Carcere disciplinare moderno e immaginario collettivo: il giornalismo d’inchiesta di Henry Mayhew nella Londra vittoriana
Indice
1. Immagini e immaginario collettivo sul carcere disciplinare moderno
2. Henry Mayhew: il narratore della povertà nella Londra vittoriana
3. La scoperta del carcere disciplinare
4.1. Architettura penitenziaria e spazi interni
4.2. I protagonisti della vita detentiva: staff e internati
Abstract
Italiano | IngleseL’avvento del carcere disciplinare moderno ha reso l’esecuzione della pena una esperienza non conosciuta direttamente dalla generalità dei consociati come avveniva invece per le pene pubbliche delle società d’ancien régime. L’immaginario carcerario ha sostituito la visione diretta dell’esecuzione della pena. Partendo da tale presupposto, il saggio analizza i testi, e in particolare la produzione iconica, del volume illustrato The Criminal Prisons of London and Scenes of Prison Life pubblicato nel 1862 da Henry Mayhew, giornalista scrittore che con una pionieristica ricerca sociologica descrisse al pubblico della Londra vittoriana la nuova realtà delle carceri disciplinari cittadine. Tale analisi consente di apprezzare le novità dell’immaginario carcerario moderno rispetto all’antico modo di concepire la prigione come strumento per costringere i debitori ad adempiere alle loro obbligazioni o per disporre del corpo degli imputati nel corso dei processi inquisitori ali, o ancora come mero luogo di relegazione.
1. Immagini e immaginario collettivo sul carcere disciplinare moderno
Occorre partire da un assunto enunciato dalla cultrice di media studies Alison Griffiths in un originalissimo lavoro di ricostruzione storica della nascita dei prison movies negli Stati Uniti nei primi decenni del XX secolo. «Prison is a paradox: unknown to the wast maiority and yet resolutely imaginated through popular culture, what I called the carceral imaginary» (Griffiths 2016: 1). Come noto, il carcere disciplinare moderno è nato intorno ad un particolare dispositivo di visibilità progettato da Jeremy Bentham.
Il potere disciplinare si esercita rendendosi invisibile, e, al contrario, impone a coloro che sottomette un principio di visibilità obbligatoria. Nella disciplina sono i soggetti a dover essere visti. L’illuminazione assicura la presa del potere che si esercita su di loro. È il fatto di essere visto incessantemente, di poter sempre essere visto, che mantiene in soggezione l’individuo disciplinare (FOUCAULT 1976: 205).
Inoltre, questo dispositivo di potere produce una invisibilità verso l’esterno, ovvero sottrae l’istituzione carceraria allo sguardo del pubblico. Mentre nello splendore dei supplizi, il potere sovrano, per dispiegarsi nella pienezza dei suoi effetti terrorizzanti, aveva necessità di una platea estesa addirittura a donne e bambini, il potere disciplinare si occulta dietro le massicce mura dell’istituzione totale, creando allo stesso tempo un immaginario popolare che cerca di oltrepassare quella barriera materiale. Scompare dunque l’immagine della pena in luogo del suo immaginario. Ciò che non si può vedere direttamente si cerca di immaginarlo attraverso le rappresentazioni che di quel mondo sconosciuto offrono quegli attori sociali della modernità che, nel corso del XIX secolo, cominciano ad esercitare un ruolo egemone nella costruzione sociale della realtà: i mezzi di comunicazione di massa. Tali attori sociali faranno progressivamente un sempre più ampio uso delle immagini come strumento di informazione e, al tempo stesso, di attrazione del grande pubblico, sfruttando, con modalità comunicative sempre più sofisticate, la capacità delle immagini stesse di coinvolgere emotivamente quei larghi strati di lettori dell’epoca scarsamente acculturati e ancora piuttosto in difficoltà a muoversi con disinvoltura nella lettura di testi scritti. In altra sede, ho analizzato il fenomeno dell’emergere dei periodici popolari illustrati che, nei decenni a cavallo del Novecento, hanno utilizzato il tema della criminalità e della pena come efficacissimo strumento per catturare l’attenzione di un’opinione pubblica che si avviava a diventare “a suffragio universale”1.
Nel presente lavoro mi concentrerò invece sul tema dell’immagine del carcere disciplinare e della sua vita interna che è emersa nella seconda metà del XIX secolo distinguendosi da quella relativa alla prigione premoderna, ovvero una modalità di esecuzione penale risalente all’epoca medioevale2 che convisse per qualche decennio con il carcere disciplinare nella sanzione, riservata in massima parte ai reati politici, chiamata relegazione.
Nel far questo prenderò in esame una produzione di testi e di immagini che non fanno riferimento alla stampa popolare illustrata, ma ad una versione più sofisticata dell’attività giornalistica, che si avvicina per molti aspetti alla ricerca etnografica vera e propria, ovvero quella del giornalismo d’inchiesta. In particolare, cercherò di ricostruire alcuni aspetti dell’immaginario collettivo relativo al carcere disciplinare analizzando la produzione iconica del volume illustrato di Henry Mayhew (1812-1887) The Criminal Prisons of London and Scenes of Prison Life pubblicato nel 1862.3 Attraverso l’analisi di questa narrazione per immagini, nonché attraverso i testi che la accompagnano, sarà possibile apprezzare in che misura l’immaginario collettivo sul carcere disciplinare costituisca una novità rispetto a quello più antico sulla prigione che affonda le proprie radici in un’epoca in cui essa era considerata principalmente uno strumento per costringere i debitori ad adempiere alle loro obbligazioni o per disporre del corpo degli imputati nel corso dei processi inquisitoriali.
2. Henry Mayhew: il narratore della povertà nella Londra vittoriana
Il successo ottenuto dal libro di Mayhew appena citato mostra forse meglio di ogni altro elemento come il suo contenuto fosse all’epoca considerato originale e, al tempo stesso, in linea con gli interessi di un’opinione pubblica desiderosa di gettare uno sguardo su di una realtà quasi sconosciuta. Mayhew aveva utilizzato lo stesso schema narrativo per attirare l’attenzione del pubblico nei confronti di un tema affine a quello carcerario con la sua opera più famosa pubblicata nel 1851 in tre volumi4 e intitolata London Labour and the London Poor, nella quale il giornalista londinese si era posto l’obiettivo di documentare, attraverso l’osservazione diretta e interviste alle persone oggetto dell’inchiesta, la triste condizione della classi lavoratrici e dei gruppi marginali di una città che si era trasformata, nel breve volgere di qualche decennio, nella più grande metropoli allora esistente nel mondo occidentale. È significativo notare come anche in quel caso si trattasse di superare con lo sguardo del giornalista delle barriere non materiali, ma sociali. Alcuni quartieri periferici di Londra erano ormai diventati off limits per il lettore, borghese e moderatamente progressista, del quotidiano Morning Chronicle su cui Mayhew pubblicò gli articoli in seguito raccolti in volume5. L’impressione che si ricava dalla loro lettura è che lo scrittore descriva un universo sociale che, sebbene disti solo un paio di chilometri dai quartieri centrali benestanti della capitale inglese, sia quasi del tutto ignoto all’uditorio borghese a cui si rivolge. Il repentino sviluppo capitalistico privo di regole che non siano quelle che del liberismo economico più sfrenato hanno prodotto un’umanità che, pur conservando al proprio interno tratti di solidarietà e di dignità che Mayhew non manca di sottolineare, appare agli occhi delle classi proprietarie come un modello antropologico, per un verso, incivile ed inquietante e, per l’altro, attraente come solo il fascino dell’esotico sa essere. Le reazioni dei lettori borghesi dell’epoca confermano questa impressione. Lo scrittore inglese William Makepeace Tackeray (1811-1863), noto per i suoi romanzi Le memorie di Barry Lindon e La fiera della vanità, così recensiva il lavoro di Mayhew sulla rivista satirica Punch6:
Una immagine della vita umana così meravigliosa, così spaventosa, così pietosa e patetica, eccitante e terribile, che i lettori di romanzi devono riconoscere di non aver mai letto niente del genere, e che le sofferenze, le lotte, le strane avventure qui descritte vanno oltre qualunque cosa potessimo immaginare. (…) Ma, davvero voi confessate di non aver avuto alcuna idea di una simile straordinaria e composita miseria? No. Come dovreste? Voi e io … apparteniamo alle classi alte: finora non abbiamo avuto contatti con i poveri (cit. in M. COTONE 2012: xxxiv).
Mayhew offre, attraverso interviste e immagini tratti da dagherrotipi7, diversi ritratti individuali di questo contesto urbano. Come un entomologo, classifica i vari personaggi che abitano le strade di Londra: venditori delle merci più svariate, compratori e raccoglitori di oggetti destinati all’abbandono, artisti e uomini di spettacolo che offrono i loro talenti ai passanti, piccoli artigiani e lavoratori che prestano la loro opera nella pubblica via. Un caleidoscopio straordinario per la varietà delle attività e dei profili sociali di cui è composto, ma che sembra possedere come elemento unificante il nomadismo, il far parte di tribù erranti che sembrano sfuggire alla presa del modello antropologico dell’uomo borghese civilizzato. Attraverso tale approccio, Mayhew scrive uno dei ritratti più efficaci, nella sua sinteticità e nella sua penetrante capacità di osservazione, di come veniva percepita all’epoca la marginalità sociale e dunque quella popolazione per la quale era stato appena progettato il carcere disciplinare.
Il nomade dunque si distingue dall’uomo civilizzato per la propria ripugnanza verso un lavoro regolare e continuo; per la mancanza di previdenza nel predisporre riserve per il futuro; per l’incapacità di percepire conseguenze appena discoste dalla percezione immediata; per la passione verso erbe e radici stupefacenti e, quando è possibile, verso intossicanti liquori fermentati; per la capacità straordinaria di sopportare le privazioni; per la relativa insensibilità al dolore; per lo smodato amore per il gioco, che arriva a mettere a rischio la libertà personale per un solo lancio di dadi; per l’amore dei balli libidinosi; per il piacere che prova nell’assistere alla sofferenza di creature senzienti; per l’attrazione verso la guerra e gli sport pericolosi; per il desiderio di vendetta; per la labile concezione della proprietà; per l’assenza di castità fra le donne e il disprezzo per l’onore femminile; e, infine, per il vago senso della religione, per una rozza idea del Creatore e la totale assenza di qualunque apprezzamento per la grazia dello Spirito Divino (H. MAYHEW tr. it. 2012: 3).
Si tratta del ritratto in negativo del modello antropologico dell’individuo borghese che era andato a costituirsi a partire dal pensiero politico secentesco (cfr. per tutti P. COSTA, 1974) per diffondere il quale si stavano apprestando le varie istituzioni disciplinari, e non solo carcerarie, costruite secondo il modello panottico variamente declinato. Nella sua inchiesta sulla povertà, diversamente da quanto avverrà per il suo viaggio nel sistema penitenziario londinese, Mayhew adotta un metodo d’indagine “individualistico” teso a far emergere i vari tipi di umanità errante, in entrambi i sensi che il termine può assumere, cogliendo gli elementi costitutivi e peculiari del loro profilo socio-culturale ed economico. È stato acutamente osservato che attraverso l’uso dell’intervista individuale, e si potrebbe aggiungere di immagini che riproducono ritratti a figura intera di personaggi tipici del paesaggio delle strade londinesi, Mayhew abbia contribuito alla soggettivazione di vere e proprie identità devianti presenti nella subcultura della metropoli londinese, rendendole in tal modo accessibili all’intervento delle istituzioni disciplinari (cfr. A. TOLSON 1990). Vedremo che quando il giornalista inglese si accingerà a descrivere la realtà del mondo carcerario si occuperà di nuovo di tali identità, viste peraltro nella prospettiva dell’istituzione totale che deve tentare di renderle conformi al nuovo contesto socio-economico.
3. La scoperta del carcere disciplinare
La reazione del pubblico inglese al lavoro di Mayhew sul mondo carcerario non fu molto diversa da quella relativa al suo lavoro sui poveri di Londra, considerato che anche qui ci troviamo di fronte ad un contesto separato e quindi sconosciuto alla società dei benpensanti e del tutto nuovo per le modalità di esecuzione delle condanne della giustizia penale inglese. Tradizione che ben conosceva la relegazione per reati politici, la carcerazione per debiti o quella inquisitoriale, ma ben poco sapeva del nuovo modo di concepire la detenzione che aveva teorizzato Jeremy Bentham sul finire del XVIII secolo il dispositivo panottico adatto ad esercitare la sorveglianza su grande masse di individui.
It is scarcely necessary to point out the great contrast which the prisons of the present day present to those of the past century and the early part of the present. Formerly the only object in view was punishment, occasionally of the most careless leniency, and at other times of the most atrocious severity. Criminals were allowed to go on from crime to crime, and from bad to worse, until the police of the day thought them sufficiently advanced for promotion to the penal colonies, or to the gallows, which was ever crying out for fresh victims; prevention was unthought of, punishment was regarded as the only means of repressing crime. Modern philanthropy has pointed out the better and the cheaper course; it pleads that it is the duty of the State to see that the children of the poor should be taught the difference between right and wrong, and to take such measures with regard to crime that if its prevention be impossible, detection and punishment shall be almost a matter of certainty, not of chance (H. MAYHEW, 1862: Advertisement).
Alla casualità con cui si alternavano clemenza e atroce crudeltà nell’amministrazione della giustizia penale nelle società d’ancien régime occorre far subentrare la certezza della pena; al volto della giustizia sempre orientato al passato occorre sostituire uno sguardo che si rivolga al futuro in cui lo Stato si faccia carico della prevenzione del crimine, civilizzando quelle classi sociali diseredate che spesso non sono in grado di distinguere il bene dal male se abbandonate a se stesse. L’approccio filantropico non solo è più umano, ma anche quello più conveniente dal punto di vista economico e del mantenimento dell’ordine sociale.
Mayhew, nel descrivere la mappa londinese dell’amministrazione della giustizia, fa riferimento a tre tipi di “places of confinement”: le prigioni politiche o di Stato8, quelle private o per debitori9 e quelle propriamente penali che saranno oggetto della sua indagine (Id. 1852: 80). Queste ultime, che nel solo territorio londinese contano circa una dozzina di istituti, si suddividono ulteriormente in sottocategorie i cui confini talvolta non escludono sovrapposizioni, ma che possono essere, secondo Mayhew, distinte secondo il criterio che la detenzione avvenga prima o dopo la pronuncia di una condanna penale definitiva.
In questa sede non sarà possibile approfondire il commento e l’analisi della ricerca di Mayhew nei suoi innumerevoli aspetti che spaziano dalle teorie della scienza penitenziaria ottocentesca agli elementi più minuti delle pratiche organizzative adottate nella vita quotidiana dell’istituzione totale. Il tutto presentato attraverso interviste agli operatori penitenziari, dati statistici all’epoca non facilmente reperibili e in un linguaggio comprensibile anche ad un pubblico non esperto della materia. Mi limiterò, considerato l’obiettivo del presente saggio, ad analizzare il metodo attraverso il quale Mayhew presenta ai propri lettori aspetti probabilmente poco conosciuti del carcere disciplinare, utilizzando anche le immagini come importante ausilio comunicativo per rendere visibili le sue descrizioni delle pratiche dell’istituzione totale ed imprimerle con maggiore efficacia nella percezione della comunità dei suoi lettori. In particolare, mi concentrerò su quegli aspetti che si allontanano maggiormente dall’immaginario collettivo che l’opinione pubblica europea dell’epoca possedeva della prigione tradizionale. A tale scopo, dividerò l’analisi delle immagini in tre parti: le strutture architettoniche e gli spazi interni, i soggetti (staff e internati) che abitano tali spazi e le attività che vi si svolgono imperniate intorno ai tre cardini del lavoro, dell'istruzione scolastica e delle pratiche religiose.
4.1. Architettura penitenziaria e spazi interni
Come noto, il progetto del carcere disciplinare moderno è innanzitutto un progetto architettonico. Il funzionamento del dispositivo panottico, oltre a costituire un particolare regime di visibilità interna tra staff ed internati, deve poter contare su di una rigida separazione dall’esterno della società libera. Le carceri disciplinari assumono in tal modo la configurazione di cittadelle che, seppure collocate nel tessuto urbano, proclamano la loro autonomia rispetto alla società nel suo complesso. Si passa nel breve volgere di qualche decennio, per utilizzare il linguaggio foucaultiano, da un “cerimoniale di sovranità”, che ha necessità di essere celebrato pubblicamente nello splendore dei supplizi, alla “istituzione punitiva” che instaura un rapporto totalitario tra chi punisce e il condannato, “rapporto che rende non semplicemente inutile la dimensione di spettacolo: la esclude” (M. FOUCAULT 1976: 141)10. La disciplina, tecnica di coercizione sugli individui finalizzata a produrre abitudini comportamentali, ha necessità di un ambito riservato, separato dalle relazioni sociali che hanno condotto al crimine. Le istituzioni totali hanno bisogno di costruire confini ben delimitati con il loro ambiente esterno per poter mettere in atto le loro strategie di trattamento degli internati. Nel caso del carcere disciplinare tale autonomia va proclamata sia nei confronti della società in generale che nei confronti dell’amministrazione della giustizia penale.
Un funzionamento compatto del potere di punire: una presa in carico meticolosa del corpo e del tempo del colpevole, un inquadramento dei suoi gesti, delle sue condotte, per mezzo di un sistema d’autorità e di sapere; un’ortopedia concertata applicata ai colpevoli al fine di rieducarli individualmente; una gestione autonoma di questo potere che si isola altrettanto bene dal corpo sociale che dal potere giudiziario propriamente detto (M. FOUCAULT 1976: 142).
Se osserviamo l’apparato iconografico che accompagna la descrizione di Mayhew degli istituti penitenziari presenti nel territorio di Londra, notiamo immediatamente che quando si presentano gli aspetti generali di tali strutture architettoniche, tra l’altro non a caso minuziosamente descritte nelle loro planimetrie piuttosto originali per l’epoca, viene privilegiata la prospettiva aerea, il cd. bird’s-eye view. Sono di quegli anni le prime fotografie aeree e uno dei soggetti preferiti era costituito dalle immagini delle città viste dall’alto consentite dai voli in mongolfiera11. Altrettanto avviene per gli istituti penitenziari rispetto ai quali non troviamo ancora immagini tratte da fotografie12, ma da disegni e incisioni che adottano tale prospettiva. Vi è un’unica parziale eccezione nel caso del carcere femminile di Brixton (Figura n. 1), per il quale si presenta un’immagine tratta da una fotografia che peraltro non è effettuata con una vera e propria ripresa aerea, ma semplicemente da una posizione sopraelevata rispetto alla struttura carceraria rappresentata.
Questa immagine non è tuttavia interessante solo per il suo contenuto, ma anche per il fotografo che l’ha prodotta. Si tratta di Herbert Watkins (1828-1916), un altro dei personaggi decisivi per il diffondersi della fotografia nella cultura europea, in particolare nella sua collaborazione come ritrattista alla costruzione della figura pubblica di Charles Dickens13.
Tornando alle immagini aeree delle carceri londinesi, è possibile apprezzare come esse siano in grado di trasmettere al lettore l’idea dell’istituzione penitenziaria come un microcosmo separato dal resto della società e, allo stesso tempo, autosufficiente nella sua interna regolazione. In alcuni casi, viene privilegiata l’asettica descrizione delle strutture architettoniche tipiche degli istituti penitenziari ottocenteschi, le cui peculiarità risaltano molto efficacemente attraverso la prospettiva aerea. In altri, la cittadella carceraria è del tutto priva di personaggi umani, forse per meglio apprezzare la singolarità di progetti architettonici che si ispirano più o meno direttamente al modello panottico e a cui i cittadini inglesi dell’epoca non dovevano essere abituati non trovando parametri di comparazione in altri edifici pubblici. È il caso dell’immagine aerea del carcere di Millbank (Figura n. 2), tratta tra l’altro da un modellino probabilmente a scala ridotta che ne accentua il carattere artificiale, dove i sei settori detentivi a pianta pentagonale convergono in uno spazio centrale a forma esagonale dove è collocata la cappella per i riti religiosi.
Una eterogenea combinazione di precisione geometrica e di richiamo alla trascendenza che ben sintetizza la doppia anima di quell’ibrido sociale rappresentato dall’istituzione totale, “in parte comunità residenziale, in parte organizzazione formale” (E. GOFFMAN 1968: 42). Mayhew ricorda l’originaria ispirazione panottica del progetto architettonico di Millbank, iniziato nel 1813 e terminato nel 1821 (ID. 1862: 235 ss.), ma anche come tale modello, dovendo essere adattato alle pratiche di sorveglianza e alle esigenze di economicità, si fosse trasformato in un “gigantic puzzle” in cui si sovrappongono lo stile del manicomio a quello delle fortezze militari.
Una scelta iconografica leggermente diversa la troviamo nell’immagine dall’alto della Casa di correzione per donne e minori di Tothill, conosciuta anche col nome di Bridewell (Figura n. 3).
Si tratta di una struttura nata nel XVII come casa di ricovero per vagabondi e marginali di vario genere, convertita con una ampia ristrutturazione architettonica nel 1834. L’immagine mostra come il modello panottico potesse essere adattato a diverse funzioni custodiali. Vediamo, infatti, con una certa chiarezza, come il campo spaziale delimitato dalle mura perimetrali sia diviso in tre parti. Al momento dell’inaugurazione della nuova struttura, la Casa di correzione conteneva tre tipi di ospiti: condannati per debiti, condannati maschi a misure di sicurezza dopo aver scontato condanne brevi e detenute donne. Sono nel 1845 la struttura verrà riservata esclusivamente a queste ultime e ai condannati minori di 17 anni (cfr. H. MAYHEW 1862: 364 ss.). Nell’immagine della struttura non ci si limita a mostrare l’impianto radiale delle sezioni con sullo sfondo il giardino alberato sul quale affaccia l’elegante edificio del Governatore della Casa di correzione14, ma nei cortili fanno la loro comparsa minuscole figure che, come operose formichine, svolgono le attività previste dal carcere disciplinare: nella parte destra dell’immagine un gruppo di ragazzi in fila indiana esce dal reparto detentivo sotto la vigilanza di due guardie; nella parte sinistra, invece, è un gruppo di donne ad essere rappresentato allo stesso modo. Sono scene che come vedremo verranno rappresentate anche in modo più ravvicinato, ma qui rendono l’idea di un mondo separato che segue le sue regole sempre alla presenza di sorveglianti incaricati di farle rispettare.
Nell’immagine del carcere femminile di Brixton tratta dalla fotografia di Watkins che abbiamo già citato (Figura n. 1), possiamo notare che, quando viene privilegiata un punto di osservazione più prossimo alla vita detentiva, la scena si popola di personaggi che riprendono il frame narrativo polarizzato sulle relazioni tra staff e internati, mentre si perde l’attenzione alle particolarità dell’architettura penitenziaria. Sebbene l’istituto penitenziario di Brixton non si ispiri direttamente al modello panottico, la sua visione aerea mostra le caratteristiche costruttive tipiche dell’istituzione totale (Figura n. 4).
Watkins, invece, nella fotografia ritaglia lo spazio scenico in modo da far assomigliare l’immagine ad un quadro idilliaco e vagamente romantico tratto da un paesaggio di John Constable (1776-1837). Ponendo sulla sinistra in bella evidenza la chiesa dell’istituto penitenziario con le sue finestre ad arco a sesto acuto di ispirazione gotica e con sullo sfondo il campanile che si staglia su di un cielo dove uno stormo di uccelli prende il volo, la fotografia ha al suo focus in una dozzina di coppie di detenute che passeggiano tenendosi a braccetto ancora una volta con la presenza incombente di una guardia che impettito, con la sua uniforme impeccabile, sembra sorvegliare che tutto proceda per il meglio. È presente anche una donna che tiene per mano un bambino nell’immediato cospetto di una “matrona”, le guardie in versione femminile, che non si distingue nell’abbigliamento che per una diversa cuffia che indossa in capo15. Mayhew nel testo fa esplicito riferimento alla fotografia, e vedremo che questi rimandi tra testo ed immagine sono molto frequenti, sottolineando con compiacimento come essa sembri mostrare una piazza di mercato quando le massaie chiacchierano amabilmente nel fare la spesa e alcune di loro, a due a due, chiedono ai passanti fondi per i poveri per le strade della città tenendo il loro bambino per mano (cfr. ID., 1862: 185 ss.). Vediamo qui uno dei topoi della narrativa di Mayhew, il cui obiettivo sembra essere quello di descrivere al lettore la realtà del carcere disciplinare come molto diversa da quella dello stereotipo della prigione ancora prevalente nell’opinione pubblica dell’epoca, impressionata con ogni probabilità dagli inquietanti resoconti delle visite che John Howard aveva fatto conoscere al mondo con il suo The State of the Prison pubblicato nel 177716. Là dove regnavano disordine e promiscuità, arbitrio e prevaricazione, si stabilivano l’ordine e la disciplina, i dispositivi elaborati dalla scienza penitenziaria e le buone intenzioni dei filantropi.
E tale nuovo approccio all’esecuzione della pena a maggior ragione deve trasparire nell’organizzazione degli spazi interni. Molte immagini vengono dedicate alla rappresentazione sia degli ampi corridoi interni che delle singole celle. Sotto il primo profilo, il carcere di Pentonville è quello che viene particolarmente celebrato per la sua perfezione architettonica che lo rende comparabile alle costruzioni cittadine più innovative17. Si tratta di uno degli istituti più importanti della storia delle carceri britanniche, inaugurato nel 1842 come prigione modello ove attuare il modello filadelfiano del “separate system”, sebbene tale modello sia stato ben presto alquanto ridotto nella sua applicazione per i gravi danni che arrecava alla salute mentale e fisica degli internati18. Al di là dei regimi detentivi, che vengono accuratamente descritti da Mayhew attraverso interviste ad operatori e citazioni delle relazioni ispettive svolte da apposite commissioni di controllo, l’obiettivo del giornalista londinese è quello di presentare al lettore delle strutture che si sottraggono alla vista del cittadino comune, ma che possono rivaleggiare con quelle presenti nella città e che hanno suscitato l’ammirazione dell’opinione pubblica. Per il raggiungimento di tale obiettivo, immagine e testo narrativo procedono in parallelo rafforzandosi reciprocamente. Nella figura n. 5 troviamo l’immagine, tratta da un disegno effettuato in occasione di un rapporto del Supervisore Generale delle carceri, di uno dei grandi corridoi dell’istituto di Pentonville.
Il primo elemento che colpisce è relativo alla vastità degli spazi rappresentati, in particolare nella loro proiezione verticale ben evidenziata dalla proporzione con le figure umane che fanno la loro comparsa sulla scena in primo piano e sullo sfondo. La prospettiva del disegno, con la via di fuga dello sguardo del lettore che ha il suo punto di riferimento al fondo del corridoio, ne mette in evidenza la profondità e ricorda l’immagine della navata di una chiesa gotica. La minima presenza umana, per l’ennesima volta giocata sul binomio staff-internati, enfatizza l'imponenza della struttura architettonica, immensa macchina disciplinare che sembra poter funzionare anche in assenza dell’elemento umano, così come sottolinea la lettura foucaultiana del progetto panottico benthamiano.
Quando si passa al testo di accompagnamento, si può osservare come Mayhew utilizzi molte similitudini con edific ipresenti nella cultura popolare sia per quanto riguarda la struttura complessiva dell’istituto19, che per le sue caratteristiche interne.
To conceive the peculiar character of this building, the reader must imagine four long "wings", or "corridors", as they are officially styled, radiating from a centre, like the spokes in a half-wheel; or, what is better, a series of light and lofty tunnels, all diverging from one point, after the manner of the prongs in an open fan. Indeed, when we first entered the inner part of the prison, the lenghtly and high corridors, with their sky-light roofs, seemed to us like a bunch of Burlington Arcades, that had been fitted up in the style of the opera-box lobbies, with an infinity of little doors - these same doors being ranged, not only one after another, but one above another, three storeys high, till the walls of the arcades were pierced as thick with them as the tall and lengthy sides of a man-of-war with its hundred port-holes. Then there are narrow iron galleries stretching along in front of each of the upper floors, after the manner of lengthy balconies, and reaching from one end of the arcades to the other, whilst these are so light in their construction, that in the extreme length of the several wings they look almost like ledges jutting from the walls (H. MAYHEW 1862: 119).
Va segnalato qui un meccanismo narrativo che vedremo essere presente in altri luoghi dell’opera di Mayhew: vengono citate le Burlington Arcades, l’archetipo della galleria commerciale moderna, inaugurate a Londra nel 1819 e che diventarono ben presto la sede di ritrovo della aristocrazia cittadina anche per la massiccia presenza di locali eleganti e di negozi di lusso, tra l’altro sorvegliata da un apposito corpo di guardie chiamate Beadles. Paragonare un carcere ad una elegante galleria commerciale, o la stessa similitudine dei palchi di un teatro d’opera, doveva suscitare nel lettore dell’epoca uno shock informativo di non poco conto. Evidentemente qui Mayhew tenta in ogni modo di cancellare lo stereotipo delle vecchie prigioni avvalendosi di una similitudine che cerca di inscrivere la nuova istituzione in un altro orizzonte percettivo. Da questo punto di vista, è fondamentale la contrapposizione luce-tenebra che si delinea in un passo immediatamente successivo.
Nevertheless, it is not the long, arcade-like corridors, nor the opera-lobby-like series of doors, nor the lengthy balconies stretching along each gallery, nor the paddle-box-like bridges connecting the opposite sides of the arcade, that constitute the peculiar character of Pentonville prison. Its distinctive feature, on the contrary - the one that renders it utterly dissimilar from all other jails - is the extremely bright, and cheerful, and airy quality of the building; so that, with its long, light corridors, it strikes the mind, on first entering it, as a bit of the Crystal Palace, stripped of all its contents. There is none of the gloom, nor dungeon-like character of a jail appertaining to it; nor are there bolts and heavy locks to grate upon the ear at every turn; whilst even the windows are destitute of the proverbial prison-bars - the frames of these being made of iron, and the panes so small that they serve at once as safeguards and sashes. (H. MAYHEW 1862, 120)
Anche qui troviamo il riferimento ad un fiore all’occhiello della architettura cittadina come il Crystal Palace, faraonica e avveniristica costruzione eretta ad Hyde Park nel 1851 per ospitare la prima Esposizione Universale, conosciuta come uno dei primi esempi inglesi della cd. “architettura del ferro” che avrebbe furoreggiato in Europa nei decenni successivi. L’aspetto che viene maggiormente sottolineato dei nuovi modelli architettonici carcerari è relativo alla loro luminosità e leggerezza degli apparati di sicurezza, in contrapposizione alle tenebre e all’ossessiva presenza di catene e serrature delle vecchie prigioni. Il carcere disciplinare punta all’autodisciplina del condannato e alla sicurezza tramite gli stessi dispositivi architettonici di sorveglianza. Non sono più necessarie possenti mura, profondi fossati, luoghi inaccessibili per evitare il pericolo di fuga. E, al tempo stesso, il carcere disciplinare deve essere trasparente, controllabile dall’esterno, da figure ispettive così come dall’opinione pubblica. Emerge forse in questo aspetto la vecchia polemica illuminista nei confronti della segretezza e della impenetrabilità delle vecchie prigioni che aveva prodotto così tanti abusi e odiose discriminazioni nelle società d’ancien régime20.
E allo stesso modello detentivo devono adeguarsi le celle che ospitano i singoli detenuti che non sono più luoghi in cui essi vengono abbandonati a sé stessi o, al contrario, spazi semiprivati dove al recluso benestante è consentito di portare da casa mobili e suppellettili21, ma fanno parte a pieno titolo del progetto rieducativo che prevede l’isolamento assoluto come presupposto imprescindibile della disciplina22.
The cells distributed throughout this magnificent building are about the size of the interior of a large and roomy omnibus, but some feet higher, and they seem to those who are not doomed to dwell in them - apart from all the world whitout - really confortamble apartments. In such, however, as contain a loom (and a large number of the cells on the ground-floor are fitted with those instruments), there is not a superabundance of spare room. Nevertheless, there is sufficient capacity, as well as light, in each, to make the place seem to a free man a light, airy, and cheerful abode. Against the wall, on one side, is set the bright, copper hand-basin - not unlike a big funnel - with a tap of water immediately above it; at the extreme end of the cell is the small closet, well supplied whit water-pipes; and in another part you see the shaded gas-jet, whilst in one on the corners by the door are some two or three triangular shelves, where the prisoner's spoon, platter, mug, and soap-box & company are stowed. On the upper of these selves, the rolled-up hammock, with its bedding, stands on end, like a huge muff, and let into the wall on either side, some three feet from the ground, are two large bright eyelet holes, to which the hammock is slung at night, as shown in the engraving. (H. MAYHEW 1862: 120)
Come si evince dalla figura n. 6, lo spazio della cella può sembrare ampio se non si considera che gran parte di esso è occupato dal telaio per filare, strumento di lavoro che non deve mai abbandonare il recluso.
Ogni centimetro quadrato deve essere sfruttato al meglio per far sì che tutte le attività dell’individuo detenuto possano conchiudersi al suo interno. Vi è da notare che le celle nella maggior parte dei casi sono rappresentate senza alcun abitante; questo consente di concentrare l’attenzione della narrazione sulla struttura e sulle sue capacità di intervenire e di modificare atteggiamenti e comportamenti dell’internato. La novità del carcere disciplinare non sta in chi vi abita, ma in quell’inconsueto modo di governare la vita quotidiana degli individui che si instaura al suo interno.
4.2. I protagonisti della vita detentiva: staff e internati
Se è vero che occorre mostrare al lettore borghese le meraviglie dei nuovi dispositivi architettonici di controllo del carcere disciplinare, non occorre rinunciare alla descrizione degli individui che quei dispositivi fanno funzionare e a cui sono destinati. Anche sotto questo profilo Mayhew si mostra desideroso di superare gli stereotipi che circolano nell’opinione pubblica della sua epoca. Tali stereotipi non riguardavano solamente la popolazione reclusa, ma anche coloro che quella popolazione governavano. Le vecchie prigioni erano note non solo per le pessime condizioni di vita a cui venivano sottoposti i detenuti, ma anche per la corruzione e la crudeltà delle guardie. L’immagine pubblica di esse era inevitabilmente associata a quella del boia che sulla pubblica piazza infliggeva le peggiori sofferenze all’infelice suppliziato. Ed è proprio da tale immagine che Mayhew vuol prendere le distanze quando si accinge a descrivere il modello del sorvegliante del carcere disciplinare.
We remember once seeing an engraving that was intended for an ideal portrait of the common hangman, in which the hair was of the approved convict cut, whit a small villainous valance left dangling in front - the forehead as low as an ape's - the brow repulsively beetled and overhanging as eaves, whilst the sunken eyes were like miniature embrasures pregnant whit their black artillery. And yet, when we made the acquaintance of Calcraft, we found him bearing the impress of no such monster, but rather so “respectable” in his appearance, that on first beholding a gentleman in a broad brimmed hat and bushy iron gray hair, seated at the little table in the lobby of Newgate, with his hands, too, resting on the knob of his Malacca cane, we mistook him for some dissenting minister, who had come to offer consolation to one of the wretched inmates. The same violence, too, is done to our preconceived notion by the first sight of the jailer of the present day. The ideal leads us to picture such a functionary in our minds as a kind of human Cerberus - a creature that looks as surly and sullen as an officer of the Inquisition, and with a bunch of huge keys fastened to his waist, whose jangle, as he moves, reminds one of the clink of fetters. The reality, however, proves on acquaintance to be generally a gentleman with a half military air, who, so far from being characterized by any of the vulgar notions of the stern and cruel-minded prison-keeper, is usually marked by an almost tender consideration for those placed under his charge, and who is certainly prompted by the same desire that distingueshes all better-class people now-a-days, to ameliorate the condition of their unfortunate fellows (H. MAYHEW 1862: 118).
È interessante notare come in questo passo Mayhew evochi immediatamente l’immagine comune del boia per descrivere il pregiudizio che anch’egli dovette superare dopo aver incontrato qualcuno degli esponenti della nuova classe dei sorveglianti. Egli richiama una delle figure più popolari del boia nella storia della giustizia penale inglese, quel William Calcraft (1800-1879) che fu protagonista dal 1829 al 1868, anno in cui le condanne capitali col metodo dell’impiccagione non vennero più eseguite in pubblico, di circa 450 esecuzioni e la cui imperizia nel giustiziare rapidamente il condannato divenne oggetto di una ballata popolare23. Anche Calcraft in carne ed ossa, incontrato nel carcere di Newgate dove spesso egli si era “esibito” sul tetto dell’edificio a beneficio del pubblico londinese, non corrisponde per nulla all’immagine tetra e volgare che lo accomuna al condannato nella iconografia popolare. Quando a Pentonville Mayhew incontra un funzionario addetto alla custodia dei reclusi, lo stereotipo del Cerbero, con le chiavi il cui tintinnio richiama il sinistro rumore dei ceppi dell’Inquisizione, viene definitivamente superato. Il suo profilo austero lo vediamo nella parte sinistra della figura n. 7.
Nella descrizione che ci viene offerta da Mayhew si compenetrano molto bene gli elementi che costituiscono l’essenza del progetto disciplinare e gli uomini dello staff che lo devono incarnare: ad un aspetto severo, legato al profilo militare del sorvegliante, deve accompagnarsi quell’atteggiamento di “tender consideration” per le persone recluse che solo può consentire il loro miglioramento e la loro rieducazione. Riemerge qui l’eterna anima bifronte della cultura professionale paterna e materna degli operatori penitenziari24.
Questa ambivalenza dell’atteggiamento della guardia si estrinseca perfettamente nella sua attività di sorveglianza rispetto alle azioni del detenuto. Si tratta di una sorveglianza continua, meticolosa, che non deve lasciar spazio al minimo spiraglio di libertà da parte del recluso. Una sorveglianza che non è solamente finalizzata al rispetto severo della regola, ma anche a proteggere il detenuto da nefaste influenze esterne, dunque esercitata, in ultima istanza, per il suo stesso bene. In particolare, ciò vale per far rispettare il divieto di ogni comunicazione tra i reclusi, rispetto al quale si può parlare di una vera e propria ossessione preventiva. Vedremo infra che si arriverà al punto di mascherare i reclusi quando i detenuti devono radunarsi nei cortili per mantenere in attività il proprio fisico, ma sono le stesse strutture architettoniche ad essere finalizzate alla separazione dei reclusi e alla loro stretta sorveglianza da parte dello staff. Mayhew è affascinato ad esempio dalla cappella del carcere di Pentonville25 la cui struttura è raffigurata nell’immagine n. 8.
The chapel itself reminds one of moderately-sized music-hall, for it is merely a spacious room without either naves or aisles, or pillars, or galleries to give it a church-like character; and at the end facing the pulpit there is a series of seats rising one above the other, after the fashion of a lecture-room at an hospital or philosophical institution. These seats are divided off in the same manner as the pitt-stalls at a theatre, but in appareance they resemble a small box or pew rather than the imitation arm-chair peculiar to the orchestral “reserved seats”. Indeed, the reader has but to imagine the ordinary pews of a church to be arranged on an inclined plane, one above the other, rather than on a level floor, and to be each divided into a series of compartments just large enough to hold one person, to have a tolerably definite notion of the sittings in the chapel under the “separate system" at Pentonville (p. 162)
Viene qui ripreso il frame narrativo del richiamo a strutture architettoniche che il cittadino londinese di buona estrazione sociale ben conosce (in questo caso il teatro), per rendere più accessibile la descrizione di una realtà che appare, proprio attraverso questo confronto, in tutta la sua originalità. Si tratta, infatti, di un contesto in cui ogni soluzione logistica è finalizzata alla sorveglianza e al controllo che deve essere esercitato visivamente dalle guardie.
Another peculiarity of the Pentonville chapel consists in the raised and detached sittings appropriated to the warders, for as it is the duty of the officers attending service there to see that no attempts at intercommunication are made by the prisoners, it becomes necessary that they should be placed in such exalted positions throughout the chapel as to be able to look down into each separate stall near them. Accordingly, it will be observed on reference to the engraving, that two warders are placed on elevated seats immediately in front of the separate pews, and one at the end of each of the narrow galleries that stretch half along either side of the chapel (the farther extremity only of these being shown in the accompanying illustration), whilst to more warders occupy similarly raised stations immediately under the organ, so as to be able to survey the prisoners in the upper stalls (H. MAYHEW 1862: 162)
È importante sottolineare come Mayhew solleciti il lettore a cogliere alcuni particolari delle immagini che potrebbero sfuggire ad un esame superficiale. Il sacerdote officiante non compare nemmeno nella figura; la prospettiva si concentra esclusivamente sulla relazione visiva tra i sorveglianti, i cui sguardi indagatori sono proiettati verso la platea dei reclusi, e questi ultimi, i cui visi sono rivolti verso il punto dove dovrebbe trovarsi l’altare e si intravvedono appena nei loro angusti palchetti.
Rispetto a questa popolazione reclusa gli stereotipi e i pregiudizi da superare sono di natura diversa rispetto a quelli che abbiamo visto sussistere nei confronti dei sorveglianti. Tali pregiudizi non trovano la loro radice solamente nella cultura popolare, ma anche nelle nuove scienze dell’antropologia criminale che lombrosianamente tendono a identificare il reo attraverso il suo aspetto rozzo e primitivo. Quando i reclusi si tolgono le maschere emerge una fisiognomica molto più varia e meno inquietante.
Nor are the heads there assembled such as physognomical or phrenological prejudice would lead one to anticipate, for now that the mask-caps are off we see features and crania every possible form and expression - almost from the best type down to the very lowest. True, as we have said, there is scarcely one bald head to be observed, and only remarkable men with gray, or rather silver, hair - the latter, however, being extraordinary exceptions to the rule, and coming from a very different class from the ordinary convict stock. Nevertheless, the general run of the countenances and skulls assembled in Pentonville Chapel are far from being of that brutal or semi-idiotic character, such as caricaturists love to picture as connected with the criminal race. Some of the convicts, indeed, have a frank a positively ingenous look, whilst a few are certainly remarkable for the coarse and rudely-moulded features - the high cheek-bones and prognathous mouths - that are often associated with the hard-bred portion of our people. Still it has been noticed by others, who have had far better opportunities of judging than ourselves, that the old convict head of the last century has disappeared from our prisons and hulks; and certainly, out of the 270 odd faces that one sees assembled at Pentonville chapel, there is hardly one that bears the least resemblance to the vulgar baboon-like types that unobservant artists still depict as representative of the convict character (H. MAYHEW 1862: 163).
Le persone recluse dunque non devono essere trasformate in caricature. Così come nella sua indagine sulla povertà Mayhew aveva cercato di evidenziare delle storie individuali che rappresentavano dei tipi sociali, qui egli tenta di dare conto della complessità del mondo dei reclusi criticando gli stereotipi creati dalle scienze penitenziarie dell’epoca, anche se questo suo intento si scontra con l’impossibilità di comunicare direttamente con le persone recluse. Limite della sua inchiesta che vedremo influenzare anche la sua capacità di misurare gli effetti del carcere disciplinare sui percorsi esistenziali delle persone recluse.
4.3. Le attività all’interno dello spazio carcerario
Mayhew non si limita ovviamente a delineare i contorni degli attori che si muovono all’interno dello spazio del carcere disciplinare, ma ne esplora la vita quotidiana nelle attività che vi si susseguono nel corso della giornata. Egli è interessato a misurare gli effetti sui detenuti delle attività che la scienza penitenziaria ha elaborato e per far questo torna più volte a visitare gli stessi istituti, a scrutare nei gesti e sui volti dei reclusi le tracce del controllo disciplinare26.
Strange and interesting as are the scenes witnessed at the Model Prison on a week day, nevertheless the strangest and most interesting of all the sights is the performance of divine service on the Sabbath. Nor do we say this after one solitary visit, for being anxious to watch the effect of prayers on the convicts at this institution, we made a point of attending service in the chapel on several occasions, so that we might speak from no single observation of the ceremony (H. MAYHEW 1862: 162).
Mayhew si mostra commosso nel vedere quella massa di uomini che sembrano testimoniare con il loro atteggiamento grande devozione, recitano con partecipazione le preghiere e ascoltano attenti il sermone del sacerdote. “We are not ashamed to confess, so far touched our heart that the tears filled our eyes, and choked the most devout ‘Amen’ we ever uttered in all our life” (p. 165). Qualche pagina dopo, tuttavia, si interrogherà se quella devozione non sia che un artificio, una mera maschera indossata “for the sake of cajoling the chaplain out of a ‘ticket-of-leave’ long before the expiration of their sentence” (p. 169). E in questo Mayhew si mostra molto acuto nel sollevare una questione ancora oggi presente, in quanto connaturata alle dinamiche relazionali tra staff e internati delle istituzioni totali.
Più ancora che alle pratiche religiose, come noto, le pratiche disciplinari del carcere moderno riguardano lavoro ed educazione scolastica. Entrambe queste attività sono ampiamente illustrate attraverso immagini che mostrano molto chiaramente l’affinità del carcere disciplinare con istituzioni totali “cugine” come la fabbrica e la scuola. Lo stesso Mayhew sembra esserne consapevole quando, ad esempio, descrive la scena di un laboratorio sartoriale presso la prigione di Coldbath Fields, conosciuta anche come Middlesex House of Correction, che troviamo rappresentata nella figura n. 9.
When a prisoner is brought to the House of Correction, he has the option given him - provided he was not sentenced to hard labour - of picking oakum or working at a trade. Through this arrangement the establishment boasts of a numerous staff of tailors and shoemakers, who have a large room, as big as a factory-floor, given up to them, where, under the inspection of three officers, 160 of them pass the day, making and repairing clothing and boots and shoes. After the depressing sight of the tread-wheel yards and the shot-drill, it is quite refreshing to enter this immense workshop, and see the men employing their time at an occupation that is useful, and (judging from the countenances of the men) neither over-fatiguing nor degrading. One entire side of this workshop is occupied by a raised platform, on which are seated a crowd of tailors, all with their shoes off, and cross-legged, like so many Turks. Tall rows of gas-lights stand up amongst them, most of which are, now that it is summer-time, serving as convenient places for hanging thick skeins of thread upon, or as pegs to support some unfinished work. The men have a certain grade in their work, beginning with repairing the clothes of their fellow-prisoners, then passing to the making of new suits of gray and blue for the future arrival, and at lenght reaching the proud climax of working upon the cloth uniforms of the officers. When there is a lack of employement, some of the younger hands are set to work at shirt-making (H. MAYHEW, 1862: 313).
Il recluso al lavoro, strettamente sorvegliato dalle onnipresenti guardie che fanno osservare la regola del silenzio27, non pare discostarsi alcunché nell’aspetto e nella gestualità dall’operaio “libero” che nelle fabbriche dell’epoca cominciava a sperimentare il rigido modello organizzativo industriale. Curvi e intenti nella loro opera, ripetitiva e standardizzata, anch’essi sono rigidamente inquadrati nella gerarchia aziendale che li classifica secondo la loro abilità professionale. In carcere vi è un surplus di afflittività nel lavoro che sembra essere legato, tuttavia, non a condizioni lavorative più dure, quanto da una pena del contrappasso che vede i reclusi lavorare per i loro aguzzini fabbricando i loro abiti, sino ad arrivare alle uniformi degli ufficiali28. Mayhew si compiace dell’autonomia con cui i reclusi lavorano e dal loro grado di soddisfazione nell’effettuare mansioni non degradanti ed utili. È evidente qui la polemica che emerge per l’ennesima volta nei confronti delle antiche prigioni, in cui il lavoro aveva una funzione meramente afflittiva, un obbligo punitivo attraverso il quale l’istituzione umiliava il condannato e ne neutralizzava i propositi di resistenza. Nella stessa casa di correzione di Coldbath, il giornalista londinese aveva potuto assistere ad una pratica che sembrava essere sopravvissuta a tale epoca oscura, a dimostrazione, tra l’altro, di quanto fosse difficile realizzare un’istituzione totale del tutto priva di elementi disumanizzanti e insensatamente afflittiva. Si tratta della nota pratica del tread-wheel che vediamo fotografata da Watkins nella figura n. 10.
Those who have never visited a correctional prison can have but a vague notion of a tread-wheel. The one we first inspected at Coldbath Fields was erected on the roof of the large, cuddy-like room where the men take their meals. The entire lenght of the apparatus was divided into twenty-four compartments, each something less than two feet wide, and separated from one another by high wooden partitions, which gave them somewhat of the appearance of the stalls at a public urinal. The boards at the back of these compartments reach to whitin four feet of the bottom, and through the unboarded space protrudes the barrel of the wheel, striped with the steps, which are like narrow "floats" to a long paddle-wheel. When the prisoners has mounted to his place on the topmost step of the wheel, he has the same appearance as if he were standing on the upper side of a huge garden-roller, and somewhat resembles the acrobat we have seen at a circus, perched on the cask that he causes to revolve under his feet. All the men work with their backs toward the warder, supporting themselves by a hand-rail fixed to the boards at the back of each compartment, and they move their legs as if they were mounting a flight of stairs; but with this difference, that instead of their ascending, the steps pass from under them, and, as one of the officers remarked, it is this peculiarity which causes the labour to be so tiring, owing to the want of a firm tread. The sight of the prisoners on the wheel suggested to us the idea of a number of squirrels working outside rather than inside the barrels of their cages (H. MAYHEW 1862: 303-304).
L’aspetto disumanizzante della pratica è ben sintetizzato nell’immagine del roditore che fa girare a vuoto la ruota nella sua gabbia. La promiscuità dei corpi dei reclusi, assembrati in una pratica degradante che richiama l’immagine di un orinatoio pubblico, è ulteriormente segnata dai numeri che contraddistinguono le postazioni di camminamento affiancate, nelle quali i detenuti si affaticano in un movimento fine a sé stesso e ripetitivo come salire su di una scala che scorre sotto i propri piedi: ci si muove, quindi, per rimanere sempre allo stesso posto. Mayhew sottolinea più volte come persistano nel carcere disciplinare pratiche tipiche delle vecchie prigioni, apparentemente insensate per una pena che voglia rieducare il condannato preservandone l’umanità. In un altro luogo del suo testo emerge questa critica al sistema penitenziario: si tratta della pratica chiamata “rope-walk”, osservata presso l’istituto di Pentonville che vediamo rappresentata nella figura n. 11.
Moreover, each of the prisoners is not only clad alike - and brown as so many bees pouring from the countless cells of a hive - but every one wears a peculiar brown cloth cap, and the peak of this (which is also of cloth) hangs so low down as to cover the face like a mask, the eyes alone of the individual appearing throught the two holes cut in the front, and seeming almost like phosphoric lights shining through the sockets of a skull. This gives to the prisoners a half-spectral look, and though they have hardly the same hideous appearance as the diver at the Polytechnic, with his big hydrocephalous head and glass-window eyes, nevertheless the costume of the men seems like the outward vestment to some wandering soul rather than that of a human being; for the eyes, glistening through the apertures in the mask, give one the notion of a spirit peeping out behind it, so that there is something positively terrible in the idea that these are men whose crimes have caused their very features to be hidden from the world. It is strange, too, how different the convicts look under such circumstances from the ordinary coarse-featured men seen in the chapel; for at Pentonville the screening of the faces gives a kind of tragic solemnity to the figures, and thus there appears to be nothing vulgar not brutal about them. We are here speaking of first impressions only, for after a time, when the spectral sentiment has worn off, the imposition of these same masks - though originally designed, it must be confessed, with every kindness and consideration to the prisoners, in order that their faces might not be seen in their shame - cannot but be regarded as a piece of wretched frippery, ans as idle in use as they are theatrical in character; for the men at the “Model” being all destined either for transportation abroad, or for labour at the public works at home, where no such masquerading is indulged in, it becomes positively silly to impose such a costume on the prisoners as a means of preventing recognition in after life, since all such restraints are removed during the latter part of their punishment (H. MAYHEW 1862: 141).
In una macabra parodia della Ronda dei prigionieri di Van Gogh, i detenuti, allineati per mano ad una lunga corda, passeggiano avanti e indietro in un cortile. Mayhew ricorre ancora una volta ad un’immagine che probabilmente aveva colpito l’opinione pubblica londinese di quegli anni: le prime immersioni effettuate con maschere che consentivano la respirazione subacquea (cfr. H.F. HUANG 2015: 115). Il loro aspetto spettrale stride con quello mansueto e contrito che gli stessi reclusi avevano messo in mostra durante le funzioni religiose nella cappella dell’istituto. Ma ciò che colpisce il giornalista è l’insensatezza di questa pratica, la sua totale inutilità nella prospettiva di evitare il contagio del crimine. Quegli stessi reclusi verranno, nell’ultimo periodo della loro pena, esentati dalla pratica del rope-walk e potranno agevolmente fare conoscenza e, magari, cominciare a progettare piani criminali in attesa dell’imminente scarcerazione. Qui Mayhew sembra intuire come le dinamiche dell’istituzione totale non siano descrivibili facendo riferimento solo al quadro formale dei loro obiettivi istituzionali e come tali pratiche disumanizzanti facciano parte di quei rituali di degradazione che sono indispensabili per il funzionamento dei dispositivi del potere disciplinare.
Anche le attività carcerarie apparentemente più riabilitanti non si sottraggono ad esse. Nella figura n. 12 vediamo riprodotta la scena di una lezione scolastica presso la casa di correzione per minorenni di Tothill.
Mayhew sottolinea come l’aula abbia un aspetto del tutto simile a quello che si potrebbe trovare in una qualunque scuola collocata all’esterno del carcere.
The school-room we found to be situate opposite to the tailors' shop, and it had the true academical fittings.There were the ordinary long, narrow desks, with the sloping ledge, hardly wider than that of a pew, and pierced at intervals with holes, for ink-stands, that reminded one of the miniature flower-pots for dwarf plants. Then the walls were stuck all over with black boards covered with Scripture texts, as, for instance:
I WILL ARISE, AND GO TO MY FATHER,
AND SAY UNTO HIM, FATHER, I HAVE SINNED
AGAINST HEAVEN, AND BEFORE THEE.”
“BOAST NOT THYSELF OF TO-MORROW,
FOR THOU KNOWEST NOT WHAT A DAY
MAY BRING FORTH.
On the opposite wall hung some long strips of boards, with Roman numerals upon them, and the alphabet in different characters, as well as the Multiplication Table, and sheets of lessons in large type; whilst against the end of the room, near the door, were large maps, and a book-case, with the warder's high desk just in front of it (H. MAYHEW 1862: 429).
Nella scuola in carcere troviamo, dunque, obiettivi didattici che vanno oltre lo sviluppo delle capacità intellettive degli scolari-reclusi, ma si tingono di finalità religiose e moraleggianti che rieccheggiano i racconti del Cuore deamicisiano29. Quando, tuttavia, Mayhew descrive lo svolgimento delle lezioni vediamo emergere una realtà che porta i segni di quella povertà, non solo economica ma anche culturale, che egli aveva denunciato all’opinone pubblica inglese andando ad intervistare i ragazzini di strada dei quartieri periferici di Londra.
At the time of our entry, the warder schoolmaster was earing the boys read from the Bible, the class standing in a line near the wall, each with a book in his hand. At the opposite end of the school-room was another detachment of lads, stammering over one of the large printed sheet which a second warder held in his hand. Some of the lads read quickl, and others boggled sadly over the words, as, for instance, “And into whatsever ‘ouse ye enter,” – “Look at it, boy! don't you see there's an h to the word?” cries the warder.) “And into whatsever house ye enter fust,” - (“How often am I to tell you that there’s no such word as fust? Spell it”) – “f-i-r-s-t”, proceeds the lad, “say ye, peace be unto this ‘ouse,” - (“What! ‘ouse again?”) – “house”, quickly adds the youngster. (…) At the other end of the room the lads were making even greater havoc with the words; and though the lesson consisted of simple monosyllables, such as “The old man must be led by the hand, or he may fall into the deep pit,” one half of the big boys, even those of sixteen, were unable to accomplish the task (H. MAYHEW 1862: 430).
Si sta compiendo in quegli anni quel fenomeno epocale che Walter J. Ong (1982) ha descritto come il passaggio da una forma di organizzazione del pensiero di tipo orale ad uno stile cognitivo che avrebbe fatto della scrittura lo strumento privilegiato di analisi e di comunicazione della realtà non più esclusivamente riservato alle classi sociali più elevate. L’istituzione carceraria rappresenta in modo paradigmatico l’ambivalenza di questo processo storico. Per un verso, quei ragazzini che avevano difficoltà a sillabare e a scrivere correttamente semplici frasi e termini di uso comune avrebbero forse tratto da quegli insegnamenti, così rudamente impartiti, il bagaglio culturale per arricchire la propria coscienza e assumere consapevolezza del loro status di cittadini. Per altro verso, tuttavia, quella nuova tecnologia della parola, non a caso diffusa ed imposta attraverso le istituzioni totali moderne30, avrebbe trasformato il modo stesso di esercitare il potere, sviluppando nuove strategie di controllo sociale in grado di superare le resistenze che la cultura popolare di tipo orale poneva al pieno dispiegarsi dell’incipiente società industriale di stampo capitalistico. Gran parte di quei ragazzini avrebbero dunque imparato a scrivere e a far di conto come presupposto necessario per diventare obbedienti produttori, e in seguito anche consumatori, del grande mercato capitalistico.
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Note
↑ 1 In particolare, ho analizzato la costruzione mediatica prodotta dai primi periodici illustrati del fenomeno di devianza minorile legato alle bande giovanili denominate Apaches nella Francia della Belle Époque (cfr. C. SARZOTTI, E. PETTITI, 2019).
↑ 2 Fenomeno, sino a qualche anno fa, molto poco studiato dagli storici della penalità, ma che è stato invece ben analizzato nella sua specificità e nei suoi sorprendenti aspetti precorritori della detenzione disciplinare a partire dal lavoro di G. GELTNER (2012).
↑ 3 Molte delle immagini del volume di Mayhew sono state utilizzate per i video e i pannelli espositivi dell’allestimento del Museo della memoria carceraria di Saluzzo che ho avuto l'opportunità di curare personalmente. Cfr. Disponibile online e C. SARZOTTI (2013).
↑ 4 Nel 1861 se ne sarebbe aggiunto un quarto, scritto con Bracebridge Hemyng, John Binny e Andrew Halliday,dedicato alla vita di prostitute, ladri e mendicanti che avrebbe fatto da prologo a quello sul tema carcerario. Tale lavoro complessivo è stato tradotto anche in italiano, peraltro in una versione non integrale, a cura di Mauro Cotone (2012).
↑ 5 Gli articoli raccolti erano compresi nel periodo che va dall’ottobre 1849 al dicembre 1850 quando nella capitale inglese scoppiò una terribile epidemia di colera che oltre a mietere centinaia di vittime pose in seria discussione l’assetto socio-urbanistico della comunità cittadina (cfr. E. P. THOMPSON 1967: 43 ss.).
↑ 6 Una delle prime e più rilevanti riviste settimanali inglesi, fondata proprio da Mayhew nel 1841, e che fu tra le prime ad utilizzare le immagini satiriche (i cd. cartoon) per attrarre l’attenzione del grande pubblico (cfr. T.M. KEMNITZ 1973).
↑ 7 In questo primo lavoro sulla povertà a Londra gran parte delle 98 immagini che accompagnano i testi scritti sono tratte dai dagherrotipi di Richard Beard (1801-1885) che fondò nel 1841, a soli due anni dalla presentazione al pubblico della nuovo tecnica di riproduzione delle immagini da parte di Louis Daguerre (1787-1851), il primo gabinetto fotografico in Europa, acquistando per l’Inghilterra i diritti di elaborazione del processo di sviluppo.
↑ 8 Mayhew cita, a tal proposito, la mitica Torre di Londra e la cella di sicurezza della Camera dei Comuni.
↑ 9 Pratica non propriamente penale non ancora abbandonata e che veniva lasciata ai privati attraverso le cd. sponging-houses dove il riferimento al termine spugna si riferiva proprio allo “strizzare” il debitore sino ad ottenere l’adempimento del credito dovuto.
↑ 10 Come noto, nella lettura focaultiana del passaggio alla penalità moderna esiste un terzo dispositivo di potere, proposto dai giuristi riformatori, chiamato della “città punitiva” nella cui prospettiva “la punizione è una procedura per riqualificare gli individui come soggetti di diritto” (Id. 1976: 140 ss.) e che utilizza le rappresentazioni legate alla dimensione giuridica. Dispositivo, secondo Foucault, che sebbene presente nella dinamica storica, perderà via via peso rispetto a quello disciplinare.
↑ 11 Le prime e le più celebri immagini di questo genere vennero effettuate a Parigi nel 1858 dal fotografo francese Gaspar Felix Tournachon, detto Nadar (1820-1910), volando appunto su di una mongolfiera.
↑ 12 Questo evidentemente perché il lavoro di Mayhew è stato pubblicato troppo a ridosso della scoperta di Nadar, in un periodo in cui le prime fotografie con la prospettiva aerea non erano ancora praticabili su larga scala.
↑ 13 Per la ricostruzione dei rapporti tra i due e per la biografia di Watkins, cfr. L. LITVACK, 2017.
↑ 14 Giardino e residenza fotografate, tra l’altro, da Watkins in una immagine pubblicata a p. 366 del volume di Mayhew.
↑ 15 Mayhew descrive con cura l’abito delle matrone a seconda dei vari gradi gerarchici (Id. 1862: 178) e utilizza una fotografia di Watkins per mostrare ai suoi lettori quella della matrona principale (cfr. Figura n. 7, personaggio a destra). Il tema degli abiti indossati da staff e internati è un aspetto su cui Mayhew ritorna spesso, avendo ben chiaro come il regolare l’aspetto esteriore, sia dei componenti lo staff che dei reclusi, sia una strategia fondamentale per il lavoro sull’identità dei soggettimesso in opera dall’istituzione totale.
↑ 16 Il successo di pubblico dell’opera di Howard fu enorme e lo stesso Mayhew lo cita molto spesso per testimoniare lo stato deplorevole delle vecchie prigioni e come esso sia stato superato con i nuovi istituti disciplinari (cfr. ad es. H. MAYHEW 1862: 97 ss.).
↑ 17 L’elogio alla struttura di Pentonville emerge anche in comparazione con altri istituti più rozzi e meno perfezionati nell’arte della scienza penitenziaria. “There is but little architectural or engineeting skill to be noticed in the building of Brixton, after the eyes has been accostumated to the comparative elegance and scientific refinement visible in the arrangements of Pentonville” (H. MAYEW 1862: 179).
↑ 18 I danni collaterali prodotti da questo tipo di isolamento detentivo sono uno degli aspetti su cui Mayhew si sofferma maggiormente, descrivendo anche come l’amministrazione penitenziaria ha cercato di far fronte a questi inconvenienti (cfr. ad esempio Id. 1862: 115).
↑ 19 Che viene, tra l’altro, anch’essa riprodotta nella prospettiva aerea utilizzando un altro disegno del Supervisore Generale delle carceri che troviamo a pagina 116 dell’opera di Mayhew.
↑ 20 Per la ricostruzione di tale dibattito nell’ambito dell’area francese e in particolare sul tema della detenzione politica, cfr. J. C. VIMONT 1993: 11 ss. Polemica che ebbe la sua massima diffusione nel periodo prerivoluzionario, ma che venne ripresa qualche anno dopo, in seguito alla degenerazione giacobina dell’epoca del Terrore da coloro che ne stigmatizzarono la deriva sanguinaria.
↑ 21 Era questo, come noto, uno dei privilegi di cui potevano godere i reclusi alla relegazione in molti ordinamenti penitenziari. Per la situazione francese, cfr. J. C. VIMONT 1993.
↑ 22 Come noto, il dibattito tra modello filadelfiano e modello auburniano era relativo alle attività lavorative e al grado di comunicazione che doveva essere concesso al recluso, ma l’elemento comune ai due modelli era la comune concezione della criminalità come patologia comportamentale che si può trasmettere e che quindi va affrontata con misure che impediscano il ne impediscano la diffusione per contagio.
↑ 23 Cfr. V.A.C. GATRELL 1994: 99 ss. Stiamo parlando di un periodo storico in cui la sofferenza del condannato doveva essere ormai limitata al minimo indispensabile, ma in cui peraltro persistevano antiche superstizioni intorno alla figura del condannato. Lo stesso Calcraft venne coinvolto nella pratica della medicina popolare di far accarezzare con le mani del giustiziato tumori della pelle o escrescenze del cuoio capelluto, cfr. al O. DAVIES, F. MATTEONI 2015: 700).
↑ 24 Per una attualizzazzione di tale tema, che oggi si coniuga attraverso la dialettica tra operatori del custodiale e operatori del trattamentale (categoria nell’Ottocento sconosciuta, per lo meno, nelle forme professionali odierne), mi permetto di rinviare a C. SARZOTTI (1999).
↑ 25 Tra l’altro, si tratta di una struttura che può ospitare non solamente funzioni religiose, ma può essere facilmente adattata ad altre iniziative educative quali conferenze di moralisti, filantropi, medici etc.
↑ 26 Mayhew sembra ostacolato in questo suo desiderio di verificare gli effetti del carcere disciplinare sui reclusi dal fatto di non poter quasi mai interrogarli direttamente. Le fonti a cui egli attinge infatti sono quasi sempre o l’osservazione diretta, o le dichiarazioni del personale penitenziario raccolte durante le visite. Non è chiaro dal suo libro se questa limitazione gli sia stata imposta o sia frutto di una sua scelta (evento peraltro improbabile data la sua formazione da giornalista).
↑ 27 Come noto, il divieto di comunicare tra reclusi lavoratori era il dispositivo che avrebbe dovuto consentire al sistema auburniano di mantenere l’isolamento dei detenuti, pur nell’esecuzione di attività lavorative di tipo industriale che implicavano il coinvolgimento di un gran numero di individui.
↑ 28 Legge del contrappasso ancora in vigore oggi in Italia, se consideriamo che gran parte dei lavori di tipo industriale effettuati dai reclusi negli istituti penitenziari sono indirizzati a produrre abbigliamento o suppellettili per l’amministrazione penitenziaria.
↑ 29 Si ricorderà, tra l’altro, che uno degli episodi del romanzo di De Amicis, intitolato Il prigioniero, narra di un maestro che esercita la sua professione presso il carcere Le Nuove di Torino conoscendo, in tal modo, il detenuto n. 78 che reincontrerà qualche anno dopo e da cui riceverà in regalo un calamaio fabbricato in carcere. Episodio che, data la popolarità dell’opera di De Amicis, ha probabilmente contribuito in Italia alla costruzione dell’immaginario collettivo sul carcere disciplinare.
↑ 30 Seppure ovviamente tra queste la scuola sia stata quella istituzionalmente preposta all’alfabetizzazione universale, anche il carcere va annoverato tra le agenzie che hanno contribuito a questa trasformazione culturale epocale. A mia conoscenza, questa funzione del carcere è stata pressoché ignorata dagli storici della scuola moderna e meriterebbe un’analisi più accurata che mi riprometto di svolgere in un prossimo futuro.