n° 31 - Terminologie e comunicazione istituzionale, tra multilinguismo e traduzione

I neologismi e l’inglese nell’Unione europea

Edoardo PUSILLO



Abstract

Italiano  | Inglese 

L’articolo analizza taluni aspetti del ruolo fondamentale che i neologismi hanno nel processo di arricchimento, o se vogliamo, di aggiornamento e trasformazione di una lingua. Ogni parola, così come ogni essere vivente, ha un proprio ciclo di vita (nasce, muore, si trasforma, si unisce e si divide). Ciò è un fatto inevitabile perché una lingua sia possa continuare a vivere in una società in continuo cambiamento. Le lingue europee, per la loro coesistenza in un esteso territorio, sono gli idiomi che si sono maggiormente arricchiti. E’ l’inglese che, negli ultimi anni, ha maggiormente cambiato le lingue europee. Attraverso l’analisi dei dizionari italiani on line si scopre che la metà delle nuove parole sono inglesi, idiomi che non si sono modificati ma sono entrati direttamente “crudi” nel vocabolario ignorando le regole di ortografia e pronuncia. L’articolo rappresenta, inoltre, una occasione di riflessione sul futuro dell’inglese nel multilinguismo europeo perché dopo la Brexit, perché l’inglese non è più una lingua ufficiale dell’UE.

Nascono, muoiono, a volte si uniscono o si dividono, e ancora, mutano, si trasformano, emigrano … un po’ come tutti gli esseri viventi anche le parole hanno un loro ciclo di vita. Pietro Folena, presidente dell’associazione culturale MetaMorfosi, figlio del grande Gianfranco Folena, in apertura del convegno “L’Italiano in Europa, La lingua come risorsa”, organizzato dalla Camera dei Deputati a Palazzo Montecitorio nel 2012, citando il dizionario Palazzi-Folena (opera di alto valore culturale alla quale aveva lavorato il padre), aveva spiegato (FOLENA 2013:12):

E’ il primo dizionario della lingua italiana … ad aver visto accanto ad ogni parola la data di nascita. Frutto non solo di un’eccezionale ricerca filologica, ma del convincimento che le parole hanno una vita, una data di nascita come ogni cosa vivente, umana e non umana, molte volte anche una fine

e ampliando il concetto aveva aggiunto

la lingua, anzi le lingue, i dialetti, i generi letterari e artistici, il teatro, la lingua della musica, la pittura e così via comunicano, mutano, raccontano quella cosa straordinaria che è l’esperienza umana.

La data di nascita delle parole oggi appare anche in altri dizionari fra i quali il Sabatini – Coletti realizzato da Francesco Sabatini e Vittorio Coletti per l’edizione Rizzoli Larouse e consultabile on line.

Questa considerazione introduttiva è utile per sottolineare che la neologia ha, per sua stessa natura, un ruolo fondamentale nel processo di arricchimento, o se vogliamo di trasformazione del lessico di una lingua e ciò avviene proprio attraverso la nascita di nuove parole, sia “prestiti” da altri idiomi o modificazione del significato di lemmi già esistenti oppure originati da nuove realtà scientifiche, tecnologiche o sociali. Come specifica il Vademecum di neologia terminologica realizzato nel 2014 dalla Cancelleria federale svizzera, sezione di terminologia, i meccanismi con cui avviene questo processo di arricchimento della lingua sono molteplici:

formazione di parole (derivazione, composizione, abbreviazione), risemantizzazione (terminologizzazione), rinnovamento esogeno (prestiti, calchi) e altri ancora (formazioni ibride, estensione semantica, formazioni sintagmatiche, conglomerati).

Tralasciando la classificazione dei neologismi in base alla loro origine o derivazione possiamo dire che tutte le lingue creano nuove parole o attingono da altri idiomi quando è necessario. In estrema sintesi: le lingue si arricchiscono per via “endogena” cioè creando propri neologismi, oppure per via “esogena, cioè attingendo da lingue straniere. . E’ un fatto inevitabile, se non necessario, perché una lingua posso continuare a vivere in una società in continuo mutamento

Marco Biffi direttore di Italiano digitale, rivista della Crusca in Ret,e a questo proposito però avverte (BIFFI 2018:1)

è sempre difficile definire esattamente un neologismo, distinguerlo da quelle realizzazioni effimere legate a un particolare momento contingente o frutto di una creazione estemporanea (magari giustificata dal particolare periodo storico o culturale) basata sulle regole della morfologia derivazionale della nostra lingua; quel processo che ci permette di coniare “al volo” parole trasparenti attraverso prefissi e suffissi, senza per questo renderne necessaria una stabilizzazione nel repertorio lessicale...

Quando però un neologismo è il risultato di una precisa scelta, basata innanzitutto su consapevolezza e necessità linguistica ed inoltre condivisa dai parlanti allora la nuova parola ha concrete possibilità di arricchire il vocabolario.

Lorenzo Renzi nella sua analisi della mutazione linguistica sottolinea che (RENZI 2012:15)

un tema centrale dell’attuale teoria dell’evoluzione è l’idea che dei tanti cambiamenti che iniziano solo alcuni si impongono, altri restano senza esito

e poco dopo aggiunge

le innovazioni biologiche, cioè le mutazioni, hanno una origine del tutto diversa da quelle linguistiche, visto che prime dipendono dalle copie del dna, mentre quelle linguistiche avvengono nelle menti dei parlanti. … Ma le possibilità di sopravvivenza delle due potrebbe avere qualcosa in comune: in biologia come in linguistica ciò che favorisce il successo è l’adattamento della mutazione all’ambiente.

Tullio De Mauro, analizzando le lingue europee, individua una pur nella loro grande diversità. De Mauro, fra l’altro, spiega che la prevalente (DE MAURO 2018:16)

adozione di uno stesso alfabeto per lingue differenti facilita la percezione della loro diversità, ma nello stesso tempo ha agevolato scambi e trasferimenti di parole da una lingua all’altra.

Le lingue europee, proprio per la loro “coesistenza” su un vasto territorio, sono forse gli idiomi che si sono maggiormente arricchiti attraverso scambi interlinguistici oppure attraverso parole nuove che trovano la loro origine dalle scoperte scientifiche e tecnologiche e le comunicazioni in una realtà globalizzata. Facendo riferimento alle innovazioni scientifiche, tecnologiche, sociali o culturali è quindi naturale che il ricorso ai neologismi derivi prevalentemente dall’esigenza di poter identificare invenzioni, eventi, tendenze oppure realizzazioni di recente comparsa o diffusione.

Come riporta l’Enciclopedia Treccani nella versione on line:

Dal 20° secolo tutte le lingue europee conoscono una creatività lessicale di un’importanza qualitativa e quantitativa eccezionale. Si tratta del risultato della concorrenza di fattori sociopolitici, economici e culturali che conformano la società contemporanea: accelerazione e moltiplicazione delle innovazioni scientifiche, tecniche e sociali, sviluppo massivo degli scambi interlinguistici, intensificazione delle comunicazioni di massa in una società globalizzata dell’informazione.

A tutto ciò, prosegue sempre la Treccani on line:

si aggiungono le necessità di tecnologie linguistiche, per le quali la lessicografia classica è insufficiente, e l’effetto di eventuali azioni di pianificazione della politica linguistica.

La comunicazione globale

Venendo al tema del convegno “La neologia nello spazio linguistico europeo – La ricezione degli anglicismi nel linguaggio economico e istituzionale”è innegabile che l’inglese rappresenta l’idioma che nell’ultimo secolo ha maggiormente modificato le altre lingue europee. Oggi è indiscutibile lo “strapotere” dell’inglese, prima affermatosi come lingua del commercio internazionale, poi del mondo della musica, del cinema e via dicendo ed ora lingua di Internet.

E’ sempre possibile sostituire un anglicismo con una parola italiana, o italianizzare un termine oppure creare una nuova parola italiana ma l’utilizzo dell’inglese oggi è non solo più pratico bensì, come spiega Antonio Zoppetti, è anche (ZOPPETTI 2019:1) .

Se da un lato potrebbe apparire più logico adattare la parola inglese per renderla più assimilabile, un tale adattamento talvolta incontra ostilità.

Il citato il Vademecum di neologia terminologica riporta, a questo proposito, interessanti esempi:

un project manager e un capoprogetto fanno esattamente la stessa cosa, ma la designazione project manager attribuisce a questa qualifica professionale un’aura decisamente più positiva. Inoltre, la traduzione di un anglicismo viene spesso percepita dagli specialisti come una negazione della settorialità del termine: è il caso, ad esempio, di marketing, il cui sostituente commercializzazione non ha mai attecchito nel dominio dell’economia aziendale.

La terminologia inglese non è certamente bella (mi si conceda l’uso del termine bella), armoniosa, ma è decisamente funzionale alla comunicazione globale. Vittorino Andreoli, che non è un linguista o terminologo ma innegabilmente un attento osservatore dei mutamenti sociali e culturali, in uno dei suoi testi, “Il rumore delle parole” scrive (ANDREOLI 2019:131):

L’inglese … è sbrigativo. E’ più conciso, più onomatopeico, capisco che sia più indicato per essere eletto lingua internazionale, ma per quanto riguarda la bellezza dei suoni e delle forme delle parole, è semplicemente da buttare. E la fortuna di cui gode è un segno che viviamo in un’epoca in cui vale più la pratica della bellezza ...

Ecco, la ricerca della praticità è forse il più importante motivo del dilagare dei neologismi di derivazione inglese nella società dell’informazione e della comunicazione. E’ evidente, del resto, che anche le lingue, come mezzo di comunicazione, non possono sfuggire alla “supremazia” della praticità (intesa come semplicità, immediatezza, utilità) a discapito della bellezza (intesa come eleganza, armonia gradevolezza). Se tutto sembra essere in funzione dei risultati da conseguire nel più breve tempo possibile conseguentemente viene privilegiata la lingua che più si adatta all’immediata facilità d’uso. All’inglese va indiscutibilmente riconosciuto il merito di essere diventata la lingua franca per eccellenza nella società dell’informazione globale, va da sé che molte parole “nuove” entrate nei vocabolari e usate correntemente nei dialoghi derivano proprio da questo idioma. Soprattutto in ambito scientifico ed economico, il lessico specialistico è quello inglese. Nella comunità scientifica, considerando che le scoperte devono essere un patrimonio di tutti, l’utilizzo di termini di derivazione inglese facilita la diffusione delle conoscenze.

Per Gaston Dorren (DORREN 2019:321)

L’inglese si è diffuso come si sono sempre propagate le lingue: ha seguito il potere, il denaro e i piaceri della vita. Si dà il caso che grazie alla tecnologia ora è possibile che un’unica lingua abbia una presenza schiacciante in quasi tutto il mondo

E’ proprio nella terminologia di specialità che avviene molti spesso il processo neologico.

Relativamente allo strapotere dell’inglese nella comunicazione globale Gaston Dorren aggiunge (DORREN 2019:380)

Le lingue sono simili agli altri strumenti di comunicazione, maggiore è la quantità di persone che le parlano, più diventano utili. Sospetto che l’inglese abbia varcato la soglia oltre la quale nessuna lingua ha la possibilità di essere la nuova lingua franca.

Senza rendercene conto usiamo tante nuove parole che non appartengono al nostro italiano ma ci servono, in un determinato contesto per comunicare, per capire un concetto nuovo, neologismi coniati da anglicismi ormai di uso comune e soprattutto indispensabili al dialogo. Parole “vecchie” come break, babysitter, autostop e via dicendo, oppure attuali come download, firewall,wireless, selfie o ancora cliccare, gloogare, killare, taggarefino a lemmi di “ultima generazione” come caregiver (colui che assiste un proprio familiare disabile) o gengle (genitore single).

A quanti temono che una così vasta diffusione e condizionamento dell’inglese nel vocabolario nell’italiano minacci l’esistenza futura della nostra lingua madre Gianluigi Beccaria e Andrea Graziosi spiegano che (BECCARIA – GRAZIOSI 2015:7 )

l’ascesa dell’inglese come lingua veicolare non minaccia la vitalità e l’esistenza dell’italiano … Piuttosto l’italiano ha a che fare con un mutamento di status che accomuna tutte le lingue di cultura europea, dal tedesco a russo … Esso implica la perdita di alcune posizioni di queste lingue - per esempio nelle scienze, negli affari economici e nella cultura di massa – ma non ne minaccia la sopravvivenza ….

E ancora, l’italiano parrebbe

destinato a restare la lingue dei nostri sentimenti, dei nostri affetti, della nostra intimità e della nostra vita pubblica, la nostra lingua madre insomma.

Neologia e dizionari on line

Il computer con la sua estesa capacità di memoria, la rapidità dei suo calcoli insieme all’utilizzo di Internet ci offre una importante opportunità per analizzare i forestierismi. Nell’ambito della neologia l’accesso ai dizionari on line permette infatti studi e ricerche fino a qualche decennio fa inimmaginabili. Nel caso dell’italiano basta consultare un vocabolario digitale, utilizzando gli strumenti di ricerca disponibili del sito, per sapere quanti sono i neologismi presenti e quanti di questi derivano da una determinata lingua come per esempio dall’inglese.

Prima di proseguire è opportuno far riferimento alla distinzione tra i neologismi derivati da forestierismi che si sono adattati alla nostra lingua, assimilati a tal punto (cioè italianizzati) da far parte ormai del lessico italiano per i quali la loro origine straniera è rilevabile solamente dalla loro etimologia e forestierismi che sono penetrati in modo diretto nella nostra lingua e pertanto rappresentano elementi di discontinuità.

A questo proposito Jacqueline Visconti riferendosi alla ricerca linguistica ricorda la distinzione introdotta da Roberto Gusmani e ripresa da Gaetano Berruto (VISCONTI 2012:189)

tra prestiti, oggi in genere non adattati, parole mutuate da un’altra lingua e non conformi alle regole di formazione della lingua di arrivo, come leasing; calchi strutturali, in cui si ha la creazione di una parola italiana sul modello della struttura di una parola straniera, come in fuorilegge (outlaw), e calchi semantici, in cui una parola già esistente in italiano assume significati diversi sul modello di una inglese, come realizzare, nel senso di rendersi conto, divenire consapevoli di qualcosa, sul modello dell’inglese to realize.

Attraverso l’analisi dei neologismi nei vocabolari on line d’italiano il primo dato conferma che la lingua inglese è oggi la lingua della maggiore interferenza ma si scopre che la maggior parte degli anglicismi non si sono adattati ma sono penetrati “crudi” violando le nostre regole di pronuncia e di ortografia. Essi costituiscono ormai la metà dei neologismi del nuovo Millennio (secondo lo Zingarelli ed il Devoto Oli). Da ciò si deduce che la capacità dell’italiano di coniare parole nuove (l’evoluzione per via endogena) è evidentemente venuta sempre meno e oggi, privilegiando la già citata praticità, la tendenza è il ricorso all’uso di parole inglesi così come sono, al massimo storpiando la pronuncia (e anche questo per praticità).

L’inglese nell’unione europea

Nelle Organizzazioni internazionali, quale è l’Unione europea, l’inglese ha avuto una continua e crescente diffusione. Gianluigi Beccaria e Andrea Graziosi ricordano che nel 1918 l’inglese lingua del commercio internazionale (BECCARIA – GRAZIOSI 2015:51)

fece un importante passo avanti quando Woodrow Wilson costrinse i francesi ad accettare di malavoglia che diventasse una delle lingue ufficiali della Conferenza di pace e in seguito della Società delle nazioni, spezzando il monopolio che il francese esercitava sulla diplomazia dai tempi del trattato di Utrecht (1713).

Nel corso degli anni l’inglese ha, come noto, consolidato il suo “dominio” in Europa in conseguenza del suo ruolo nel mondo degli affari ed è riuscito ad innescare un processo di diffusione nel mondo dei mass media, della musica, della moda del cinema e via dicendo. Con l’avvento di Internet e della comunicazione globale il suo dominio è dilagato. Anche nell’Unione europea sotto molti aspetti l’inglese è preminente rispetto ad altre lingue ma poiché nell’Ue vige la regola della pari rilevanza delle lingue ufficiali dei Paesi membri l’inglese è, almeno negli atti ufficiali al pari degli altri idiomi. Il fatto che l’inglese è lingua ufficiale solo della Gran Bretagna perché l’Irlanda (sebbene successivamente al suo ingresso nell’Ue) ha chiesto il riconoscimento del gaelico irlandese, apre non pochi interrogativi.

Che ne sarà dell’inglese e dei tanti anglicismi nell’Unione europea? Tutti gli Stati membri sono da sempre d’accordo che . Disposizione questa sancita nientemeno che da una delle due leggi fondamentali dell’UE, cioè Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Da una attenta lettura della citata disposizione appare inequivocabile che la competenza sul regime linguistico spetta solamente al Consiglio, cioè all’istituzione che esprime la volontà dei governi degli Stati e che, per sua natura, non è sottoposta ad alcun tipo di consenso europeo. Il Parlamento può infatti “sfiduciare” la Commissione, non il Consiglio. Ma non è tutto, per qualsiasi modifica relativa al regime linguistico la benchè minima decisione deve essere presa all’unanimità; il regime linguistico è quindi sottratto a mutevoli maggioranze, ogni Stato, in pratica, ha un “diritto di veto” a garanzia che non potranno essere prese decisioni senza il suo consenso.

Senza la presunzione di azzardare previsioni ma solo offrire spunti per una riflessione che inevitabilmente coinvolgerà linguisti e non nell’Unione europea cito le parole di due ex commissari europei. Un articolo apparso su La Repubblica nel 2016 riporta che Danuta Hubner, ex commissario europeo per le Politiche regionali ed ex presidente della commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo parlando delle conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione disse: . L’ex presidente dalla Commissione Affari costituzionali riconosceva che l'inglese è “la lingua veicolare” fra le istituzioni dell'Unione, ma aveva sottolineato che per cambiare la regola “una lingua a Paese” serve un voto unanime di tutti i Paesi membri.

E più recentemente, nel novembre del 2019, l’ex Commissario europeo agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici, ha provocatoriamente scherzato (ma non troppo) sul futuro dell’inglese nell’Unione europea. Scrive il Sole 24ore che l’ex eurocommissario presentando le previsioni economiche dopo aver parlato in francese quando doveva proseguire l’illustrazione in inglese ha detto: ma dopo qualche istante ha aggiunto: .

E’ ipotizzabile che l’inglese resterà indiscutibilmente lingua veicolare nell’Unione europea ma probabilmente non sarà più nel novero delle lingue ufficiali come l’italiano, il francese, il tedesco, oppure il croato e via dicendo. L’inglese resterà “lingua di lavoro”, di dialogo tra le delegazioni, di dibattito tra i governi, perché se gli europei vorranno dialogare dovranno inevitabilmente usare l’inglese ma non potrà avere la rilevanza giuridica e l’ufficialità negli atti, nelle leggi, nelle dichiarazioni. Insomma tra lingua inglese e Ue sarà una convivenza necessaria ma difficile. Un caso decisamente singolare, tutto europeo.

Bibliografia

AAVV, Vademecum di neologia terminologica, Cancelleria federale svizzera, sezione di terminologia, Berna, 2014. p 5 e 16.
ANDREOLI, V., Il rumore delle parole, Milano, Rizzoli, 2019 p 131.
BECCARIA, G., GRAZIOSI, A., Lingua madre, italiano e inglese nel mondo globale, Bologna, Il Mulino, 2015, p 7 e 51.
BIFFI, M., (editoriale del direttore) in Italiano digitale, Rivista della Crusca in Rete, 2018 n. 1 gennaio-marzo.
DE MAURO, T., In Europa son già 103, Roma-Bari, Laterza, 2018, pag 16.
DORREN, G., Babele. Le 20 lingue che spiegano il mondo, Milano, Gazanti, 2019 p 321 e 380.
FOLENA, P., atti del convegno L’italiano in Europa, La lingua come risorsa. A vent’anni dalla scomparsa di Gianfranco Folena, tenuto a Palazzo Montecitorio il 26 settembre 2018, Camera dei deputati, Roma, 2013, p 12.
RENZI, L., Come cambia la lingua. L’italiano in movimento, Bologna, Il Mulino, 2012, p 15.
VISCONTI, J., «Prestiti e calchi: dove va la lingua giuridica italiana», in L’italiano giuridico che cambia, Accademia della Crusca, Firenze, 2012, pag 189.
ZOPPETTI, A., La sostituibilità degli anglicismi con corrispettivi italiani, in Treccani “La lingua Italiana” 4 settembre 2019.

Sitografia

ENCICLOPEDIA TRECCANI ON LINE
http://www.treccani.it/enciclopedia/la-neologia_%28XXI-Secolo%29/
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/anglicismi2/5_Zoppetti.html
MARCO BIFFI
http://www.accademiadellacrusca.it/it/pubblicazioni/italiano-digitale-rivista-crusca-rete/italiano-digitale-2018-1
ANTONIO ZOPPETTI http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/anglicismi2/5_Zoppetti.html
LA REPUBBLICA
https://www.repubblica.it/esteri/2016/10/27/news/brexit_un_taglio_alla_lingua_con_il_regno_unito_fuori_l_unione_europea_non_parlera_piu_inglese_-150675134/
IL SOLE 24ORE
https://stream24.ilsole24ore.com/video/economia/lo-scherzo-moscovici-dopo-brexit-inglese-bando-ue/ACsYcOx



 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN électronique 1824-7482