Le Sieur de La Ronce, un traduttore (quasi) sconosciuto del Tasso nella Francia del XVII° secolo
Abstract
Francese | IngleseSeulement en 1620, plus d’un demi-siècle après la publication du Rinaldo du Tasse, l’éditeur Toussaint du Bray, fit sortir la première traduction en français de ce brillant poème juvénile, traduction en prose faite par un Sieur de La Ronce dont la figure reste en partie méconnue par la critique littéraire : tout ce que l’on sait sur lui c’est qu’il appartenait au cercle des poètes libertins qui gravitaient autour de Théophile de Viau, ami de Colletet e de Claude de L’Estoile, et auteur de quelques pièces qui figurent dans les Recueils satyriques du temps. La comparaison entre les deux ouvrages montre clairement que, tandis que le poème du Tasse, bien que jugé par la critique seulement un génial exercice littéraire qui trouvera sa pleine expression plus tard dans la Jérusalem délivrée, sait néanmoins enchanter le lecteur par des images pleines de suggestion poétique, au contraire la traduction en prose du Sieur de La Ronce n’est qu’une description diligente et prolixe des aventures amoureuses et guerrières des personnages.
È quasi inutile ricordare l’interesse suscitato in Francia dalle opere letterarie italiane nella seconda metà del XVI° secolo. Scrive Charles Beall nel suo libro dedicato alla fortuna del Tasso in Francia: «Les ouvrages nouveaux, les réputations nouvelles parvenaient rapidement en France et furent accueillis avec enthousiasme ou indifférence selon les vogues, les préférences, les goûts nationaux ou locaux. Le succès de tel ouvrage au-delà des Alpes ne garantissait pas pareil succès en deça. »1 Questo fu appunto il caso del Rinaldo, brillante opera giovanile che il Tasso scrisse quando aveva appena diciotto anni, che godette subito di un grande successo in Italia (nove edizioni pubblicate quando il poeta era ancora in vita) ma per molti anni rimasto quasi sconosciuto in Francia. Poema scritto tra il 1561 e il 1562, in dodici canti in ottave, col metro endecasillabo, è dedicato al cardinale Luigi d’Este, vescovo di Ferrara.2 La critica letteraria ha messo puntualmente in luce le caratteristiche e il valore di questo essai juvénile del Tasso: da un lato l’arte già matura nel maneggiare il verso, dall’altro la sua aderenza dal punto di vista etico a ciò che Michael Scherberg definisce un “aristotelismo edonistico”,3 accettando cioè, sulle orme del Guarini, le teorie poetiche secondo le quali l’arte deve essere maestra di vita e di moralità, ma nello stesso tempo deve saper divertire il lettore. E per raggiungere il suo scopo l’autore fa passare il protagonista del suo poema attraverso una molteplicità di avventure e di luoghi che lo porteranno da Parigi al campo del re Carlo in Aspromonte, fino in Oriente nella guerra contro i Saraceni, sempre seguendo un ideale di gloria, nel tentativo di superare la fama del prode cugino Orlando, di cui è segretamente un po’ invidioso. Ma l’avventura più pericolosa è l’amore, è l’incontro con Clarice, sorella del re di Guascogna, di cui Rinaldo s’innamora perdutamente, e che vorrebbe sposare. Naturalmente le nozze sono contrastate da tutta una serie di impedimenti che il nostro eroe dovrà superare, arricchendo così la trama del poema, e solo alla fine del dodicesimo canto si avrà la felice conclusione del matrimonio.
Si tratta dunque, come si vede, di un’opera che si inserisce nella tradizione del romanzo cavalleresco del ciclo carolingio: il modello è certamente l’Ariosto e la versione più matura e perfetta sarà la Gerusalemme liberata, ma qui ciò che prevale è la descrizione dell’incanto amoroso. Come dice Ettore Bonora nel volume dedicato al Cinquecento nellaStoria della Letteratura italiana, «materialmente le avventure ei combattimenti occupano tanta parte dei dodici canti, ma il filo conduttore del poema resta una storia d’amore, ed è nel trattare l’amore che il Tasso del Rinaldo diede prova, se non di vera originalità poetica, almeno di un’originalità viva e personale.Ben diversamente da quello che avverrà nella Gerusalemme, le corde tragiche non sono mai toccate; quella che si svolge nel Rinaldo è la schermaglia galante o addirittura la commedia dell’amore».4
Come abbiamo già accennato, contrariamente a ciò che avverrà per le due opere maggiori, quando il Tasso sarà ormai diventato celebre al di qua e al di là delle Alpi,5 la pubblicazione di questo primo poema non suscitò per lungo tempo alcun eco in terra di Francia, e fu soltanto nel 1620, a più di mezzo secolo dalla sua apparizione, che lo stampatore Toussaint Du Bray fece uscire la prima traduzione in prosa delRinaldo: Le Renaud Amoureux, Histoire précédente de Roland l’Amoureux et Furieux, imité de l’Italien du Sr Torquato Tasso, par le Sr de La Ronce.6 Evidentemente l’opera non suscitò un grande interesse per il pubblico, perché non si hanno notizie di ristampe a breve termine, e fu giudicata anche piuttosto severamente dalla critica letteraria: l’Abbé Goujet nella sua Bibliothèque Françoise scrive: « La Ronce a joint à sa traduction des arguments et des allégories: celles-ci sont pour le moins inutiles. À l’égard de son langage il a raison de dire qu’il “pourrait ne pas bien sonner à l’oreille”. Il est fort plat et fort rampant. Il me paraît étonnant que l’on ait pu se résoudre à réimprimer cet ouvrage en 1724, précisément tel qu’il avait paru en 1620, sans y changer aucune expression. Il n’est pas moins surprenant que le nouvel éditeur l’ait donné comme un ouvrage récent et qui n’avait point encore paru».7 Nel 1724 si hanno infatti parecchie riedizioni del Renaud Amoureux per i tipi di vari stampatori: a Parigi, A.M. d’Espilly, e sempre nella stessa città, G. Amaulry, D. Hortemels et Noël Pissot, tutte esattamente uguali alla prima.8 L’autore, uno sconosciuto Sieur de La Ronce è rimasto avvolto nel mistero: non neparlano i vari dizionari biografici né le storie letterarie. Le sole scarne notizie che aiutano a ricostruire almeno parzialmente il suo profilo di uomo e di letterato si possono ricavare dalla sua opera, soprattutto dalle pièces liminaires che vi si trovano in testa, unite alla lunga dedica a Carlo I°, duca di Nevers, e all’Avertissement au Lecteur che lo segue. Frédéric Lachèvre, il grande studioso della poesia libera e satirica dell’epoca, e Louis Perceau che ha incluso nel suo Cabinet secret du Parnasse alcune pièces che lo riguardano, confessano che, malgrado lunghe ricerche, «n’ont pu rien découvrir sur ce poète, sauf qu’il était l’ami de Guillaume Colletet, de Claude del’Estoile et de Théophile de Viau».9 Eccolo dunque inquadrato nella cerchia deipoeti libertini che gravitano intorno a Téophile. Si legge nelle Délices Satiryques del 1620 un suo quatrain in risposta ad un altro di Colletet dove traspare la verve maliziosa di cui il nostro poeta era fornito in materia amorosa. Colletet aveva scritto
Ceux
qui t’ont la Ronce nommé
Recognoissent bien ta nature,
Puisqu’on te voit tant renommé
Pour avoir faict mainte poincture10
Ed ecco la puntuale risposta del Nostro
Je ne pique en mes vers, Colletet, tu t’abuses,
Celle de qui les yeux m’esprirent autresfois :
Alors que je les poinds, j’employe, au lieu des Muses,
L’esguillon qui leur faict l’enflure de neuf mois11
Altri nove suoi componimenti poetici si trovano sparsi nel Cabinet satyrique, che come dice il titolo stesso,12 recueil des vers piquants et gaillards de ce temps, è costituito da una miscellanea di composizioni di carattere licenzioso in cui i poeti del circolo libertino riuniti intorno a Téophile de Viau si dilettavano a sfidare la morale dei benpensanti.La prima edizione è del 1618, solo due anni prima del Renaud Amoureux, e nell’Avertissement au Lecteur l’editore (anonimo) difende il contenuto dell’opera, in cui, dice, figurano poemi di Ronsard «et tout le reste des esprits libres de ce temps» e si dice sicuro che «ceux qui blâment ces pièces sont pour la plupart des esprits faibles; ils ont pour propriété d’être opiniâtres en leurs opinions et autant incapables de raison que de légitime vertu».13 Si troveranno in nota il titolo e il primo verso di ciascuna delle nove pièces di La Ronce14 che figurano accanto a quelle dei più rinomati poeti libertini del tempo, alcune anonime, altre firmate da Sigognes, Régnier, Motin, Berthelot, Maynard, ecc. In tutte si trova il gusto per l’espressione salace, in cui la gaillardise si mescola alla malizia amorosa, con l’intenzione esplicita di risvegliare l’ardore dei sensi. Fra le nove pièces ne abbiamo scelte tre che ci sembrano degne di essere riprodotte.
Vol. I°, p. 57: Gaillardise (composta da sei sestine, di cui riportiamo la prima)
Ny pour baiser ton bel œil
Que tu remplis trop d’orgueil,
Ny pour succer à mon aise
La fraise de ton teton,
Tout cela, ma Janneton
Ne peut esteindre ma braise.
p. 84: Epigramme par le Sieur de La Ronce
L’autre jour, de ma Janneton
J’allois baisottant son teton,
Luy secouant un peu sa crotte ;
Mais de lui donner une cotte
Elle m’importunoit tousjoiurs.
Enfin, je lui dis : - Mes amours,
Qu’avez-vous faict de la premiere ?
Je vois qu’il vous en faut souvent,
C’est mon, dit-elle en se levant,
Je les use par lederriere
Et vous les usez par devant.
Vol. II°, p. 249 :Quatrain
Tu peux vivre content, sans redouter la Parque,
Car de vivre un long temps cela t’es tousjous acquis,
D’autant que ton renom est de si peu de marque
Qu’elle ne se souvient si jamais tu naquis.
Le piccole pièces qui riprodotte pongono un problema perfino sul nome del nostro autore. La Ronce era forse solo uno pseudonimo, un soprannome, o il nome di una terra, un piccolo feudo, una proprietà che gli apparteneva in quanto componente di una famiglia nobile? Anche qui, mistero irrisolto. Tutto quello che sappiamo è che nel Renaud, dopo la lunga dedica a «Tres-haut et tres-puissant prince Monseigneur Charles de Gonzagues de Cleves» (che La Ronce ha sostituito a quella del Tasso, alcardinale Luigi d’Este) egli rivolge un’epistola al suo dedicatario, che evidentemente considera anche suo protettore, in cui si definisce esplicitamente «un chevalier errant ayant toujours conversé parmi les nations étrangères», e fra queste, dopo aver alungo soggiornato in Italia, dove il Tasso «lui avoit-il apris à parler si parfaitement [la langue] de son pays, et l’avoit fait recueillir avec un tel applaudissement par toute l’Italie qu’à peine se pouvoit-il souvenir d’être veritable Français», ora lenotizie delle straordinarie virtù di Charles de Gonzague l’hanno convinto«de venir encore une fois respirer le doux air de sa naissance, afin de vous rendre l’hommage que vous doivent tous ceux qui cherissent la vertu». E qui gioca evidentemente lo spirito encomiastico di una captatio benevolentiae, poiché questo Charles Ier, ottavo duca di Mantova e duca di Nevers, figlio di Luigi di Nevers e di Henriette de Clèves, non era propriamente quello che si può definire “un fiorellino di virtù”. I dizionari biografici ci dicono che, nato nel 1595, alla morte del cugino Vincent, duca di Mantova, nel 1612 si candidò come pretendente alla sua successione in quanto suo più prossimo erede, entrando così in conflitto con Cesare Gonzaga, duca di Guastalla, per il possesso dei suoi beni, e fu sostenuto nella contesa da Luigi XIII. In seguito, avendo aderito al partito del principe di Condé nella guerra che questi condusse contro la corona di Francia, fu condannato nel 1617 come responsabile del crimine di lesa maestà, ma poi si riconciliò con il re e rimase da allora uno dei suoi più leali servitori diventando “gouverneur et lieutenant général pour le Roy en ses provinces de Champagne et de Brie”, titolo con cui è menzionato nella pagina di dedica dal Sieur de La Ronce. Sposato nel 1599 a Caterina di Lorena, morì il 22 settembre 1637.15 Di questi suoi rapporti con il re di Francia e della sua diatriba con César de Gonzague viene appunto fatta menzione anche nella lunga epistola di introduzione del Renaud, poiché il nostro autore, dopo aver magnificato i pregi delle imprese gloriose portate a termine del suo protettore, si augura di vedere un giorno «sous le règne de notre Grand Louis le Juste accomplie la prophétie qui fait pâlir de crainte l’injuste usurpateur de votre héritage».
Altro dato interessante che si ricava dalla lettura di questa epistola dedicatoria è che l’autore sidichiara discendente «de ce grand Constantin qu’une pieuse dévotion fit transférer dans la Grèce le siège du plus puissant Empire de l’Univers: ainsi que vous êtes un rejetton florissant de ces Grands Paléologues qui régirent après lui le même Empire». Antenati illustri dunque, per ambedue : nientemeno che Costantino il Grande per lui, e la celebre dinastia bizantina dei Paleologhi per il suo protettore. Ultimo dato interessante per la biografia del nostro autore è che, come già avvenne per il Tasso, quest’opera che egli offre al duca di Nevers è un frutto degli anni giovanili («une devotieuse offrande de ses premières veilles»), e si ripromette, nel caso in cui questo primo tentativo risultasse gradito al grande personaggio, di rendergli omaggio negli anni futuri «par des ouvrages plus relevez». Purtroppo tale proposito dovette rimanere un pio desiderio, dato che non si hanno notizie di ulteriori testimonianze a questo riguardo.
E veniamo alle pièces liminaires che precedono l’opera, da cui possiamo ricavare qualche notizia interessante per la ricostruzione della personalità del nostro autore. Si tratta di quattro brevi componimenti, i primi due firmati solo con la sigla C.B.I.C.A., che i critici letterari, a partire dal Lachèvre, non sono riusciti ad identificare. Nel primo, un epigramma in latino, l’autore dichiara che, dopo aver sofferto per il lungo periodo trascorso dal suo amico «in Italicis finibus», ora si rallegra per averlo visto ritornare ai patri lidi («restituit patrias Ronsaeus in oras») e dopo questo lungo esilio ritrovare la via dell’amore. Nel secondo epigramma si congratula con lui perché, quando mette da parte le imprese guerriere del suo «Renaud vainqueur» per sottomettersi «…au plus petit des Dieux, / Quand tu te fais languir captifde deux beaux yeux, / Ha!Que tu nous produis en diverses manières, / En la fleur de tes ans de roses Printanières». La terza pièce liminaire è costituita da un sonetto firmato E. Du Parc, altro sconosciuto da tutti i dizionari biografici e letterari, che loda il Nostro per aver tratto «ce superbe Renaud» dalla polvere dell’oblio in cui era avvolto da anni. Le[i:i ]Stances au Sieur de La Ronce, quattro quartine in dodecasillabi, chiudono le pièces liminaires, e sono firmate da un De L’Estoile, a nostro avviso Claude de L’Estoile, poeta e drammaturgo vissuto a cavallo fra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, autore di commedie, balletti e tragicommedie, appartenente all’Académie Française. La nostra ipotesi si basa sul fatto che Claude de L’Estoile figura fra gli autori di molte poesie pubblicate nei Recueils Collectifs di Toussaint Du Bray, lo stesso editore del Renaud Amoureux. Qui L’Estoile invita il nostro autore a celebrare la gloria del duca Charles de Gonzague, destinato a compiere imprese immortali contro «…la gens superbe / Qui porte sur son chef un orgueilleux Turban», evidente riferimento alla guerra contro i Turchi che minacciavano seriamente le frontiere dell’Europa.
Un altro poeta che gravitava nell’orbita dei libertini autori del Cabinet satyrique è Guillaume Colletet, lui pure legato al nostro Sieur de La Ronce. Colletet pubblica infatti nella sua prima opera giovanile, in cui mescola prosa e versi, Les Désespoirs amoureux, edito nel 1622, guarda caso sempre per i tipi di Toussaint Du Bray, un sonetto dedicato a La Ronce, in cui accenna appunto alle cure che questi riserva a «ce grand Tasse, honneur de l’Italie», mentre lui è sprofondato in un mare di tristezza e di desolazione a causa delle sue disgrazie amorose.16 E la Ronce risponde prontamente con un altro sonetto, che figura nella stessa opera qualche pagina dopo, citando sempre il Tasso e le disavventure della sua vita.
A Monsieur Colletet
SONNET
Pour responce au Sonnet de la pag. 349
Toy qui fus eslevé par la docte Thalie
Qui te voulut monstrer ses secrets plus cachez
Ne croy pas que tes nœuds soient jamais detachez
Par les conseils mal-sains d’un Poëte d’Italie
Le mesme ennuy qui tient ton ame ensevelie
Rendit tant qu’il vescut ses esprits empeschez ;
Et les soulagements qui par toy sont cherchez,
Il les esprouva tous pour guerir sa folie.
Ne t’imagine pas, COLLETET, que ton cœur
Pût s’exempter des traits du petit Dieu vainqueur,
Il fut incessamment tourmenté de sa rage :
Et ne pren son conseil pour tes maux alleger,
Autrement je craindrois qu’on te vid en danger
Pensant gaigner le port, de faire un grand naufrage.17
Da cui si può desumere che il Tasso e la sua opera occupavano un posto importante negli interessi letterari del giovane la Ronce.
Come ne aveva già accennato anche l’Abbé Goujet, ogni canto del Renaud Amoureux è preceduto nella traduzione del Nostro da un Argument che è praticamente un riassunto delle avventure dell’eroe nel campo stesso. L’inizio dell’Argument del primo canto è, a nostro avviso, interessante perché descrive almeno in parte ciò che si può ammirare nella bellissima page de titre del volume. Qui, sopra le due figure centrali di Renaud a sinistra e Clarice a destra, che inquadrano il titolo, è riprodotta una scena boschereccia dove un Renaud in costume secentesco, con tanto di cappello piumato, arriva presso l’albero fronzuto cui è appesa un’armatura pronta per lui ed è legato il cavallo Baiardo che diventerà il suo fedele destriero nelle prossime avventure.
Renaud estant parti de la maison de sa mere, fait rencontre d’un cheval et d ‘une paire d’armes attachez à un arbre, il vest les armes, monte sur son cheval, et prend le chemin de la Forest des Ardennes, où il trouve Maugis18 desguisé en vieillard, lequel luy enseigne le moyen de dompter Bayard. Clarice arrive d’avanture dans la mesme forest, qui défie Renaud de combattre contre les Chevaliers ; il combat luy seul contr’eux tous, et en demeure vainqueur : puis l’ayant reconduite dans son chasteau, prend congé d’elle.19
Citiamo qui di seguito i primi versi della terza ottava del primo canto del Rinaldo a testimonianza di un’operazione di francisation del testo italiano che La Ronce aveva già onestamente annunciato sempre nello stesso Avertissement au Lecteur, il fatto cioè di aver cambiato la dedica al cardinale d’Este con quella al duca di Nevers, come pure di aver sostituito «des noms propres de quelques personnages illustres qui vivaient en Italie au temps de l’auteur, et qui excellaient en la Poésie, en la Peinture et en la Sculpture; en la place desquels il m’a semblé qu’il était plus à propos de mettre de nos Français, les plus renommés de notre siècle en ces divines sciences ;» piccolo peccato di sciovinismo che giustifica dicendo : «ayant opinion que leurs noms ne peuvent qu’ils ne plaisent davantage aux autres Français qui liront cette histoire (française maintenant de langage comme elle l’est d’extraction) que ne feraient les noms de ces étrangers, qui ne sont connus ici que de fort peu de personnes».20 I versi del Tasso, che si rivolge alla Musa della poesia, dicono : «Forse un giorno ardirai de’ chiari fregi / del gran Luigi Estense ornar mie carte», e vengono tradotti con la prosa molto più prolissa di La Ronce che si rivolge alle Muse (plurale) in questi termini: «Et si vous m’estes si liberales de vos graces, je pourray quelque jour avoir la hardiesse de prendre l’ornement de mes escrits, dans les loüanges et les honneurs que tout le monde doit au grand CHARLES DE GONZAGUE»21 La prolissità, accompagnata all’estrema cura di non trascurare alcun particolare del testo italiano, è una delle caratteristiche principali del testo francese, e si traduce in un appiattimento generale, difetto forse inevitabile di ogni versione in prosa. Ne abbiamo già la prova nella prima ottava del poema tassiano, in cui i felici versi di ispirazione chiaramente ariostesca non trovano riscontro nella pur diligente trascrizione del desiderio di gloria e degli errori del giovane Renaud.
Canto i felici affanni e i primi ardori
Che giovanetto ancor soffrì Rinaldo,
E come il trasse in perigliosi errori
Desir di gloria ed amoroso caldo,
Allor che, vinti dal gran Carlo, i Mori
Mostraro il cor più che le forze saldo;
E Troiano, Agolante e ‘l fiero Almonte
Restar pugnando uccisi in Aspramonte.22
Versi che così vengono tradotti nella prosa di La Ronce:
Je chante les glorieux travaux, et les premieres ardeurs, dont Renaud sentit les poignans éguillons durant la vigoureuse saison de son adolescence ; e comme une violente passion d’amour, avec un beau desir de gloire l’empestrerent dans de perilleuses erreurs, alors que les Mores vaincus par CHARLES LE GRAND , montrerent neantmoins avoir plus de courage dans leurs cœurs, qu’ils n’avoient de forces dans leur armée ; alors dis-je que la campagne d’Aspremont demeura teinte par le sang du fier Almont d’Agolant,et de Troyant, ainsi qu’ils faisoient admirer leur vaillance, au prejudice des Chrestiens esquadrons.23
Come è già stato detto, il motivo conduttore che sottende tutta l’opera tassiana è l’amore. Ma non il sentimento tragico e straziante che apparirà nella maturità del poeta, nella Gerusalemme Liberata. Come dice Mario Fubini, «l’amore, come sofferenza e strazio […] non compare nel Rinaldo: vi compare invece la commedia dell’amore, i volontari e gli involontari contrasti degli amanti, le disavventure, che sembrano tragedie e che si risolvono facilmente, gli sdegni e le paci. Tale è, in ciò che ha di poeticamente vitale, l’amore di Clarice e di Rinaldo».24 Perciò abbiamo scelto, a titolo di esempio, di esaminare più da vicino il primo incontro tra i due protagonisti, il momento magico in cui Rinaldo vede per la prima volta la «donzella accorta» che trafiggerà il suo cuore e lo incatenerà per sempre.25 Rinaldo avanza nel bosco incantato in sella al suo destriero e vede apparire dinanzi a lui una bellissima cerva bianca inseguita da una «disposta e vaga e snella giovinetta», che non esita a scoccare con precisione la freccia mortale nella spalla del povero animale. Ma ciò che Rinaldo ammira e lo fa sognare , oltre al «leggiadro, altero portamento» della donzella e al suo ricco abbigliamento, è la sua bellezza fisica, sulla cui descrizione il poeta indugia con esplicito compiacimento, scendendo dal crine, che in parte ondeggia al vento e in parte è stretto in nodi dorati, all’eburneo petto giù giù fino alla gamba e al piede che maliziosamente spuntano dalla seta vermiglia dell’abito.
Mira il leggiadro altero portamento
Rinaldo, e ‘nsieme il ricco abito eletto,
E vede il crin parte ondeggiar al vento,
Parte in aurati nodi avvolto e stretto;
E la vesta cui fregia oro ed argento,
Sotto la qual traspar l’eburneo petto,
Alzata alquanto discoprir a l’occhio
La gamba e ’l piede fin presso al ginocchio:
La gamba e ‘l piede, il cui candor traluce
Fuor per seta vermiglia a l’altrui vista.26
Ed ecco come questi incantevoli versi sono tradotti nella prosa del Sieur de La Ronche:
Le guerrier se mit à regarder fort attentivement la grace et le port altier de cette Dame, avec son agreable accoustrement, une partie de sa tresse dorée flottoit par ondes sur ses espaules, et sembloit se joüer avec les zephirs, et l’autre partie rendoit le chef accompagné, demeurant retenuë par des riches liens, qui paroissoient estre autant de rets, que l’amour avoit pris plaisir de tendre de sa propre main, afin que tous ceux qui en auroient la veuë, perdissent aussi tost la liberté : sa robe reluisoit comme le soleil, pour l’or, l’argent et les pierreries qui esclatoient dessus, à l’ouverture de laquelle, paroissoit dessus un delié lynomple27 deux petits tertres eslevez, à la blancheur desquels nulle autre blancheur ne pourroit estre comparée ; elle estoit assise en telle sorte que la robe un peu levée pardevant, la descouvroit jusques au genoüil, si bien que l’on luy voyoit à nud ses pieds et ses belles jambes, où le blanc et le vermeil sembloit debatre,lequel des deux se feroit le plus estimer.28
Due ottave più sotto il Tasso sottolinea la forza incantatrice della bellezza di Clarice con dei versi che richiamano esplicitamente alla memoria la Beatrice dantesca.
La vaga e chiara imago in cui risplende
De la beltà del ciel raggio amoroso,
Dolcemente per gli occhi al cor gli scende,
Con grande forza ed impeto nascoso;
Quivi il suo albergo lusingando prende.
Al fin con modo altero imperioso
Rapisce a forza il fren del core e ‘l regge,
Ad ogn’altro pensier ponendo legge.29
Traduzione di La Ronche:
L’image gracieuse de cette Dame, en laquelle eclatoit un rayon amoureux de la beauté du ciel, luy descendit tout doucement dans le cœur par la voye des yeux, et avec une agreable force, et une sourde impetuosité, le voulut retenir pour sa demeure, gaignant par flatterie tout ce qui pouvoit faire resistance, et à la fin se rendit maistre du cœur, d’une façon altiere et imperieuse, et voulant en avoir seul le gouvernement, il imposa ses loix sur toutes ses pensées.30
Si potrebbero moltiplicare gli esempi, ma già queste poche citazioni ci dicono chiaramente che il poema del Tasso, pur giudicato dalla critica solo una geniale esercitazione letteraria che troverà la pienezza della sua espressione nella maturità della Gerusalemme Liberata, già sa avvincere il lettore con delle immagini piene di un incanto fantastico, e con una abilità linguistica di straordinaria efficacia. Di contro, abbiamo la traduzione in prosa del Sieur de la Ronche, che si sforza di rendere la complessità della poetica tassiana con la minuzia diligente di una descrizione particolareggiata, una operazione di amplificatio retorica che non aumenta l’interesse per lo svolgimento dell’azione. La favola splendente dei personaggi del Tasso diventa un racconto scrupoloso e accurato di avventure tra il sentimentale e il guerresco, appunto un racconto in prosa, con i suoi limiti e le sue lentezze.
Note
↑ 1 Ch. Beall, La fortune du Tasse en France, University of Oregon, Oregon, 1942.
↑ 2 Nato a Ferrara nel 1538 e morto a Roma nel 1586, Luigi d’Este, figlio di Ercole II° e di Renata di Francia, è una strana figura di ecclesiastico: dotato di un’indole ribelle e sempre fortemente avverso all’idea di una vita religiosa, accettò comunque, cosa non rara nei costumi del tempo, la dignità cardinalizia offertagli da Pio IV° nel 1561. In realtà era molto più sensibile alla bellezza delle opere artistiche, come testimoniano il suo intervento per il completamento della villa d’Este a Tivoli e il palazzo dei Diamanti a Ferrara.
↑ 3 M. Scherberg, ed. critica del Rinaldo, Ravenna, Longo, 1990. Secondo Scherberg (Introduzione, p. 36), Rinaldo è ormai un eroe della Controriforma cattolica, in quanto la sua visione etica è perfettamente aderente alla morale dell’epoca, che si avviava ad abbandonare le gioiose avventure dei poemi cavallereschi per aderire all’ethos poetico di un secolo che presumeva la gravità di un impegno anche religioso e politico.
↑ 4 E. Bonora, Il Rinaldo, in Il Cinquecento. Storia della letteratura italiana, Milano, Garzanti, 1966, vol. IV, p. 736.
↑ 5 L’apparizione dell’Aminta nel 1580 viene accolta in Italia con grande entusiasmo, che si trasmette molto presto in Francia: nel 1584, solo quattro anni dopo l’edizione cremonese, Abel l’Angelier pubblica a Parigi questo piccolo capolavoro in lingua originale e nello stesso anno cominciano ad apparire le traduzioni in francese (la prima fu quella di Pierre de Brach: Aminte, fable boscagère prise de l’italien de Torquato Tasso, Bordeaux, 1585, in -4°). Nel 1595 appare la prima traduzione francese in versi della Gerusalemme Liberata ad opera di Jean Du Vignau: La Délivrance de Hiérusalem, a Parigi, editore Matthieu.
↑ 6 La Biblioteca Nazionale di Parigi possiede due esemplari dell’opera, uno a Tolbiac (cote YD-2508) e l’altro all’Arsenal (cote 8-BL-6872), datati 1620, con privilegi del 1619 per dieci anni.
↑ 7 Bibliothèque Françoise, t. VIII, p. 8.
↑ 8 Ch. Beall, op. cit., p. 73, aggiunge che il poema del Tasso è stato tradotto in versi da Menu de Chomorceau nel 1784, e da B. Cavellier nel 1813: « Ce sont les seules versions françaises que l’on connaisse ».
↑ 9 Paris, Cabinet du Livre, 1935.
↑ 10 Délices satyriques, riprodotto da L. Perceau nel Cabinet secret du Parnasse, sopra cit., p.51
↑ 11 Ibidem.
↑ 12 Le Cabinet satyrique, ou recueil parfait des vers piquants et gaillards de ce temps. Tiré des secrets cabinets des Sieurs de Sygognes, Regnier, Motin, Berthelot, Maynard et autres des plus signalez poètes de ce siècle.[ Noi abbiamo consultato un esemplare del 1864, conservato alla biblioteca Apice di Milano (A.F. AG.E. 903 1-2), s.l.n.d. (1864) 2 voll. In -8°. La prima ed. 1618; poi 1620; e ancora una detta “celle de Montpellier”, sans date.]
↑ 13 Abbiamo modernizzato la grafia per rendere più agevole le lettura.
↑ 14 Cabinet satyrique, vol. I°, p. 57: Gaillardise, Ny pour baiser ton bel œil ; p. 62 : Epigramme, On dit qu’Alix est arrogante ; p. 63 : Sonnet, Penses-tu, procureur, m’avoir faict desplaisir ; p. 84 : Epigramme par le Sieur de La Ronce, L’autre jour de ma Janneton ; p. 192 : Epigramme, Un viellard apprendre voulut. Vol. II°, p. 19 : Satyre sur le bas de soye d’un courtisan, Quoy ! d’en demeurer de la sorte ; p. 245 : Epitaphe du gros Martin, Cy gist le gros Martin ; ce n’est pas grand dommage ; p. 246: Epitaphe d’un poëte, Cy gist un poëte du temps ; p. 249 : Quatrain, Tu peux vivre content, sans redouter la Parque.
↑ 15 Cf. Chaudon et Delandine, Dictionnaire universel, historique, critique et bibliographique, Paris, Mame Frères, 9eed. 1810, t. VII, p. 514.
↑ 16 Désespoirs amoureux, p.349.
↑ 17 Ibidem, p. 414.
↑ 18 Maugis d’Aigremont, personaggio della chanson de geste dell’inizio del XIII° sec. Les quatre fils d’Aymon. E’ il mago che conquista il cavallo fatato Bayard e la spada magica Froberge, di cui in seguito fa dono al cugino Renaud de Montauban.
↑ 19 Argument, éd. Noël Pissot, 1724, f. 14.
↑ 20 Avertissement au Lecteur, stessa ed., f. 9-10.
↑ 21 Ibidem.
↑ 22 Rinaldo, ed. critica di M. Schergerg, cit., p. 63.
↑ 23 Renaud Amoureux, ed. cit., f. 15
↑ 24 M. Fubini, Il Rinaldo del Tasso, in “Leonardo”, giugno 1937- XV, p. 192.
↑ 25 Sono le ottave 52 e segg. del I° canto.
↑ 26 I° canto, ottave 54-55.
↑ 27 Lynomple, forma antica di linon, batista.
↑ 28 I° canto, ed. cit., f. 37.
↑ 29 Ottava 57.
↑ 30 I° canto, ed. cit., f. 38.