Publifarum n° 32 - Da dietro le sbarre: arte, letteratura e carcere dall'Ottocento a oggi

Introduzione

Elisa BRICCO, Roberto FRANCAVILLA, Laura QUERCIOLI, Raniero SPEELMAN


«Il carcere è una cosa orribile»
L’Ispettore Barnaby, serie XVI, episodio 2

In un momento della nostra storia contemporanea nel quale la metà della popolazione mondiale vive, seppure in maniere e misure molto diverse, la realtà della reclusione forzata, anche se a tempo determinato e per salvaguardare la propria salute, ovvero nella primavera del 2020, risulta essere ancora più comprensibile e condivisibile la semplice informazione riportata in exergo. Quanto espresso in questa sintetica frase ha guidato l’organizzazione di un grande incontro internazionale, coordinato dai responsabili del progetto di questo numero di Publifarum. Il convegno Da dietro le sbarre: arte letteratura e carcere dall’Ottocento a oggi si è svolto presso l’Università degli Studi di Genova dal 5 al 7 dicembre 2018, e gli articoli che qui presentiamo sono il frutto delle riflessioni intense di quelle giornate (con l’eccezione del contributo di Margareth Amatulli e della fotografa Barbara Cardini, a cui siamo grati anche per l’immagine presentata in copertina).

Il carcere, in tutte le sue svariate accezioni e modifiche, accompagna l’intera storia umana, e gli esempi qui riportati spaziano dal Seicento a oggi. La consapevolezza dell’inutilità della reclusione come pena sia dal punto di vista terapeutico, sia da quello redentivo, ovvero da quelli che sono, almeno nell’ambito della cultura occidentale, i due principi portanti dell’idea di reclusione a partire almeno dall’Ottocento, non ne ha sminuito l’utilizzo. Pur restando indiscutibile l’esigenza di separare alcuni individui, rendendoli almeno temporaneamente (e parzialmente) incapaci di nuocere alla società allargata, da un punto di vista formativo e morale il carcere è un’esperienza che si rivela generalmente inutile, se non distruttiva: tanto più in paesi come il nostro, dove è praticamente assente una progettazione della prospettiva di vita per il recluso, sia nel periodo trascorso “dietro le mura”, sia del seguente “fuori dalle mura”.

La consapevolezza “universale” e quella del singolo

Il nostro progetto prende spunto anche dalle indicazioni tratte da un recente volume sul carcere negli Stati Uniti, i cui curatori suggeriscono che i Prison studies hanno una ragione di esistere se forniscono idee o linee guida per l’attività nel carcere, per interagire e non soltanto per risvegliare nei lettori una maggiore consapevolezza sulle problematicità che affliggono «l’universo penitenziario».1 Sulla scia di questa indicazione, si è voluto tentare un raccordo – tanto con l’evento organizzato quanto con questa serie di saggi che ne sono il frutto – fra riflessioni e diversi apporti critici che permettessero di mettere in luce la complessa e sfaccettata realtà della prigione, dal punto di vista di coloro che la hanno vissuta in prima persona, perché incarcerati o perché implicati in progetti culturali ed educativi rivolti ai detenuti.

La prima sezione di questo volume è intitolata Il mondo come prigione (simboli-architetture-cambiamenti); e gli autori, nell’ambito delle singole specialità, presentano delle visioni ampie del significato culturale del carcere e delle sue complesse interazioni con il mondo “fuori dalle mura”. Alcuni di questi si pongono esplicitamente (anche) lo scopo auspicato da Bordin, Bosco e Cagliero: ovvero entrano in carcere per svolgervi un’azione educativa, ricreativa e comunque umanamente importante (si vedano in particolare i contributi di Luca Zevi e di Vito Minoia, ma anche le esperienze riportate da Margareth Amatulli e Elisa Bricco). Siamo certi d’altronde che la «maggiore consapevolezza» sia l’indispensabile base per un ripensamento del nostro atteggiamento verso questa istituzione.

I contributi sulla realtà fisica, architettonica e psicologica della realtà carceraria mirano a favorire la presa di coscienza attraverso la conoscenza delle singole esperienze e della capacità delle arti di farsene portatrici (si vedano i testi di Laura Quercioli, Luigia Lonardelli, Claudio Sarzotti, Emiliano Ilardi e Fabio Tarzia, Luca Fazzini, Luciana Coronel, Duccio Colombo). Una «maggiore consapevolezza» che nel panorama pubblico mondiale sembra, in questo periodo, tragicamente assente.

Come giustamente notato dall’ex senatore Luigi Manconi, una delle figure pubbliche italiane più strenuamente dedita alla difesa dei diritti umani e di quelli dei detenuti, ovvero di quegli esseri umani che di tali diritti sono spesso privi, «La sola voce dotata di autorità morale che richiami principi universali è quella di un leader religioso»,2 ovvero papa Bergoglio, una persona (e un capo di Stato) che, benché portavoce di una visione del mondo in teoria “universale”, è di questo “universale” rappresentante di una sola sua parte: il Papa parla per i cattolici, non per tutti gli esseri umani. Eppure, sembra che solamente partendo da una specificità sia possibile parlare a nome di “tutti”. Vale la pena dunque riprendere alcune delle affermazioni fatte da Papa Francesco nell’ormai psicologicamente lontanissimo novembre 2019, al XX Congresso mondiale dell'Associazione internazionale del diritto penale: «La sfida presente per ogni penalista è quella di contenere l'irrazionalità punitiva, che si manifesta, tra l'altro, in reclusioni di massa, affollamento e torture nelle prigioni, arbitrio e abusi delle forze di sicurezza, espansione dell'ambito della penalità, la criminalizzazione della protesta sociale, l'abuso della reclusione preventiva e il ripudio delle più elementari garanzie penali e processuali».3

La seconda parte del nostro volume è così dedicata ai “mondi” della prigione, ovvero alle singole testimonianze, anzitutto letterarie e memorialistiche, di scrittori che del carcere hanno avuto esperienza diretta (un’eccezione il testo di Yosukhe Taki su Samuel Beckett, un artista che, in maniera esemplare, ha saputo rappresentare la fondamentale “mancanza di senso” del carcere iscritta naturalmente nella sua opera). Dall’Ottocento a oggi, dal nord al sud del mondo, scrittori e pensatori hanno reso conto delle loro esperienze e dalle pieghe del singolo frangente hanno ricavato immagini universali, dal valore al contempo pienamente individuale e universale. Gli articoli ci introducono alle tragiche testimonianze dell’inglese Oscar Wilde (Maarten Asscher), degli italiani Giorgio Voghera e Bruno Piazza (Reinier Speelman), del tedesco Ernest Toller (Roberta Ascarelli), dell’angolano Luandino Vieira (Roberto Francavilla), del ceco Václav Havel (Marco Damonte), del russo Andrej Rubanov (Alessandro Curletto), dei serbi Branislav Nušić (Nada Savković) e Borislav Pekić (Persida Lazarevic): qualsiasi sia la latitudine di cui si raccontano le tragiche vicende della reclusione forzata, la condanna è unica – come anche la speranza nella fine di queste esperienze.

La reclusione può assumere varie tipologie; non è aliena ad alcuno stato moderno e si incontra nelle democrazie più aperte come nelle dittature meno tolleranti. Ovviamente, quelle che interesseranno la maggior parte dei lettori sono queste ultime, specialmente ove il regime penitenziario sia applicato per punire principi generalmente accettati quali la libertà di parola, di organizzazione politica e di condurre una vita affettiva, o come il rispetto della differenza etnica e di genere. Il Novecento è stato segnato da grandi tragedie che trascendono di gran lunga il carattere di episodio, e si basano appunto sulla prigionia: la Shoah e altri genocidi (dei quali ancora grandi paesi si macchiano), la repressione staliniana e il mondo dei GOuLAG, la rivoluzione culturale in Cina. Accanto a questi si affiancano casi di estensione in apparenza minore ma che comunque coinvolgono milioni di persone: regimi totalitari di ogni tipo, apartheid, conflitti razziali. La storia dell’Irlanda ad esempio, o di altre colonie, vittime di atti repressivi da parte di governi legittimi, ci indica purtroppo che le istituzioni talvolta cedono il controllo a “uomini forti”, o sono costrette a rinunciare al qualsiasi controllo sugli abusi.

L'ultima parte del volume raccoglie alcune testimonianze di progetti artistici o educativi svolti in carcere, a prova della concreta possibilità di una riformulazione dello spazio coatto come laboratorio culturale dove espressioni quale per esempio l’arte, la fotografia o il teatro possono costituire importanti linguaggi di emancipazione e di speranza, nonché materia per stimolare una progettualità collocata in un possibile futuro di libertà: sono i casi, nello specifico, dei progetti raccontati da Laura Staiano (sul Carcere di Ranza, San Gimignano) e da Marco Mucaria (sul carcere di Saluzzo). O infine il resoconto delle esperienze di scrittori come è il caso, assurto alla categoria di ambiguo culto, di Eduard Limonov raccontato da Giulia Baselica, o quello di Silvio Pellico (illustrato da Francesco De Nicola) – vero e proprio paradigma del genere –, che hanno saputo elevare la loro esperienza, pur costretta dalle contingenze e corredata dal vasto armamentario delle ripercussioni emotive, sentimentali e naturalmente politiche, ad autentico topos letterario. Che si tratti di emanazione istituzionale di una legittima autorità (come in teoria lo sarebbe un governo democraticamente eletto) o che sia la stretta del braccio violento di un regime autoritario, il carcere e la sua connessa natura coercitiva si costruiscono sempre e comunque a partire dall’esercizio del potere e dalla rigida impostazione, priva di porosità, del rapporto fra una soggettività egemonica e una subalterna. La punizione per non aver rispettato la norma (e dunque per essere transitati nel territorio dell’a-normale) per tradizione viene accolta dalla comunità come il “giusto” prezzo da pagare per ambire a un eventuale perdono e come tributo a un’entità più che mai metafisica e passibile di perverse declinazioni come è appunto l’umana giustizia, piegata a seconda delle necessità e troppo spesso da urgenze totalitarie.

Le testimonianze e i casi di studio analizzati in questi saggi, oltre a riflettere ampiamente sulla prassi e sulle conseguenze della reclusione, propongono implicitamente una revisione del dibattito intorno alle ragioni, all’esperienza e alle relative storicizzazioni dello spazio carcerario e del perenne stato d’eccezione che esso rappresenta, territorio liminale fra pratiche dell’autorità e umana pietas, fra strenui (e spesso creativi) meccanismi di resistenza e definitiva capitolazione.

Ringraziamo Barbara Cardini che ci ha gentilmente concesso l'utilizzo di una sua fotografia per la copertina del volume.


Note

↑ 1 E. BORDIN, S. BOSCO, R. CAGLIERO, «Introduzione», Iperstoria, XIV Fall / Winter - Autunno/ Inverno 2019, volume monografico, Bars and Stripes. The United States as penitentiary / Sbarre e strisce. Gli Stati Uniti come penitenziario, http://www.iperstoria.it/joomla/numeri/166-indice-numero-xiv-fall-2019.

↑ 2 L. MANCONI, Il Papa oltre le sbarre, “La Repubblica”, 28.11.2019, Online/.

↑ 3 Ibidem.

 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN 1824-7482