso, la ricchezza delle diverse culture, tradizioni e lingue del continente.
Il fatto stesso che la diversità sia uno dei principi fondati dell’Unione europea mostra quanto le lingue siano uno strumento fondamentale, non solo dell’integrazione, ma anche di difesa e di arricchimento culturale. Come sostenuto da P.A. Krauss,1 l’universalità della lingua (singolare) e la differenza del linguaggio (plurale) sono fenomeni paralleli: il mezzo linguistico è un simbolo della diversità culturale, con particolari proprietà. In una società moderna, la lingua è una componente sostanziale del capitale culturale di un gruppo, per questo l’uso della lingua non può essere ridotto esclusivamente al suo utilizzo strumentale. I filosofi linguisti Charles Taylor2 e Wilhelm von Humboldt,3 sostengono che nell’importanza dell’espressività – che va oltre la mera descrizione di fatti ed eventi – risiede il motore creativo di una “comunità linguistica”, che costituisce la dinamicità, la modernità e la capacità di adattamento di una lingua. La componente sociale della dimensione espressiva del linguaggio è la chiave per capire l’umanità, come unicità nella diversità, fino ad arrivare al concetto di nazione e lingua sviluppato da Joshua Fishman.
In questo senso l’Unione europea rappresenta un unicum tra le organizzazioni internazionali. Nessun altro organismo internazionale ha sviluppato un pluralismo linguistico di così ampio respiro come quello previsto dal Regolamento n. 1 del 1958. Infatti, l’Unione Europea, a differenza di altre istituzioni, ha introdotto come base fondante della propria organizzazione e definizione interna il multilinguismo, che testimonia anche la parità di trattamento e di dignità delle lingue dell’Unione. In Europa, anche attraverso i fenomeni migratori dai paesi terzi, si parlano ormai 200 lingue, 24 ufficiali e 60 tra regionali e minoritarie di comunità indigene. Il regime linguistico dell’Unione non rappresenta una mera questione di ordine tecnico-organizzativo, oppure economico o, ancora, solo politico. Al contrario essa disegna le fondamenta dell’identità europea – così come definita nei trattati costitutivi dell’Unione4 – della quale è parte integrante il concetto di cittadinanza europea, che completa e non sostituisce la cittadinanza del Paese d’origine.
In un processo di costruzione armonica di un’identità sovranazionale europea, ancora tutto da definire e completare, è sicuramente vantaggioso sostenere una politica multilinguistica, che costituisce l’unica strada per preservare e valorizzare le diversità culturali dei singoli popoli. Riconoscere parità di status a tutte le lingue ufficiali dell’Unione significa anche riconoscere e garantire pari opportunità politiche ed economiche a tutti i cittadini europei. “Non si può adottare la lingua di un Paese a scapito di altri 27. Si darebbe un vantaggio smisurato a un popolo a dispetto degli altri”.5 Ricevere direttive in inglese o essere obbligati a partecipare a gare d’appalto europee tenute esclusivamente in inglese porrebbe i non anglofoni in una posizione di evidente inferiorità.
Attuare una politica di monolinguismo acuirebbe enormemente il divario tra Europei anglofoni (13%) e non anglofoni (87%), di per sé, peraltro, già esistente a causa degli effetti pervasivi della globalizzazione, nella quale l’inglese ha acquisito un incontestabile predominio come lingua di Internet, degli affari e della comunicazione scientifica. Va inoltre considerato che con l’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea - nel momento in cui il testo è stato redatto il governo britannico non ha ancora attivato le procedure per uscire dall’Unione nonostante l’esito del referendum inglese di giugno - l’inglese rappresenterebbe la lingua ufficiale di una minoranza dei cittadini europei. In Europa, la coesistenza armoniosa di molte lingue rappresenta, viceversa, il simbolo forte dell’aspirazione dell’Unione a essere unita nella diversità. Anche a dispetto di una realtà degli affari e del lavoro, che va in una direzione ben precisa, le istituzioni europee sottolineano la loro stessa essenza attraverso la difesa e la valorizzazione – in qualche modo paritaria – delle origini linguistiche, che sono anche espressione di quelle sociali e culturali. La tutela dell’unicità e della specificità dell’UE, sotto questo aspetto, non può prescindere dalla tutela delle peculiarità degli Stati Membri.
Il patrimonio culturale dell’Europa comprende capolavori scritti originariamente in lingue diverse, ma comuni a noi tutti grazie a una lunga tradizione di traduzione letteraria, che va mantenuta e rafforzata per rendere disponibili ad un pubblico sempre più ampio le opere scritte nelle altre lingue. Il progetto di biblioteca multimediale europea (Europeana)6 rappresenta un esempio di strumento per tutelare, valorizzare e non disperdere la memoria delle lingue europee, attraverso la raccolta e la messa a disposizione – virtuale, attraverso i mezzi informatici – di opere letterarie provenienti dai diversi Stati membri. Essa, per altro verso, rappresenta anche un tentativo di costruire una memoria comune della tradizione e della cultura europee che sia frutto non dell’artificiosa reductio ad unum del multiforme patrimonio artistico, linguistico e letterario europeo, bensì della celebrazione della diversità.
Le lingue definiscono le identità personali, ma fanno anche parte di un patrimonio comune. Possono fungere da ponte verso altre persone e dare accesso ad altri paesi e culture promuovendo la comprensione reciproca. Una politica di multilinguismo “positiva” può migliorare le opportunità nella vita dei cittadini: può aumentarne l’occupabilità, facilitare l’accesso a servizi e diritti e accrescere la solidarietà, grazie a un maggior dialogo interculturale e una migliore coesione sociale. Vista con questo spirito, la diversità linguistica può diventare una risorsa preziosa, soprattutto nel mondo globalizzato di oggi.
Ma, come detto, non è possibile ridurre il tutto a una visione funzionalistica e strumentale. Com’è stato ben sintetizzato da Anna Maria Campogrande, presidente di Athena, associazione di funzionari europei per la difesa e la promozione delle lingue ufficiali della Comunità europea, “l’elemento chiave di coesione profonda, tra i popoli che vogliono vivere e crescere insieme in grado di assicurare la riuscita del progetto di integrazione europea non può che essere la cultura, in particolare le tradizioni delle quali tutti gli Europei si sentono eredi, le radici comuni, filosofiche, giurisprudenziali, spirituali, linguistiche e culturali..;”.7 Il multilinguismo, il rispetto e la valorizzazione delle lingue, come detto, sono parte integrante dell’essenza stessa del progetto europeo. Per questo motivo deve essere preservato e sostenuto il patrimonio linguistico dei Paesi europei.
Tuttavia, noi “europei” abbiamo anche l’esigenza di comprenderci reciprocamente, a cominciare dai luoghi di lavoro comuni. Nella prassi di un contesto pienamente multilinguistico – quale è quello delle istituzioni europee – l’interscambio frequente e quotidiano tra operatori provenienti da esperienze linguistiche differenti, ha prodotto un processo autonomo di generazione di una “non lingua” in cui tutti riescono ad intendersi e comunicare.
Si tratta di un fenomeno diverso dal semplice adattamento di una lingua ad un contesto socio-economico differente. In questo caso ci troveremmo di fronte a differenze tradizionali, riscontrabili, ad esempio, tra “madrepatrie” linguistiche e “ex-colonie”; come nel caso del francese parlato in Francia, in Belgio o in Canada, o dello spagnolo o, ancora, del portoghese. Il caso europeo è diametralmente opposto. All’interno delle istituzioni, personale proveniente da ceppi linguistici differenti si é trovato di fronte all’esigenza di capirsi e comunicare, superando le distanze geografiche e linguistiche.
Il ruolo delle lingue come veicolo di cultura e di dialogo interculturale è dimostrato, qui e per converso, anche dalla genesi di lingue non esistenti e non codificate, se non, appunto, nella prassi e per convenzione, come lo Union’s Globish and English for all of life’s situations and all age groups.8 Il “Global English” (globish) è una lingua nata all’interno delle istituzioni europee con cadenze, pronunce e significati diversi.
Si tratta del processo inverso rispetto a quello per cui una lingua creata ex novo o scelta e imposta tra quelle esistenti diventa il mezzo di comunicazione “universale”. Ciascuno con il proprio bagaglio linguistico e culturale, interloquendo quotidianamente e reciprocamente ha contribuito a costruire un linguaggio/non-lingua – assolutamente non codificato, se non per convenzione – che, di fatto, è diventato lo strumento di lavoro europeo tra le 28 diverse nazionalità. Il paradosso maggiore di questo linguaggio comune e condiviso, sta nel fatto che esso ha, in parte, finito con l’influenzare gli stessi madrelingua inglesi, che si sono dovuti adeguare alla trasformazione della loro lingua e al mutamento del significato della stessa.
Una base per certi versi comune con l’esperienza del Globish è quella definita dal suo stesso “inventore” niente altro che uno “scherzo linguistico”: l’europanto.9 Anche in questo caso, infatti, la base di partenza è l’esperienza quotidiana della comunicazione e dell’esigenza di farsi comprendere, per cui, spesso, si finisce col ricorrere a termini o formule linguistiche universalmente accettati o compresi. Da questa evidenza, l’idea di costruire un linguaggio di fusione e sintesi, mescolando termini e costruzioni sintattiche provenienti da linguaggi diversi. Nulla a che vedere, ovviamente, con la pretesa di costruire una lingua “nuova” di superamento di quelle esistenti come nel progetto originario dell’esperanto, dotato di una codificazione e di una grammatica proprie.
Allo stesso tempo, il Parlamento, come istituzione che salvaguarda la diversità linguistica e culturale, anche in occasione dell’ingresso dei nuovi Stati membri, ha mantenuto la traduzione e l’interpretariato in tutte le lingue ufficiali. Viceversa, la Commissione Europea utilizza le tre lingue ufficiali, ma, de facto, spesso produce documenti – anche ufficiali – nella sola lingua inglese. Stesso discorso vale per i portali collegati alle differenti Direzioni Generali. In questo caso siamo di fronte a fenomeni diversi, dal momento che vi sono esempi di portali tradotti in tutte le lingue e di portali – tra cui quello per il principale strumento di finanziamento della ricerca e dell’innovazione a livello europeo, Horizon2020 – che sono presenti nella sola lingua inglese. Va da sé, in questo caso, che la presentazione dei progetti debba essere fatta obbligatoriamente nella lingua inglese e non anche nella propria lingua madre. Per altro verso, il Parlamento Europeo ha ottenuto che almeno una parte dei concorsi possa essere svolta nella propria lingua madre, mentre in precedenza era obbligatorio scegliere tra inglese, francese e tedesco.
Poichè la lingua è l’espressione più diretta di ogni cultura, per passare da un contesto multiculturale a un contesto interculturale è essenziale, quindi, conoscere altre lingue. La Commissione ha collaborato con gli Stati membri dal 2002 per raggiungere l’obiettivo di Barcellona di offrire ai cittadini la possibilità di comunicare in due lingue, oltre che nella propria lingua d’origine; in particolare, è stato sviluppato un indicatore per la competenza linguistica, presentando un’azione strategica e una serie di raccomandazioni, e includendo la conoscenza delle lingue straniere fra le principali competenze dell’apprendimento permanente.
Il Business Forum for Multilingualism10 ha presentato delle raccomandazioni con l’obiettivo di accrescere la competitività e migliorare l’occupabilità tramite una migliore gestione della diversità linguistica. Il forum ha messo in evidenza che i mercati emergenti, come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina, sono di crescente importanza per le imprese dell’UE e che sono necessarie competenze linguistiche adeguate per potervi competere. È quindi opportuno includere il multilinguismo in tutte le strategie per lo sviluppo del capitale umano.
In questa direzione vanno tutte le iniziative che la Commissione Europea sostiene, promuove e finanzia e che sono raccolte in un unico portale: “Lingue. Sostenere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica”. L’esistenza stessa del portale sottolinea l’importanza che riveste il multilinguismo per il futuro. Inoltre, lo stimolo a imparare lingue differenti rappresenta non solo un’opportunità di crescita personale, ma anche, e soprattutto, un investimento nel futuro socio-economico del continente, nel quadro della competizione globale. Per questo, tra i programmi europei più longevi (nel 2017 compirà 30 anni) e conosciuti – e di cui ha beneficiato un gran numero numero di cittadini europei – c’è Erasmus, vero fiore all’occhiello di quell’integrazione che porta a essere uniti nella diversità.
Quanto scritto dimostra come siano in atto fenomeni differenti e di segno opposto che fanno apparire la dinamica linguistica in corso in Europa, a tratti addirittura schizofrenica. In realtà, di fronte a un mondo della comunicazione degli affari – e della stessa prassi quotidiana – che va chiaramente nella direzione del monolinguismo anglofono, l’Unione europea, attraverso il suo organismo più rappresentativo – il Parlamento – cerca di difendere e di valorizzare la diversità linguistica. Potrebbe apparire una battaglia persa in partenza, una sfida troppo in controtendenza rispetto a una realtà che va nella direzione opposta. Tuttavia la posta in gioco è troppo elevata, perché non è in gioco la sopravvivenza di una o più lingue, ma l’idea stessa di un’Europa “unita nella diversità”.
Bibliografia
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W. VON HUMBOLDT, Ueber die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts, Berlin: Rutter & Loening, 368-756.
Documenti ufficiali Unione europea
CARTA EUROPEA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA , 2012/C 326/02, Gazzetta ufficiale dell'unione europea, 26.10.2012
REGOLAMENTO N 1 DEL 1958 che stabilisce il regime linguistico della Comunità Economica Europea (G.U. L 17 del 6.10.1958)
TRATTATO SULL FUZIONAMENTO DELL'UNIONE EUROPEA, C 326/47, Gazzetta ufficiale dell'unione europea, 26.10.2012
Siti internet
http://www.europeana.eu/portal/it
Note
↑ 1 Vedi P.A. KRAUSS, A Union of Diversity Language, Identity and Polity-Building in Europe, Cambridge, Paperback, 2008 p 60-85.
↑ 2 C. TAYLOR, No community, No democracy, PART I in The Responsive Community, 13 (4), 17-27, The George Washington University, 2003-2004.
↑ 3 Vedi W. VON HUMBOLDT, Ueber die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts, Berlin: Rutter & Loening, 368-756.
↑ 4 Il rispetto della diversità linguistica, oltre ad essere riconosciuto dalla Carta europea dei diritti fondamentali, è sancito nel Trattato sull’Unione europea e nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea oltre che dai principi stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
↑ 5 Vedi D. MARIANI, Europanto, http://www.europanto.be/
↑ 6 Vedi http://www.europeana.eu/portal/it
↑ 7 Vedi A. M.CAMPOGRANDE, Delle lingue europee, Bruxelles, Athena , 2003.
↑ 8 Charlemagne,“The Globish and speaking union, in the Economist, 24 Maggio 2014. http://www.economist.com/news/europe/21602737-language-truth-and-european-politics-globish-speaking-union
↑ 9 L'Europanto, creata nel 1996 da Diego Marani, un traduttore del Consiglio europeo e definita dallo stesso creatore “uno scherzo linguistico”, è formata da un vocabolario ibrido di termini presi da diverse lingue europee, tra cui inglese, francese, italiano, tedesco, spagnolo e olandese. Il creatore propose l’introduzione di questa lingua in risposta alla predominanza dell'inglese. Di fatto è un'emulazione dell'effetto per cui le persone che stanno imparando una nuova lingua, tipicamente tendono ad aggiungere parole e frasi della loro lingua madre per esprimere più chiaramente ciò che intendono. Per approfondimenti il sito www.europanto.be.
↑ 10 Vedi http://ec.europa.eu/languages/library/documents/business_en.pdf