n° 31 - Terminologie e comunicazione istituzionale, tra multilinguismo e traduzione

Tra slogan e norme: gli anglicismi nella lingua italiana del diritto e della comunicazione istituzionale

Laura TAFANI



Abstract

Italiano  | Inglese 

Forestierismi, in particolar modo anglicismi, pervadono sempre più il linguaggio delle amministrazioni pubbliche, la comunicazione istituzionale e, anche se in misura minore, la lingua delle leggi, incrinando così la tradizionale natura conservatrice del linguaggio del diritto.
Dalla ricognizione svolta sulla legislazione più recente emerge che il loro ingresso nei testi legislativi è strettamente legato alla progressiva pervasività di altri ordinamenti giuridici, a partire da quello dell’Unione europea, e all’influenza di altri linguaggi settoriali, in particolare scientifico, dell’economia, della finanza e delle nuove tecnologie.
I forestierismi, inoltre, anche se non sono presenti nelle leggi, tendono a emergere nei provvedimenti attuativi adottati dalle pubbliche amministrazioni e sono spesso utilizzati nella comunicazione politico-istituzionale per sintetizzare, a mo’ di slogan, il contenuto del provvedimento.
La sensazione complessiva è che spesso l’utilizzo del termine straniero sia legato a motivi che poco hanno a che fare con esigenze di precisione e rigore e che dipenda piuttosto dalla fretta, dalla paura di introdurre “falsi amici”, dalla scarsa inventiva nel trovare validi sostituti in italiano.
In tutti questi casi sarebbe opportuno evitare i forestierismi non entrati nel lessico comune, a vantaggio di un linguaggio giuridico chiaro e comprensibile anche a coloro che non conoscono le lingue, valorizzando la ricchezza lessicale e le potenzialità espressive della lingua italiana, in nome di quel principio di lealtà comunicativa che dovrebbe ispirare il rapporto tra pubblici poteri e cittadini.

1. L’uso dell’inglese nel linguaggio del diritto e della comunicazione istituzionale

«La parola è per metà di chi parla e per metà di chi l’ascolta» scriveva Montaigne (MONTAIGNE 1580: 2029). A tale aforisma non si sottrae certo il linguaggio del diritto e della comunicazione istituzionale. Infatti, la più naturale aspettativa che un testo e una comunicazione pubblici dovrebbero soddisfare è quella di muoversi nello stesso orizzonte culturale dei soggetti cui sono rivolti, rispettandone la lingua nazionale.

Neologismi e forestierismi pervadono invece sempre più il linguaggio delle amministrazioni pubbliche e la comunicazione istituzionale nonché, anche se in misura minore, la lingua delle leggi in settori che hanno diretta attinenza con la dimensione civile, sociale ed economica dei cittadini, delle associazioni, delle imprese. E spesso questi forestierismi, soprattutto quando sono inutili, confondono e nascondono (SABATINI 2011: 315).

Il fenomeno non è certo nuovo e riguarda anche i latinismi ai quali il linguaggio giuridico fa ancora oggi ampio ricorso. Una linea di tendenza generale nello sviluppo cronologico dei rapporti tra l'italiano giuridico e altre lingue è stata ben evidenziata dai linguisti. Federigo Bambi (BAMBI 1991: 167, 174) ricorda la larga immissione di termini e idee francesi nella legislazione italiana tra il Settecento e l’Ottocento: d’ascendenza francese sono, infatti, termini come “costituzione e “ministro, ma anche connettivi pesanti come atteso che o l’uso dell’imperfetto nelle sentenze e negli atti degli avvocati.

Nel corso del XIX secolo al modello francese si sostituisce quello tedesco in conseguenza del preminente influsso esercitato tra gli studiosi del diritto dalla scuola pandettistica germanica.Tuttavia, a partire dal Settecento e in maniera più eclatante dal secolo scorso, la fonte più vistosa di neologismi è progressivamente rappresentata da prestiti dalla lingua inglese.Come rileva Jacqueline Visconti (VISCONTI 2012: 185 e 2016: 71), fino a tutta la prima metà del Novecento l'interferenza si manifesta, con poche eccezioni, sotto forma di calchi strutturali (come, ad esempio, “negozio giuridico”, “fattispecie”, “rapporto giuridico”, “diritto processuale civile”, provenienti dal tedesco, o “procedura civile”, derivante invece dal francese), e di calchi semantici (come “costituzione”, che originariamente aveva il significato di "legge del sovrano" ed è poi diventata, per influsso del francese, "la legge fondamentale dello Stato"). Successivamente, ai calchi si sono affiancati i prestiti (come, ad esempio, leasing, trust, ecc.). Senza dubbio la tendenza anglizzante va guadagnando terreno.

La presenza massiccia di anglicismi (o, secondo Tullio De Mauro “anglismi”, in quanto l’inserimento di “ci nella radice “anglo” sarebbe a sua volta un inglesismo) viene confermata negli studi di Díaz (DIAZ 2000: 19), secondo il quale «parlare di forestierismi oggi vuol dire, nel novanta per cento dei casi, parlare di anglicismi».

Non sono rilevanti tanto i numerosi lessemi di origine inglese registrabili in un grande dizionario, o la percentuale di parole nel lessico, ma altri aspetti relativi piuttosto all’uso: l’adozione di anglicismi in locuzioni formali e ufficiali (educationjobs act, question time, spending review, spread, welfare); l’ampiezza dei campi semantici investiti dall’uso di anglicismi, che non sono più solo quelli tecnico-scientifici ma riguardano il linguaggio delle istituzioni e delle leggi.

La popolarità degli anglicismi si deve sicuramente al crescente prestigio culturale e scientifico dei Paesi anglosassoni, ai loro successi economico-finanziari e diplomatico-militari, ma anche, come spiega Riccardo Gualdo (GUALDO 2003), alla loro brevità, iconicità ed efficienza.

Si può dire che sia specifici tratti linguistici della lingua inglese che fattori extralinguistici hanno favorito la sua posizione dominante.

Osserva Tullio De Mauro (DE MAURO 2016):

Non è un fatto nuovo: da alcuni decenni impetuose ondate di anglismi si riversano nell’uso di chi parla e scrive le più varie lingue del mondo. Trent’anni fa, Arrigo Castellani, nel diffondersi di anglismi nell’uso italiano vide e diagnosticò un morbus anglicus, un virus capace di infettare e corrompere la lingua italiana. Ma del fenomeno ormai bisogna dire di più. (…) L’afflusso di parole inglesi dagli anni Ottanta ai nostri ha assunto dimensioni crescenti, uno tsunami anglicus. Le ondate somigliano ormai infatti a un susseguirsi di tsunami...

Come già indicato, il fenomeno non riguarda più soltanto la lingua comune e alcuni linguaggi settoriali, quali quello scientifico ed economico, ma sembra interessare il linguaggio giuridico e istituzionale.

È noto che la lingua del diritto tende ad essere molto conservatrice, sia per garantire certezza e attendibilità delle disposizioni normative sia perché intrinsecamente autoreferenziale e altamente codificata, a tal punto che alcuni tipi di linguaggio giuridico come quello processualcivilistico sembrano impermeabili a innovazioni in quanto per essenza sono radicati in un lessico difficile da modificare (CAVALLONE 2012: 85). Questa situazione di “controllo” della lingua del diritto sembra però oggi incrinarsi davanti all’avanzata di altri ordinamenti giuridici, a partire da quello dell’Unione europea, che permeano il nostro diritto, influenzandolo grandemente.

La discussione su questa colonizzazione, che rischia di minacciare l’italiano istituzionale e giuridico, appassiona non solo i linguisti ma anche gli operatori del diritto e vede contrapposti, da un lato, coloro che ritengono che anglicismi siano da considerarsi una forma di arricchimento (e non di impoverimento) dell’italiano in quanto dovuti a processi di creatività e di mutamento linguistico che sono il risultato di contatti culturali e, dall’altro, coloro che vorrebbero bloccare o almeno contenere l’ingresso di anglicismi al fine di mantenere la purezza della lingua e la chiarezza del linguaggio istituzionale e giuridico, sulla falsariga del nazionalismo linguistico di Francia e Spagna.

Che le lingue si influenzino reciprocamente, scambiandosi materiale verbale, è un dato di fatto, in quanto tale non contestabile, e di per sé non negativo. Occorre però considerare che i forestierismi non sono tutti uguali e che l’obiettivo è di porre un argine all’abuso di vocaboli oscuri e non necessari(come nel caso della parola “ticket”, molto spesso impiegato in luogo di “biglietto” o “buono”) e di suggerire soluzioni alternative ricorrendo alla varietà e alla ricchezza della lingua italiana (COLUCCIA 2018).

Certo, la questione sembra di facile soluzione quando la nostra lingua possiede corrispettivi propri, perfettamente funzionali, trasparenti e più facilmente comprensibili per i parlanti. Quando invece questi termini o espressioni rimandano a questioni complesse e a volte controverse si richiede maggiore cautela.

2. Orientamenti giurisprudenziali, linee guida, iniziative e proposte

La lingua italiana è tra le quattro lingue più studiate al mondo (come di recente rilevato da Ethnologue, la pubblicazione del SIL International che analizza le migliaia di lingue parlate al mondo, l’italiano ha superato il francese); tuttavia è proprio in patria che essa è a volte trascurata e appare “approssimativa e grigia” sia nel parlato che nello scritto. Non a caso, nel 1999 Giovanni Nencioni affermava:

La classe politica al governo del secondo dopoguerra ad eccezione del fiorentino Giovanni Spadolini non ha mostrato una grande sensibilità verso la difesa dell’italiano. Basti pensare che la nostra lingua nazionale non è citata neppure nella Costituzione.1

È difficile tuttavia immaginare che, per ovviare a questa deriva, si creino istituzioni e si introducano norme deputate a regolare d’imperio il comportamento linguistico, anche solo con riferimento ai soggetti pubblici, come avviene ad esempio in Francia o in Spagna. Simili politiche dirigistiche sono state utilizzate nell’Italia unita soltanto nel periodo fascista e non sembrano oggi riproponibili in presenza della diffusa convinzione che la lingua non possa essere governata con atti di imperio e che la scelta del lessico con cui esprimersi sia elemento fondamentale della libertà di espressione di un individuo. Si registrano tuttavia in tempi recenti alcuni orientamenti giurisprudenziali che contengono importanti indicazioni sulla difesa e la valorizzazione della lingua italiana in ambito istituzionale e nell’insegnamento universitario.

Di fronte all’aumento costante di forestierismi anche nel linguaggio giuridico e istituzionale e al progressivo decadimento della lingua italiana, appaiono inoltre rilevanti le iniziative di alcune istituzioni volte a proporre alternative alle parole straniere, alle quali almeno i soggetti pubblici dovrebbero conformarsi, e le circolari e linee guida in materia di formulazione di testi legislativi adottate da organi costituzionali.

2.1. Gli orientamenti giurisprudenziali

Di recente il dibattito sull'ampiezza dell'impiego di lingue straniere, e in particolare dell'inglese, in ambito istituzionale e giuridico è stato riacceso da alcune prese di posizione dei nostri organi giurisdizionali che vale qui la pena richiamare perché contengono importanti indicazioni sul valore del nostro idioma nazionale e sui principi che devono ispirare l’azione delle nostre istituzioni in materia linguistica.

A) La prima vicenda riguarda l’utilizzo di una lingua straniera al posto dell'italiano in ambito universitario. A seguito di impugnativa promossa da un gruppo di docenti del Politecnico di Milano il TAR Lombardia ha annullato (sentenza n. 1348 del 2013) la delibera del 21 maggio 2012 con la quale il Senato accademico del Politecnico di Milano aveva disposto l'attivazione di corsi di laurea magistrale e dottorati di ricerca esclusivamente in inglese. Nella sua sentenza, il TAR ricorda che, sebbene la Costituzione non contenga una disposizione che affermi espressamente l'ufficialità della lingua italiana, tale carattere è desumibile in via indiretta dall'articolo 6 della Carta costituzionale che prevede la tutela delle minoranze linguistiche: l'esigenza costituzionale di tutelare tali minoranze sorge proprio in dipendenza del carattere ufficiale della lingua italiana, come lingua che caratterizza lo Stato italiano e come espressione del patrimonio linguistico e culturale dello Stato. Il primato della lingua italiana comporta che ad essa non possa essere attribuito all'interno dello Stato un ruolo subordinato rispetto ad altre lingue. Ne deriva che il processo di internazionalizzazione delle università deve essere compiuto rispettando il primato della lingua italiana e può essere compatibile con l'ordinamento solo nel caso in cui non collochi la lingua italiana in posizione marginale rispetto ad altre lingue, facendole assumere un ruolo subordinato nel contesto dell'insegnamento universitario.

Il Consiglio di Stato, innanzi al quale la sentenza del TAR era stata impugnata, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2, lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, nella parte in cui consente l'attivazione generalizzata ed esclusiva di corsi di studio universitari in lingua straniera, in riferimento agli articoli 3, 6 e 33 della Costituzione (ordinanza n. 242 del 2015).

La Corte costituzionale, con sentenza n. 42 del 2017, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, ritenendo possibile dare una lettura costituzionalmente orientata della disposizione censurata. Secondo la Corte, la lingua italiana è, nella sua ufficialità e primazia (ricavabili per implicito dall'articolo 6 della Costituzione), vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate dall'articolo 9 della Costituzione. La centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana si coglie particolarmente nella scuola e nelle università, che sono i luoghi istituzionalmente deputati alla trasmissione della conoscenza e alla formazione della persona e del cittadino. L’obiettivo dell’internazionalizzazione delle università deve essere soddisfatto senza pregiudicare i princìpi costituzionali del primato della lingua italiana (articolo 6 della Costituzione), della parità nell’accesso all’istruzione universitaria (articoli 3 e 34 della Costituzione) e della libertà d’insegnamento (articolo 33 della Costituzione). Tali princìpi costituzionali non consentono la possibilità che interi corsi di studio siano erogati esclusivamente in una lingua diversa dall'italiano, in quanto ciò estrometterebbe integralmente e indiscriminatamente la lingua ufficiale della Repubblica dall’insegnamento universitario di interi rami del sapere; imporrebbe, quale presupposto per l’accesso ai corsi, la conoscenza di una lingua diversa dall’italiano, così impedendo a coloro che, pur capaci e meritevoli, non la conoscano, di raggiungere «i gradi più alti degli studi», se non al costo (tanto in termini di scelte per la propria formazione e il proprio futuro, quanto in termini economici) di optare per altri corsi universitari o altri atenei; potrebbe essere lesivo della libertà d’insegnamento in quanto capace di incidere significativamente sulle modalità con cui il docente è tenuto a svolgere la propria attività, sottraendogli la scelta su come comunicare con gli studenti e discriminerebbe il docente all’atto del conferimento degli insegnamenti, venendo questi necessariamente attribuiti in base a una competenza – la conoscenza della lingua straniera – che nulla ha a che vedere con quelle verificate in sede di reclutamento e con il sapere specifico che deve essere trasmesso ai discenti.

B) Più limitato nella sua portata, ma strettamente attinente al tema di questa Giornata, appare il parere n. 1435/2018 espresso dal Consiglio di Stato in data 31 maggio 2018 sullo schema di regolamento per la definizione della disciplina della partecipazione ai procedimenti di regolazione dell'Autorità nazionale anticorruzione e di una metodologia di acquisizione e analisi quali-quantitativa dei dati rilevanti ai fini dell'analisi d'impatto della regolazione (AIR) e della verifica di impatto della regolazione (VIR). In relazione all’articolo 8 di tale schema di regolamento il Consiglio di Stato rileva:

Nell’art. 8.1, lett. e) ci si riferisce alle “opzioni di soluzione alternative, selezionate in considerazione della (…) concordanza: minimizzazione dei trade-off presenti tra diversi obiettivi o diversi risultati attesi. Deve essere rammentato che secondo la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92 (Guida alla redazione dei testi normativi) è opportuno che vengano utilizzati negli atti regolatori solo i termini stranieri entrati nell'uso della lingua italiana e privi di sinonimi in tale lingua. Il termine trade off, pur riconosciuto nel linguaggio specialistico, non può ritenersi un vocabolo di uso corrente e, come tale, se ne suggerisce la sostituzione con il suo sinonimo (scostamento).2

L’indicazione contenuta in tale parere è segno di una attenzione crescente anche del Consiglio di Stato al fenomeno dei forestierismi e, più in generale, a una corretta formulazione anche lessicale dei provvedimenti del Governo sottoposti al suo esame.

2.2. Le Circolari in materia di formulazione dei testi legislativi

Come si è visto il Consiglio di Stato, a sostegno del suo parere, richiama la Guida alla redazione dei testi normativi, adottata con circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri 2 maggio 2001. Tale Guida integra le previsioni contenute nelle Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, adottate in identico testo dai Presidenti di Camera e Senato e dal Presidente del Consiglio dei ministri con circolari del 20 aprile 2001.

La Guida e le Regole e raccomandazioni forniscono, tra le altre, indicazioni sull'uso dei termini stranieri nella legislazione. In particolare, il paragrafo 4 delle Regole e raccomandazioni prescrive, alla lettera m), di evitare l'uso di termini stranieri, salvo che essi siano entrati nell'uso della lingua italiana e non abbiano, nella lingua italiana, sinonimi di uso corrente. Raccomanda inoltre che i termini stranieri entrati nell'uso della lingua italiana e privi di sinonimi in tale lingua di uso corrente siano usati esclusivamente al singolare e corredati da una definizione.

Le Regole e raccomandazioni, pur non essendo vincolanti come le norme di rango primario presenti in altri ordinamenti, costituiscono il più importante tra i parametri che dovrebbero guidare l'attività degli Uffici legislativi del Governo nella redazione dei testi normativi e degli uffici di Camera e Senato preposti alla revisione tecnica dei progetti di legge in tutte le fasi del procedimento legislativo. Esse, inoltre, costituiscono il parametro alla luce del quale un organo politico, il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati,3 esprime pareri sulla qualità dei testi, con riguardo alla loro omogeneità, alla semplicità, chiarezza e proprietà della loro formulazione, nonché all'efficacia degli stessi per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente. I pareri del Comitato per la legislazione forniscono dunque un punto di vista significativo e qualificato in merito, tra l'altro, all'utilizzo dei termini stranieri nella legislazione, come si vedrà nel paragrafo 3.

2.3. Il ruolo svolto dall’Accademia della Crusca

In Italia, l’Accademia della Crusca, che è la più antica accademia linguistica del mondo, non ha gli stessi compiti e gli stessi poteri delle Accademie di altri Paesi europei. L’Accademia tuttavia continua a svolgere un ruolo fondamentale di “vigilanza” sulla lingua italiana e si occupa dei forestierismi all’interno della sua intensa attività di consulenza, rispondendo, da una prospettiva in primo luogo descrittiva, ai dubbi che le vengono sottoposti e facendo eco all’attività del gruppo Incipit,4 creato nel 2015 al suo interno con il compito di monitorare i neologismi e i forestierismi incipienti nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana e prima che prendano piede.

Il gruppo Incipit – che respinge ogni autoritarismo linguistico, attraverso la riflessione e lo sviluppo di una migliore coscienza linguistica e civile, intende suggerire agli operatori della comunicazione e ai politici alternative ai forestierismi presenti nella lingua italiana. Vedremo nel paragrafo 3 le proposte formulate da tale Gruppo in relazione ad alcuni anglicismi utilizzati nel linguaggio giuridico e istituzionale.

2.4. Altre iniziative

Oltre alle iniziative già illustrate, vorrei citare anche alcuni interventi che hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica la questione dei forestierismi.

Nel 2000 nasce il “Movimento di resistenza” contro il progressivo impoverimento della lingua italiana, sempre più contaminata dall’inglese e dai gerghi tecnici e dialettali, per iniziativa di un gruppo di parlamentari e di intellettuali. Il “Manifesto in difesa della lingua italiana” redatto dal gruppo è stato presentato a Montecitorio all’allora presidente della Camera, Luciano Violante. I punti fondamentali del manifesto sono:

  1. la resistenza attiva al disinteresse di chi parla e scrive l’italiano e contro l’inquinamento della lingua in “un mondo globalizzato, dove la comunicazione corrente sia affidata ai dialetti e quella culturale al basic english”;
  2. la difesa dell’italiano come “lingua minoritaria nel mondo, minacciata (non meno del friulano o del sardo) dall’avanzata del pidgin english (l’inglese “sporco” che viene parlato in tutto il mondo)”;
  3. la lotta all’indifferenza “di una parte della cultura italiana e delle stesse istituzioni pubbliche verso un problema che tocca la sopravvivenza di un’identità linguistica certamente non priva di meriti storici”.

Più recentemente, un avvocato tributarista leccese, Maurizio Villani (VILLANI 2017), ha promosso una petizione e, in una intervista rilasciata al quotidiano Italia Oggi il 22 luglio 2017, ha invocato: «basta forestierismi in campo economico-fiscale», avvertendo:

credo che a livello fiscale alcune volte si voglia utilizzare il termine straniero per confondere il cittadino-contribuente; infatti, in preparazione della legge di bilancio 2018, si parla costantemente di tax expendituresche per chi non sa l’inglese si potrebbe tradurre in ‘riduzione della tassazione’, quando invece si tratta della riduzione o correzione delle spese fiscali e, quindi, indirettamente, di un aumento della tassazione!

La petizione promossa da Villani elenca ben 53 forestierismi utilizzati anche dal legislatore italiano in campo economico e fiscale. Per ognuno di essi suggerisce una traduzione italiana, che potrebbe essere utilizzata da chi ha l’autorità di emanare leggi e regolamenti fiscali. Solo per citare un caso, il provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 28 agosto 2017 è pieno di termini stranieri, quali ad esempio branch exemption, mismatching e recapture che risultano di difficilissima comprensione da parte dei comuni cittadini e che rischiano di aumentare la distanza tra questi e lo Stato riducendo la democrazia reale.

Infine, Annamaria Testa su Internazionale del 22 febbraio 2016 (TESTA 2016) ha utilizzato google trends, lo strumento di google che analizza l’andamento delle ricerche in rete, scoprendo che, per ogni termine inglese oscuro si registra una piccola o grande impennata di richieste nel momento in cui esso entra nel linguaggio della comunicazione istituzionale e giornalistica, nelle leggi e nei regolamenti, per indicare istituti, pratiche, attività o strumenti che riguardano la vita dei cittadini, dei contribuenti, delle imprese…

Ciò vale per parole come hotspot, voluntary disclosure, smart work, bail in, stepchild adoption, caregiver, che tanto hanno infiammato il dibattito politico e istituzionale in questi ultimi anni e mesi.

tafani 1

E proprio su queste parole e su altre espressioni ancora si è concentrata l’attenzione del gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca e del Comitato per la legislazione della Camera dei deputati.

3. Anglicismi: opzioni sostitutive

3.1. Gli anglicismi nei comunicati del gruppo Incipit

1) Hot spots. Nel comunicato stampa n. 1 del 28 settembre 2015 il gruppo prende posizione contro l’uso del termine “Hot spots” per indicare i centri di identificazione dei migranti cheentrano nell’Unione europea e invita ad adoperare il corrispondente italiano. A suo avviso, il termine inglese, per quanto adottato nell’inglese burocratico dell’Unione, ha già altre connessioni semantiche assolutamente diverse che si sovrappongono al presunto senso nuovo (ad es. “punto di connessione Wi-Fi”, “locale alla moda”, per non considerare i vari impieghi italiani di “hot” in contestiludici, sessuali e alimentari). “Hot spots” nella nuova accezione risulta, per il gruppo Incipit, offensivo, elusivo rispetto alla realtà, dunque politicamente scorretto.

Applicazione. In materia di immigrazione il c.d. hotspot approach è stato illustrato dalla Commissione europea nell'Agenda europea sulla migrazione del 13 maggio 2015.5 La versione italiana ufficiale dell'Agenda non utilizza mai il termine hotspot, che viene invece reso in italiano con l'espressione "punti di crisi". Lo stesso si dica con riferimento alle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015: anche tale documento non impiega mai il termine inglese, ma sempre l'italiano "punti di crisi". Conseguentemente, l'articolo 17 del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13,6 nel predisporre la cornice normativa di rango primario per le misure organizzative che l'Italia si è impegnata ad adottare a livello europeo, ha previsto che «Lo straniero … è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi». Il termine hot spot è utilizzato solo nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione di tale decreto-legge. Lo stesso termine inglese è invece ampiamente utilizzato a livello amministrativo; si vedano le "Procedure operative standard (SOP) applicabili agli hotspots italiani", predisposte dal Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e dal Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, caratterizzate da un ampio ricorso anche ad altri termini inglesi: standard operating proceduresrelocationroadmapteamhotspot approachscreeningreferraldebriefingfollow upknow-how.

2) Voluntary disclosure. Nel comunicato stampa n. 2 del 20 ottobre 2015 il termine è definito come «un forestierismo crudo e oscuro, di difficile pronuncia per la maggior parte degli italiani, a meno che non li si pretenda anglofoni fin dalla culla. Si tratta di un termine inadatto alla trasparenza della vita civile, in una nazione amica dei suoi cittadini». Secondo il gruppo, questo termine, che indica l’operazione con cui si dichiarano al fisco capitali indebitamente detenuti all’estero, dovrebbe essere abbandonato, a vantaggio di “collaborazione volontaria”, espressione italiana già usata dalla legge n. 186 del 2014 e dall’Agenzia delle entrate.

Applicazione. Questo termine non è largamente impiegato a livello legislativo: il decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4,7 lo ha sostituito con "collaborazione volontaria". Come nel caso di hot spots, il termine inglese è stato utilizzato solo nella relazione illustrativa. E, come nel caso degli hot spots, anche il termine voluntary disclosure è invece impiegato sistematicamente nei provvedimenti attuativi; l'Agenzia delle entrate utilizza le due espressioni in maniera alternativa o cumulativa, con la formula: collaborazione volontaria (voluntary disclosure).

3) Smart working. Nel comunicato stampa n. 3 del 1° febbraio 2016, il gruppo Incipit ritiene che l’italiano “lavoro agile” sia un perfetto equivalente, con il vantaggio della maggiore trasparenza. Dopo qualche incertezza iniziale, “smart working sta perdendo terreno anche nella comunicazione per lasciare il posto a “lavoro agile” per indicare questa nuova forma di tele-lavoro che dovrebbe permettere ai dipendenti di svolgere la loro attività in modo più flessibile, ad esempio dalle loro case per via telematica.

Applicazione. La legge 22 maggio 2017, n. 81, recante "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato", dedica al lavoro agile l'intero Capo II. A livello amministrativo, un riferimento al «cosiddetto lavoro agile o smart working» è contenuto nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 1° giugno 2017, n. 3, recante "Indirizzi per l'attuazione dei commi 1 e 2 dell'articolo 14 della Legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all'organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti".8

4) Bail in. Il comunicato stampa n. 4 dell'8 febbraio 2016 invita gli operatori finanziari e i responsabili dell’informazione a evitare, nell’uso e nelle comunicazioni con il largo pubblico, l’espressione tecnica inglese (peraltro derivata dallo slang) “bail in”, che può essere sostituita con vantaggio dal più chiaro “salvataggio interno”. Il salvataggio interno di una banca in difficoltà comporta l’uso forzoso di risorse dei clienti della stessa banca, diversamente dal “salvataggio esterno”, in inglese “bail out”, praticato in precedenza. Gli istituti bancari (come era loro obbligo) hanno inviato ai correntisti spiegazioni sulla novità, che riguarda direttamente chi ha investito o depositato il proprio denaro. In molti casi però, le spiegazioni sono state lunghe, oscure e verbose: il termine inglese era in bell’evidenza in questi comunicati, mentre la traduzione italiana, se c’era, risultava difficile da individuare, benché sicuramente necessaria per comprendere davvero la sostanza dell’avviso.

Applicazione. Il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, contiene una sezione intitolata bal-in. L’istituto quindi è così riconosciuto e denominato anche a livello legislativo. Il predetto decreto legislativo è attuativo di una direttiva europea la n. 59 del 2014 che utilizza il termine inglese analogamente a quanto avviene nella legislazione tedesca e olandese. In senso contrario invece la versione francese che utilizza un’espressione francese nell’articolato (renflouement interne) e quella spagnola e portoghese che cumulano l’espressione nella propria lingua accostandola a quella inglese tra parentesi.

5) Stepchild adoption. Il gruppo Incipit ha preso in considerazione il termine “stepchild adoption” nel comunicato stampa n. 5 del 15 febbraio 2016,definendolo assolutamente improponibile. Gli stessi giornalisti e commentatori che ne hanno fatto largo sfoggio nella fase iniziale ripiegano ormai sulla perifrasi “adozione del figlio del partner”. Ad avviso del gruppo Incipit, il difetto di questa perifrasi sta solo nella sua lunghezza, dato che il forestierismo “partner” è ormai di uso comune e si offre alla lettura in forma non diversa dalle parole italiane. Nel febbraio 2016, Francesco Sabatini, lancia la proposta di tradurre “stepchild” con un neologismo tutto italiano: “configlio”, modellato in analogia ad altri gradi di parentela acquisiti da tempo, come compare, consuocera, consuocero ecc.

Applicazione. Il termine stepchild adoption ha avuto ampia diffusione nei mezzi di comunicazione durante la discussione del disegno di legge a prima firma Cirinnà (AS 2081 della XVII legislatura), che ha condotto all'approvazione della legge 20 maggio 2016, n. 76, sulle unioni civili. L'istituto corrispondente è disciplinato dall'articolo 44, comma 1, lettera b), della legge sulle adozioni 4 maggio 1983, n. 184, che prevede che un coniuge possa adottare il figlio minore anche adottivo dell'altro coniuge. Il legislatore non ha dato a tale facoltà un nome particolare ed essa rientra nell'adozione in casi particolari. L'articolo 5 del disegno di legge Cirinnà si limitava a modificare l'articolo 44, comma 1, lettera b), della legge sulle adozioni, prevedendo che, analogamente a quanto già previsto per il coniuge, anche una delle parti dell'unione civile potesse adottare il figlio dell'altra parte senza ricorrere a nessuna speciale denominazione né in italiano, né in inglese, tanto nella relazione illustrativa quanto nell'articolato (la rubrica dell'articolo in questione si limitava a recitare "Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184"). L’articolo 5 è stato soppresso nel corso dell’esame parlamentare e la relativa disposizione non è entrata nella nuova legge sulle unioni civili.

6) Whistleblower. Nel comunicato stampa n. 7 del 28 novembre 2016, il gruppo invita tutti i responsabili dell’informazione a sostituire, nell’uso e nelle comunicazioni con il largo pubblico, il termine inglese opaco e di ostica pronuncia “whistleblower”, letteralmente “soffiatore nel fischietto”, con il più chiaro “allertatore civico”. L’allertatore civico è colui che, dopo aver constatato sistematiche irregolarità all’interno dell’organizzazione pubblica o privata per cui lavora, decide di denunciare l’illecito per il bene della collettività. Il traducente proposto per la lingua italiana gode dell’appoggio del francese “lanceur d’alerte” e dello spagnolo “alertador”. L’angloamericanismo, presente nella stampa italiana con qualche rara occorrenza fin dagli anni Novanta, si è ampiamente diffuso nel 2013 in relazione al “caso Snowden”.

Applicazione. Nel testo unico del pubblico impiego9, l’articolo 54-bis è rubricato "Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti". La medesima dicitura è stata conservata dalla nuova legge 30 novembre 2017, n. 179, che, peraltro, reca il titolo più articolato di "Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato". Il termine whistleblower è invece costantemente utilizzato, negli atti dell'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), tra parentesi dopo la dicitura italiana (si vedano, ad esempio, le "Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)" di cui alla determina 28 aprile 2015, n. 6).

7) Caregiver familiare. L’articolo 1, comma 255, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, definisce caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura di un familiare non autosufficiente. Ad avviso del gruppo Incipit appare singolare che si sia dovuto ricorrere all’espressione inglese “caregiver”, seguita dall’aggettivo italiano “familiare” quando nell’uso quotidiano questa figura ha già diverse designazioni: «familiare assistente», «prestatore di cure», «assistente domestico». Al fine di individuare una designazione unica, il gruppo Incipit propone “familiare assistente” (comunicato stampa n. 9 del 23 marzo 2018).

8) Nello stesso comunicato n. 9 del 23 marzo 2018, il gruppo Incipit ha anche proposto alternative italiane per le espressioni spending review, jobs act e flat tax: rispettivamente revisione della spesa pubblica, legge sul lavoro e tassa forfettaria.

9) Il gruppo si è espresso (comunicato stampa n. 10 del 17 aprile 2018) anche sul Sillabo per l’educazione all’imprenditorialità nella scuola secondaria predisposto dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca. Il gruppo ha criticato il sillabo ritenendo che in esso l’adozione di termini ed espressioni anglicizzanti non sia più solo occasionale, ma diventi programmatica e organica ed assurga a modello su cui improntare la formazione dei giovani italiani. In considerazione di ciò il gruppo ha rinunciato a proporre traduzioni dai numerosi termini inglesi in esso impiegati (ad es. team building, design thinking, business model canvas, open innovation, pitch desk, pitch day...).

9) Cyber. Ad oggi sono largamente diffusi i prefissi «cyber» e «ciber» per la formazione di una vasta serie di parole legate alla dimensione virtuale, con varie oscillazioni di grafia e anche di pronuncia. Queste parole entrano nella comunicazione sociale e istituzionale, perché leggi e regolamenti prevedono interventi sulla rete e controlli per la sicurezza degli utenti. Il gruppo Incipit (comunicato n. 11 del 22 novembre 2018) ritiene che in italiano la parola «cibernetica», da cui si può far derivare il prefisso «ciber-», indichi la strada preferibile per la formazione di neologismi; quanto alla grafia, è opportuno privilegiare la forma senza trattino, ad es. ciberdifesa, cibersicurezza, ciberprotezione, ciberminacce, ciberspazio al fine di rendere il neologismo più efficace, diretto e comprensibile.

Applicazione. La legge del 29 maggio 2017, n. 71 reca “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” disattendendo le indicazioni del gruppo.

10) Revenge porn. Nel comunicato n. 12 del 4 aprile 2019, il gruppo esprime soddisfazione per la scelta del legislatore di utilizzare, nella stesura dell’articolo 612-ter del codice penale, che intende punire la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, parole italiane organizzate in un testo chiaro e trasparente. Allo stesso tempo censura l’uso nella comunicazione pubblica nella discussione parlamentare di termini quali “sexting” “revenge porn” o “slut shaming”. Spesso revenge porn viene affiancato all’equivalente italiano, che esiste, ed è “pornovendetta”. “Pornovendetta” ha già largo corso sui giornali e nella rete e il gruppo suggerisce di adottare la forma univerbata, più specifica rispetto alla grafia “porno vendetta”. 

3.2. I forestierismi nei pareri del Comitato per la legislazione

Ripercorrendo l’esame - svolto dal Servizio per la qualità degli atti normativi in un suo Approfondimento del giugno 2018, aggiornato nel presente contributo sino alla seduta del 29 maggio 2019 - dei pareri resi dal Comitato per la legislazione, emerge che non sono stati ritenuti conformi alle Regole e raccomandazioni i seguenti termini o espressioni stranieri: 

1) Price cap (8 ottobre 2003, AC 4332, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, recante disposizioni urgenti per la sicurezza del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica. Deleghe al Governo in materia di remunerazione della capacità produttiva di energia elettrica e di espropriazione per pubblica utilità").

2) Exportstagemade in Italyruling di standardroyaltiesde-tax (5 novembre 2003, AC 4447, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici"). 

3) Pay back (31 maggio 2011, AG 339, "Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro enti e organismi"). 

4) Business angel (9 novembre 2011, AC 3696 e abbinati, recante "Interventi per il sostegno dell'imprenditoria e dell'occupazione giovanile e femminile e delega al Governo in materia di regime fiscale agevolato"). Il provvedimento non ha concluso il suo iter e non è dunque divenuto legge. 

5) Advocacy (13 dicembre 2011, AG 424, "Schema di decreto legislativo recante riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce rossa"). 

6) Grant (16 febbraio 2012, AC 4940, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo"). Nel corso dell'esame parlamentare, il termine in questione è stato sostituito con "borse di studio, assegni o altre forme similari di sovvenzione". Il Comitato non ha invece ritenuto di segnalare l'utilizzo, da parte del medesimo provvedimento, dell'espressione performance (che rientra invece tra i termini "aziendali" inglesi che secondo il gruppo Incipit dovrebbero essere resi in italiano), ritenendo probabilmente che l'impiego dell'espressione "valutazione della performance" sia ormai entrato nell'uso della lingua italiana. 

7) Assetprice cap, attività di capping (13 marzo 2012, AC 5025, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività"). Il Comitato non ha invece ritenuto di segnalare l'utilizzo, da parte del medesimo provvedimento, di altre espressioni inglesi quali, ad esempio, rating di legalità e project financing.

8) Information and communication technology (5 luglio 2012, AC 5312, recante "Conversione in legge del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese"). Il Comitato non ha invece ritenuto di segnalare l'utilizzo, da parte del medesimo provvedimento, di espressioni quali linksponsor e homepage

9) E-procurementin house providingpayment by resultsrisk sharingcost sharingglobal servicefacility management (1° agosto 2012, AC 5389, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini"). 

10) Diploma supplement (11 dicembre 2012, AC 5617, recante "Conversione in legge del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale"). 

11) Labelbrand, operazioni di expansion, di replacement e di management buy in/buy outgreen public procurement. Per il Comitato rappresentano espressioni non definite univocamente nell'ordinamento (11 settembre 2014, AC 2093, recante "Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali"). Il Comitato non ha invece ritenuto di segnalare che il titolo del provvedimento esaminato conteneva l'espressione inglese green economy

12) Backhauloverdisegn. Secondo il Comitato rappresentano espressioni straniere non individuate univocamente nell'ordinamento in quanto non di uso comune oppure definite solo indirettamente o in fonti secondarie (24 settembre 2014, AC 2629, recante "Conversione in legge del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive"). Entrambi i termini sono stati espunti nel corso dell'esame parlamentare. Il Comitato non ha invece ritenuto di segnalare altri termini stranieri presenti nel provvedimento, quali hinterlandwirelessproject bond, Italian soundinge-commerce e voucher.

13) Open dataschool bonus (28 aprile 2015, AC 2994, recante "Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti"). Il Comitato non ha invece ritenuto di segnalare altri termini stranieri presenti nel provvedimento, quali tutor e social network

14) Governance. Secondo il Comitato, l'utilizzo di tale termine straniero – sebbene già presente nella legislazione italiana – è da evitare, in presenza della possibilità di ricorrere a sinonimi in lingua italiana, quali potrebbero essere, nel caso specifico, le espressioni "organizzazione" o "struttura organizzativa" (7 novembre 2017, T.U. 556-2210-2919, recante "Modifica dell'ordinamento e della struttura organizzativa dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro").

15) Blockchain, Internet of Things, Voucher Manager, Venture Capital, federal building (14 novembre 2018, AC 1334 recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021). Il Comitato osserva che delle espressioniBlockchain”, “Internet of Things”,  “Voucher Manager”, non esiste allo stato una chiara definizione normativa e invita la Commissione di merito ad individuarla valutando altresì la possibilità di utilizzare espressioni in lingua italiana ai sensi del paragrafo 4, lettera m), della Circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi, mentre l'espressione “Venture Capital”, pure già utilizzata dalla normativa, potrebbe essere sostituita con quella «capitale di rischio»; infine suggerisce di evitare l'utilizzo dell'espressione “federal building”.

16) Governance, business angel, cloud computing, know-how, caregiver. (27 dicembre 2018, AC 1334-B recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021). Il Comitato rileva che, alla luce del paragrafo 4, lettera m), della Circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi, andrebbe approfondita l'opportunità dell'utilizzo di tali termini stranieri, pure in qualche caso già presenti nella normativa italiana.

17) Smart Contract. (31 gennaio 2019, AC 1550, recante Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione).  

4. Uno sguardo di sintesi

Alla luce di questa ricognizione, è possibile individuare alcune linee di tendenza e svolgere qualche considerazione conclusiva.

In primo luogo, gli anglicismi sono molto spesso utilizzati dai mezzi di informazione e nella comunicazione politico-istituzionale per pubblicizzare una riforma di particolare rilevanza, un nuovo intervento normativo, ma sono poi raramente riprodotti all’interno del testo legislativo. È il caso del piano di riforma del mercato del lavoro, denominato e pubblicizzato dal Governo Renzi come “jobs act” che si è tradotto in una serie di provvedimenti legislativi nessuno dei quali utilizza il termine anglo-americano. È il caso del termine “navigator” utilizzato per mesi dal vicepresidente del Consiglio Di Maio e dai mezzi di comunicazione per indicare la figura professionale con il compito di affiancare e indirizzare le persone in cerca di occupazione verso nuove proposte lavorative: di tale termine, tuttavia, non vi è traccia nel decreto-legge 28 gennaio 2019 n. 4, recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”, dove invece compare il termine “tutor”, utilizzato diffusamente e da più di quaranta anni in ambito scolastico e universitario, oltre che nel mondo del lavoro, tanto da essere entrato nel lessico comune. È il caso infine dell’espressione “revenge porn” diffusamente utilizzata anche nella discussione parlamentare per illustrare i contenuti dell’emendamento al disegno di legge recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” che introduce l’articolo 612-ter del codice penale per la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, nel quale tale espressione inglese non compare mai.

Se ci si può compiacere di questa capacità di resistenza del linguaggio delle leggi all’ingresso di nuovi anglicismi, non si possono tuttavia non sollevare a perplessità sulla diffusissima pratica di far ricorso a tali forestierismi nella comunicazione istituzionale e in quella giornalistica, con il rischio reale e concreto di ingenerare confusione e disorientamento nei destinatari del provvedimento che non trovano nel testo legislativo il termine propagandato10.

In secondo luogo, dalla ricognizione svolta emerge che, in molti casi, l’utilizzo di anglicismi nel testo di una legge, ad esempio per definire un certo istituto, deriva dal fatto che è quell’istituto è mutuato da un ordinamento straniero o, più spesso, sovranazionale o internazionale, quale l'Unione europea o l'OCSE (come si è visto nei casi di hotspot, voluntary disclosure e bail-in). Anche in questi casi sarebbe opportuno porre una maggiore attenzione, in sede di redazione della disposizione o di recepimento della direttiva europea, all’effettiva necessità di far ricorso a un termine straniero e sforzarsi di ricercare corrispettivi in italiano.

La tendenziale impermeabilità dei testi legislativi alla penetrazione dei forestierismi sembra diminuire peraltro nelle ultime legislature, se si considera che nell’ultima legge di bilancio il Comitato per la legislazione ha censurato ben dieci anglicismi.

Gli anglicismi, inoltre, anche se non sono presenti nelle leggi tendono a riemergere nei provvedimenti attuativi adottati dalle pubbliche amministrazioni, che spesso affiancano al termine "ufficiale" italiano quello inglese, ritenendo forse che il cittadino possa essere agevolato nella comprensione e nella ricerca dei provvedimenti attuativi se questi impiegano sia l'espressione contenuta nella legge che il termine inglese impiegato dai mezzi di comunicazione (si vedano i provvedimenti dell'Agenzia delle entrate in materia di collaborazione volontaria/voluntary disclosure e quelli dell'Anac sul dipendente pubblico che segnala illeciti/whistleblower).

È considerazione comune che sia dovere del legislatore essere anche uno scrittore capace di rivolgersi ai cittadini usando “parole giuste”, precise, appropriate, per consentire loro di essere destinatari consapevoli e informati delle disposizioni normative e non sudditi esposti a comandi oscuri e di difficile comprensione.

Trovare le parole giuste nelle leggi significa identificare con rigore le caratteristiche proprie del nostro linguaggio giuridico, senza farsi influenzare aprioristicamente da modelli stranieri, fare appello alla capacità inventiva e alla ricchezza espressiva della nostra lingua, porre attenzione al destinatario del messaggio normativo mettendolo nella condizione di comprenderne appieno il significato.

L’oscurità, attraverso il ricorso a termini stranieri di non comune e immediata percezione, comunica l’intento di celare, di nascondere, di ingannare (CORTELAZZO 2012: 179-183) anche quando in realtà essa è semplicemente frutto di pigrizia, scarsa inventiva o inadeguatezza a trovare validi sostituti in italiano.

Se è vero che tutte le informazioni tecnologiche e scientifiche e anche quelle economico-finanziarie sono ormai in inglese e l’inglese è impiegato come prima o seconda lingua da quasi un miliardo di parlanti, è altrettanto vero che la massiccia presenza di anglicismi in italiano è in larga parte dovuta a motivi che poco hanno a che fare con le esigenze di precisione e rigore delle lingue speciali e non è quasi mai accompagnata da una reale conoscenza dell’inglese da parte di chi importa e utilizza gli anglicismi. Infatti nelle lingue speciali dell’italiano soprattutto i prestiti non adattati sono spesso utilizzati a fini di riconoscimento sociale, ossia per mostrare l’appartenenza del parlante alla classe di coloro che conoscono l’inglese (cfr. BALBONI 2000: 9, 20, 24), e la loro diffusione nell’italiano comune rientra in quella tendenza alla “stilizzazione tecnologica” (DARDANO 1994: 428) che caratterizza l’italiano di oggi, in cui l’inglese svolge la funzione un tempo propria del latino (RAY 2007).

Per favorire il “dialogo” tra emittente e destinatario sarebbe invecefortemente opportuno sacrificare gli anglicismi (come i latinismi e in generale tutti i forestierismi non entrati nel lessico comune) a vantaggio di un linguaggio chiaro, uniforme, comprensibile anche ai “non addetti ai lavori” e a coloro che non conoscono le lingue straniere, valorizzando la ricchezza lessicale e le potenzialità espressive della lingua italiana.

Hermann Broch ha scritto che «dove degenera il linguaggio, là degenera la vita. Una lingua è viva quando non ricorre a prefabbricati verbali, propri o altrui, per inventare comunicazione quotidiana o creazione letteraria, ma attinge alla falda profonda delle proprie potenziali risorse espressive»11.

Questa affermazione può essere riferita anche al linguaggio giuridico e istituzionale.

La salvaguardia di una lingua è la salvaguardia dell’invenzione, dell’originalità e della libertà di una nazione e del suo corpo sociale. Spetta in primo luogo alle istituzioni, al Parlamento e al Governo, svolgere questa funzione di salvaguardia nei loro atti, nella loro comunicazione, assumendo un ruolo di guida e di sensibilizzazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni, degli operatori dell’informazione e dei cittadini, orientato ad un più diffuso e condiviso buon uso del nostro idioma nazionale. In questo modo, le istituzioni contribuirebbero a diffondere una lingua più bella e più ricca perché all’insegna della chiarezza e della lealtà comunicativa.

Bibliografia e sitologia

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Note

↑ 1 La citazione è ripresa dalla relazione illustrativa alla proposta di legge della XVII legislatura Atto Camera n. 4124, d’iniziativa dei deputati Di Stefano ed altri, recante Istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana.

↑ 2 Parere del Consiglio di Stato n. 1435 del 31 maggio 2018, numero affare 00743/2018, Oggetto: Autorità nazionale anticorruzione. Regolamento di definizione della disciplina della partecipazione a procedimenti di regolazione ANAC e di una metodologia di acquisizione e analisi dati rilevanti per AIR e VIR.

↑ 3 L’istituzione presso la Camera dei deputati del Comitato per la legislazione con le riforme regolamentari del 1997 segna l’emersione a livello politico dei temi della qualità della legislazione. Il Comitato è composto di dieci deputati scelti dal Presidente della Camera in numero pari fra membri della maggioranza e delle opposizioni.

↑ 4 Il Gruppo è formato da studiosi e specialisti della comunicazione italiani e svizzeri: Michele Cortelazzo, Paolo D’Achille, Valeria della Valle, Jean-Luc Egger, Claudio Giovanardi, Alessio Petralli, Luca Serriani, Annamaria Testa.

↑ 5 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni "Agenda europea sulla migrazione" (COM(2015)240).

↑ 6 "Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale", convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46.

↑ 7 "Disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi", convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2014, n. 50.

↑ 8 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 17 luglio 2017.

↑ 9 Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche".

↑ 10 Si veda in tal senso anche il comunicato del Gruppo incipit dell’Accademia della Crusca, 4 aprile 2019, citato nel paragrafo 3.

↑ 11 La citazione è ripresa dal Manifesto in difesa della lingua italiana consultabile al seguente indirizzo: http://www.italialibri.net/appendice/0900-2.html.

 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN électronique 1824-7482