Publifarum n° 26 - Du labyrinthe à la toile / Dal labirinto alla rete

La langue arlequine

Roberto CUPPONE


Abstract

Italiano  | Inglese 

Il primo testo in "langue arlequine", lingua teatrale tradizionalmente esibita da Tristano Martinelli e dai suoi prosecutori - qui tradotto per la prima volta - ricollega Arlecchino alla descensus ad infera come primo topos della maschera.


Parigi, inverno 1585.

Dopo l’America e gli Antipodi, l’Europa scopre Arlecchino, in una delle prime e più raccontate tournée francesi di comici italiani – è la compagnia dei fratelli Drusiano e Tristano Martinelli,1 autentici pilgrim fathers della nuova nazione teatrale europea. E l’invidia gli va dietro: un anonimo detrattore – forse Robert Guèrin, in arte Gros-Guillaume, uno degli stessi farceurs francesi “colonizzati” dalla spedizione italiana - pubblica un pamphlet livoroso dove si racconta la Histoire plaisante des Faicts et Gestes de Harlequin Commedien Italien. Contenant ses songes § visions, sa descente aux enfers pour en tirer la mere Cardine [nota maitresse, da poco deceduta], comment § avec quels hazards il en eschappa aspres y avoir trompé le Roy d’iceluy, Cerberus § tous les autres Diables. All’inferno, Arlecchino, ci starebbe anche, è casa sua; prendersi del pappone, passi; ma del buffone, questo no: “je ne suis point bouffon, fils de Cardine, / comme l’escrit ton histoire badine”. Così Tristano, in un duello a caratteri di piombo, pubblica la sua Response di gestes de Arlequin au poete, fils de Madame Cardine, en Langue Arlequine, en façon de prologue, par luy mesme, de sa descente aux Enfers et du retour d’iceluy. Niente di che – botta e risposta, rissa da saltimbanchi – se non fosse che è il primo testo conosciuto attribuito a un Arlecchino; e che l’autore fin dal titolo dichiara di formare le parole di questa sua Response in una apposita (maiuscola) Langue Arlequine. Che dunque, qualsiasi cosa sia, nasce come atto depositato, il primo, della maschera; qui “tradotto” per la prima volta.2

Tristano, in questa tournée dai contorni incerti, sceglie di darsi nome e profilo di diavolo per piaggeria verso Enrico III Valois, demonizzato da papisti e ugonotti;3 ma ancor più sulla scia di una lunga tradizione di invenzioni intorno alla descensus ad infera di origini medievali e poi (con sua buona pace) buffonesche - tappe fondamentali, fra scherzo e provocazione, della nascita del professionismo e della sua emancipazione dalle censure (“Arlequin le Roi commande à l’Acheron, / il eschelle les cieux, il fausse leur perron, / il est duc des esprits de la bande infernale”; Escuse, vv. 9-11).4 Dunque questa langue è subito infernale e teatrale insieme: la Response essendo prima di tutto un prologo (“suis je pas escouté?”; v. 169; “et je m’en vai dedan / a faire sortir nos gens pour commencé”; vv. 172-173) in forma di sirventese di una certa eleganza, fra enjambements, rime interne,ossimori, iperboli, altre figure retoriche (anafore, enumerazioni e ripetizioni, climax e anticlimax) e soprattutto un bestiario di metafore e similitudini zoologiche; come nota Gisiano. Che in genere rileva “i seguenti meccanismi”:

1. una parola italiana/dialettale subisce un travestimento francese, mediante opportune desinenze: abaiant (v. 20); tu robas (v. 47); ma scarcelle (v. 105); [ma anche ore (v. 106), ja (v. 117), dotour (v. 139)]
2. alcune volte il travestimento è solo grafico/fonico: paillia (v. 58); canaillia (v. 59);3. vengono utilizzate forme sintattiche coniate sul volgare italiano, ma impossibili nella lingua francese: “mene moi à l’enfer à retrouvé” (v. 16);
4. s’inseriscono parole latine orecchiate e accessibili a “tous les gent”: primis (v. 12);
5. sono presenti parole italiane non travestite: Gallia (v. 60) [ma anche poeta (v. 17), Carme (Escuse, v. 8)];
6. alcuni vocaboli sono di appartenenza linguistica ambigua: ad esempio incontinent (v. 28 e altrove), oltre che francese, è anche italiano, attestato ad esempio da Dante (Inferno, III, 61: “Incontanente intesi e certo fui”).5

C’è dunque innanzitutto un timido abbozzo di plurilinguismo, anch’esso secondo la più sana tradizione buffonesca dei “diversi lenguazi”,6 ma più ancora in genere traspare il forte rapporto genetico con l’oralità: oltre che dalle oscillazioni grafiche, all’epoca comuni7 (maquereau,v. 40 / macreau, v. 67; boufon, v. 67 / bouffon, v. 82), dalla rima ostentata fin nella grafia (gigo / o / mo, vv. 28-30; tro / cheno / maro, vv. 120-122; moian / flaman, vv. 88-89) e in genere da un’evidente drammatizzazione delle imperizie linguistiche a fini espressivi e finanche provocatori (“l’handicap dello straniero, che non conosce la lingua della terra in cui è ospitato, si sta già trasformando in un elemento distintivo vantaggioso”.8) Si aggiungano due altri tratti che caratterizzano la creazione linguistica in senso teatrale: i neologismi scatologici, focalizzati nel finale pirotecnico dell’Escuse (embrenable, v. 5; gadouar, v. 6; merdelin, v. 7; merdable, v. 8) e le espressioni deittiche: fra queste, incontinent ricorre ben quattro volte (vv. 28, 91, 146 e 166), quasi sempre annunciando un coup de théâtre e dunque preludendo al noto connettivo in seguito usato nei canovacci per i cambi scena (‘in questo’, ‘in quella’, ‘ici arrive’).9

Dunque questa Langue Arlequine è “infernale” non tanto nel senso di tutte quelle forme criptiche care all’esoterismo, dalle lingue alla rovescia alla blasfemia; e neppure nel senso del pur presente esempio dantesco (sul modello del celebre “pape satan, pape satan, aleppe”, Inferno, VII, 1, che, vista la stupefacente varietà di “traduzioni”, è quasi un test di Rorschac linguistico); e neanche (o non solo) della tradizione medievale, poi maccheronica e buffonesca, delle sonorità dei bestiari infernali:

dat leo rugitum horrendum, lupus elevat urlos,
bos bu bu resonat, bau bau mastina canaia,
nitrit equus, nasoque bufat, raspatque terenum.
Sgnavolat et gattus, et adirans eiulat ursus.
Mula rudit, mulusque simul, tum ragghiat asellus,
denique quodque animal propria cum voce favellat.10

È qui, in origine, poco più che una petizione di principio, una dichiarazione di intenti, a futura memoria della trascendentalità della nuova maschera di Arlecchino e della sua capacità di “fausser les perrons” celesti; con tutto il vigore, però, e il know how del nascente professionismo teatrale:

la nuova lingua, nell’immaginazione scenica, si poteva arricchire inoltre di parole latine, francesi, spagnole, imparate lungo la strada, dando vita a cacofonie, allitterazioni, onomatopee, un agglomerato di fonemi più che un tessuto sintattico, destinato a esprimere paralogismi e sragionamenti più che a comunicare contenuti.11

Lyon, dicembre 1600, quindici anni dopo.

Un secolo se ne va. E anche i comici italiani - questa volta una compagnia all stars, gli Andreini, Scala - e di nuovo Martinelli - sono sulla via del ritorno dopo una nuova, clamorosa, tournée in terra di Francia. Ma devono aspettare che a Lyon appunto, a metà strada tra Francia e Italia, si congiungano – in tutti i sensi – Enrico IV di Borbone e Maria de’ Medici; in nozze dei quali sfodereranno le loro migliori commedie. Ma il re tarda, sta cannoneggiando la Bressa – per l’antica ruggine coi Savoia intorno alla titolarità di Saluzzo. E Arlecchino pubblica un volume di pompose e vuote Compositions de rhetorique12, sostanzialmente per sollecitare i suoi compensi, una collana e una medaglia d’oro: è la prima, elegante fattura per prestazione professionale della storia del teatro. E in uno dei pochi testi che vi compaiono (il resto sono ritratti e pagine vuote) si riaffaccia il topos del Songe:

Ie me suis insomnniato ce matin,
Qu’un Facquin d’importanza
Mi tiroit par la panza,
Et mi disoit, Monsieur Arlequin,
Habebis medagliam et colanam.
Ie respondis en dormant,
Si non me burlat opinio:
Piaccia à Iddio
Di farci vedere il maturo parto
di queste pregne speranze.
Per la mia foy en songeant au guadagno
Io parlo Toscolagno.

“En songeant au guadagno”, ormai la “traduzione” non serve più.

Dalla Response alle Compositions, ritorna il collaudato meccanismo dell’abbassamento; ma a quarantaquattro anni la lingua di Arlecchino, la logica anarchica che ne sottende la composizione sono nuove: si accentuano il plurilinguismo (meglio, l’ibridismo), l’ironia, la deissi. Corre il pensiero a quel geniale concetto di lalangue di cui parla Lacan (Seminario XI), luogo della lallazione e insieme del godimento, insomma gioco creativo; significato che si fa sotto i nostri occhi; azione.

Non è più una convenzionale langue arlequine, quella di Tristano.

Forse è già lalangue del teatro.

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Note

↑ 1 Marcaria 7 aprile 1557, Mantova 1 marzo 1630.

↑ 2 La polemica ha un seguito: il rivale di Arlecchino risponde prescrivendogli La Sallade de Harlequin a luy envoiée par le Capitain le Roche, appotiquaire Luquoys pour la guaruison de sa maladie Neapolitaine, quella che per contrappasso noi chiamiamo mal francese; e a sua volta Arlecchino lo sommerge di un diluvio scatologico: La Duplique faite pour le Seigneur Arlequin, en forme de contrepeterie au nez de Robert Triplupart l’Andouillier, urinal des Poëtes, § Colonnel des Gadoues de la Bastille de Proserpine, che si accompagna Avec un Recipe de Haulte-fustaye pour desembrener ceste grand’ piece poltronesque, e si conclude dedicando A ce Lifrelofrier de l’Hostel de Bourgongne, qui en ses vers poltrons ose attaquer le Seigneur Arlequin, Festin. La ricostruzione della vicenda, fondamentale per la nascita della maschera, si trova in Delia Gambelli,Arlecchino a Parigi. Dall’inferno alla corte del Re Sole, Roma, Bulzoni, 1993, pp. 157-173, che ne pubblica per la prima volta l’intero corpus (pp. 385-416); cui si rimanda per la descrizione e la collocazione degli opuscoli, tutti alla Bibliothèque Nationale de France. In seguito Siro Ferrone, Vita e avventure di Tristano Martinelli attore, Roma- Bari, Laterza, 2006, pp. 88-102 la contestualizza; e Mariangela Gisiano, La lingua di Arlecchino, Torino, Aprilia, Novalogos, 2013, pp. 13-25 (ma v. anche Id., La lingua di Arlecchino, tesi di laurea, università di Genova, corso di laurea in DAMS, a. a. 2007-2008, relatore R. Cuppone) la analizza per la prima volta dal punto di vista espressivo. D’ora in poi le citazioni senza riferimenti si intendono della Response.

↑ 3 Cfr. S. Ferrone, op. cit., cap. II.

↑ 4 Cfr. R. Cuppone, “En quidam saltat avantum buffonus”: la descensus ad inferaalle origini dell’Arte, in corso di pubblicazione.

↑ 5 M. Gisiano, op. cit., p. 19.

↑ 6 Cfr. R. Cuppone, Arlecchino, langue e paroles, in M. Gisiano, op. cit., pp. 85-110.

↑ 7 In Italia la trascrizione dei suoni del parlato trova le sue prime regole nella vocabolarizzazione della Crusca solo nel 1612, un anno dopo la prima pubblicazione di canovacci, Il teatro della favole rappresentative di Flaminio Scala; mentre in Francia si dovrà arrivare al 1684, un secolo dopo Martinelli, perché Antoine Furetière tenti di pubblicare l’Essai d’un dictionnaire universel (peraltro osteggiato con l’accusa di plagio dall’Académie Française), di nuovo quasi contemporaneamente a quel Recueil di canovacci italofrancesi a opera di Evaristo Gherardiche stava ibridando il parigino à la page (cfr. W. John Kirkness, Le français du Théâtre Italien, d’après le recueil de Gherardi, 1681-1697, Genève, Librairie Droz, 1971). Coincidenza?

↑ 8 S. Ferrone, op. cit., p. 76.

↑ 9 Cfr. R. Cuppone, “In questo”, il teatro. Gli scenari della commedia dell’arte, in “Venezia Arti 2000”, 14, pp. 35-40.

↑ 10 Teofilo Folengo, Baldus, XXI, 354-359.

↑ 11 S. Ferrone, op. cit., pp. 76-77.

↑ 12 T. Martinelli, Compositions de rhetorique de Mr. Don Arlequin, Comicorum de ciuitatis Noualensis, Corrigidor de la bonna langua Francese § Latina, Condutier des Comediens, Connestable de Messieurs le Badaux de Paris, § Capital ennemi de tut les laquais inuenters desrobber chapiaux, Imprimé delà le bout du monde [Lyon, 1601]; oggi in D. Gambelli, op. cit., pp. 417-432.

↑ 13 Secondo opuscolo della raccolta Les Ioyeusetez facecies et folastres imaginacion de Caresme Prenant, Gauthier Garguille, Guillot Gorin, Roger Bontemps, Turlupin, Tabarin, Arlequin, Moulinet, etc,[Paris] Et se vend chez Techener, Libraire Tenant sa Boutique Place du Louvre n. 12, MDCCCXXXIV [Bibliothèque Nationale: Rés. Y2 2525], p.1-11; p. 12 l’Excuse; ora in D. Gambelli, op. cit., pp. 401-405; da cui si assume la trascrizione quasi diplomatica.

↑ 14 Allusione ad Anne, barone d’Arques, visconte e poi duca di Joyeuse (1560, 20 ottobre 1587), uno deimignondi Enrico III di Francia; sostenitore e impresario degli attori italiani, cui avevano appena dedicato le loro commedie Bartolomeo Rossi, in arte Orazio (Fiammella, 1584) e il Capitano Fabrizio De Fornaris (Angelica, 1585); probabilmente il “voisin” dell’invito a cena del verso seguente.

↑ 15 Ovvio paragone dell’impero di Plutone (e dunque di Arlecchino) a quello di Carlo V; ma in genere, nello spirito degli zanni, allusione alla natura carnevalesca, di “mondo alla rovescia” dell’inferno.

↑ 16 Né nella mitologia classica, né nell’Eneide (VI, 298-304), né nella Divina commedia (Inferno, III, 82-111) si parla di questa bordatura di ferro; potrebbe alludere ai rinforzi del traghetto (bac, da cui l’attuale Rue du Bac) che portava pietre e massi sull’altra sponda della Senna per la costruzione delle Tuileries.

↑ 17 Verso evocativo di tante descensus ad infera:“e come quei che con lena affannata / uscito fuor del pelago a la riva / si volge a l’acqua perigliosa e guata, // così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, / si volse a retro a rimirar lo passo / che non lasciò già mai persona viva”; Inferno, I, 23-27.

↑ 18 Arlecchino vanta qui con Cerbero la stessa camaraderie infernale che più avanti (v. 113) Plutone esibisce con lui; del resto il suo detrattore, in precedenza, per bocca di Cardine, per via della maschera lo faceva addirittura somigliare a Cerbero, “le Cerbere chien, / Jadis mon espousé, auquel fort tu ressembles, / Quand tu joues masqué" (Histoire, vv. 50-52).

↑ 19 A differenza della grafia che ricorre in seguito (macreau), perché non immaginare qui, nel trisillabo, una ricercata assonanza con ‘maccheron’, come venivano chiamati gli italiani?

↑ 20 Gros-Guillame aveva effettivamente collaborato coi comici italiani; se ne parla anche nella successiva Duplique (v. 53).

↑ 21 Cfr. più avanti: “Je ne suis point bouffon".

↑ 22 Arlecchino ha avuto esperienza diretta della guerra nelle Fiandre, in una travagliata tournée ad Anversa nel 1576 (cfr. S. Ferrone, op. cit., cap. I).

↑ 23 ‘Piazza’, in gergo teatrale, è il luogo della replica; qui potrebbe avere funzione deittica.

↑ 24 Come dire: misi mano al denaro, per pagarla. Il massimo complimento per la regina degli Inferi, è di essere una prostituta; e la frase con cui Arlecchino poi le si rivolge doveva suonare tipica da adescatore.

↑ 25 Assonanza fra m’amie, ‘amica mia’, e mamie, ‘nonnetta’.

↑ 26 Appellativo che veniva rivolto, fra gli altri, al duca di Joyeuse, nel senso di ‘cortigiano, favorito’.

↑ 27 A chiunque alluda Martinelli, per il grasso Gros-Guillaume è senz’altro un metaforico maestro di digiuno: la penitenza prescritta assomiglia alla vita da zanni, la stessa di Martinelli, prima del successo; d’altronde Roseau potrebbe alludere al nome d’arte di Guérin in tragedia, La Fleur (ma allora risulterebbe meno comprensibile come Arlecchino possa prescrivergli di essere seguace di se stesso); si opta qui per un allusivo “Zan Lattuga”.

↑ 28 Vista la mole, verrebbe da pensare che qui si riferisca proprio a Gros-Guillaume stesso (come dire: medice, cura te ipsum; fra l’altro la risposta che questi gli darà sarà appunto una ricetta contro la sifilide, La Sallade); anche se la grafia dotour, in verità, più che il francese (docteur), richiama la canonica pronuncia bolognese.

↑ 29 Allusione ai Confrères de la Passion, gestori dell’Hotel de Bourgogne, accusati di non far pagare il biglietto ai propri amici, a scapito dei comici italiani.

↑ 30 Orazio Coclite, che si oppose da solo agli Etruschi.

↑ 31 La sintassi è qui incerta; quanto a farcineur, è un probabile neologismo, fusione di farce e farine, entrambe molto familiari all’interlocutore di Arlecchino; nel contempo appare anche derivato di farcir, ‘farcire’, e dunque ‘riempire, rintronare’.

↑ 32 Altro neologismo, forse da bren o bran, ‘segatura’ e colloquialmente ‘sterco’.

↑ 33 Da gadoue, ‘melma’.

↑ 34 La firma confermerebbe che il destinatario del libello è proprio l’attore Robert Guérin; il nome, “Robert”, è lo stesso; e certamente allusivi sono lo pseudonimo di salsiccia  (“l’Andouiller”) accompagnato dal patronimico che allude alla capacità di ingurgitare di tutto; infine la rue aux Ours si trovava nei pressi dell’Hotel de Bourgogne, dove poteva risiedere l’attore (cfr. S. Ferrone, op. cit., pp. 86-97).

 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN 1824-7482