Publifarum n° 36 - Nouvelles formes de l'écriture scientifique

Inquietudini tra metodo e narrazione: scrivere la storia, raccontare storie

Fabio Caffarena



…ogni scienza ha un’estetica del linguaggio, che le è propria. I fatti umani sono, per essenza, fenomeni assai delicati, e molti di essi sfuggono al calcolo matematico. Per tradurli bene, e dunque per penetrarli a fondo (giacché non si comprende mai perfettamente ciò che non si sa dire?), sono necessari una grande finezza di linguaggio [un giusto colore nell’espressione verbale]. Laddove è impossibile calcolare, occorre suggerire.

Marc Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, 1998 (ed. or. Apologie pour l'histoire ou Métier d'historien, 1949)

1.1. In archivio: pesci, polvere e pidocchi

Nel capitolo dedicato ai cambiamenti nel modo di scrivere e conoscere la storia, inserito nel saggio Democrazia e populismo, lo storico John Lukács sostiene che gli studiosi dell’età contemporanea sono paragonabili perlopiù a «pesci freddi che hanno passato la loro vita in archivi polverosi», a scrivere in «una lingua burocratica brutta e inumana, una lingua di legno prosciugata di tutta la poesia, piatta come un pidocchio e grigia come il giornale quotidiano» (LUKÁCS 2006: 179). Emerge in questo passo una visione che potremmo definire antipositivista della ricerca storica, in cui l’archivio diventa luogo sclerotizzato, depositario di informazioni restituite attraverso un linguaggio asettico. Il lessico iperbolico di Lukács, nel contesto più ampio di un’analisi rivolta al ruolo totalizzante dei media nella società contemporanea, tradisce tuttavia fondamentali implicazioni riguardanti modalità e strumenti per la comunicazione e la restituzione dei risultati della ricerca.

Il rapporto, seppur tutto in accezione negativa, «tra archivi polverosi» e «lingua burocratica» rivela l’inestricabile legame tra ricerca storica e narrazione, cui non è aliena una componente di «poesia», evocata dallo stesso Lukács, e che anche Marc Bloch ammonisce di non «togliere alla nostra scienza», alla storia (BLOCH, 1998: 10). La consuetudine con le carte d’archivio è di non trascurabile supporto per orientarsi nella doppia anima – scientifica e umanistica – della disciplina convenzionalmente identificata come storia: non è un caso che la lingua latina distinguesse le res gestae (i fatti accaduti) dall’historia (il racconto e l’interpretazione dei fatti) e che ancora oggi la lingua inglese abbia mantenuto la distinzione tra story e history. 

L’archivio – la cui pratica prevede competenze tecniche di ricerca – rappresenta il luogo del metodo scientifico necessario per muoversi all’interno della documentazione, grazie agli strumenti di consultazione (guide, inventari) compilati in base a un lessico specifico (ZANNI ROSIELLO 1996). Rintracciare le fonti documentali in archivio – inteso come complesso organico di documenti legati da un vincolo – significa essere in possesso di tale linguaggio, che poi si traduce nelle note inserite in una ricerca (BERTINI 2008), ma è necessario anche intuito per immaginare possibili percorsi e presenze documentali nel «reticolato archivistico» preso in esame (ZANNI ROSIELLO 1987: 43). 

Rappresentando il con-testo dei documenti, l’archivio non è mai neutro ed è frutto di una sedimentazione causale: «malgrado quel che talora sembrano credere i principianti – ha scritto a tale proposito Marc Bloch – i documenti non spuntano fuori, qua o là, per l’effetto di non si sa qual misterioso decreto degli dèi. La loro presenza o la loro assenza, in quei fondi d’archivio, in quella biblioteca, in quel suolo, dipendono da cause umane che non sfuggono affatto all’analisi» (BLOCH 1998: 56).

2.1. Scegliere: s-montare

Le parole dello scrittore e critico letterario Renato Serra spiegano efficacemente – al di là delle definizioni tecniche della scienza diplomatica – la natura dei documenti: «C’è della gente che s’immagina in buona fede che un documento possa essere un’espressione della realtà; uno specchio, uno scorcio più o meno ricco, fedele di qualche cosa che esiste al di fuori. Come se un documento potesse esprimere qualche cosa di diverso da sé stesso. La sua verità non è altro che la sua esistenza. Un documento è un fatto» (SERRA 1974: 286). 

In tal senso gli archivi sono degli artefatti e tali sono anche i documenti, come forma di espressione della cultura, del periodo storico, dell’istituzione o del privato che li hanno prodotti. Contenitori (archivi) e contenuto (documenti) rappresentano delle narrazioni: le carte, per diventare fonti, vanno quindi decodificate avendo chiaro il contesto e le circostanze di produzione. La fase di reperimento dei documenti, per quanto accurata, approfondita ed estesa è sempre una campionatura: tale scelta rappresenta la prima fase dello smontaggio, del vaglio critico, ma non può essere espressione di una formula matematica, bensì riflette un’alchimia che dipende dal punto di osservazione, dal tipo di domanda che si pone al documento, all’uso – informativo o narrativo – che se ne vuol fare all’interno della ricerca. 

Scegliere un documento e utilizzarlo come fonte implica un’operazione di de-contestualizzazione e di ri-contestualizzazione, ancor più complessa nel caso occorra utilizzare e far dialogare fonti eterogenee, da quelle scritte a quelle materiali, iconografiche, fino – per la storia contemporanea – alle fonti orali (DE LUNA 2001). 

È stato opportunamente osservato da Lukács che «contrariamente alle aspettative, l’accessibilità degli archivi nelle democrazie ha reso il compito dei ricercatori non meno, ma sempre più difficile. Ciò che è accaduto è una fantastica proliferazione di carte e di altre registrazioni e documenti di ogni specie» (LUCKÁCS 2006: 175) e ancor più significativamente il presente sta portando alla perdita di qualità e autenticità delle fonti, alla distinzione sempre più problematica e sfuggente fra fonti primarie e secondarie che la documentazione digitale e la «riproducibilità informatica dei documenti stanno ampliando in modo esponenziale» (RAGAZZINI 2004: 3). Il passaggio epocale «dalla fonte alla risorsa» on line (VITALI 2004: 69) contribuisce a rendere sempre più complessa la «struttura degli eventi» (LUCKÁCS 2006: 176) e quindi la loro restituzione attraverso la scrittura.

Smontare, decostruire testi e testimonianze, di qualsiasi natura siano, richiede competenze articolate per evidenziarne la genesi, la struttura, soprattutto nell’ottica di perseguire una storia che preveda l’utilizzo di fonti da armonizzare nel caleidoscopio documentale di riferimento per la ricerca. 

La storia che io auspico – così Fernand Braudel nel 1944 in occasione di un ciclo di lezioni tenute nel campo di concentramento tedesco di Lubecca – è una storia nuova, imperialistica e anche rivoluzionaria, capace, per rinnovarsi e compiersi, di saccheggiare le ricchezze delle vicine scienze sociali; una storia, ripeto, che è profondamente cambiata, che ha fatto notevoli passi avanti, lo si voglia o no, nella conoscenza degli uomini e del mondo: in una parola, nell’intelligenza stessa della vita. La definirei una grande storia, una storia profonda. Una grande storia vuol dire una storia che punta al generale, capace di estrapolare i particolari, di superare l’erudizione […]. Grande storia, ma anche storia profonda […], una storia degli uomini vista nelle sue realtà collettive, nell’evoluzione lenta delle strutture (BRAUDEL, 1998: 27-28).

Andare in profondità implica complicare il quadro, allargare la panoplia di fonti di cui lo storico deve armarsi, rivolgendosi a strumenti in grado non solo di sondare la storia delle realtà collettive, ma anche il piano della soggettività, ad esempio attraverso le fonti di scrittura popolare o le testimonianze orali (CAFFARENA 2016; BONOMO 2013) in grado di far emergere l’«atto configurante» che la gente comune, di fronte a grandi eventi separatori come migrazioni e guerre, ha lasciato nelle scritture personali (CATUCCI 2003: 217). In tale contesto, si può comprendere «l’ansia semplificatrice degli storici tradizionali, di quelli che preferiscono battere i sentieri relativamente sgombri e rettilinei dell’histoire-bataille1 invece dei tortuosi cammini dell’histoire-homme2», attraverso una prospettiva filologica apprezzabile, ma da ampliare (FERRAROTTI 1986: 116).

Ai «documenti» e ai «monumenti» sono da aggiungersi le testimonianze […]. La storia così «complessificata» sfugge alle categorie tradizionalizzate, forse comode ma anguste […]. Da storia storica, più o meno marmorizzata, si scioglie nella fluidità problematica delle storie di vita. La storia dei principi deve accogliere, e accettare di venire riscritta, come storia dei sudditi. Storico e vissuto cominciano a dar luogo a una sottile, inesplorata dialettica relazionale (FERRAROTTI 1986: 117). 

3.1. Scrivere: ri-montare

«In ogni storia, l’autentico protagonista è sempre chi la racconta. Gli specialisti dediti alla ricostruzione del passato hanno messo a punto, nel corso del tempo, molte strategie per rendere meno evidente un’identificazione così imbarazzante» (SCHIAVONE 1999: Prologo). Lo storico, sul suo ideale tavolo da lavoro, stabilisce nessi tra i documenti e tale operazione – analogamente alla fase di montaggio cinematografico – esprime un’«identificazione» che, senza arrivare necessariamente all’imbarazzo, rappresenta un elemento non trascurabile e non negativo a priori. 

Il lavoro di rimontaggio delle fonti rappresenta una fase che lascia scarti, ritagli, proprio come il girato cinematografico: si tratta di una fase creativa, difficilmente adattabile però ai canoni del montaggio letterario proposti da Walter Benjamin, metodologicamente convinto di non aver «niente da dire. Solo da mostrare […]. Stracci e rifiuti, ma non per descriverli, bensì per mostrarli» (BENJAMIN 1982: 941). Lo storico non sempre mostra i suoi «stracci e rifiuti», talvolta neppure descrive analiticamente le fonti, ma certamente le interpreta: la costruzione del dispositivo storico può essere considerata quindi un’operazione implicitamente narrativa, seppur sorretta dal metodo scientifico, e non può prescindere dall’efficacia stilistica dello scrivente, che sfugge all’analisi (GUIDARELLI-MALACRINO 2005 e GIUDELJ-NICOLIN 2006). 

Hayden White, tra i maggiori esponenti del narrativismo storico, ha sostenuto che «i racconti storici traggono parte del loro effetto esplicativo dalla loro capacità di costruire storie partendo da semplici cronache», in cui è fondamentale la «costruzione di strutture d’intreccio» (WHITE 2006: 17): la messa a punto dell’intreccio narrativo, che nella pratica si manifesta nell’indice di un lavoro di ricerca, sposta la riflessione nell’ambito della teoria letteraria, alla base di un ampio dibattito epistemologico sulla narrazione della storia (FLECHET-HADDAD 2018; MICHONNEAU 2018; FAVILLI 2013; FONDAZIONE BELLONCI 2006). Ma si tratta anche di intrecciare linguaggi: «saccheggiare» – per dirla con Braudel – significa appropriarsi di linguaggi disciplinari, tuttavia per la scrittura della storia occorre trovare una sintesi narrativa capace di esprimere «efficacia comunicativa, rigore di argomentazione, rapporto corretto con le fonti, eleganza stilistica», quindi una leggibilità che è compito dello storico/narratore restituire (LANARO 2004: 9).

Come è stato osservato, la «posta in gioco di ogni discussione su storia e narrazione è molto alta. Si tratta o di arrendersi di fronte all’ondata che declassa la storiografia a mero racconto […], ovvero di fare quadrato intorno alla discriminante […] della ricerca della verità: anche quando questa sia una verità parziale» (CANFORA 2015: 23). È ciò che Krzysztof Pomian, ha definito la «consapevolezza dell’esistenza di un confine tra il regno della realtà e quello in cui è la finzione a esercitare un pieno potere», confine senza il quale «non è possibile avere alcuna storia» (POMIAN 2001: 7).

4.1. Raccontare: dai tropi all’history-telling

La ricerca della verità, per quanto parziale, rappresenta la prima missione dello storico (CAFIERO 2008; MENOZZI 2008), ma si può anche affermare – con un po’ di inquietudine – che «scrivere la storia significa raccontare un vuoto, vale a dire raccontare la sua inafferrabilità», come si legge nell’introduzione a un’edizione italiana dello studio L’écriture de l'histoire di Michel de Certeau, pubblicato a Parigi per i tipi di Gallimard nel 1975 (FACIONI 2006: XI). Tale inafferrabilità contribuisce a spiegare perché – attingendo al pensiero di Benedetto Croce ripreso da Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere – «la storia è sempre storia contemporanea» (GRAMSCI 2001: 1242) e necessita quindi di strumenti comunicativi e trasmissivi adeguati ai tempi, soprattutto nell’ambito della Public History (BANDINI-OLIVIERO 2019)3.

Il racconto della storia – analizzata a livello informativo, persuasivo e teorico ideologico (TOPOLSKI 1997) o inquadrata da White nel sistema dei tropi (metafora, metonimia, sineddoche, ironia) e nei canoni dell’intreccio romantico, tragico, comico e satirico (DAMI 1994) – è sempre più al centro degli interessi degli storici, consapevoli di dover appropriarsi, o almeno convivere, con strumenti e linguaggi extra-disciplinari che giocano un ruolo determinante non solo nella comunicazione, ma anche nella costruzione di storie e della storia (VOLPI 2020; PALLECCHI 2017). 

La televisione, dove sono disponibili canali tematici dedicati alla storia (History Channel, Rai Storia), ha fatto emergere l’importanza di una riflessione sulla dimensione extra-accademica, pubblica e di massa della comunicazione storica: un medium che si è affermato anche come agente di storia, capace di produrre immagini al medesimo tempo identificabili come fonte, evento e memoria  (SCAGLIONI 2006: 17-46). Per comprendere la capacità dei prodotti audiovisivi di creare e al contempo testimoniare i fatti, basti pensare al crollo delle Torri gemelle a New York nel 2001: evento intrinsecamente televisivo, il cui impatto sociale (storico?) non sarebbe stato il medesimo senza la narrazione per immagini dell’impatto dei due aeroplani sugli edifici (CHÉROUX 2010).

Ben più che il racconto cinematografico (ORTOLEVA 1991; DI BLASIO 2014), la narrazione televisiva della storia e la sua contestuale capacità di generare storie e storia rappresenta uno snodo cruciale, su cui si è concentrato un dibattito che pone lo storico davanti alla necessità di ripensare il modo di scrivere per restituire la storia non solo agli specialisti, ma alla società (SORLIN 1999, 2013; CICOGNETTI et alii 1999, 2008, 2011; GRASSO 2006; SANGIOVANNI 2006). L’historytelling, concepito come racconto di storie utili alla comprensione della storia, rappresenta un metodo narrativo capace di persuadere all’ascolto un uditorio accademico, ma anche non specialista (COLOMBO 20204; BIDUSSA 2016): la forza comunicativa di tale approccio può essere testimoniata dalla narrazione di teatro civile dedicata alla tragedia della diga del Vajont (1963) proposta da Marco Paolini, che rappresenta un efficace esempio di metodo storico restituito attraverso l’historytelling (PAOLINI 2008; BIANCHESSI 2010). Tale esempio riporta per alcuni aspetti alla storia profonda evocata da Marc Bloch, in grado di attingere competenze e metodi da altre discipline, che in questo caso sono linguaggi lontani da quelli freddi provocatoriamente descritti da Lukács. Si tratta di una contaminazione utile per ripensare la scrittura delle storie e della storia, che deve tener conto di nuovi strumenti comunicativi che saranno in futuro anche fonti, come le piattaforme social, i podcast, le chat (IANNELLI 2010)5.

In gioco sono infatti la conservazione del senso del passato nel mondo globalizzato (GRUZINSKI 2016) e «il passaggio del ricordo attraverso le generazioni» (BLOCH 1998: 56): per questo contemperare il metodo scientifico della ricerca con i linguaggi narrativi della contemporaneità rappresenta un’esigenza irrinunciabile dello storico, affinché possa continuare a esercitare il suo «mestiere» da attore della comunicazione disciplinare senza diventare incomprensibile (DETTI, DE LILLO, FERRARIS 2010)6. Diversamente, l’esito sarà quello di non poter più maneggiare e utilizzare come fonti gli strumenti di comunicazione storica del presente (TONELLI 2002; ZORZI 2002): un recente esempio, fra i tanti, è Storie di Storia, la newsletter del quotidiano La Repubblica, che dal 2022 propone due volte alla settimana storie e vicende del passato presentate come breaking news appena accadute, per restituire «il fascino dell’attualità del passato attraverso un avvincente racconto giornalistico». Un racconto che prevede anche (o ancora) «ricerche negli archivi storici»7, luoghi fisici e simbolici – per nulla concettualmente «polverosi» – da dove lo storico deve sempre ri-partire, con i suoi strumenti, con la sua capacità di ascolto, decodificazione e montaggio delle fonti. Con il suo linguaggio, disciplinato, ma aperto alle contaminazioni. 


Bibliographie

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Note

↑ 1 Con la definizione histoire-bataille (o histoire événementielle) si fa riferimento a un approccio che predilige la dimensione politico-istituzionale e militare della storia, oltre alle biografie di personaggi noti (regnanti, generali…).

↑ 2 Con la definizione histoire-homme Ferrarotti mette al centro della riflessione e della narrazione storica non gli eventi, ma l’uomo, colto in profondità, nella dimensione sociale e soggettiva.

↑ 3 L’ultima edizione della manifestazione La Storia in Piazza di Genova (31 marzo-3 aprile 2022) è stata non a caso dedicata al tema Raccontare la storia. Su tali aspetti si veda CARDINI F. e DE LUNA G., «Porta a porta con la Storia», in La Stampa-Tuttolibri, Torino 23/10/2004, pp. 1 e 12, in cui gli storici Franco Cardini e Giovanni De Luna riflettono su «come sta cambiando il mestiere di storico e il suo rapporto con i media, perché è necessario fare i conti con la divulgazione e, dalla TV alla scuola, controbattere gli stereotipi», p. 1.

↑ 4 https://storiaenarrazione.jimdofree.com/

↑ 5 https://www.cliomediaofficina.it/portfolio-2/progetti-culturali/2060-con-quali-fonti-si-fara-la-storia-del-nostro-presente-tecniche-pratiche-e-scienze-sociali-confronto/paper-gruppi-di-lavoro/

↑ 6 https://www.cliomediaofficina.it/portfolio-2/progetti-culturali/2060-con-quali-fonti-si-fara-la-storia-del-nostro-presente-tecniche-pratiche-e-scienze-sociali-confronto/paper-gruppi-di-lavoro/

↑ 7https://www.repubblica.it/cultura/2022/02/17/news/le_newsletter_di_repubblica_nasce_storie_di_storia_per_gli_appassionati_della_grande_storia-338151416/


 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN électronique 1824-7482