Publifarum n° 38 - La représentation de la ville dans la bande dessinée

La “Milano nera” di Scerbanenco e Bacilieri. Dalla lingua del romanzo al linguaggio del fumetto

Alberto Sebastiani



Abstract

Italiano  | Inglese 

La “Milano nera” di Scerbanenco e Bacilieri. Dalla lingua del romanzo al linguaggio del fumetto affronta la raffigurazione della città lombarda nell’adattamento a fumetti che Paolo Bacilieri ha fatto del romanzo Venere privata di Scerbanenco. L’adattamento è apparso prima in rivista, su “Linus”, poi in volume per Oblomov nel 2022, con alcune varianti. L’analisi della raffigurazione di Milano nel fumetto rivela uno scarto narrativo dell’adattamento rispetto al romanzo originale, che, filtrato anche dalla poetica di Bacilieri, offre una lettura personale della vicenda e suggerisce un finale differente, una sorta di lieto fine, una pacificazione temporanea tra i personaggi, gli eventi (storici) narrati e la città in trasformazione negli anni del boom economico.


Introduzione

Venere privata. La prima indagine di Duca Lamberti di Paolo Bacilieri (Oblomov 2022, di seguito VPF), è l’adattamento a fumetti del romanzo omonimo di Giorgio Scerbanenco (1911-1969), pubblicato nel 1966 (di seguito VP1). Il testo originario è indicato esplicitamente, e la sua ri-mediazione è evidenziata in copertina attraverso l’accostamento del nome del fumettista a quello dello scrittore. Nel testo derivato emergono, inevitabilmente, relazioni intertestuali con opere riconducibili ad altri linguaggi visivi, che hanno influito nel processo che conduce dalla narrazione letteraria al fumetto, medium ibrido di elementi iconici e verbali. Tali relazioni si presentano in particolare sotto forma di citazione, allusione o di mimesi ipertestuale, e riguardano opere non per forza direttamente legate al romanzo di Scerbanenco. Come vedremo, riconosciamo ad esempio nei personaggi i visi degli attori dell’adattamento cinematografico Il caso “Venere privata” di Yves Boisset (1970), nei luoghi raffigurati alcune fotografie celebri di Milano negli anni Cinquanta e Sessanta, e nei dettagli altro materiale testuale del medesimo periodo (come le locandine promozionali di film e concerti) funzionale a caratterizzare il contesto storico o, a volte, a svolgere funzione di commento al testo originario. Il saggio, attraverso un’analisi comparata del fumetto e del romanzo, intende mettere in luce il dialogo che Bacilieri instaura con Scerbanenco, la sua lingua e la sua narrazione, e con altre fonti testuali che ritiene funzionali all’adattamento, per individuare l’interpretazione che il fumettista offre del testo originale. Nello specifico, si affronta la raffigurazione della città, di Milano, per mostrare uno scarto narrativo dell’adattamento rispetto al romanzo originale, che, filtrato anche dalla poetica di Bacilieri, rivela una lettura personale della vicenda e suggerisce un finale differente, una sorta di lieto fine, una pacificazione temporanea tra i personaggi, gli eventi (storici) narrati e la città.2

1. Venere privata dal romanzo al fumetto

L’adattamento a fumetti è pubblicato inizialmente sulla rivista Linus, dal n. 8/2021 al n. 11/2022, con la sola eccezione dei nn. 1/2022 e 9/2022. L’edizione in volume, uscita in occasione di Lucca Comics and Games 2022, senza introduzione né postfazione, presenta complessivamente 152 tavole in bianco e nero in un formato ridotto rispetto alla rivista.3 L’adattamento rispetta sostanzialmente la trama del romanzo con cui Giorgio Scerbanenco4 apre il ciclo di Duca Lamberti, medico radiato dall’ordine per aver praticato l’eutanasia, che comprende anche i volumi Traditori di tutti (1966), I ragazzi del massacro (1968), I milanesi ammazzano al sabato (1969). Ambientati a Milano, come i racconti coevi di Milano calibro 9 (1969) e il postumo I centodelitti (1970), i testi presentano caratteristiche riconducibili a più generi letterari, dall’hardboiled americano al romanzo d’appendice ottocentesco (Pischedda 2017, D’Agostino e Mantovani 2017); Venere privata, però, è ritenuto il capostipite del giallo contemporaneo nazionale, attento alle trasformazioni sociali in atto nel paese negli anni del boom economico (Crovi 2020, Oliva 2003, Crovi 2002, Pirani et al. 1998, Carloni 1994, Rambelli 1979). Vi si racconta l’indagine ufficiosa che riapre il caso del suicidio di Alberta Radelli nei prati vicino a Metanopoli, condotta da Lamberti con l’aiuto del poliziotto Mascaranti e con la supervisione del commissario Carrua. Tale indagine svela l’esistenza di un’associazione a delinquere che gestisce un giro di prostituzione internazionale d’alto bordo, legata alla mafia, e nasce casualmente: Lamberti è infatti incaricato dall’ing. Auseri, che lo ha convocato nella sua villa in Brianza, di guarire suo figlio Davide dall’alcoolismo, e l’ex medico, appena uscito dal carcere dopo il processo per l’eutanasia, accetta anche per aiutare la sorella Lorenza, che è ragazza madre. Ben presto, però, Duca scopre che dietro l’alcoolismo del ragazzo si nasconde il senso di colpa per il “suicidio” di Alberta. Infatti, il giorno della sua morte il giovane l’aveva incontrata per caso, l’aveva portata a fare un giro sull’autostrada del Sole e aveva avuto con lei un rapporto sessuale a pagamento. La ragazza aveva poi insistito a tal punto per essere portata via da Milano, che Davide, scocciato, appena usciti dall’autostrada, l’aveva costretta a scendere dall’automobile proprio nell’area di Metanopoli, dove il giorno dopo era stato ritrovato il suo cadavere. In realtà la Radelli non si è suicidata, ma è stata uccisa da alcuni criminali, a cui aveva sottratto foto pornografiche scattate a lei e a un’altra ragazza, Maurilia, che perciò volevano vendicarsi. Per rintracciare questi criminali, Duca e Mascaranti trovano un’alleata in un’amica di Alberta, Livia Ussaro, che accetta di fingersi prostituta per le strade di Milano e adescare così i malviventi, in particolare il “signor A”, ovvero colui che avvicina le ragazze e le convince a farsi fotografare.

Come abbiamo mostrato in altra sede (Sebastiani 2022), Bacilieri ha mantenuto sostanzialmente invariata la successione degli eventi, ma ha attuato dei tagli, ricollocato alcune scene, sincronizzato altre, inserito nuove situazioni, mentre a livello linguistico e stilistico ha cercato di modernizzare la lingua di Scerbanenco,5 in particolare nei dialoghi, con una scelta che predilige un’imitazione del parlato contemporaneo; infine, a livello retorico, ha sfruttato nella strutturazione delle tavole una significativa varietà di soluzioni grafiche per le griglie, per modulare l’andamento ritmico del racconto, alternando fasi d’azione ad altre più riflessive senza perdere in tensione, e per suggerire con accostamenti specifici dei correlativi oggettivi dei sentimenti e delle sensazioni dei personaggi. Per limitarci a pochi esempi, ha ridotto alcuni passaggi, come il dialogo nella villa Auseri con due ragazze conosciute in un locale brianzolo da Duca e Davide (VP: 48-50 > VPF: 29), ha inventato la scena la danza scatenata di Duca nel medesimo locale (VPF: 26-27) e ha invertito la prima e la seconda parte del monologo di Lamberto su suo padre e sul perché abbia praticato l’eutanasia (VP: 75-76 > VPF: 46-47). Per citare alcuni interventi più sostanziali, inoltre, con l’uso delle voci fuori campo Bacilieri ha sovrapposto il dialogo tra Davide e Duca in Brianza e la sequenza di immagini del viaggio che li conduce a Milano (VP: 60-64 > VPF: 40); ha posposto alla partenza di Livia e all’inizio delle violenze nei suoi confronti la pianificazione dell’intervento a copertura della donna che, dopo aver adescato il “signor A”, accetta di andare a farsi fotografare nel condominio Ulisse di via Egidio Folli (VP: 204-212 > VPF: 129-143). Sul piano della raffigurazione, inoltre, ha sfruttato fonti iconografiche precise, a partire dagli attori che in Il caso “Venere privata” impersonano Alberta e Duca, ovvero Raffaella Carrà e Bruno Cremer, usati come modelli per i due personaggi. Se in questo caso si tratta di una citazione da un testo filmico ascrivibile all’ecosistema narrativo del romanzo, in altri casi abbiamo citazioni da testi estranei: Bacilieri ha ad esempio riprodotto la locandina del film di Luigi Comencini La tratta delle bianche, del 1952, che affronta lo sfruttamento della prostituzione (VPF: 107). La pellicola non è citata da Scerbanenco, che però usa la medesima espressione del titolo in due occasioni, per indicare il sistema di sfruttamento della prostituzione che si profila nelle indagini:6 la citazione ha quindi una funzione metatestuale, di commento, sia per evidenziare il legame tematico tra le due opere, sia per suggerire la presenza di una citazione del film già nel romanzo.

2. Milano tra romanzo e fumetto

Se consideriamo un adattamento come processo e come opera in sé, e soprattutto come un’interpretazione del testo originario da parte dell’adattatore, allora la lettura del romanzo da parte di Bacilieri è stata tutt’altro che superficiale. Tanto l’elemento verbale quanto quello iconico del fumetto dialogano attentamente con il romanzo di Scerbanenco. La rappresentazione dei luoghi in cui è ambientata la storia sembra però ciò su cui il fumetto si prende maggiori libertà, sia perché il romanzo è avaro di descrizioni e dettagli, sia perché Bacilieri, come autore, ha da sempre un’attenzione particolare alle architetture urbane, in particolare per la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta, per la quale ha in più occasioni dichiarato una grande passione.7 Di conseguenza, la raffigurazione di luoghi, ambienti e spazi risulta l’ambito in cui è più evidente la scelta autoriale di Bacilieri, lo scarto che caratterizza il testo d’arrivo, vale a dire l’essenza della lettura attuata e la specificità dell’adattamento.

2.1. La Brianza e l’autostrada del Sole

Gli spazi in cui è ambientato Venere privata sono essenzialmente tre: la Brianza, Milano, l’autostrada del Sole. La prima è il luogo dove viene affidato l’incarico a Duca dall’ing. Auseri. Gli spazi della Brianza raffigurati nel fumetto sono, nell’ordine: il giardino della villa dell’ing. Auseri, il country-night dove Duca e Davide passano la prima serata insieme, l’interno della villa. Si passa poi a Milano, con l’appartamento di Lorenza, la bottega del barbiere vicino a casa della sorella di Duca, la questura, dove lavora il commissario Carrua, il cimitero Musocco dove l’ex medico visita la tomba del padre, varii luoghi del centro cittadino, fino alla periferia di via Egidio Folli; infine l’autostrada del Sole, con la stazione di servizio Somaglia, nella quale Davide e Alberta consumano il rapporto sessuale.

Seguendo l’ordine, dal romanzo sappiamo che la villa ha un parco, con vialetti di ghiaia, una «mensoletta di cemento che faceva da panchina» e otto finestre, «quattro a pianterreno e quattro al primo piano» (VP: 25-26, 28), e nelle tavole dell’adattamento risulta la seduta e la disposizione su due piani (VPF: 13, 30) dell’edificio, ma al piano terra c’è un porticato, al primo piano quattro finestre. Degli interni, dei quali sappiamo altrettanto poco, dal romanzo è ripresa in particolare la scala su cui Duca si siede e “interroga” sul comportamento del giovane Auseri una ragazza che ha avuto un rapporto sessuale con lui (VP: 50 > VPF: 29). Del locale sappiamo che «sorgeva [...] sul fianco di un colle», ha una «veranda giardino dove si ballava», un juke-box e ospita «un brillante complesso orchestrale», e che «su un terrazzino c’erano alcune tavole apparecchiate, era il ristorante», e sono queste ultime e la pista da ballo a essere raffigurate, con inevitabile libertà data l’assenza di descrizioni (VP: 44-45 > VPF: 23-27). Meno avara di dettagli è invece la scena nel cimitero di Musocco, con «la tomba, più o meno uguale a tutte le altre della fila, il cero spento nel bicchiere scuro, l’aiuoletta di fiorellini bolliti dalla calura, l’iscrizione spartana, Pietro Lamberti, data di nascita e di morte e basta»; il disegno ripropone la situazione, e raffigura l’interno del cimitero rappresentato a partire da immagini facilmente reperibili (VP: 214 > VPF: 46-47).

2.2. Milano centro

La zona centrale di Milano appare nel numero 12/2021 di Linus, nella quinta puntata, ma è soprattutto a partire dal n. 3/2022, ovvero dalla settima, che diventano quantitativamente significative le sue raffigurazioni. Scorci o panoramiche di Milano occupano infatti in totale 52 tra vignette e splash pages. In generale, la caratterizzazione fisica della città sono i palazzi o i luoghi storici, che siano citati o meno da Scerbanenco. Lo scrittore nomina ad esempio l’Hotel Principe di Savoia (solo però come «Hôtel Principe»), dove si svolge il ricevimento in cui Livia e Alberta si conoscono (VP: 142-143), o piazzale Loreto (VP: 188), dove Livia passeggia da adescatrice, ed entrambi sono rappresentati nell’adattamento (VPF: 87, 117). Della città però Scerbanenco non descrive palazzi o monumenti, che sono eventualmente nominati (es. la Scala, i palazzoni di Metanopoli, Torre del Parco), o usati per costruire similitudini («come fosse caduto dall’ultimo piano del grattacielo della Pirelli» VP: 90), ma a Bacilieri sembra non interessare seguire eventuali descrizioni dell’autore, o per forza raffigurare palazzi o strade nominate, bensì mettere in scena Milano. La città diventa infatti un personaggio, caratterizzato fisicamente e umanamente. 

L’aspetto fisico mostra la città in espansione dell’epoca, il suo nuovo volto architettonico, a partire dalla ricorrente Torre Velasca (VPF: 61, 72, 110), non citata da Scerbanenco ma topos figurativo ricorrente nelle rappresentazioni di Milano di Bacilieri.8 Appaiono poi nell’adattamento anche monumenti come gli archi di Porta Nuova (VPF: 78) o una torre rotonda del castello sforzesco (VPF: 134), ma Bacilieri indugia più volentieri sui luoghi di ritrovo e commerciali emblematici del tempo, come il Bar Basso via Plinio 39 (VPF: 81), l’UPIM di via Carlo Farini (VPF: 89) e la Standa di via Torino (VPF: 122), non nominati da Scerbanenco.9 Se appaiono è per motivi diversi. I monumenti possono ad esempio offrire uno sfondo realistico: gli archi sono vicini all’Hotel Cavour (VPF: 80, 99, 105, 108, 109, 113) di via Fatebenefratelli («il quartiere generale», VP: 129, da cui Duca indaga sulla morte di Alberta), e la torre è vicina a Piazza Castello dove il “signor A” ha il suo negozio di copertura «nell’antica viuzza, stretta, così caratteristica» (VP: 240). Il bar che ha dato i natali, pochi anni dopo gli eventi narrati, al cocktail “Negroni sbagliato”, è invece scelto autonomamente da Bacilieri, in quanto Livia, dando appuntamento a Duca, dice semplicemente: «Qui in via Plinio, sotto casa mia. C’è un bar» (VP: 135), ed è quindi funzionale a evocare il costume milanese del tempo. I due grandi magazzini danno infine il colore, e se l’uno è ai numeri civici 79/81, frontale quindi al numero 78, che ospita lo studio dove si fanno fotografare Alberta e Maurilia (VP: 154, raffigurato in VPF: 91), l’altro invece non è nemmeno considerabile sineddoche per la strada, in quanto via Torino non è citata negli itinerari dei personaggi. Così come non risulta nemmeno via Bramante, ma l’attuale sede dell’ADI Design Museum di Milano, al tempo deposito dei tram, appare come sfondo delle “passeggiate” di Livia (VPF: 120).

2.3. La caratterizzazione dei luoghi e di Milano

La prima immagine della zona centrale di Milano che appare nel fumetto corrisponde però al momento in cui, nel romanzo, Davide e Duca arrivano in città, in piazza Leonardo da Vinci e al palazzo dove abita Lorenza, di cui è descritto il «quattrocentesco, mastodontico portone, in contrasto con la modestia del palazzotto» (VP: 65). Nell’adattamento si vede un incrocio a raggiera che ha come focus un palazzo (VPF: 41)10, probabilmente quello all’angolo con via Ampère, perché il parrucchiere dove poi l’ex medico si reca è in quella strada, e a sua volta potrebbe essere all’angolo con via Vallazze (VPF: 42). 

La riconoscibilità interessa però relativamente: non è una questione di ricostruzione filologica della città del romanzo. Ciò che conta è ovviamente il “clima” della Milano del tempo (e dell’Italia del boom economico) che Bacilieri cerca di restituire attraverso i dettagli. Ad esempio, dal romanzo si inferisce che l’appartamento di Lorenza abbia almeno due camere, e una è una cucina, con un tavolo, un piano cottura a gas e una caffettiera, messa in evidenza nel fumetto (VP: 65-66, VPF: 41); della questura invece nel romanzo si dice solo che è in via Fatebenefratelli (VP: 69, VPF: 43, 46)11, nell’adattamento non si vede nulla dell’esterno e la scena si svolge interamente nell’ufficio di Carrua. Entrambi i luoghi, nel fumetto, sono caratterizzati da oggetti:12 la moka per l’appartamento, enorme rispetto al resto della tavola, quasi a simboleggiare un’intimità e una serenità casalinga, e il ritratto di Giuseppe Saragat, Presidente della Repubblica dal 1964 al 1971, posto centralmente nella scena del dialogo di Duca e Carrua in questura. Entrambi gli oggetti, inoltre, caratterizzano tanto il periodo quanto il luogo, perché il romanzo, che non cita l’immagine del presidente, rispetto alla scena nell’appartamento parla di caffettiera, ma il modello disegnato è appunto una moka (o moca), che si diffonde in particolare negli anni narrati, e la cui denominazione è attestata dal GDLI proprio a partire dal 1965. 



Altro passaggio rilevante per comprendere l’importanza dei dettagli è il momento in cui Davide e Duca vanno nella bottega del barbiere, nel romanzo solo nominata come ambientazione, per nulla descritta, mentre l’adattamento le dedica una tavola intera, con tre vignette in VPF: 42:



Il barbiere acquisisce una specifica denominazione grazie all’insegna che recita «Parrucchiere Calogero - Uomo», ed è in «via Ampere», come leggiamo parzialmente nel “segnale nome strada” affisso al palazzo. La bottega è raffigurata dall’esterno nella vignetta più grande, che occupa due terzi della tavola, nella parte inferiore: una vetrina non oscurata lascia intravedere l’interno, in cui appaiono elementi tipici dell’arredamento del tempo e oggetti specifici posti in evidenza dalle singole vignette superiori. Si tratta di poltrone con poggiatesta regolabili, due flaconcini di lozione di cui vediamo l’icona e parzialmente il marchionimo sull’etichetta (e uno è individuabile: Floid), una copia di Atroce beffa di “Diabolik”, n. 10 della seconda serie del 1965, stesso anno del concerto pubblicizzato in vetrina, quello dei Beatles al Velodromo Vigorelli, mentre successivo di almeno cinque anni è il manifesto elettorale del Pci, “Vota comunista”, appeso al muro esterno, in quanto stampato tra il 1970 e il 1979.13

In questo caso, quindi, la ricostruzione dell’ambiente presenta anacronismi, ma l’intenzione è comunque quella di riproporre l’atmosfera del periodo. Lo stesso discorso vale per la canzone Venus degli olandesi Shocking Blue, ballata da Duca al country-night, ma del 1969, o per la vignetta che mostra la facciata del palazzo di piazza Cavour 3, d’angolo con l’hotel omonimo e sede del cinema Cavour (VPF: 102). La sala ha in programmazione Lo schiaffo di Claude Pinoteau, film però del 1974, che il cinema avrà effettivamente in programmazione quell’anno;14 mentre L’ombrellone di Dino Risi, la cui locandina è visibile per le strade percorse da Livia e dal “signor A” in automobile, è del 1965 (VPF: 127), come il numero 4 di Linus, appunto del luglio 1965, raffigurato più volte in mano a Davide (VPF: 99, 114, 119), ma mai citato in Scerbanenco.

La Milano del romanzo, infine, sembra uno stradario: gli itinerari sono raccontati attraverso gli odonimi.15 Bacilieri però pare non preoccuparsene troppo, poiché la loro citazione nell’adattamento è assai ridotta. A volte inserisce nella battuta dei personaggi l’indicazione della via o della piazza in cui si muovono o deve avvenire qualcosa, come per la farmacia di piazzale Oberdan (VPF: 123), ma in pochi casi sono raffigurati i “segnali nome strada”: oltre a via Ampère, che abbiamo visto, gli unici altri sono quelli di via Farini (VPF: 89, riprodotto parzialmente, per cui il nome è incompleto ma leggibile) e di via Palestro, dove Livia cerca di adescare in “signor A” (VPF: 115), mentre è illeggibile il segnale di una strada ai Navigli (la zona si intuisce dall’imbarcazione che sta passando nella parte inferiore della vignetta, VPF: 116).16 Corso Buenos Aires è infine indicata con una didascalia dallo stesso autore (VPF: 117), così come Metanopoli (VPF: 8), su cui torneremo a breve. Inoltre, non è detto che Bacilieri rispetti il luogo indicato nel romanzo: prevale infatti sempre l’interesse a ricreare l’atmosfera del tempo, basandosi spesso su fotografie d’epoca. Quando ad esempio, nel romanzo, Livia al bar (Basso) racconta a Duca il suo incontro con il signore zoppo che diventa il suo primo cliente occasionale, dice che si trovava in piazza della Scala («Ero in piazza della Scala, quella sera, attendevo il tram […]. Ero depressa e d’un tratto mi accorsi che un uomo sui quarant’anni mi si avvicinava barcollando» VP: 141), come riporta anche la sua battuta nel fumetto, con minime varianti («Ero in piazza della Scala quella sera, aspettavo il tram… / …ero depressa. / ...d’un tratto mi accorsi che un uomo mi si avvicinava barcollando» VPF: 85). La scena è rappresentata in analessi, con la voce di Livia fuori campo, ma il luogo rappresentato non è piazza della Scala, bensì via Orefici, infatti la vignetta è costruita sull’immagine della fotografia di Valentino Bassanini, Via Orefici (1964), oggi raccolta nel catalogo della mostra Milano 1955-2015. Sessant’anni di fotografie,17 in cui è inserita appunto Livia.



3.  La Milano “nera”, tra mafia e prostituzione

Milano è caratterizzata in questo fumetto anche dai tram, emblema della mobilità meneghina, dalle automobili del tempo (con le targhe leggibili, per ribadire l’ubicazione della vicenda)18, e dal loro rumore, indicato da numerose onomatopee. Ciò rispetta un’altra descrizione di Scerbanenco, per contrasto: «quel sussultante silenzio della Milano un po’ fuori centro, verso mezzanotte, quando passa solo qualche auto, qualche raro tram, e poi vi sono anche lunghi minuti di silenzio come in un giardino di una villa secentesca» (VP: 141). La città è quindi caratterizzata da un paesaggio visivo e sonoro, e da un clima ostile. Infatti, nel romanzo è introdotta per contrapposizione alla villa in Brianza, che sarebbe il luogo idilliaco del riposo e della piacevolezza, una sorta di locus amoenus. Dice infatti l’ingegner Auseri: «A Milano fa molto caldo [...] Qui in Brianza fa invece sempre fresco» (VP: 26), «qui in Brianza, a mezz’ora di macchina da Milano, si respira come a Tahiti» (VP: 27). La città e il suo territorio sono “giù” nella pianura, come risulta dalle descrizioni: «La cosa migliore era l’aria, dolcemente umida, e la vista, in tutto il buio, di tanti puntini luminosi, case, villette, lampioni, che degradavano verso la pianura milanese» (VP: 45), «Così scesero dai dolci colli brianzoli nella pianura milanese» (VP: 63). In città si va a lavorare: «Adesso le consegnerò mio figlio e poi riparto subito per Milano, domattina alle sei devo essere a Pavia. Ho già trascurato troppo il lavoro per lui, ora basta» (VP: 38), dice Auseri padre; e d’altronde anche Alberta confessa a Davide di essere «venuta a Milano da quasi un anno a cercare lavoro e non ne aveva trovato molto» (VP: 84). L’insuccesso è parte della sfida che pone Milano, città non facile, e la Radelli lo ha capito per esperienza: «Dopo poco tempo che era arrivata a Milano da Napoli, aveva compreso che non sarebbe stato facile vivere. Voleva fare del teatro, ma vi aveva rinunciato dopo i primi colloqui coi portieri dei teatri dove lavoravano le compagnie» (VP: 144).

Il clima milanese è il correlativo oggettivo della difficoltà di vivere nella città. Il capoluogo lombardo si rivela infatti al lettore del romanzo in una bella giornata: «Il sole, ogni tanto, sorge anche a Milano. Quella mattina era sorto, da qualche parte, c’era del rossastro agli ultimi piani dei palazzi, e già si boccheggiava per il caldo» (VP: 65). Ma la situazione solare, positiva, è rara (“ogni tanto”), il che implica una condizione climatica, negativa e non occasionale, che rende la città inospitale, che costringe a trovare rifugio: «In viale Montenero, all’una e un quarto, erano tutti a tavola, tutti di quei pochi rimasti a Milano, di passanti non ce n’era letteralmente nessuno, quasi non fossero mai esistiti o non potessero esistere con quel caldo, ogni tanto passava un’auto, e poteva darsi che di lì a una diecina di minuti fosse passato perfino un tram della circonvallazione» (VP: 162); «Era un’ora studiata, la Milano che può dorme in casa, la Milano che non può, vinta dal caldo, dorme per le strade, sui tram, negli uffici, nelle fabbriche, un’ora più solitaria e discreta di qualunque momento della notte» (VP: 202).

In effetti, Scerbanenco presenta sempre Milano con un rovescio della medaglia: è ricca, ma la sua alta società è tanto elegante quanto pettegola. Infatti, Auseri coinvolge Duca perché altrimenti la condizione del figlio, che rispetta il «modello buona gente milanese, eco di un’Inghilterra regina dei mari» (VP: 40), sarebbe diventata di dominio comune, ed egli si sarebbe trovato in difficoltà: «Con un medico qualsiasi diventa un chiacchiericcio per tutti i salotti, salottini e stanzette della milaneria» (VP: 35), con il neologismo spregiativo milaneria, probabilmente sul modello cineseria. Inoltre, Milano è una città alla moda, ma finisce per essere uniforme, omologata, e quando Duca si guarda attorno nel country-night brianzolo riconosce subito «le milanesi che, accompagnate, sembravano tutte soraye» (VP: 47), ovvero cloni di Soraya, la principessa persiana e attrice tra le protagoniste della “dolce vita” romana. In quel contesto socio-economico, infine, inizia a insinuarsi la mafia,19 e prospera il mercato della prostituzione: «la piazza di Milano rende molto» (VP: 175). Scerbanenco, con ironia, parla esplicitamente della «topografia sessuale di Milano», da parco Lambro (VP: 142) all’Idroscalo di cui si parla sui giornali, con la «coppia sorpresa a commettere atti osceni in luogo pubblico (Idroscalo, ammesso, per pura ipotesi, che all’Idroscalo si facessero anche atti diversi)» (VP: 94), fino a «corso Vittorio, area di servizio delle professioniste, corso Matteotti» (VP: 191). È la parte che emerge del lato oscuro della città, la Milano “nera”, e Milano nera è infatti il titolo del volume che raccoglierà il ciclo di Duca Lamberti, curato da Oreste del Buono e pubblicato da Garzanti nel 1972. 

Scerbanenco ironizza anche sulla passione milanese per la prostituzione, in particolare nella seguente descrizione, che riecheggia addirittura il celeberrimo incipit descrittivo dei Promessi sposi


In quel tratto di viale che dall’Arco del Sempione mira al Castello Sforzesco, anche appena passate le dieci del mattino, vi sono sul bordo dello stradone accattivanti figure femminili, d’estate sommariamente ma aderentissimamente vestite, che sanno di operare in una grande metropoli dove non vi sono provinciali limiti di orario o conformistiche divisioni tra notte e giorno e che, a qualunque ora, dalle 00.00 alle 24.00, un cittadino può rallentare con la sua auto, e fermarsi a chiedere la loro cooperazione. (VP: 77)

Il passaggio racconta la dimensione metropolitana e professionale di Milano come città che, al pari di New York, non dorme mai (in contrapposizione snobistica alla provincia pigra e tradizionale), ma la proverbiale operosità meneghina è ricondotta alle dinamiche del commercio sessuale, usando persino l’avverbio coniato sul superlativo aderentissimamente per evidenziare con ironia la capacità di autopromozione delle prostitute, ed eufemismi riconducibili al vocabolario economico (operare, cooperazione). La descrizione non è ripresa dall’adattamento a fumetti, ma la situazione è messa in scena in diverse occasioni. Ci riferiamo ad esempio agli sguardi libidinosi degli uomini che accompagnano Livia nelle sue passeggiate di adescamento (VPF: 113-118, 122), i medesimi che ritroviamo nella vignetta in VPF: 83, con l’avvenente ragazza che passeggia per le strade di Milano seguita da sguardi di esplicito apprezzamento e in un atteggiamento che oggi verrebbe definito di catcalling: la vignetta è in realtà una commistione di due celebri fotografie di Mario De Biasi scattate a Moira Orfei nel 1954:20


(Fotografie di Mario De Biasi, © Archivio Mario De Biasi)

4.  Milano in trasformazione

Nella narrazione di Scerbanenco, il lato oscuro di Milano assume diverse forme: la città è un labirinto («Dunque, al numero 78 di una delle tre o seimila vie di Milano esisteva, almeno fino a un anno prima, uno studio di fotografia industriale» VP: 146), e come tale appare al lettore con i suoi odonimi; è un orizzonte sgradevole dalla Brianza, una città difficile per chi la vive, ed è soprattutto qualcosa che si sta trasformando, in positivo e in negativo. Il fumetto mette tutto ciò in evidenza fin dal prologo. Il romanzo, come il fumetto, si apre infatti un anno prima degli eventi narrati, con il ritrovamento di Alberta nei pressi di Metanopoli, la città del metano, sorta nel comune di San Donato Milanese da un’idea di Enrico Mattei, che nel 1952 intendeva far costruire una sorta di “città-giardino”, affidandone la progettazione all’architetto Mario Bacciocchi.21 Un luogo quanto mai significativo per la Milano in trasformazione di Scerbanenco, che nel fumetto appare però sullo sfondo. Se Milano è lontana dalla Brianza, “giù” in pianura, qui, come evidenzia la tavola, è all’orizzonte, prossimo, oltre i campi solcati dal canale e attraversati dal cavalcavia. Siamo nella campagna, lungo una strada che un anziano compie tutti i giorni per andare a Rogoredo da Cascina Luasca, e una didascalia ci rivela dove, in lontananza, in una splash page, sorga Metanopoli (VPF: 8)22. Sineddoche (simbolica) della zona è il palazzo dell’Eni, che appare anche nella prima delle quattro vignette che raffigurano l’area in cui viene ritrovato il cadavere di Alberta Radelli (VPF: 5-8), mentre in VPF: 59-60, quando nel flashback della giornata passata con Davide la donna viene fatta scendere in lacrime dall’automobile, appaiono sullo sfondo i palazzi del quartiere, come nel romanzo, dove leggiamo: «Fermò di colpo, buttandosi tutto sulla destra, quasi sul prato, intorno sul cielo rosso per il tramonto bruciavano spentamente i palazzoni di Metanopoli» (VP: 91).



L’ossimoro “bruciavano spentamente” esprime una critica all’immagine dell’ideale città giardino. È però soprattutto un altro contrasto che, figurativamente, esprime per antonomasia il conflitto enorme che si sta consumando nella trasformazione culturale della città. Esso avviene in un nonluogo, un autogrill, ovvero uno dei nuovi spazi di consumo lungo le autostrade, che in quegli anni sono percorse non più solo da auto sportive o di lusso, né solo da camion, ma anche dalla Fiat 600, simbolo appunto del boom economico. Scerbanenco parla di «stazione di servizio di Somaglia» con una «festosa baracchetta tutta imbandierata» (VP: 83), ma per la precisione è il “Motta-grill”, che Bacilieri riproduce fedelmente. 



Scerbanenco racconta come i due, dopo aver preso qualcosa da bere, si appartino in altro locus amoenus («C’era una strada che conduceva al fiume, poi c’era un sentiero che lo costeggiava e poi c’erano delle piste che si perdevano fra alti cespugli e boscagliole piene d’intimità» VP: 83). Qui i due fanno l’amore, ma nel romanzo l’atto è in ellissi, sia il primo rapporto, dopo il quale tornano a prendere qualcosa al bar, sia il secondo («Tornarono al fiume e ritornarono poi a ristorarsi» VP: 84). Il fumetto invece raffigura entrambi gli amplessi in tre tavole (VPF: 52-54), in una natura florida e ricca, accanto a un topico corso d’acqua. Quindi, se da un lato questa è una ripresa della tradizione (e forse attraverso quella appendicista a cui è parzialmente ascrivibile la scrittura di Scerbanenco, che peraltro è stato anche autore di romanzi rosa), dall’altro è, anche in virtù di questa tradizione, un “luogo comune”, un topos appunto, letterario e culturale, proprio di una dimensione idillica, premoderna, in contrasto con i nonluoghi dell’autogrill e dell’autostrada. Anzi, in questo caso è proprio dietro ad essi. 

Il motivo dei prati, dei campi e della natura via via assalita dalla città, assai diffusa nella rappresentazione letteraria e pop del tempo per raccontare la modernizzazione in corso, con toni spesso nostalgici (basti pensare alla canzone Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano, dello stesso 1966), è il medesimo in cui, nei pressi di Milano, si consumano l’abbandono di Alberta, il suo “suicidio” e il ritrovamento del suo cadavere. La campagna, vicino a Metanopoli, non è più tale. L’avanzare della città ha trasformato i campi in prati di periferia, non sono certo un locus amoenus. La trasformazione di Milano (e dell’Italia) parla anche attraverso la sua architettura, e nella relazione aggressiva tra città e campagna la seconda soccombe alla prima, che qui incombe all’orizzonte, come l’insegna Motta alle spalle del boschetto degli amanti.

Ritroviamo la contrapposizione in un momento successivo, in un luogo di alto valore simbolico per Milano: Torre del Parco,23 ovvero Torre Branca, nel parco del Sempione. Al suo interno è ambientato buona parte del capitolo quarto della seconda parte del romanzo; ne abbiamo però poche descrizioni, e rari dettagli: «nel rotondo caffè deserto a cento metri sulla pianura milanese» (VP: 146), «Torre del Parco, commovente torre Eiffel milanese» (VP: 177), «nel salottino rotondo del bar della Torre, a oltre cento metri di altezza sulla Valle Padana e, in particolare, sulla città di Sant’Ambrogio» (VP: 178). Il fumetto, invece, propone sia interni che esterni del luogo, e tanto i primi quanto i secondi (grazie al panorama dalle finestre) mettono in scena il contrasto tra la torre (e le torri sullo sfondo, a partire dall’onnipresente Velasca) e la natura, gli alberi che la circondano. Analogamente, il condominio Ulisse di via Egidio Folli (VPF: 130, 146) è un alto palazzo in mezzo alla campagna, ed è il luogo in cui si compie il crimine contro Livia, mentre Davide e Duca attendono nascosti sotto la pergola di una casetta in una strada secondaria (VP: 227-228 > VPF: 144). È infine in un «grosso cascinale» che l’uomo che ha torturato Livia viene raggiunto, e in una stalla picchiato da Duca per farlo parlare (VP: 230-238). Se la confessione con cui il criminale indica come raggiungere il “signor A” è in ellissi nel fumetto, non altrettanto è l’inseguimento e il primo pestaggio, in un’ambientazione di campagna raffigurata realisticamente (VPF: 149-153). 

5. Conclusioni

La Milano “nera” che Bacilieri mette in scena prende piede in questa contrapposizione: la città si espande, si trasforma e modifica gli spazi e i luoghi, e con essi la vita dei suoi abitanti. Se Scerbanenco predilige raccontare la città in trasformazione attraverso le dinamiche della criminalità, Bacilieri la mostra anche nella contrapposizione città/natura, sfruttando l’elemento visivo del linguaggio del fumetto, che non solo supplisce alla povertà di descrizioni, ma offre una specifica interpretazione del racconto. In effetti, a ben vedere, il fumettista non inventa la contrapposizione ex novo, bensì la riprende da Scerbanenco, evidenziandola. Rispetto allo scrittore, però, Bacilieri chiude il libro con un’immagine in cui la situazione sembra risolversi: l’ultima tavola è infatti visualmente estranea alla conclusione del romanzo, che vede Duca e Livia nella stanza dell’ospedale che riprendono a parlare, intrecciando le dita «teneramente» (VP: 251). L’adattamento non riproduce questa immagine, che graficamente sarebbe decisamente stereotipata, ma raffigura l’ordine ristabilito e una pace raggiunta (pur drammatica, in quanto Livia ha il volto completamente sfregiato) attraverso un paesaggio milanese, una splash page che ha per modello la fotografia di Pepi Merisio, Emigranti (1966), in cui svettano due palazzi, tra cui il grattacielo Pirelli. Rispetto all’ipotesto, però, non sono riprodotti il signore con una bambina in braccio e la signora che camminano sulla strada sterrata nella parte bassa della fotografia.

Ai piedi dei due alti edifici ci sono dei condomini più bassi, e infine dei depositi. I secondi paiono circondare i primi, ma la raffigurazione non sembra mostrare un luogo composto architettonicamente da corpi del tutto estranei tra loro, in conflitto. Ne risulta una città in cui convivono una dimensione più antica e una già moderna. La città del futuro avanza anche qui come a Metanopoli, ma Bacilieri suggerisce, attraverso un tratteggio omogeneo e una continuità nelle linee geometriche delle costruzioni, un’armonia tra i palazzoni e i condomini di pochi piani della zona, che a loro volta digradano nelle cascine e nei magazzini o nei depositi ai margini dei prati su cui si dissolve il disegno (VPF: 158). 

La raffigurazione risulta però molto diversa da quella dei prati di periferia dietro Metanopoli, di cui la splash page finale è appunto un’immagine speculare. Qui si risolve il dramma iniziale, ristabilendo un ordine, per quanto solo temporaneo. È infatti chiaro che Milano, e con lei la Milano “nera”, tornerà a espandersi inglobando anche quel paesaggio. E non a caso questa splash page finale è riproposta anche in copertina, a colori, con una significativa variante. I palazzi e i condomini diventano qui grigi, con i riquadri gialli delle finestre illuminate dalle luci accese nelle stanze. È quindi sera, ma il cielo è azzurro. In questo, l’immagine sembra evocare il celebre dipinto di Magritte, L’impero delle luci, ma riguardo alla narrazione che offre questa cover un altro elemento è più rilevante. Rispetto alla splash page, infatti, nella parte bassa della copertina non si dissolvono più i prati. Laddove nella fotografia camminava la coppia con la bambina, qui appaiono quattro personaggi, ovvero due carabinieri, uno dei quali piegato a osservare il cadavere di una donna nuda, mentre un fotografo ritrae la scena. L’armonia è spezzata di nuovo, il dramma ricomincia.



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Note

↑ 1 L’edizione di riferimento è Scerbanenco 2022.

↑ 2 Sull’adattamento esiste ormai una vasta bibliografia, per cui cfr. Hutcheon 2006, Hutcheon et al. 2012, ma a tali studi vanno necessariamente aggiunti quelli che hanno contestualizzato tale tipologia testuale in una più ampia produzione che, in era transmediale, ha generato veri e propri ecosistemi narrativi (Pescatore 2018), rendendo necessario integrare narratologia e altre discipline (Ryan - Thon 2014). In questa direzione non mancano studi recenti, in Italia, su case studies specifici, come testimoniato da Fusillo et al. 2020, e che affrontano anche adattamenti a fumetti (Fastelli 2020). In questa sede si lavorerà, in particolare, sull’elaborazione grafica del dettato linguistico del romanzo di Scerbanenco attuata da Bacilieri, quindi in ambito intermediale (Rajewsky 2005), ma a partire da un’analisi linguistica e narratologica del testo, individuando varianti significative che permettono di definire nello scarto dal testo originale la specificità della versione di Bacilieri.

↑ 3 Il formato di Linus è oggi 27x20,5 cm, quello del volume Oblomov è 17x24 cm. Comparando le tavole già pubblicate con quelle nel volume, a una prima analisi risulta un’evidente variante nella raffigurazione di Duca Lamberti da Linus n. 10/2021: 17 a VPF: 25: l’espressione degli occhi nell’edizione definitiva lo connotano come brillo, mentre non risultava tale in rivista. Inoltre, nei nn. 7/2023 e 10/2023 l’impaginazione della storia non è, come nelle altre puntate, a partire dal recto della pagina, quindi a partire da una tavola singola in una pagina dispari, ma dal verso, da quella pari, pertanto l’accostamento delle tavole risulta diverso dal volume. Si ringrazia Paolo Bacilieri per la gentile concessione delle immagini, © Paolo Bacilieri, 2021 / Oblomov Edizioni-La nave di Teseo, 2021, 2022.

↑ 4 Per la biografia di Vladimir Ščerbanenko (1911-1969), si rimanda alla celebre breve autobiografia Scerbanenco 1972 e a Scerbanenco 2018. Tra le monografie dedicate all’autore, ricordiamo Boni 2016, Via 2012, Reverdito 2014, Pirani 2011.

↑ 5 Tra i saggi sulla lingua e lo stile di Scerbanenco, oltre a Pischedda 2017 e D’Agostino e Mantovani 2017, cfr. Salibra 2017, 2014, 2009, Bertini Malgarini e Vignuzzi 2008, Parodi 2003.

↑ 6 Cfr. VP: 173: «“Primo punto, tratta delle bianche. Credo che non ci sia nessun dubbio.” [...] “Secondo punto, tratta delle bianche in grande stile. [...]”».

↑ 7 Cfr. Bacilieri et al. 2019: 62-68. In particolare in occasione della pubblicazione di Tramezzino (Canicola, 2018), in cui l’architettura milanese diventava parte integrante della narrazione, diversi interventi hanno sottolineato la sensibilità dell’autore alla raffigurazione di luoghi urbani, non solo milanesi: cfr. Padovani 2018, D’Amico 2019.

↑ 8 Cfr. Bacilieri 2018: 3, 4; Bacilieri 2014: 27, 35, 110, 113, 119, 121.

↑ 9 Appaiono però citati i due grandi magazzini in generale: «Da una piccola busta di pelle Duca aveva preso una foto 18×24 e gliela teneva davanti al viso, nella piccola sala illuminata ora solo da un paralume di plastica, preso all’Upim o alla Standa, e sistemato di fianco al televisore» (VP: 122).

↑ 10 Il palazzo torna in VPF: 143.

↑ 11 Via dei Giardini, dove Davide parcheggia per far andare Duca in Questura (VP: 69), non è riconoscibile (VPF: 43). Successivamente l’edificio apparirà anche raffigurato frontalmente, in modo che si legga sull’entrata «Questura» (VPF: 67).

↑ 12 Sulla citazione di oggetti e sul loro ruolo nei romanzi di Scerbanenco, cfr. Canova 1985.

↑ 13 Cfr. www.manifestipolitici.it/SebinaOpacGramsci/.do?idopac=GRA0002780.

↑ 14 Si rimanda al sito del critico e storico dei cinema (e dei cinematografi) Giuseppe Rausa www.giusepperausa.it/_cinema_cavour.html , anche per le foto relative al cinema Cavour, riutilizzate da Bacilieri.

↑ 15 A titolo esemplificativo, riportiamo di seguito alcuni itinerari o luoghi relativi a eventi specifici con i relativi odonimi: il viaggio di Duca e Davide parte dalla villa in Brianza e termina in piazza Leonardo Da Vinci (VP: 66); il tragitto da casa di Lorenza alla Questura passa da piazza Cavour, via Fatebenefratelli e via dei Giardini (VP: 69); la zona della prostituzione è dall’Arco del Sempione al Castello sforzesco (VP: 77), o in via Visconti di Modrone (VP: 190); in automobile i personaggi girano per Foro Bonaparte, via Dante, via Orefici, piazza del Duomo, corso Vittorio, San Babila, corso di Porta Venezia, via Palestro, piazza Cavour, parcheggiano in via dei Giardini e pranzano all’Alemagna di via Manzoni (VP: 78, di cui in VPF: 67 si intravede l’insegna parzialmente leggibile dietro Alberta); si passeggia tra piazza Cavour, Giardino zoologico, galleria Cavour, di nuovo piazza Cavour e via dell’Annunciata (VP: 92); la boutique dove ha lavorato Alberta è in via Croce Rossa (VP: 123), casa di Livia e il bar vicino sono in via Plinio (VP: 135), mentre Alberta viene minacciata in viale Montenero (VP: 162); la “prima zona” in cui Livia si finge prostituta parte da via Giuseppe Verdi, quasi in piazza della Scala, e poi comprende via Manzoni, via Palestro, corso Venezia, corso Buenos Aires, fino a piazzale Loreto (VP: 187-189); la “seconda zona” va da piazza San Babila a piazza San Carlo, a esclusione di via Montenapoleone (VP: 190); la farmacia aperta tutta notte è in piazzale Oberdan (VP: 199); c’è infine il percorso per raggiungere il Condominio Ulisse, oltre via Egidio Folli e oltre il dazio (VP: 202) e il tragitto per arrivarci in taxi da casa di Livia: via Plinio, via Eustachi, viale Abruzzi, via Nöe, via Pacini, via Teodosio, via Porpora (VP: 209-210).

↑ 16 Alcuni luoghi non sono facili da riconoscere. Scendendo dalla Brianza, stando al romanzo, Duca si ferma a Monza per far bere Davide. Nella tavola VPF: 40 si conclude il dialogo cominciato nella villa, e inizia quello che dovrebbe svolgersi nel bar monzese, ma nulla cita direttamente la città lombarda. L’automobile percorre una strada il cui elemento caratterizzante è un tram, poi passa accanto a un certo bar Casteggio, e di una rivendita di tabacchi, la n. 67 come rivela il dettaglio di una vignetta, però sullo sfondo di due delle tre vignette appare una ciminiera e la classica architettura industriale con il tetto a denti di sega, come erano anche quelli della monzese Scotti. Si tratta forse di suggestione per il fatto che il romanzo narra la sosta nella città brianzola, ad ogni modo la prossimità delle industrie e i prodotti reclamizzati nelle vetrine del bar (Oransoda, acqua minerale Levissima, gelati Motta) concorrono a creare l’atmosfera della trasformazione socio-culturale del tempo.

↑ 17 Cfr. Milano 1955-2015. Sessant’anni di fotografie, a cura del Circolo fotografico milanese, Circolo fotografico milanese, Milano, 2015, pp. 55-56. Si ringrazia Valentino Bassanini per la gentile concessione di riprodurre la fotografia.

↑ 18 Fa eccezione la Flaminia blu scuro del “signor A”, di cui Livia non ha potuto leggere la targa (VP: 199-200), ma che, raffigurata da dietro, ne rivela una improbabile: CD 27708 (VPF: 128).

↑ 19 Oltre a entrare all’interno del romanzo per via dell’esperienza del padre di Duca, la mafia è l’ombra che si muove dietro al traffico di prostituzione autoctono e internazionale con cui Duca entra in conflitto: «“Sì, lo so che cosa ti hanno detto. Ogni tanto si ammazza e ogni tanto si sfregia. È un sistema antico. Tu non sei della Mafia, ma sei stato addestrato dai mafiosi, avrai seguito anche un rapido corso di sfregio. O sbaglio?”» VP: 236; «Non avrebbe dedicato un solo minuto a tutta quella storia se non avesse sentito che c’era lo stile violento e spietato della Mafia. No, quei due buzzurrelli non erano della Mafia, e neppure il loro capo locale, e neppure quello nazionale, probabilmente, ma il teorico, lo strutturatore della grossa banda, era certamente della Mafia e prendeva il cinquanta per cento» (VP: 236); «“Tu non sei un vero mafioso, siete degli allievi, non ce la farai a resistere”» (VP: 237); «“Abbiamo i nomi di molti altri grossi capi, in tutta Europa, adesso funzionerà l’Interpol, erano organizzati e istruiti dalla Mafia, per un lavoro di alta qualità, per una clientela di lusso, ogni donna veniva selezionata tra le migliaia probabili di una grande città. Anche lo sfruttamento, da anni, sta subendo una certa flessione, soprattutto, così mi ha detto il signor A, per il materiale scadente. Guidati dalla Mafia, alcuni grossi industriali del lenocinio hanno voluto realizzare un meretricio di lusso. Le stesse donne, una volta sfruttate in questo modo, potevano passare alle categorie inferiori…”» (VP: 246).

↑ 20 Si ringrazia Silvia De Biasi, unica erede e curatrice dell’Archivio di Mario De Biasi, per l’autorizzazione alla pubblicazione delle due fotografie.

↑ 21 Per una scheda con informazioni storiche e architettoniche, cfr. www.lombardiabeniculturali.it/architetture900/schede/p4010-00248.

↑ 22 Una didascalia per denominare un’area geografica è presente anche in VPF: 22: «Alta Brianza».

↑ 23 Anch’essa ricorre come elemento caratterizzante dello skyline di Milano in Bacilieri 2018: 30; Bacilieri 2014: 75, 76, 94.


 

Dipartimento di Lingue e Culture Moderne - Università di Genova
Open Access Journal - ISSN électronique 1824-7482