Genere e invecchiamento: un’intersezione da esplorare

Maria Giulia Bernardini, María Isolina Da Bove, Francesca Lagomarsino, Silvia Stefani

Nel 1970 Simone De Beauvoir scriveva La vieillesse per “infrangere la congiura del silenzio” sulla vecchiaia. La nota filosofa francese usava il termine “vecchiaia” con il chiaro intento di rifiutare gli eufemismi che circondano questo fenomeno e che fanno parte del processo di rimozione collettiva che lo riguarda. A distanza di anni non possiamo dire che l’invecchiamento sia ancora un tema “silenziato”: vi si dedicano riviste specializzate, vi sono numerose ricerche, ed è diventato un tema centrale nel dibattito pubblico, in ragione dell’invecchiamento della popolazione. Dagli anni Sessanta, per contrastare le teorie del disengagement (Cumming, Henry 1961) che consideravano l’invecchiamento come un inevitabile processo di calo di benessere e progressivo allontanamento dalla vita collettiva, hanno assunto crescente centralità il concetto di “successful aging” (Havinghurst 1961) e le sue varie declinazioni: active aging, positive aging, productive aging, aging well, che ridipingono l’età avanzata come una fase di possibilità, coinvolgimento sociale e benessere psico-fisico. Anche in relazione alla vecchiaia è in atto quel processo – già ampiamente noto nel campo della disabilità grazie ai Disability Studies – di affrancamento dalla condizione di passività e inevitabile dipendenza e di valorizzazione della capacità della persona di autodeterminarsi e di partecipare attivamente alla vita sociale.

I risultati raggiunti finora sembrano piuttosto ambivalenti. L’affermarsi di questa narrazione, ampiamente ripresa in numerosi ambiti, sta infatti senz’altro producendo conseguenze positive. A titolo di esempio, si può ricordare la considerazione di chi sia anziano quale “nuovo” soggetto titolare di diritti, anziché semplice portatore di bisogni. Il dibattito relativo alla possibile adozione di una specifica Convenzione internazionale che ne tuteli i diritti umani è appunto frutto dell’affermarsi di questa prospettiva, che vede nella vecchiaia la più recente “nuova frontiera” della giustizia (Nussbaum 2017). Sul piano urbanistico, sempre più spesso ci si interroga su come rendere le città davvero age-friendly, ossia concretamente accessibili anche per le persone anziane. Nel campo delle nuove tecnologie, si studiano le potenzialità nel supporto all’autonomia di queste persone, senza trascurare gli effetti discriminatori che possono prodursi proprio in merito all’accessibilità. Nelle politiche pubbliche, fioriscono tentativi di prendere in considerazione non solo i bisogni socio-sanitari delle persone anziane, ma soprattutto quelli relazionali. A livello culturale e sociale, sono ormai molte le narrazioni che propongono un’immagine della persona anziana come soggetto competente e attivo.

Al contempo, l’enfasi sull’invecchiamento attivo, positivo, produttivo e simili spesso è declinata secondo modalità tali da lasciare intravedere un forte legame con la cultura neoliberale, che tende alla rimozione di ogni forma di fragilità – e della morte, intesa come fragilità costitutiva dell’umano – e mira a rendere produttiva ogni fase della vita e a responsabilizzare gli individui rispetto alla propria eventuale condizione di dipendenza (Lamb 2017). In questa prospettiva, non di rado la vecchiaia è valorizzata solo se ed in quanto riesce a presentare le caratteristiche dell’adultità, a partire dalla produttività, in quello che pare configurarsi come un new ageism (Walker 2012). Spesso, inoltre, il paradigma dell’invecchiamento attivo non considera le disuguaglianze legate a diversi assi (classe, genere, razzializzazione, etc.) che si accumulano nel corso della vita e hanno un ruolo determinante nel plasmare le traiettorie di invecchiamento delle persone.

Nonostante le ricerche e i progetti sull’invecchiamento si stiano moltiplicando, le intersezioni tra questo fenomeno e il genere rimangono poco esplorate. Tranne rare eccezioni, riscontrabili perlopiù negli approcci “critici” interni ai vari settori (si pensi all’urbanistica femminista o al tema della violenza, anche digitale), le donne anziane sono ancora un “soggetto imprevisto” (Lonzi 1971), a causa del fatto che la vecchiaia, all’interno del femminismo, ha costituito a lungo un “et cetera”, anziché esserne posta al centro (Calasanti, Slevin, King 2006).

Una grande eccezione è data dalla gerontologia femminista: già dagli anni Novanta, nell’ambito della gerontologia sociale diverse studiose hanno intuito la potenzialità dell’applicazione delle lenti femministe al tema (Ray 1996, Stoller 1993, Browne 1998, Calasanti 1999, Garner, 1999). Le gerontologhe femministe, recuperando il genere come categoria analitica cruciale, hanno analizzato le esperienze individuali di invecchiamento come frutto di forze storiche, politiche ed economiche che plasmano in maniera differenziata le biografie di uomini e donne (Hooyman et al. 2014). In particolare, hanno avuto il merito di evidenziare alcuni “comuni denominatori” delle esperienze di vecchiaia delle donne occidentali: tra essi ricordiamo, per esempio, la posizione economica più fragile, fortemente connessa al carico sbilanciato di lavoro di cura non remunerato che grava sulle spalle delle donne nel ciclo di vita (Freixas et al. 2012) e gli stereotipi genderizzati legati all’invecchiamento che limitano, denigrano e invisibilizzano la vita delle donne anziane (Hurd, 2011), tanto che Margaret Gullette (2004) le definiva “aged by culture”, per evidenziare la dimensione socioculturale dei processi di invecchiamento. Se la gerontologia femminista è stata pioniera nell’intersecare genere e invecchiamento, spesso queste ricerche hanno adottato come approccio metodologico l’analisi della vita delle donne anziane, in quanto soggetti invisibilizzati, la cui voce era stata trascurata in altre ricerche. Nonostante la sua indubbia importanza, laddove ha permesso di conoscere vissuti e punti di vista finora pressoché ignorati, al contempo questo approccio si è rivelato parziale. Per esempio, ha indotto a tralasciare le connessioni tra maschilità e invecchiamento (Hurd & Mahal 2019, King & Calasanti 2013) o il complesso tema dell’invecchiamento delle caregiver migranti coinvolte nelle catene della cura in questa fase di invecchiamento globale della popolazione (Dossa & Coe 2017, Marchetti & Venturini 2013).

I femminismi intersezionali contemporanei sono a nostro avviso particolarmente attrezzati per adottare lenti di genere più esaustive e complesse per analizzare le declinazioni del fenomeno globale dell’invecchiamento, che si apre così a numerose piste di ricerca. Auspichiamo pertanto che il numero monografico che andremo a costruire possa fornire uno spazio di confronto, dibattito e messa in rete di chi già sta adottando le lenti femministe in questo campo di ricerca. La call accoglierà contributi sia teorici sia empirici che esplorino le intersezioni tra genere e invecchiamento rispetto alle seguenti dimensioni:

  • sessualità e relazioni;
  • corpo, salute, menopausa e andropausa, disabilità;
  • teorie, politiche, pratiche e istituzioni della cura (genderizzazione del lavoro di cura formale e informale, l’invecchiamento dei care-workers, etc.);
  • disuguaglianza socio-economica (povertà, impatto dei sistemi di welfare, istituzionali, etc.);
  • successful aging e active aging come imperativo, prospettiva, o campo di negoziazione;
  • (approccio delle) capacità e invecchiamento;
  • ageismo, discriminazioni, forme di resistenza e politiche pubbliche di contrasto;
  • (in)accessibilità digitale, smart e robotica;
  • migrazioni e processi di razzializzazione (migrazioni in età avanzata, migrazione dei genitori, retirement migrants, etc.);
  • accesso allo spazio pubblico e/o urbano;
  • violenza fisica, materiale, simbolica, strutturale;
  • rappresentazione nei media e nei vari ambiti disciplinari (sociologia, diritto, filosofia, psicologia, letteratura, antropologia, etc.);
  • apporto teorico e/o metodologico dell’intersezione tra aging studies e gender studies
  • accesso ai diritti e alla giustizia
  • contributo di norme e politiche del diritto ai processi di riconoscimento o misconoscimento delle diverse soggettività.

Saranno accolti contributi provenienti da tutti gli ambiti disciplinari - sociologico, giuridico, antropologico, filosofico, letterario, psicologico, etc. -  e i contributi che affrontano le questioni indicate in una prospettiva interdisciplinare.

 

Bibliografia

Browne, C. (1998). Women, Feminism, and Aging. New York: Springer Publishing Company.

Calasanti, T. (1999). Feminism and Gerontology: not Just for Women. Hallym International Journal of Aging. 1(1), 44-55.

Calasanti, T., Slevin, K & King, N. (2006). Ageism and Feminism: From “Et Cetera” to Center. NWSA Journal. 18(1), 13-30.

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